«Bene» disse
Carlisle, sfilandosi per un attimo lo
stetoscopio. «Puoi metterti seduta per favore?» mi
chiese gentilmente.
Annuii, e Edward mi
aiutò a sollevarmi dalla posizione
sdraiata in modo che lui mi misurasse nuovamente la pressione. Attesi
in
silenzio che ripetesse l’operazione, poggiata con il capo sul
petto di Edward,
stanca per tutta la mattinata trascorsa in ospedale.
«Okay» disse
infine, togliendomi la fascia nera dal
braccio. «Abbiamo finito, direi che sia la mamma che la
bambina stanno
benissimo» mi rassicurò con un sorriso.
Mi abbassai la manica della
maglietta, fissandolo con
attenzione mentre si sedeva dietro la scrivania, facendoci segno di
accomodarci
sulle poltroncine davanti a lui.
«Hai ancora la pressione
un po’ bassa» mi disse, scrivendo
dei dati sulla mia cartella clinica. «Ma niente di cui
preoccuparsi. Alzati
lentamente per evitare capogiri. Il tuo peso sta aumentando in modo
corretto,
per essere al terzo mese è perfetto che tu abbia preso un
chilo e mezzo.
L’emoglobina è stabile sui 10, quindi
sospenderò alcuni dei farmaci che stai
prendendo e te ne darò altri per bocca».
Sorrisi, sollevata.
«Niente più iniezioni?».
Trattenne a stento un sorriso.
«Niente più iniezioni».
«E la bambina?»
chiesi un po’ preoccupata «siamo
sicuri che stia bene?».
Sentii la mano di Edward stringersi
attorno alla mia,
con assoluta tranquillità. Mi sentivo meglio, la tristezza
era un lontano
ricordo, e mi sembrava che anche Edward fosse più rilassato.
Carlisle mi sorrise, rassicurante.
«All’ecografia non
si vede più alcun distacco amniocoriale e la visita va
davvero bene».
Rabbrividii, ricordandomi di quella
mattina. Fare la
visita ginecologica era stato molto più facile
dell’ultima volta, ma a parte il
naturale disagio era una cosa che mi metteva sempre molto in
difficoltà.
«E il battito?»
domandai. Ancora i vampiri non
riuscivano a sentirlo, ma dicevano che con il macchinario di Carlisle
si era
sentito molto più forte dell’ultima volta.
Edward si chinò al mio
orecchio. «È perfetto, Bella.
La bimba sta bene».
Sorrisi, accarezzandomi il ventre.
«Bene» sollevai lo
sguardo, sorridendo. «Sono sicura che stia bene. È
così contenta oggi».
«Davvero?» mi
chiese Edward emozionato, posando una
mano sulla mia, come se così potesse sentire anche lui la
sua felicità.
«Sì» sussurrai, appoggiando la testa
sulla sua spalla e
lasciando che ci accarezzasse.
«Hai ancora
nausee?» mi chiese Carlisle, finendo di
scrivere.
Annuii.
«Sì», poi aggiunsi, arrossendo,
«però ho anche
molta fame».
«Appena finiamo ti porto
a mangiare qualcosa» mi disse
Edward, sollevandomi completamente dalla poltrona e sistemandomi sulle
sue
gambe, in modo da potermi accarezzare meglio.
Arrossii, ma non dissi nulla.
Finché stava bene a lui,
andava bene anche a me.
Carlisle sorrise. «Non vi
voglio trattenere oltre, ma
prima c’è una cosa di cui vi vorrei
parlare».
«Cosa?» chiesi,
interessata, voltandomi velocemente
verso di lui.
Intrecciò le mani,
portandole sulla scrivania, segno
che stava iniziando un discorso piuttosto serio. «Vedete, ho
pensato più di una
volta al “problema” del parto» mi
fissò intensamente negli occhi, facendo una
pausa. «Il tuo quadro clinico, Bella, ti permette di avere
una cartella con
tutti i tuoi dati, come qualsiasi altra gestante. Permangono,
però, diversi
problemi. Non ci sono le ecografie, per esempio. E il tuo medico
curante, sono
io, un chirurgo, non un ginecologo. A parte questi, che sono problemi
burocratici facilmente ovviabili, ce n’è un altro
di cui vorrei discutere».
Vidi il suo sguardo serio posarsi decisamente su Edward.
Sentendo le sue mani bloccarsi
sulla mia pancia, li
fissai, spaventata, tentando di immaginare quale potesse essere il
problema.
«Sta tranquilla,
Bella» disse Carlisle, accorgendosi
dei miei pensieri. «Non è nulla di grave,
è solo che ritengo che dovremmo fare
un taglio cesareo».
«Oh» mormorai, abbassando lo sguardo.
Mi sentii
improvvisamente rattristata da quelle parole. Eppure, avrei dovuto
immaginarlo.
«Le difficoltà
che incontreremo con la membrana
possono essere svariate, e non potendo monitorare al meglio la
situazione sia tua
che la bambina potreste correre importanti rischi»
tentò di spiegarmi Carlisle.
«Io» mormorai,
sempre con lo sguardo basso. «Sì,
capisco». In realtà invece sentivo tutto
quell’improvviso rammarico, ma sapevo
di non poterci fare nulla. Forse derivava dal fatto che avevo letto, su
una
rivista lasciatami da Rosalie, che le donne che hanno un parto naturale
sono
legate in maniera speciale ai loro bambini. Forse ero una delle tante
mamme che
si faceva questo genere di paranoie.
Sentii una mano sotto al mento che
mi costrinse a
voltarmi fino a incontrare gli occhi ambrati di mio marito.
«Ti dispiace
molto?».
Feci per dire di no, ma poi optai
per una mezza
verità. «Un po’». Sentii la
mia stessa tristezza provenire dalla bambina.
Chiusi gli occhi, tentando, come mi aveva suggerito Jasper, di
scacciarla via
lentamente. Non era giusto che mi facessi condizionare da queste cose
facendola
rattristare, volevo che sentisse tutti i miei sentimenti più
positivi, d’ora in
poi.
«Bella» mi
chiamò Carlisle, posando una mano sulla
mia. «Mi dispiace, non pensavo ci tenessi così
tanto».
«Non ti preoccupare, non
è colpa tua. Anzi, ti sono
grata per tutto quello che fai per me, solo che…»
mi interruppi, tentennando
con lo sguardo verso il grande scaffale bianco alle sue spalle,
«non so come
spiegarlo. Non ci avevo neppure pensato più di tanto fino ad
oggi» ammisi
infine.
«Sì,
capisco» disse lui, ritirandosi sulla poltrona nera
di pelle e rimuginando. «Facciamo così, ti
prometto che ci penserò, okay?
Penserò a un modo per farlo».
Sentii Edward irrigidirsi.
«Ovviamente, senza che tu
corra rischi» aggiunse, a
suo beneficio, con un sorriso.
Mi sollevai dalle braccia di Edward
e corsi ad
abbracciarlo. «Grazie, grazie, grazie» mormorai
entusiasta contro in suo
maglione di cotone color petrolio.
Mi strinse a sé con
affetto, poi mi tirò via dalle
spalle fino a guardarmi negli occhi. «Ho detto che ci
penserò, non è detto che
riuscirò a trovare una soluzione»
precisò con un sorriso.
Sorrisi anch’io,
nonostante tutto. «Certo, va bene».
Sentii due braccia fredde
abbracciarmi da dietro.
«Andiamo Bella? Avrai fame, no?».
«Sì,
sì, in effetti. Mi chiedo quanto ancora potrò
latitare dalle grinfie di Alice! Solo a pensarci… cielo! Non
oso, non
pensiamoci» rabbrividii, e con me la bambina.
Edward e Carlisle scoppiarono
ridere.
«Non ridete! Anche lei
è d’accordo con me!» esclamai,
fingendomi offesa.
«Andiamo» fece
Carlisle, togliendosi il camice e appendendolo
all’antico appendiabiti in legno di ciliegio - tocco, ne ero
certa, di Esme - «il
mio turno oggi è concluso, me ne torno a casa
anch’io».
Quando arrivammo alla grande porta
a vetri all’uscita
ci accorgemmo che era in atto uno dei tipici temporali di Forks. Il
cielo era
grigio scuro e in lontananza si vedevano degli inquietanti lampi di
luce
chiara. Non appena un uomo, uscendo dalla porta,
l’aprì, mi giunse una folata
di vento ghiacciato, insieme all’odore prepotente di umido e
terra bagnata.
Rabbrividii, sentendo la familiare
sensazione che la
bambina mi regalava quando Edward accarezzava la pancia.
Edward se ne accorse.
«Aspettami qui, vado a prendere
la macchina».
«No, ti prego, senti che
bel freddo fa lì fuori!»
mormorai incollando la faccia al vetro freddo. Mi ostinavo a conservare
un
masochistico amore per il freddo. D’altronde, se non fossi
stata masochista di
natura non mi sarebbe mai venuto in mente di sposarmi con un vampiro.
Edward scosse il capo in
disappunto, uscendo. «Aspetti
con lei?» chiese a Carlisle. Ovviamente, sempre, si premurava
ossessivamente di
tenere completamente sotto controllo la situazione.
Lui sorrise, pensando, ne ero
certa, le stesse cose
che stavo pensando anch’io. «Sì,
certo».
Mi voltai verso Carlisle,
sorridendogli. Quel giorno
c’erano stati meno problemi rispetto alla precedente visita,
ma comunque
riconoscevo che per me non era affatto stato facile. E sapevo che molto
di
quello non dipendeva dal naturale imbarazzo…
«Carlisle» lo
chiamai, un po’ impacciata per quello
che stavo per chiedergli.
«Sì?»
mi chiese lui, cortese, passandosi la borsa di
cuoio chiaro da una mano all’altra.
Sbirciai con la coda
dell’occhio nell’atrio e notai
che non c’era nessuno, a parte un’infermiera,
troppo lontana per sentire i
nostri discorsi. Arrossii. Dovevo approfittarne ora che Edward non era
con me,
chissà quando sarebbe ricapitato.
«Io,
ecco…» cominciai, piuttosto incoerentemente.
«Ecco, volevo chiederti una cosa, piuttosto… privata» farfugliai, sentendo
un innaturale calore al viso.
Carlisle mi sorrise, percependo il
mio imbarazzo.
«Capisco. Ecco, vieni, sediamoci qui» mi disse
cortesemente indicando i
divanetti su un lato del muro. La hall era piccola, ma piuttosto
accogliente.
Titubante mi mordicchiai un labbro,
poi lo seguii, tentennando,
sedendomi con le gambe unite e la testa bassa.
«Problemi con la
gravidanza? O… con Edward?» mi
chiese, rompendo il silenzio imbarazzante e tentando di venirmi
incontro.
Scossi il capo con determinazione.
«No, anzi… Direi
che… è il contrario» deglutii, sentendo
un ronzio nelle orecchie. Volevo
chiedere a lui, essere rassicurata, ma… quella cosa mi
imbarazzava da morire!
Sussultai quando sentii le sue mani
posarsi sulle mie.
Mi sorrise. «Puoi chiedermi tutto ciò che vuoi
Bella, rimarrà fra noi» mi
rassicurò.
Strinsi anch’io la presa,
facendomi coraggio. «Ecco… È
da tanto tempo che io e Edward non…» mi
interruppi, sentendo le parole morirmi
in gola.
«Ho capito,
continua» disse tranquillamente.
«Ecco…
Vedi… io…» farfugliai, non sapendo da
dove
cominciare.
«Ti preoccupi per la
bambina? Ti garantisco che potete
avere normali rapporti sessuali, l’importate, magari,
è essere un po’ più…
“delicati”, va bene?» mi disse con
cortese professionalità.
Annuii, abbassando lo sguardo sulle
nostre mani,
ancora strette l’une alle altre.
«C’è
qualcos’altro?».
Sospirai, guardandolo colpevole.
«Ho… ho paura» balbettai,
«non di Edward» aggiunsi velocemente «lui
non mi fa nessuna pressione, è
dolcissimo, ma… ho paura di come potrei reagire».
«Capisco» disse
tranquillo, annuendo, «a questo punto
potresti aspettare, se non sei sicura. Se non vuoi, non metterti
fretta».
Liberai le mani dalle sue per
portarle velocemente al
viso, nascondendo un nuovo ed impetuoso rossore.
«È proprio questo il problema…
io voglio. Accidenti se
voglio»
biascicai completamente a disagio.
Le sue mani sui miei polsi me le
fecero abbassare. Mi
fissò con seria gentilezza. «Bella, non farti
condizionare. Se ti lascerai
andare con tranquillità, ti posso garantire che non ci
sarà alcun tipo di
problema. Andrà tutto bene. Parlatevi, raccontatevi i vostri
problemi, le
vostre sensazioni e difficoltà.
L’intimità fisica non può esistere
senza l’intimità
spirituale. E sono sicuro che tutto quello che state passando
renderà te e Edward
più affiatati che mai. Va bene?».
Annuii, già
più convinta. «Sì, grazie»
dissi,
sporgendomi per abbracciarlo.
Lui mi accarezzò la
schiena. «Di nulla figliola».
Sorrisi ancor di più,
contenta, sentendo la bambina
felice quanto me. Mi staccai da lui, accarezzandomi la pancia.
«È sempre molto
contenta in questi giorni. Mi sembra davvero che tutto stia andando per
il
meglio. Mi fa sentire così in pace… E anche
Edward. Anche lui mi sembra tanto
contento» dissi felice.
«Bene» fece,
con un naturale sorriso «ricordati che i
prossimi mesi saranno i più belli della gravidanza. Sarai
più riposata,
tranquilla, serena, e anche più bella. Questo non vuol dire
che puoi esagerare,
ma puoi tranquillamente riprendere tutte le normali attività
che svolgevi prima
della gravidanza» posò una mano ghiacciata sul mio
ventre, accarezzandolo con un’espressione
che si perdeva felicemente lontano. «Sono contento che anche
tu e Edward
possiate assaporare il gusto della famiglia. E ora diventerò
anche nonno! I miracoli
della vita!». Sollevò la testa di scatto, con un
sorriso. «Andiamo, Edward è
arrivato» disse porgendomi una mano per farmi tirare su.
Mi accompagnò con il suo
ombrello fino all’auto, poi
se ne andò con un saluto alla sua Mercedes.
Ancora con un sorriso sulle labbra
lo salutai,
lasciandomi andare sul comodo sedile, beandomi della calda e
confortevole
atmosfera. Decisamente potevo dire che Edward aveva acceso al massimo i
riscaldamenti. Mi voltai, osservando mio marito.
Non sapevo se per
l’effetto dello sbalzo di
temperatura, o per la visione del suo viso, ma le gambe mi tremarono
seriamente, tanto che se non fossi stata seduta sarei crollata
sicuramente a
terra.
Aveva il collo del giaccone alzato,
le ciglia scurite
e bagnate per la pioggia e i suoi occhi liquidi e contrastavano con il
pallore
del suo volto. Avrei voluto essere ognuna di quelle goccioline che ne
adorava
il volto. Avrei dato qualsiasi cosa per possedere fra le mani quei
morbidissimi
capelli umidi e fra le labbra quelle rosee curve perfette…
cielo! Si poteva morire
per la visione della perfezione?
«Tutto bene?»
mi chiese, facendo formare una ruga fra
le sopracciglia.
Per carità! Fatemi
essere al posto di quella perfetta
flessione arcuata della sua pelle bianca… Annuii
velocemente, tentando di
dissimulare il mio vero stato, non sicura di come sarebbe stata la mia
voce in
quel momento. E se, ora che realmente potevamo, ci fossimo spinti
veramente
oltre?
Allontanai velocemente lo sguardo,
tentando di darmi
un contegno.
Edward ingranò la prima
e accelerò.
In poco tempo ci trovammo davanti
ad un Mc Donald a
Port Angeles. Lui non voleva assolutamente farmi mangiare una di
quelle, come
le definiva lui, schifezze, e anch’io e avevo sempre reputate
tali, finché non
me ne era venuta voglia.
«Dai, te ne prego! Ho
così tanta voglia di quelle
patatine ipercaloriche e di quei panini pieni di grassi,
che… oh, su te ne
prego».
Mi sorrise. «Sembra che
tu li ami più di quanto ami me»
insinuò.
Sbuffai, intrecciando le braccia
sotto al petto,
offesa.
«Va bene, va bene,
vado» si arrese, scendendo
dall’auto.
Tornò con due sacchetti
di cartone pieni di cibarie
varie, di tutti i tipi.
«Oh, ti adoro, lo sai che
ti adoro!?» esclamai,
inspirando l’aroma di cibo “artificiale”
e strappandoglieli dalle mani. Mi
tuffai nel cibo lasciandomi andare in mugolii di soddisfazione. Stavo
morendo
di fame.
«Mangia piano»
mi rimproverò bonariamente, scuotendo
il capo e osservandomi mangiare.
Riuscii a finire appena
mezzo sacchetto di leccornie.
«Sei sazia?» mi
chiese Edward.
Annuii, soddisfatta, pulendomi la
bocca.
«Bene».
Velocemente prese il cibo che avanzava e lo
gettò nel primo cassonetto che incontrammo sul ciglio della
strada.
«Ehi, perché
l’hai fatto?! Potevamo portarlo a casa!».
«Proprio per questo
l’ho fatto, per evitare che
mangiassi ancora quelle schifezze».
Roteai gli occhi al cielo, ma
evitai di ribattere
ancora, dopotutto ero pienamente soddisfatta di quello che avevo
mangiato e
sapevo che gli era costato un certo sacrificio andarmi a comprare
quelle
“schifezze”.
Non potei fare a meno di ansimare
lievemente, quando
vidi a che velocità stavamo andando.
Con la coda dell’occhio,
ancora sbarrati, fissi sulla
strada, potei vedere Edward voltarsi verso di me, allarmato.
Immediatamente
scalò la marcia, fino a portarsi a una dignitosissima quota
di 90km/h.
Mi lasciai andare sul sedile
cacciando un sospiro fra
i denti. Non sapevo cosa dire. Non sapevo neppure perché
avevo reagito così.
Avevo avuto paura, un attimo di pura paura. Forse era stata
semplicemente la
bambina…
La sua mano prese la mia, facendo
intrecciare le
nostre dita. Si voltò verso di me, sorridendomi con calma e
tranquillità.
Sentii il battito del cuore
diventare man mano
regolare. «Guarda la strada, per favore» mormorai,
riacquisendo leggermente il
controllo della voce.
«Va bene»
acconsentì, senza fare storie.
Quando fui abbastanza calma mi
concedetti il lusso di rilassare
i muscoli, prima abbandonandoli sul sedile e poi stiracchiarmi
debolmente. Mi
stesi su un lato, in modo da avere la completa visuale della sua
figura, ottima
terapia contro la tensione.
Di solito, dopo mangiato, mi
addormentavo sempre.
Tuttavia, quando i miei occhi incontrarono la sua figura non riuscii
più ad
assopirmi. Accadde la stessa cosa che era avvenuta quella mattina,
anche più
amplificata.
Osservai i suoi occhi, tranquilli,
fissi sulla strada.
Era una vera goduria vederlo così. E poi era così
sexy quando guidava. Osservai
i suoi movimenti fluidi mentre spingeva a fondo un piede per frenare.
Osservai
le sue dita affusolate che facevano ruotare il volante. Osservai il
gesto
naturale con cui i muscoli del suo avambraccio si contrassero mentre
cambiava
marcia…
Dio! Fatemi essere quella leva del
cambio!
Mi sembrava di essere appena salita
su una
meravigliosa giostra che non la smetteva di ruotare, in modo
così armonico,
flessuoso…
Si voltò verso di me,
sollevando un sopracciglio.
Mi mordicchiai il labbro,
strofinando inconsapevolmente
con la schiena sul portello. Mi sembrava di poter esplodere da un
momento
all’altro. «Sei… sei
così… sexy…
quando guidi» farfugliai, imbarazzata.
Le sue labbra si piegarono in un
sorriso malizioso.
«Quando guido?» mi chiese carezzevole.
«Sì» mi lasciai sfuggire dalle labbra.
«Quando… quando
cambi marcia» biascicai quasi inconsapevolmente, tremando,
stregata da quello
sguardo.
Ridacchiò, divertito da
quel gioco. «Così?» chiese
roco, scalando a facendo rombare il motore.
«Edward»
ansimai, completamente rossa in volto.
Non riuscii più a
contenermi. Veloce mi avvicinai al
suo collo, abbassando, in un gesto febbrile, la camicia con una mano e
cominciando a divorarlo di baci.
Emise un breve ringhio di
apprezzamento, ma dopo pochi
istanti non resistette più e mi prese per la vita e
facendomi ruotare fino a
farmi stendere con la testa sulle sue gambe, divorando con la stessa
intensità
le mie labbra.
Assurdo che appena pochi minuti
prima avessi avuto
paura della velocità con cui guidava…
Nel movimento urtai contro il cd,
che si inserì
nell’autoradio, facendola accendere.
Uno sulle labbra
dell’altro, ridemmo, sentendo la
canzone che era partita.
Cominciai a cantare, apostrofando
il cantante e
cominciando a muovermi a ritmo di musica. Sapevo di essere piuttosto
goffa, ma
proprio per questo era una scena davvero esilarante, infatti lui non
faceva
altro che ridere. Mi sollevai, mettendomi seduta sul mio sedile, senza
mai
smettere di dondolarmi avanti e indietro.
«Su amore, non fare
così» ghignò Edward, parcheggiando
sul vialetto di casa nostra.
Feci una finta espressione
innocente. «Così come?»
chiesi maliziosa, passandomi la lingua sui denti.
Con un ringhio e risata mi trovai
in camera nostra,
con le labbra di Edward incollate alle mie. Stava accadendo tutto
così in
fretta e in maniera così naturale che… mi
sembrava che non ci fosse tempo per
pensare. Ripresi un attimo fiato quando si staccò. Con un
dito indicai
l’impianto stereo e dopo cinque secondi le note della stessa
canzone che
stavamo ascoltando nell’auto si diffusero nella stanza.
Sperai che avesse
premuto il tasto di ripetizione, perché non avevo intenzione
di smettere presto…
Mi sentii afferrare con impeto
dalla vita e trovai le
mie labbra incollate alle sue.
Mi staccai immediatamente, seguendo
non so quale
ragione. Potevo rimanere a rimuginare sui miei problemi? Potevo
rimanere a
pensare a come mi sarei dovuta comportare? Volevo giocare. Avevo una
dannata
voglia di giocare con quel sensualissimo vampiro. Magari, avrei potuto
prendere
in mano la situazione, in modo da poter regolare con i miei tempi e
togliendo
Edward dall’ansia e dalla paura di fare qualcosa di
sbagliato.
Mi allontanai un po’
ancheggiando lievemente. Non
sapevo ballare, e questo era assodato, ma potevo dimostrarmi lievemente
sensuale? Lui mi lasciò fare, segno che condivideva il mio
modo d’agire e che
voleva lasciarmi i miei tempi.
Così mi sfilai il
cappotto, sorridendo maliziosa.
Avevo le guance arrossate, sia per l’imbarazzo, che
per… l’eccitazione.
Quando venne il momento di sfilarmi
la sciarpa pensai
bene di fare una cosa che avevo visto fare in molti film. La gettai
intorno al
suo collo e lo strinsi forte a me, scontrando le mie labbra con le sue,
piegate
in un malizioso ed eccitante sorriso sghembo.
A quel punto si staccò,
assumendo per un attimo il
controllo. Mi fece girare su me stessa e poi ruotare fra le sue
braccia, fino a
farmi trovare in un istante a testa in giù e con le nostre
bocche ancora unite
in un frenetico bacio. Stava andando bene, stava andato tutto
perfettamente. Mi
feci più audace, pensando che tutto si sarebbe concluso al
meglio.
Ansimai staccandomi e riprendendo
le redini del gioco.
C’era una tale complicità fra di noi, una tale
semplicità nei movimenti, una
tale frenesia, derivante anche dalla musica… Carlisle aveva
ragione, mi dovevo solo
lasciare andare, io e Edward eravamo in perfetta sintonia, non ci
sarebbe
potuto mai essere nulla di sbagliato. Volere
è potere.
Succhiai con ardore il lobo del suo
orecchio, prima di
girare velocemente su me stessa, guidata dalle sue mani. Sentivo girare
tutto
così velocemente…
Alla fine, con la testa che mi
girava pazzamente
veloce, persi completamente l’equilibrio e caddi, stesa sulla
moquette accanto
a Edward, ansante.
La musica era appena finita, e si
sentiva solo il rumore
dei nostri respiri agitati, soprattutto il mio. Mi voltai verso di lui,
sorridendo
maliziosa. Volevo andare oltre, sentivo di poterlo fare, magari
continuando ad
avere il controllo della situazione…
La musica ricominciò. Aveva messo il ripetitore.
Ruotai su me stessa, fino a finire
a cavalcioni sulle
sue gambe. Cominciai a baciarlo con bramosia, ardore, passione. Vedevo
solo
lui. Lui, il suo corpo, le sue labbra… che differenza
faceva? Se l’avessi
potuto mangiare sarebbe già stato il mio succulento pasto.
«Bella, Bella»
mormorò roco afferrandomi per la nuca e
ansimando al mio orecchio.
Sentii delle scariche elettriche
irradiarsi per tutto
il corpo, mentre un innaturale calore si impossessava completamente di
me. Ce
la potevo fare, non c’era più nulla che mi avrebbe
fermata. Eravamo io, Edward,
il nostro amore e la nostra passione!
Gemetti stringendo con forza i suoi
capelli. Mi
sembrava di essere avvolta dalle fiamme dell’inferno, ed era
proprio lì che
dovevo andare, dopo aver pensato in maniera meno casta possibile a
Edward. «Spogliami,
spogliami Edward, non ce la faccio più… ti
voglio… dannazione…».
Non se lo fece ripetere due volte,
ma trovò un modo
più rapido, ed anche più eccitante, di togliermi
i vestiti: strappandoli e
lasciando baci sulla pelle rimasta ormai nuda.
Gradendo altamente il gesto seguii
l’esempio, e feci
lo stesso con i suoi.
Le mie mani erano così
bramose, così avide di lui, che
continuavo a toccarlo, tremante, in continuazione; non mi bastava mai e
mai,
volevo averlo più vicino di un contatto, neppure quello mi
bastava, ogni minima
vicinanza, era sempre troppa, ogni ansito, troppo poco.
Neppure la sua pelle di ghiaccio
poteva raffreddare i
miei seni, che, bollenti, si scontravano contro il suo petto. Non
potevo e non
volevo lasciarmi spazio per pensare. Avevo pensato che potesse essere
difficile
per me, ed era vero, era così; era difficile contenermi per
non essere troppo avventata.
«Sei sicura?»
domandò, ansimando, vicino al mio
orecchio.
«Edward»
biascicai più ansimante di lui «sono
sicurissima» feci, riprendendo a divorargli le labbra con le
mie.
Si staccò, cercando un
altro momento di lucidità. «Non
dobbiamo farlo solo perché possiamo».
«No» sussurrai, nuda davanti a lui
«lo facciamo perché
vogliamo. Ti amo» aggiunsi, e questa volta fu lui ad
avvicinarsi alle mie
labbra.
«Ti amo»
ripose, riprendendo a baciarmi.
Nulla poteva bastarmi. Neppure
sentirlo gemere, roco,
il mio nome, in preda all’eccitazione. Dio, come mi
scioglievo sapendo che ero
io a causargli tutto quello!
Non mi bastò neppure
quando lo sentii tanto vicino
quanto mai, da ormai troppo tempo, potessi immaginare di poterlo avere;
ero insaziabile,
e pensare che lo sarebbe stato anche lui mi faceva letteralmente
impazzire!
Dopo avermi lasciato
abbondantissimo spazio, e tempo, capì
di poter cominciare ad agire anche lui. Prese in mano la situazione,
sollevandosi velocemente, sempre unito a me, e facendomi scontrare con
la
schiena contro il materasso. Al contrario di me era più
calmo e delicato, ma
anche, decisamente, più sensuale e passionale.
«Amore…
amore… Bella… ti amo, ti
amo…» mormorò roco,
regalandomi in tutti i modi che conosceva inimmaginabili piaceri.
«Mio Dio! È
tutto amore questo?!» esclamai, urlando,
persa in un lago di piacere.
«No…
follia» ringhiò divertito guidandomi verso il
pazzo piacere.
Sospirai, stringendomi sul seno,
molto più dolorante
del normale, le coperte. Era incredibile come mi sentissi felice. Avevo
agito,
senza pensare, lasciandomi completamente andare ai piaceri,
all’eccitazione,
all’amore. Amore che finalmente ci univa ancora una volta,
ancora di più.
Baciai il petto di Edward
inspirando il suo odore
ancora così tanto marcato. Era stato così
passionale, eppure anche così dolce
con me. Si era lasciato prendere per mano e guidare verso il piacere,
finché
non aveva deciso che poteva mostrarmi il suo sentiero, ancor
più bello di
quello che stavo percorrendo io.
Avevo tutto quello che potevo
desiderare. Edward, la
bambina, una famiglia che mi voleva bene. I prossimi sarebbero davvero
stati i
più belli della mia vita, soprattutto se ogni giorno fosse
stato come quello…
Arrossii, ripensando alla mia audacia.
Sentii Edward ridacchiare.
«Hai fame?» mi chiese,
baciandomi una guancia calda.
Scossi il capo, serena.
«Mangiare ora non rientra nei
miei bisogni primari» mi voltai verso di lui, sorridendogli.
Anche lui aveva la mia stessa
espressione tranquilla,
come se per la prima volta dopo tanto tempo potesse concedersi di avere
speranza che tutto sarebbe andato per il meglio. Posai un dito sulle
sue
labbra, soddisfatta di sentirle tiepide. «Edward.
È stato magnifico» sussurrai,
desiderosa di comunicargli che tutto, davvero, era andato per il
meglio. Che la
nostra vita era perfetta e che più nulla l’avrebbe
rovinata.
In risposta mi baciò il
collo, scendendo poi, con una
mezza risata, sotto le coperte, fino a posare le labbra sulla mia
pancia nuda.
Sorrisi, lasciandomi baciare con
delicatezza e permettendo
alle sue labbra di adorare ogni centimetro della mia pelle. Mi rilassai
completamente, facendo vagare, lontano, i miei pensieri, annullando
ogni
resistenza e ogni tensione.
D’improvviso,
però, accadde qualcosa che non avevo
previsto. Ansimai, velocemente, più volte, sentendo le
pupille dilatarsi e il
cuore battermi fortissimo nel petto.
Vidi il volto di Edward a pochi
centimetri dal mio,
mentre quella sensazione fulminea svaniva, scemando man mano.
«Bella?» mi
richiamò preoccupato.
Ridacchiai, facendo comparire
un’espressione confusa
sul suo volto. «Non è niente Edward, è
stata la bambina. Temo che abbia
apprezzato particolarmente l’improvvisa felicità
della mamma» dissi,
riferendomi allo stato di puro piacere vissuto nel corso del
pomeriggio.
Edward si lasciò
scivolare su un lato, poi mi
abbracciò, lentamente, posando le labbra sui miei capelli.