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Autore: keska    10/11/2009    33 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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«Bene» disse Carlisle, sfilandosi per un attimo lo stetoscopio. «Puoi metterti seduta per favore?» mi chiese gentilmente.

Annuii, e Edward mi aiutò a sollevarmi dalla posizione sdraiata in modo che lui mi misurasse nuovamente la pressione. Attesi in silenzio che ripetesse l’operazione, poggiata con il capo sul petto di Edward, stanca per tutta la mattinata trascorsa in ospedale.

«Okay» disse infine, togliendomi la fascia nera dal braccio. «Abbiamo finito, direi che sia la mamma che la bambina stanno benissimo» mi rassicurò con un sorriso.

Mi abbassai la manica della maglietta, fissandolo con attenzione mentre si sedeva dietro la scrivania, facendoci segno di accomodarci sulle poltroncine davanti a lui.

«Hai ancora la pressione un po’ bassa» mi disse, scrivendo dei dati sulla mia cartella clinica. «Ma niente di cui preoccuparsi. Alzati lentamente per evitare capogiri. Il tuo peso sta aumentando in modo corretto, per essere al terzo mese è perfetto che tu abbia preso un chilo e mezzo. L’emoglobina è stabile sui 10, quindi sospenderò alcuni dei farmaci che stai prendendo e te ne darò altri per bocca».

Sorrisi, sollevata. «Niente più iniezioni?».

Trattenne a stento un sorriso. «Niente più iniezioni».

«E la bambina?» chiesi un po’ preoccupata «siamo sicuri che stia bene?».

Sentii la mano di Edward stringersi attorno alla mia, con assoluta tranquillità. Mi sentivo meglio, la tristezza era un lontano ricordo, e mi sembrava che anche Edward fosse più rilassato.

Carlisle mi sorrise, rassicurante. «All’ecografia non si vede più alcun distacco amniocoriale e la visita va davvero bene».

Rabbrividii, ricordandomi di quella mattina. Fare la visita ginecologica era stato molto più facile dell’ultima volta, ma a parte il naturale disagio era una cosa che mi metteva sempre molto in difficoltà.

«E il battito?» domandai. Ancora i vampiri non riuscivano a sentirlo, ma dicevano che con il macchinario di Carlisle si era sentito molto più forte dell’ultima volta.

Edward si chinò al mio orecchio. «È perfetto, Bella. La bimba sta bene».

Sorrisi, accarezzandomi il ventre. «Bene» sollevai lo sguardo, sorridendo. «Sono sicura che stia bene. È così contenta oggi».

«Davvero?» mi chiese Edward emozionato, posando una mano sulla mia, come se così potesse sentire anche lui la sua felicità.

«Sì» sussurrai, appoggiando la testa sulla sua spalla e lasciando che ci accarezzasse.

«Hai ancora nausee?» mi chiese Carlisle, finendo di scrivere.

Annuii. «Sì», poi aggiunsi, arrossendo, «però ho anche molta fame».

«Appena finiamo ti porto a mangiare qualcosa» mi disse Edward, sollevandomi completamente dalla poltrona e sistemandomi sulle sue gambe, in modo da potermi accarezzare meglio.

Arrossii, ma non dissi nulla. Finché stava bene a lui, andava bene anche a me.

Carlisle sorrise. «Non vi voglio trattenere oltre, ma prima c’è una cosa di cui vi vorrei parlare».

«Cosa?» chiesi, interessata, voltandomi velocemente verso di lui.

Intrecciò le mani, portandole sulla scrivania, segno che stava iniziando un discorso piuttosto serio. «Vedete, ho pensato più di una volta al “problema” del parto» mi fissò intensamente negli occhi, facendo una pausa. «Il tuo quadro clinico, Bella, ti permette di avere una cartella con tutti i tuoi dati, come qualsiasi altra gestante. Permangono, però, diversi problemi. Non ci sono le ecografie, per esempio. E il tuo medico curante, sono io, un chirurgo, non un ginecologo. A parte questi, che sono problemi burocratici facilmente ovviabili, ce n’è un altro di cui vorrei discutere». Vidi il suo sguardo serio posarsi decisamente su Edward. 

Sentendo le sue mani bloccarsi sulla mia pancia, li fissai, spaventata, tentando di immaginare quale potesse essere il problema.

«Sta tranquilla, Bella» disse Carlisle, accorgendosi dei miei pensieri. «Non è nulla di grave, è solo che ritengo che dovremmo fare un taglio cesareo».

«Oh» mormorai, abbassando lo sguardo. Mi sentii improvvisamente rattristata da quelle parole. Eppure, avrei dovuto immaginarlo.

«Le difficoltà che incontreremo con la membrana possono essere svariate, e non potendo monitorare al meglio la situazione sia tua che la bambina potreste correre importanti rischi» tentò di spiegarmi Carlisle.

«Io» mormorai, sempre con lo sguardo basso. «Sì, capisco». In realtà invece sentivo tutto quell’improvviso rammarico, ma sapevo di non poterci fare nulla. Forse derivava dal fatto che avevo letto, su una rivista lasciatami da Rosalie, che le donne che hanno un parto naturale sono legate in maniera speciale ai loro bambini. Forse ero una delle tante mamme che si faceva questo genere di paranoie.

Sentii una mano sotto al mento che mi costrinse a voltarmi fino a incontrare gli occhi ambrati di mio marito. «Ti dispiace molto?».

Feci per dire di no, ma poi optai per una mezza verità. «Un po’». Sentii la mia stessa tristezza provenire dalla bambina. Chiusi gli occhi, tentando, come mi aveva suggerito Jasper, di scacciarla via lentamente. Non era giusto che mi facessi condizionare da queste cose facendola rattristare, volevo che sentisse tutti i miei sentimenti più positivi, d’ora in poi.

«Bella» mi chiamò Carlisle, posando una mano sulla mia. «Mi dispiace, non pensavo ci tenessi così tanto».

«Non ti preoccupare, non è colpa tua. Anzi, ti sono grata per tutto quello che fai per me, solo che…» mi interruppi, tentennando con lo sguardo verso il grande scaffale bianco alle sue spalle, «non so come spiegarlo. Non ci avevo neppure pensato più di tanto fino ad oggi» ammisi infine.

«Sì, capisco» disse lui, ritirandosi sulla poltrona nera di pelle e rimuginando. «Facciamo così, ti prometto che ci penserò, okay? Penserò a un modo per farlo».

Sentii Edward irrigidirsi.

«Ovviamente, senza che tu corra rischi» aggiunse, a suo beneficio, con un sorriso.

Mi sollevai dalle braccia di Edward e corsi ad abbracciarlo. «Grazie, grazie, grazie» mormorai entusiasta contro in suo maglione di cotone color petrolio.

Mi strinse a sé con affetto, poi mi tirò via dalle spalle fino a guardarmi negli occhi. «Ho detto che ci penserò, non è detto che riuscirò a trovare una soluzione» precisò con un sorriso.

Sorrisi anch’io, nonostante tutto. «Certo, va bene».

Sentii due braccia fredde abbracciarmi da dietro. «Andiamo Bella? Avrai fame, no?».

«Sì, sì, in effetti. Mi chiedo quanto ancora potrò latitare dalle grinfie di Alice! Solo a pensarci… cielo! Non oso, non pensiamoci» rabbrividii, e con me la bambina.

Edward e Carlisle scoppiarono ridere.

«Non ridete! Anche lei è d’accordo con me!» esclamai, fingendomi offesa.

«Andiamo» fece Carlisle, togliendosi il camice e appendendolo all’antico appendiabiti in legno di ciliegio - tocco, ne ero certa, di Esme - «il mio turno oggi è concluso, me ne torno a casa anch’io».

Quando arrivammo alla grande porta a vetri all’uscita ci accorgemmo che era in atto uno dei tipici temporali di Forks. Il cielo era grigio scuro e in lontananza si vedevano degli inquietanti lampi di luce chiara. Non appena un uomo, uscendo dalla porta, l’aprì, mi giunse una folata di vento ghiacciato, insieme all’odore prepotente di umido e terra bagnata.

Rabbrividii, sentendo la familiare sensazione che la bambina mi regalava quando Edward accarezzava la pancia.

Edward se ne accorse. «Aspettami qui, vado a prendere la macchina».

«No, ti prego, senti che bel freddo fa lì fuori!» mormorai incollando la faccia al vetro freddo. Mi ostinavo a conservare un masochistico amore per il freddo. D’altronde, se non fossi stata masochista di natura non mi sarebbe mai venuto in mente di sposarmi con un vampiro.

Edward scosse il capo in disappunto, uscendo. «Aspetti con lei?» chiese a Carlisle. Ovviamente, sempre, si premurava ossessivamente di tenere completamente sotto controllo la situazione.

Lui sorrise, pensando, ne ero certa, le stesse cose che stavo pensando anch’io. «Sì, certo».  

Mi voltai verso Carlisle, sorridendogli. Quel giorno c’erano stati meno problemi rispetto alla precedente visita, ma comunque riconoscevo che per me non era affatto stato facile. E sapevo che molto di quello non dipendeva dal naturale imbarazzo…

«Carlisle» lo chiamai, un po’ impacciata per quello che stavo per chiedergli.

«Sì?» mi chiese lui, cortese, passandosi la borsa di cuoio chiaro da una mano all’altra.

Sbirciai con la coda dell’occhio nell’atrio e notai che non c’era nessuno, a parte un’infermiera, troppo lontana per sentire i nostri discorsi. Arrossii. Dovevo approfittarne ora che Edward non era con me, chissà quando sarebbe ricapitato.

«Io, ecco…» cominciai, piuttosto incoerentemente. «Ecco, volevo chiederti una cosa, piuttosto… privata» farfugliai, sentendo un innaturale calore al viso.

Carlisle mi sorrise, percependo il mio imbarazzo. «Capisco. Ecco, vieni, sediamoci qui» mi disse cortesemente indicando i divanetti su un lato del muro. La hall era piccola, ma piuttosto accogliente.

Titubante mi mordicchiai un labbro, poi lo seguii, tentennando, sedendomi con le gambe unite e la testa bassa.

«Problemi con la gravidanza? O… con Edward?» mi chiese, rompendo il silenzio imbarazzante e tentando di venirmi incontro.

Scossi il capo con determinazione. «No, anzi… Direi che… è il contrario» deglutii, sentendo un ronzio nelle orecchie. Volevo chiedere a lui, essere rassicurata, ma… quella cosa mi imbarazzava da morire!  

Sussultai quando sentii le sue mani posarsi sulle mie. Mi sorrise. «Puoi chiedermi tutto ciò che vuoi Bella, rimarrà fra noi» mi rassicurò.

Strinsi anch’io la presa, facendomi coraggio. «Ecco… È da tanto tempo che io e Edward non…» mi interruppi, sentendo le parole morirmi in gola.

«Ho capito, continua» disse tranquillamente.

«Ecco… Vedi… io…» farfugliai, non sapendo da dove cominciare.

«Ti preoccupi per la bambina? Ti garantisco che potete avere normali rapporti sessuali, l’importate, magari, è essere un po’ più… “delicati”, va bene?» mi disse con cortese professionalità.

Annuii, abbassando lo sguardo sulle nostre mani, ancora strette l’une alle altre.

«C’è qualcos’altro?».

Sospirai, guardandolo colpevole. «Ho… ho paura» balbettai, «non di Edward» aggiunsi velocemente «lui non mi fa nessuna pressione, è dolcissimo, ma… ho paura di come potrei reagire».

«Capisco» disse tranquillo, annuendo, «a questo punto potresti aspettare, se non sei sicura. Se non vuoi, non metterti fretta».

Liberai le mani dalle sue per portarle velocemente al viso, nascondendo un nuovo ed impetuoso rossore. «È proprio questo il problema… io voglio. Accidenti se voglio» biascicai completamente a disagio.

Le sue mani sui miei polsi me le fecero abbassare. Mi fissò con seria gentilezza. «Bella, non farti condizionare. Se ti lascerai andare con tranquillità, ti posso garantire che non ci sarà alcun tipo di problema. Andrà tutto bene. Parlatevi, raccontatevi i vostri problemi, le vostre sensazioni e difficoltà. L’intimità fisica non può esistere senza l’intimità spirituale. E sono sicuro che tutto quello che state passando renderà te e Edward più affiatati che mai. Va bene?».

Annuii, già più convinta. «Sì, grazie» dissi, sporgendomi per abbracciarlo.

Lui mi accarezzò la schiena. «Di nulla figliola».

Sorrisi ancor di più, contenta, sentendo la bambina felice quanto me. Mi staccai da lui, accarezzandomi la pancia. «È sempre molto contenta in questi giorni. Mi sembra davvero che tutto stia andando per il meglio. Mi fa sentire così in pace… E anche Edward. Anche lui mi sembra tanto contento» dissi felice.

«Bene» fece, con un naturale sorriso «ricordati che i prossimi mesi saranno i più belli della gravidanza. Sarai più riposata, tranquilla, serena, e anche più bella. Questo non vuol dire che puoi esagerare, ma puoi tranquillamente riprendere tutte le normali attività che svolgevi prima della gravidanza» posò una mano ghiacciata sul mio ventre, accarezzandolo con un’espressione che si perdeva felicemente lontano. «Sono contento che anche tu e Edward possiate assaporare il gusto della famiglia. E ora diventerò anche nonno! I miracoli della vita!». Sollevò la testa di scatto, con un sorriso. «Andiamo, Edward è arrivato» disse porgendomi una mano per farmi tirare su.

Mi accompagnò con il suo ombrello fino all’auto, poi se ne andò con un saluto alla sua Mercedes.

Ancora con un sorriso sulle labbra lo salutai, lasciandomi andare sul comodo sedile, beandomi della calda e confortevole atmosfera. Decisamente potevo dire che Edward aveva acceso al massimo i riscaldamenti. Mi voltai, osservando mio marito.

Non sapevo se per l’effetto dello sbalzo di temperatura, o per la visione del suo viso, ma le gambe mi tremarono seriamente, tanto che se non fossi stata seduta sarei crollata sicuramente a terra.

Aveva il collo del giaccone alzato, le ciglia scurite e bagnate per la pioggia e i suoi occhi liquidi e contrastavano con il pallore del suo volto. Avrei voluto essere ognuna di quelle goccioline che ne adorava il volto. Avrei dato qualsiasi cosa per possedere fra le mani quei morbidissimi capelli umidi e fra le labbra quelle rosee curve perfette… cielo! Si poteva morire per la visione della perfezione?

«Tutto bene?» mi chiese, facendo formare una ruga fra le sopracciglia.

Per carità! Fatemi essere al posto di quella perfetta flessione arcuata della sua pelle bianca… Annuii velocemente, tentando di dissimulare il mio vero stato, non sicura di come sarebbe stata la mia voce in quel momento. E se, ora che realmente potevamo, ci fossimo spinti veramente oltre?

Allontanai velocemente lo sguardo, tentando di darmi un contegno.

Edward ingranò la prima e accelerò.

In poco tempo ci trovammo davanti ad un Mc Donald a Port Angeles. Lui non voleva assolutamente farmi mangiare una di quelle, come le definiva lui, schifezze, e anch’io e avevo sempre reputate tali, finché non me ne era venuta voglia.

«Dai, te ne prego! Ho così tanta voglia di quelle patatine ipercaloriche e di quei panini pieni di grassi, che… oh, su te ne prego».

Mi sorrise. «Sembra che tu li ami più di quanto ami me» insinuò.

Sbuffai, intrecciando le braccia sotto al petto, offesa.

«Va bene, va bene, vado» si arrese, scendendo dall’auto.

Tornò con due sacchetti di cartone pieni di cibarie varie, di tutti i tipi.

«Oh, ti adoro, lo sai che ti adoro!?» esclamai, inspirando l’aroma di cibo “artificiale” e strappandoglieli dalle mani. Mi tuffai nel cibo lasciandomi andare in mugolii di soddisfazione. Stavo morendo di fame.

«Mangia piano» mi rimproverò bonariamente, scuotendo il capo e osservandomi mangiare.

Riuscii a finire appena mezzo sacchetto di leccornie.

«Sei sazia?» mi chiese Edward.

Annuii, soddisfatta, pulendomi la bocca.

«Bene». Velocemente prese il cibo che avanzava e lo gettò nel primo cassonetto che incontrammo sul ciglio della strada.

«Ehi, perché l’hai fatto?! Potevamo portarlo a casa!».

«Proprio per questo l’ho fatto, per evitare che mangiassi ancora quelle schifezze». 

Roteai gli occhi al cielo, ma evitai di ribattere ancora, dopotutto ero pienamente soddisfatta di quello che avevo mangiato e sapevo che gli era costato un certo sacrificio andarmi a comprare quelle “schifezze”.

Non potei fare a meno di ansimare lievemente, quando vidi a che velocità stavamo andando.

Con la coda dell’occhio, ancora sbarrati, fissi sulla strada, potei vedere Edward voltarsi verso di me, allarmato. Immediatamente scalò la marcia, fino a portarsi a una dignitosissima quota di 90km/h.

Mi lasciai andare sul sedile cacciando un sospiro fra i denti. Non sapevo cosa dire. Non sapevo neppure perché avevo reagito così. Avevo avuto paura, un attimo di pura paura. Forse era stata semplicemente la bambina…

La sua mano prese la mia, facendo intrecciare le nostre dita. Si voltò verso di me, sorridendomi con calma e tranquillità.

Sentii il battito del cuore diventare man mano regolare. «Guarda la strada, per favore» mormorai, riacquisendo leggermente il controllo della voce.

«Va bene» acconsentì, senza fare storie.

Quando fui abbastanza calma mi concedetti il lusso di rilassare i muscoli, prima abbandonandoli sul sedile e poi stiracchiarmi debolmente. Mi stesi su un lato, in modo da avere la completa visuale della sua figura, ottima terapia contro la tensione.

Di solito, dopo mangiato, mi addormentavo sempre. Tuttavia, quando i miei occhi incontrarono la sua figura non riuscii più ad assopirmi. Accadde la stessa cosa che era avvenuta quella mattina, anche più amplificata.

Osservai i suoi occhi, tranquilli, fissi sulla strada. Era una vera goduria vederlo così. E poi era così sexy quando guidava. Osservai i suoi movimenti fluidi mentre spingeva a fondo un piede per frenare. Osservai le sue dita affusolate che facevano ruotare il volante. Osservai il gesto naturale con cui i muscoli del suo avambraccio si contrassero mentre cambiava marcia…

Dio! Fatemi essere quella leva del cambio!

Mi sembrava di essere appena salita su una meravigliosa giostra che non la smetteva di ruotare, in modo così armonico, flessuoso…

Si voltò verso di me, sollevando un sopracciglio.

Mi mordicchiai il labbro, strofinando inconsapevolmente con la schiena sul portello. Mi sembrava di poter esplodere da un momento all’altro. «Sei… sei così… sexy… quando guidi» farfugliai, imbarazzata.

Le sue labbra si piegarono in un sorriso malizioso. «Quando guido?» mi chiese carezzevole.

«Sì» mi lasciai sfuggire dalle labbra. «Quando… quando cambi marcia» biascicai quasi inconsapevolmente, tremando, stregata da quello sguardo.

Ridacchiò, divertito da quel gioco. «Così?» chiese roco, scalando a facendo rombare il motore.

«Edward» ansimai, completamente rossa in volto.

Non riuscii più a contenermi. Veloce mi avvicinai al suo collo, abbassando, in un gesto febbrile, la camicia con una mano e cominciando a divorarlo di baci.

Emise un breve ringhio di apprezzamento, ma dopo pochi istanti non resistette più e mi prese per la vita e facendomi ruotare fino a farmi stendere con la testa sulle sue gambe, divorando con la stessa intensità le mie labbra.

Assurdo che appena pochi minuti prima avessi avuto paura della velocità con cui guidava…

Nel movimento urtai contro il cd, che si inserì nell’autoradio, facendola accendere.

Uno sulle labbra dell’altro, ridemmo, sentendo la canzone che era partita.

Cominciai a cantare, apostrofando il cantante e cominciando a muovermi a ritmo di musica. Sapevo di essere piuttosto goffa, ma proprio per questo era una scena davvero esilarante, infatti lui non faceva altro che ridere. Mi sollevai, mettendomi seduta sul mio sedile, senza mai smettere di dondolarmi avanti e indietro.

«Su amore, non fare così» ghignò Edward, parcheggiando sul vialetto di casa nostra.

Feci una finta espressione innocente. «Così come?» chiesi maliziosa, passandomi la lingua sui denti.

Con un ringhio e risata mi trovai in camera nostra, con le labbra di Edward incollate alle mie. Stava accadendo tutto così in fretta e in maniera così naturale che… mi sembrava che non ci fosse tempo per pensare. Ripresi un attimo fiato quando si staccò. Con un dito indicai l’impianto stereo e dopo cinque secondi le note della stessa canzone che stavamo ascoltando nell’auto si diffusero nella stanza. Sperai che avesse premuto il tasto di ripetizione, perché non avevo intenzione di smettere presto…

Mi sentii afferrare con impeto dalla vita e trovai le mie labbra incollate alle sue.

Mi staccai immediatamente, seguendo non so quale ragione. Potevo rimanere a rimuginare sui miei problemi? Potevo rimanere a pensare a come mi sarei dovuta comportare? Volevo giocare. Avevo una dannata voglia di giocare con quel sensualissimo vampiro. Magari, avrei potuto prendere in mano la situazione, in modo da poter regolare con i miei tempi e togliendo Edward dall’ansia e dalla paura di fare qualcosa di sbagliato.

Mi allontanai un po’ ancheggiando lievemente. Non sapevo ballare, e questo era assodato, ma potevo dimostrarmi lievemente sensuale? Lui mi lasciò fare, segno che condivideva il mio modo d’agire e che voleva lasciarmi i miei tempi.

Così mi sfilai il cappotto, sorridendo maliziosa. Avevo le guance arrossate, sia per l’imbarazzo, che per… l’eccitazione.

Quando venne il momento di sfilarmi la sciarpa pensai bene di fare una cosa che avevo visto fare in molti film. La gettai intorno al suo collo e lo strinsi forte a me, scontrando le mie labbra con le sue, piegate in un malizioso ed eccitante sorriso sghembo.

A quel punto si staccò, assumendo per un attimo il controllo. Mi fece girare su me stessa e poi ruotare fra le sue braccia, fino a farmi trovare in un istante a testa in giù e con le nostre bocche ancora unite in un frenetico bacio. Stava andando bene, stava andato tutto perfettamente. Mi feci più audace, pensando che tutto si sarebbe concluso al meglio.

Ansimai staccandomi e riprendendo le redini del gioco. C’era una tale complicità fra di noi, una tale semplicità nei movimenti, una tale frenesia, derivante anche dalla musica… Carlisle aveva ragione, mi dovevo solo lasciare andare, io e Edward eravamo in perfetta sintonia, non ci sarebbe potuto mai essere nulla di sbagliato. Volere è potere.

Succhiai con ardore il lobo del suo orecchio, prima di girare velocemente su me stessa, guidata dalle sue mani. Sentivo girare tutto così velocemente…

Alla fine, con la testa che mi girava pazzamente veloce, persi completamente l’equilibrio e caddi, stesa sulla moquette accanto a Edward, ansante.

La musica era appena finita, e si sentiva solo il rumore dei nostri respiri agitati, soprattutto il mio. Mi voltai verso di lui, sorridendo maliziosa. Volevo andare oltre, sentivo di poterlo fare, magari continuando ad avere il controllo della situazione…

La musica ricominciò. Aveva messo il ripetitore.

Ruotai su me stessa, fino a finire a cavalcioni sulle sue gambe. Cominciai a baciarlo con bramosia, ardore, passione. Vedevo solo lui. Lui, il suo corpo, le sue labbra… che differenza faceva? Se l’avessi potuto mangiare sarebbe già stato il mio succulento pasto.

«Bella, Bella» mormorò roco afferrandomi per la nuca e ansimando al mio orecchio.

Sentii delle scariche elettriche irradiarsi per tutto il corpo, mentre un innaturale calore si impossessava completamente di me. Ce la potevo fare, non c’era più nulla che mi avrebbe fermata. Eravamo io, Edward, il nostro amore e la nostra passione!

Gemetti stringendo con forza i suoi capelli. Mi sembrava di essere avvolta dalle fiamme dell’inferno, ed era proprio lì che dovevo andare, dopo aver pensato in maniera meno casta possibile a Edward. «Spogliami, spogliami Edward, non ce la faccio più… ti voglio… dannazione…».

Non se lo fece ripetere due volte, ma trovò un modo più rapido, ed anche più eccitante, di togliermi i vestiti: strappandoli e lasciando baci sulla pelle rimasta ormai nuda.

Gradendo altamente il gesto seguii l’esempio, e feci lo stesso con i suoi.

Le mie mani erano così bramose, così avide di lui, che continuavo a toccarlo, tremante, in continuazione; non mi bastava mai e mai, volevo averlo più vicino di un contatto, neppure quello mi bastava, ogni minima vicinanza, era sempre troppa, ogni ansito, troppo poco.

Neppure la sua pelle di ghiaccio poteva raffreddare i miei seni, che, bollenti, si scontravano contro il suo petto. Non potevo e non volevo lasciarmi spazio per pensare. Avevo pensato che potesse essere difficile per me, ed era vero, era così; era difficile contenermi per non essere troppo avventata.

«Sei sicura?» domandò, ansimando, vicino al mio orecchio.

«Edward» biascicai più ansimante di lui «sono sicurissima» feci, riprendendo a divorargli le labbra con le mie.

Si staccò, cercando un altro momento di lucidità. «Non dobbiamo farlo solo perché possiamo».

«No» sussurrai, nuda davanti a lui «lo facciamo perché vogliamo. Ti amo» aggiunsi, e questa volta fu lui ad avvicinarsi alle mie labbra.

«Ti amo» ripose, riprendendo a baciarmi.

Nulla poteva bastarmi. Neppure sentirlo gemere, roco, il mio nome, in preda all’eccitazione. Dio, come mi scioglievo sapendo che ero io a causargli tutto quello!

Non mi bastò neppure quando lo sentii tanto vicino quanto mai, da ormai troppo tempo, potessi immaginare di poterlo avere; ero insaziabile, e pensare che lo sarebbe stato anche lui mi faceva letteralmente impazzire!

Dopo avermi lasciato abbondantissimo spazio, e tempo, capì di poter cominciare ad agire anche lui. Prese in mano la situazione, sollevandosi velocemente, sempre unito a me, e facendomi scontrare con la schiena contro il materasso. Al contrario di me era più calmo e delicato, ma anche, decisamente, più sensuale e passionale.

«Amore… amore… Bella… ti amo, ti amo…» mormorò roco, regalandomi in tutti i modi che conosceva inimmaginabili piaceri.

«Mio Dio! È tutto amore questo?!» esclamai, urlando, persa in un lago di piacere.

«No… follia» ringhiò divertito guidandomi verso il pazzo piacere.

 

Sospirai, stringendomi sul seno, molto più dolorante del normale, le coperte. Era incredibile come mi sentissi felice. Avevo agito, senza pensare, lasciandomi completamente andare ai piaceri, all’eccitazione, all’amore. Amore che finalmente ci univa ancora una volta, ancora di più.

Baciai il petto di Edward inspirando il suo odore ancora così tanto marcato. Era stato così passionale, eppure anche così dolce con me. Si era lasciato prendere per mano e guidare verso il piacere, finché non aveva deciso che poteva mostrarmi il suo sentiero, ancor più bello di quello che stavo percorrendo io.

Avevo tutto quello che potevo desiderare. Edward, la bambina, una famiglia che mi voleva bene. I prossimi sarebbero davvero stati i più belli della mia vita, soprattutto se ogni giorno fosse stato come quello… Arrossii, ripensando alla mia audacia.

Sentii Edward ridacchiare. «Hai fame?» mi chiese, baciandomi una guancia calda.

Scossi il capo, serena. «Mangiare ora non rientra nei miei bisogni primari» mi voltai verso di lui, sorridendogli.

Anche lui aveva la mia stessa espressione tranquilla, come se per la prima volta dopo tanto tempo potesse concedersi di avere speranza che tutto sarebbe andato per il meglio. Posai un dito sulle sue labbra, soddisfatta di sentirle tiepide. «Edward. È stato magnifico» sussurrai, desiderosa di comunicargli che tutto, davvero, era andato per il meglio. Che la nostra vita era perfetta e che più nulla l’avrebbe rovinata.

In risposta mi baciò il collo, scendendo poi, con una mezza risata, sotto le coperte, fino a posare le labbra sulla mia pancia nuda.

Sorrisi, lasciandomi baciare con delicatezza e permettendo alle sue labbra di adorare ogni centimetro della mia pelle. Mi rilassai completamente, facendo vagare, lontano, i miei pensieri, annullando ogni resistenza e ogni tensione.

D’improvviso, però, accadde qualcosa che non avevo previsto. Ansimai, velocemente, più volte, sentendo le pupille dilatarsi e il cuore battermi fortissimo nel petto.

Vidi il volto di Edward a pochi centimetri dal mio, mentre quella sensazione fulminea svaniva, scemando man mano. «Bella?» mi richiamò preoccupato.

Ridacchiai, facendo comparire un’espressione confusa sul suo volto. «Non è niente Edward, è stata la bambina. Temo che abbia apprezzato particolarmente l’improvvisa felicità della mamma» dissi, riferendomi allo stato di puro piacere vissuto nel corso del pomeriggio.

Edward si lasciò scivolare su un lato, poi mi abbracciò, lentamente, posando le labbra sui miei capelli.

   
 
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