Autore:
Bellatrix Indomita
Titolo: Un Istante
Personaggi/Pairing: Kagome/Inuyasha
Avvertimenti: AU, one-shot, OOC
Rating: Giallo
Beta reading (sì/no): No
Introduzione: Un incidente, un istante,
e tutto cambia. Kagome rimane coinvolta in un incidente. I suoi pensieri, e
quelli di Inuyasha, all’ospedale.
Note dell'autore (Facoltative): E’ la mia prima one-shot
che scrivo, nel mio primo concorso, sono parecchio emozionata. Spero di fare un
buon lavoro. Ringrazio tutte/i voi già da adesso solo per aver letto la
mia fan fiction. Buona lettura.
Un Istante
Kagome
Higurashi era felice. No, felice non bastava a descrivere la sensazione di
appagamento che provava in quel momento. Forse entusiasta rendeva meglio
l’idea.
Quel
pomeriggio di novembre era uscita con il suo ragazzo, il loro primo
appuntamento.
10
novembre una data da ricordare.
Dopo
settimane di uscite con i rispettivi amici, finalmente, Inuyasha si era deciso
ad un vero appuntamento.
Loro due soli.
Un
intero pomeriggio a passeggiare, ridere e scherzare. Una bella coppia davvero.
Un ragazza, mora,
bianca, attraversa la strada di corsa. Due fari illuminano la figura slanciata,
stridio di freni, un tonfo.
“In un secondo
paura e solitudine
mi avvolgono, in un
abbraccio
a cui non
resisto.”
Erano
al parco, seduti su una panchina, vicini. Avevano preso un gelato. Inuyasha,
dopo parecchie insistenze era riuscito a pagare il gelato di lei. Avevano gli
stessi gusti, in fatto di gelati. Era stata la prima cosa che avevano notato
quando si erano conosciuti, alcuni mesi prima. Puffo e crema per entrambi.
La
mora si voltò verso il ragazzo sedutole a fianco e, lui, non poté
fare a meno di sghignazzare vedendo la macchiolina color azzurro a lato della
bocca della ragazza. Un po’ indispettita dalla sua ilarità,
Kagome, girò lo sguardo dall’altro lato, notando un paio di
bambini vicino alla strada che giocavano.
Inuyasha
vedendo il comportamento della ragazza, non poté evitare di intenerirsi,
appoggiò la sua coppetta sulla panchina, prese il braccio di Kagome e la
voltò nella sua direzione, con l’altra mano le prese,
delicatamente, la guancia destra. Sfiorò la macchiolina azzurra con le
labbra, poi, piano avvicinò le labbra alla sua bocca e la sfiorò,
leggermente.
Il
cono che, la giovane, aveva preso si stava lentamente sciogliendo sulla mano
che teneva appoggiata alla spalla del ragazzo.
La ragazza viene
portata d’urgenza all’ospedale più vicino, è grave.
Trauma cranico aggravato da trauma toracico seguito da lesioni interne. Ha
diverse ferite causate dalla rottura del parabrezza dell’auto. Perde
molto sangue.
“Per sempre
questo istante si fermerà,
nessuno potrà
farlo continuare.
Ma in fondo, non
voglio che qualcuno,
chiunque,
mi salvi.”
Il bacio
dura qualche secondo, uno sfioramento timido e impacciato, ma indescrivibile.
Il primo bacio di Kagome è stato perfetto, qualche sgocciolamento sulla
mano, ma, le labbra calde di Inuyasha l’hanno fatta viaggiare lontano da
lì in un altro posto più accogliente.
Niente
rumori, niente distrazioni o pensieri di troppo.
Solo loro
due e un bacio perfetto.
La ragazza non è cosciente,
l’hanno intubata per permetterle di respirare più agevolmente.
“Mi prende con
forza il freddo sentore di qualcosa
di inconcepibile,
qualcosa difficile da spiegare,
qualcosa di
infinitamente lontano
eppure così
vicino.”
Si
è fatto tardi, Kagome deve ritornare a casa ormai è buio.
Inuyasha insiste per accompagnarla ma, stavolta, è la mora a vincere; e
il ragazzo, seppur controvoglia, la lascia andare da sola.
Svolta
l’angolo per incamminarsi nella direzione di casa sua, ripensa al bacio e
si chiede se non sia stato troppo impulsivo nel darglielo, ma, quella moretta
è una ragazza incantevole e voleva farglielo capire. Non ha idea del
perché proprio oggi.
Ma il 10
novembre lo ispirava.
L’adolescente sembra stabile
e viene messa in una stanza, per permetterle di riposare.
“La morte mi
avvolge,
mi prende e mi
strappa dalla realtà…
da te.”
Inuyasha
è ormai arrivato a casa, quando sente il telefono vibrare nella giacca
di pelle. È casa Higurashi. Possibile che fosse già arrivata? La
comunicazione è veloce, troppo veloce, secca, troppo secca, brutta,
troppo… brutta.
È
il fratello di Kagome, la sua Kagome, che gli parla, in lacrime, crede
di non capire, spera di non capire. Gli dice che Kagome è all’ospedale,
che sua mamma è già in viaggio e che lui non sapeva chi chiamare.
Lo ringrazia, non sa come gli è uscita la parola “Grazie” ma
la dice, contemporaneamente si volta e lascia cadere il suo telefono, il suo
bel telefono d’ultima generazione, in terra. A Kagome piaceva il suo
cellulare ed egli aveva deciso di regalarglielo. Ora pensa se potrà mai
più vederla.
Kagome non capisce bene dove si
trova, non è in strada, non è a casa. Ha un gran mal di testa e
una forte nausea. L’unica cosa che ricorda è quel meraviglioso
bacio. Unico e spettacolare. E ritorna nel luogo di pace in cui si è
ritrovata quel pomeriggio, ma è diverso, ora è più freddo.
“Ci sarà una finestra
aperta” pensa.
“Ma
nell’eternità di quell’unico Istante ripenso
Al momento che non potrà
più tornare,
a
quell’incontro e al primo bacio,
l’ultimo della
mia vita.”
Corre.
Inuyasha corre, non gli importa della gente, del traffico, di quello che
calpesta o travolge. Lui corre. Veloce. Contro il tempo. Per poterla rivedere.
Per capire in che stato è.
Finalmente
arriva.
La
reception, cerca di mettere in ordine le idee, di formulare una frase che possa
dire alla signorina dietro il banco. Le arriva di fronte, senza pensarci le
guarda le mani. Ha un anello. Lo stesso che porta Kagome… o forse no?
Vede la sua
ragazza ovunque. È in preda al panico e il respiro è affannoso.
La segretaria lo nota e cerca di farlo calmare chiedendogli la sua
identità.
Inuyasha
mente, sa che solo i parenti possono ottenere informazioni.
“Sono
Sota Higurashi” non sa come fa a ricordarsi il nome del fratello di
Kagome ma, ce la fa. Questo e altro per quel sorriso. “Mia sorella…
ha avuto un… incidente”
Quanto gli
costa dire quella parola? Non lo sa nemmeno lui.
“Si,
capisco ma, vede, sua sorella è in gravi condizioni. Non so se
potrà vederla…”
Le parole
della segretaria si spengono al suono di “gravi condizioni” che
cosa significa?
“La
prego, mi dica il piano e il numero della stanza… per favore”
Non sa
come ha fatto a strappare questa informazione, saranno state le lacrime? Ma da
quanto tempo sta piangendo?
Kagome
è al secondo piano non prende nemmeno in considerazione l’idea
dell’ascensore, troppo affollato, troppo lento, troppo...
Arriva
alla stanza 10-11 Kagome è lì dietro. Mette una mano sulla
maniglia. E ha un flash, lui davanti allo specchio, alcuni minuti prima di
uscire per il suo appuntamento con lei.
La mora non capisce più
nulla. La nausea è terribile, il cerchio alla testa la fa sentire come
su una nave, un dondolio continuo. Sente il respiro affannoso. Ha corso? Non lo
sa. Non sa più nulla.
Ancora una volta l’immagine
di Inuyasha la viene a trovare.
Inuyasha
ricorda il pensiero che aveva fatto davanti allo specchio
“Sai
Kagome? So che forse è prematuro e che tu potresti spaventarti ma io
sento di provare un forte legame nei tuoi confronti. Io credo di amarti,
Kagome. Io…”
“Ti Amo”
“Ti
Amo…”
“…e non
ritornerò, mai più.”
Entra
nella stanza, vede la ragazza, stesa su un letto candido, le fasciature, i fili
ovunque, i capelli neri che risaltano sul cuscino bianco. Pare addormentata.
Vorrebbe abbracciarla.
Sente un
soffio, flebile appena udibile “Inuyasha”.
Le lacrime
sgorgano più veloci dai suoi occhi ambrati. Kagome li adorava,
diceva che avevano un colore particolare e meraviglioso. Ora sanno solo piangere.
Un suono
fastidioso e continuo e un vociare improvviso, seguito da spintoni e una voce
gentile che dice “Aspetti qui fuori, la prego” lo risvegliano dallo
stato di trance in cui è caduto.
Il giovane
si risveglia. È tardi. Non capisce bene dove si trova e gli pare un
sogno tutta la giornata, cerca di ricordare, ma tutto diventa reale quando,
alla mente, torna vivido il ricordo di una ragazza, la sua ragazza, stesa su un letto, un qualsiasi letto, esanime.
Si alza
gli occhi sono appannati, ma non importa. Vuole capire dove si trova.
Esce dalla
stanza e si ritrova in un corridoio.
Il
corridoio di casa Higurashi.
Vede
Mizuno, la mamma di lei, seduta sul divano, sembra aspettarlo. Si siede accanto
alla donna, così simile alla figlia. Non servono parole, il dolore
coglie entrambi ed è di nuovo l’oblio per il ragazzo.
Due settimane
dopo…
Fiori.
Tanti, tanti fiori. Inuyasha si domanda perché tutta quella gente ha
portato tutti quei fiori,a lei neanche
piacevano.
Sono una
ventina in tutto tra parenti e amici. Tutti in nero e tutti con un fazzoletto
in mano.
Lui no.
Il ragazzo
non riesce più a versare lacrime. Guarda la piccola bara che contiene il
corpo di Kagome e, ancora una volta, una parte recondita del suo animo vorrebbe
prendere il corpo che vi è all’interno e scuoterlo nella speranza
di rivedere quel sorriso. Ma si trattiene e, per l’ennesima volta, in
quel giorno uggioso, stringe i pugni, stropicciando, di nuovo la lettera che
tiene stretta.
Non voleva
portare a lei un qualcosa che non le
piacesse, un qualcosa di comune e freddo come può esserlo un mazzo di
fiori. No, voleva portare un qualcosa che solo loro due potessero capire.
Nella
“lettera” non vi è nulla di particolare, appena qualche rigo
buttato giù velocemente e scritto male, per giunta; non vi sono
dichiarazioni o grandi discorsi pomposi riguardanti l’amore; non vi
è neppure la più tenera traccia di romanticismo.
Nulla di
tutto ciò, una semplice richiesta, una delle più banali e
scontate, di quelle che si dicono a voce, alle volte.
“Ti va
un gelato, oggi pomeriggio?”
Semplice,
lineare pare deciso ma quanto ci ha pensato prima di convincersi a darglielo?
“Sì,
grazie. Mi farebbe molto piacere!”
Concisa
pare sbrigativa, ma quanto si è impegnata per trattenersi e non saltare
sulla sedia?
Ecco, la
bara è scesa del tutto. I primi doni vengono gettati su di essa. Inuyasha è l’ultimo. Getta
il bigliettino, ma non il ricordo. Quel magnifico e tremendo pomeriggio lo
accompagnerà per tutta la vita. Ma non può annullarsi, anche se
contro voglia sa che prima o poi dovrà vivere, glielo deve.
Il suo
sorriso era vita, non vuole che diventi la sua morte.