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Autore: Iris Fiery    10/11/2009    1 recensioni
Una porta spalancata, un'inesorabile caduta dalle scale... ricordi di un passato quasi felice, un futuro ancora più roseo... ?
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Die, Kaoru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ain't Afrai to Die

Tutti i personaggi narrati in questa fanfiction sono maggiorenni, inoltre la ff non è ispirata a fatti realmente avvenuti, i Dir en grey  sono di loro proprietà, non mi appartengono.

 

Aint’ Afraid to Die

 

 

“I still hear your voice, when you sleep next to me.
I still feel your touch in my dreams.”

 

Studio dei Dir en grey.

Ore 17 e trenta.

Lunedì 9 novembre 2009.

 

 

Maledizione, perché non riuscite a tacere tutte, per un momento?

Tutte voi, si, proprio voi, quelle maledette vocine che tempestano la mia mente.

Mi tocco la fronte più volte, sospirando, come se stessi pensando a chissà quale cosa.

… ma cosa?

 

Non lo avrai mai.

 

Ancora.

Sbatto un pugno di rabbia sul tavolo, come se potesse distruggere ogni mio pensiero.

Non prendiamoci in giro Kaoru, oramai è più di un anno che prendi a pugni qualunque cosa trovi, ma non è proprio servito a nulla, lo sai.

 

Avete un’intesa perfetta, era logico che prima o poi, vi sareste piaciuti anche fisicamente.

 

No.

Assolutamente no, maledetto biondo, stai sbagliando.

Non doveva essere, non può essere così.

Non può essere così…

-Kaoru?-

Alzo lo sguardo, sentendo quella voce che mi è tanto cara.

-Si, Daisuke?-

Chiedo, mentre lo vedo leggermente sporto sulla mia testa, con un foglio in mano.

Seguo il suo sguardo, notando che cade su una riga precisa.

Una canzone.

Cosa speravi Kaoru, in una dichiarazione d’amore?

 

Illuso. Illuso e stupido.

 

Lo libero dal suo dubbio, sebbene ami vederlo pensare, perso in un mondo di certo più felice di quello in cui viviamo…

Un dolce dolore si sveglia nel mio cuore, quando posso ricordare che la sua mente è fissa solo su quella persona ora.

 

Sei arrivato troppo tardi, Kaoru.

 

Sono davvero arrivato troppo tardi, Daisuke?

E’ passata un’altra ora, in cui non sono riuscito a produrre niente di niente.

Mi alzo, ormai stanco e svuotato, prendendo, con un gesto automatico, le sigarette e l’accendino e mi avvio fuori, nella terrazza del palazzo in cui abbiamo lo studio.

Con passi lenti e stanchi salgo quelle due rampe di scale che mi distanziano dalla meta.

Apro goffamente la porta, e sento delle voci.

-Perché mi fai questo, Mitsuki?-

-Perché è meglio che te lo dica io che qualcun altro.-

E’ la voce di Daisuke, la conosco troppo bene per sbagliarmi.

E Mitsuki… è quella bestia.

No, non è troppo esagerato come aggettivo, l’ho sempre definita così, Kyo lo sa.

Quella maledetta Idol che si è intrufolata nella sua, nella nostra vita, distruggendo l’ultimo briciolo di speranza che ancora si annidava nel mio stanco cuore.

-Non ci voglio credere, non posso crederci che tu…-

-Sì, Daisuke, mi sono innamorata di Kaoru.-

Attonito.

Attonito e basito.

Lei… cosa?

Passi veloci, un susseguirsi di passi veloci, la sua voce che si alza e la porta su cui è appoggiata la mia mano si spalanca.

E poi più niente, se non una caduta inesorabile per le scale, fino ad un tonfo secco contro un muro.

Una sostanza calda sento sgorgare dalla nuca.

Una voce disperata urlare…

 

 

Casa di Kaoru.

Ore 2 in punto.

La notte del 8 novembre 2009.

 

Bussi secchi si liberano nella casa.

Qualcuno picchia con forza sulla porta dell’ingresso principale, tanto da farmi davvero arrabbiare.

Se quella porta cade, qualcuno mi dovrà dei danni.

Mi alzo, avvicinandomi velocemente, aprendola di scatto.

-Un po’ di delicatezza no, cazzo?!-

Dico arrabbiato, per poi addolcirmi poco dopo, trovandolo appoggiato allo stipite, visibilmente ubriaco.

-Scusami, non volevo…-

-Tranquillo Daisuke, so benissimo che la delicatezza non è la tua forza.-

Sussurro piano, quasi per non disturbarlo, spostandomi dalla porta.

Lo vedo fare un passo a stento, tremando come un bambino infradiciato da un temporale.

Faccio pochi passi verso di lui, iniziando a sorreggerlo, portandolo nel mio salotto, dove lo copro con una coperta.

-Te ne sei accorto che ore sono?-

Gli chiedo, tranquillo, accarezzandogli i capelli.

I suoi occhi sono spenti, vuoti.

Alza lo sguardo verso di me, provando a proferire parola, senza riuscirci.

Dopo quasi un minuto di imbarazzante silenzio, prendo le redini della situazione.

-Ti preparo un caffè caldo, tu spogliati, intanto.-

Gli dico, uscendo da quella stanza diventata troppo stretta per me, andando nel cucinotto.

Preparo il caffè con la mente da un’altra parte, ancora persa nei suoi occhi.

 

Possibile che mi faccia tale effetto?

 

Torno una decina di minuti dopo, trovandolo nel mio salotto, nudo.

D’accordo, ho detto spogliati, ma non dovevi prenderlo in senso letterale, Andou.

Mi avvicino, sospirando e porgendogli il caffè.

-Che cosa succede, signor tormentato?-

Gli chiedo, sedendomi lì affianco, mentre lo vedo fissare quel liquido nero come se vi fosse chissà quali meravigliosi segreti da scoprire.

-Penso che mi voglia lasciare.-

Dice, alla fine, quasi in un sussurro, tanto che non sono sicuro di aver sentito il giusto.

Comunque sia, accenno ad un sorriso, senza che mi possa vedere.

-E come mai?-

-Dice che… ha trovato una persona più interessante di me .-

Mi metto a ridere nel momento meno opportuno che potevo, tanto che il suo sguardo è come se mi fulminasse.

-Perdonami ma… chi sarebbe questa persona?-

-Mi ha detto solo che mi è vicina, non mi ha detto l’identità precisa.-

“Che codarda”, mi viene da pensare, scossando la testa.

-E quindi tu stai… così a causa sua?-

-Sì .-

Una risposta secca che mi fa tornare alla verità.

Certamente, non starebbe mai così male per me.

Mi avvicino a lui goffamente, un po’ intimidito dal suo stato di nudità, un po’ perché non sono mai stato bravo a consolare le persone, e gli accarezzo la schiena, sorridendo appena.

-Die, non fare così .-

Gli dico dolcemente, accarezzandogli i capelli ora di un colore più naturale che mai.

-Vedrai che tutto si sistemerà, Daisuke, tu sei forte e lei… non potrebbe desiderare di più di te .-

Non potrebbe avere, sicuramente.

Ho sempre considerato Daisuke perfetto, alle stregue di un Dio.

Il fisico… il corpo che tanto sto bramando in questi mesi trascorsi.

Quella dolcezza che mi ha sempre fatto intenerire.

Quella timidezza, che si annida sempre in una parte del suo cuore…

 

Io lo conosco, sono io che lo devo avere.

 

Mentre questo pensiero egoistico si stagna nella mia mente, vengo riportato al presente dalla sua voce.

-Kaoru, a volte mi viene da pensare che non mi amerà mai qualcuno, per davvero.-

Sorrido, quasi tristemente.

-Stupido, c’è qualcuno più vicino di quanto immagini che già ti ama.-

Gli dico, mentre vedo il suo sguardo spostarsi su di me, curioso.

Lo so che non lo hai capito, sei troppo ingenuo, Daisuke.

Ma è anche questo che amo di te.

 

 

Bar nel centro di Tokyo.

Ore 13 e quaranta.

Giovedì 5 novembre 2009.

 

-Quindi, vedi di non farlo soffrire.-

Dico, come frase di chiusura del mio discorso, bevendo un sorso di caffè.

Troppo amaro, per i miei gusti.

Lei mi guarda, con quegli occhi grandi e neri che si ritrova, da pesce lesso, e le labbra visibilmente rifatte che formano una perfetta O.

-Io non voglio farlo soffrire, Kaoru.-

-Ti conviene, Mitsuki, è la migliore persona che potresti mai avere. E che ti vorrebbe, di certo.-

So perfettamente di essere stronzo, ma è stata lei a cercarmi, non di certo io.

Anzi, non avrei proprio voluto essere qui, in questo momento.

Lei sorride giocherellando con una delle tante collane che porta, di cui ne riconosco un paio regalate da Daisuke.

I consigli li chiede sempre a me, quello stupido…

-Ma mi sto accorgendo di essere interessato a qualcun altro.-

-E chi è?-

Gli chiedo, sospirando, infastidito della cosa.

-Ha la stessa età di Daisuke ed è un chitarrista, oltretutto gli è molto vicino. E’ molto bello, davvero tanto, ma penso che mi detesti… ma mi affascina, a differenza di Daisuke, lui è molto più serio…-

Dice, arrossendo appena, come se la persona di cui parla fosse proprio qui ad ascoltarla.

Sospiro, annoiato, annuendo appena.

-Senti, non farlo soffrire, giocatela poi come vuoi. Lo sai benissimo che se lo ritrovo di nuovo a piangere a causa tua, stavolta mi incazzo, ragazzina.-

-Ma Kaoru, tu non mi devi odiare perché sono la ragazza del tuo migliore amico… come se fosti geloso.-

-Lo sono, infatti.-

I suoi occhi scivolano immediatamente su me, e posso notare una scintilla di… felicità, in fondo?

Si alza, con il sorriso stampato sul volto, baciandomi la guancia, prima di andarsene, ringraziandomi.

Stai a vedere che pensava che parlassi di lei, la stupida.

Beh… meglio così, sinceramente.

Noto che mi ha lasciato il conto da pagare.

La maledico mentalmente, alzandomi e andando a pagare il conto.

 

Forse non è stato un bene, quella chiacchierata.

 

Luogo ignoto.

Ore 19 in punto.

lunedì 9 novembre 2009.

 

 

Sento la testa scoppiare.

Dove mi trovo?

Mi guardo a destra e a sinistra, stanco, notando solo un grande spazio nero.

Mi alzo stancamente dalla posizione supina in cui mi trovo, sentendo il corpo pesante, la testa annebbiata, il cuore distrutto.

Sono in quello che si chiama… paradiso?

No, impossibile, questo non è un paesaggio paradisiaco, assomiglierebbe molto di più all’inferno.

Socchiudo gli occhi quando una grande luce si sprigiona davanti a me, come un varco tra la realtà e lo strano universo parallelo in cui mi trovo.

Pareti bianchi, coperte bianche, odore di sterilizzanti…

Un ospedale?

Come faccio a trovarmi in un ospedale?

Ricordo solo… la caduta… la sensazione di caldo doveva essere il sangue che sgorgava.

Quindi sono in ospedale…

E sono morto?

Cerco di mettermi a sedere, e la cosa mi lascia basito.

Una sensazione di leggerezza mi pervade in pochi attimi.

Noto di essermi si seduto, ma il mio corpo è ancora sdraiato.

Significa che… sono morto?

 

Che diavolo è successo?

 

Un rumore di tic viene da vicino al mio letto.

Guardo una di quelle strane macchinette collegate al mio corpo.

Una striscia si sussegue di linee dritte con linee leggermente curve, il che significa che non sono ancora morto.

Non del tutto.

Questa è quindi un’esperienza di pre-morte, come viene definita?

Guardo il mio corpo ancora steso per un ultima volta, fino a quando non decido di muovermi.

Scendo con un balzo leggero dal letto.

Il pavimento, sebbene sia scalzo, è caldo.

Sorrido, facendo un paio di passi, poggiando la mano sulla maniglia ma la trapasso.

Trapasso direttamente anche la porta, trovandomi nel corridoio dell’ospedale.

Proprio davanti a me, vedo Daisuke.

Se avessi consistenza, gli sarei petto contro petto.

E’ in piedi, davanti alla porta, a pochi centimetri da essa.

-Cosa aspetti ad entrare?-

Dico, sapendo che non può sentirmi.

Ma è strano.

Lo vedo corrucare la fronte, e gli occhi rossi di lacrime si spalancano.

-Kaoru?-

Lo vedo allungare la mano dove sono io, che mi sposto di lato, spaventato.

Mi vede…?

No, altrimenti si sarebbe accorto che mi sono spostato.

Forse… chissà come, mi può sentire?

-Sai Kaoru, ci sono persone legate da sottili fili, fragili come il cristallo ma nel contempo forti come l’acciaio. Queste persone, sebbene lontani kilometri e kilometri è come se riuscissero a comunicare, a sentire la vicinanza degli altri. E’ davvero bello. Questo di chiama amore.-

Furono queste le parole di mia sorella, un giorno.

Avevamo 17 e 19 anni in quel tempo ed ero appena stato lasciato dalla persona che amavo.

Mi chiese se sentivo un legame con lei, e io risposi di no.

Lei mi disse che non era amore, e mi spiegò il perché.

Il mio cervello ha nascosto sempre questo discorso, forse perché…

Ora quel filo lo sento legato stretto a me, che congiunge la mia anima a quella di Daisuke?

 

Non mi volevo illudere ancora.

 

Sorrido appena, pensando a quanto sarebbe bello poterci credere.

Lo vedo abbassare lo sguardo, tremando come una foglia scossa dalla brezza mattutina, mentre si appoggia con la fronte alla porta.

-Perdonami, Kaoru, non volevo spingerti… perdonami, è stato tutto uno stupido malinteso, Kao…-

La voce rotta dal pianto di Daisuke fa cadere sull’orlo delle lacrime anche a me.

 

Potresti anche uccidermi, che non ti fermerei.

 

Mi avvicino al suo corpo singhiozzante, abbracciandolo.

-Tranquillo, Daisuke, tornerò presto.-

Dico, sorridendo, baciandolo leggermente sulle labbra.

Chissà, magari l’ultimo bacio che potrò darti.

Lo vedo alzare gli occhi, con un leggero sorriso.

-Sì, ti aspetto.-

Mi sussurra, ancora come se mi sentisse.

Dio, tutto questo è strano, ma quasi ne sono felice.

Forse vuol dire che è davvero amore, questo sentimento?

Oppure questo è un amaro sogno?

Un illusione creata dalla mia mente oramai consumata?

Continuo il mio cammino, fluttuando nel corridoio.

Un film di fantascienza, ecco cosa sembra.

Arrivo nel bar dell’ospedale, dove vi trovo gli altri della band, con anche Inoue.

Mi avvicino a loro, sentendo il manager parlare a voce bassa, quasi un sibilo.

-Quindi... lo ha lanciato giù per le scale?-

Chiede, con un tono di voce quasi sconvolto… stenterei a crederci anche io, se non fossi il soggetto della loro discussione.

-No… Kaoru si trovava dietro per caso, Daisuke ha aperto la porta di scatto e l’impatto dell’oggetto contro il corpo di Kaoru lo ha scaraventato giù per le scale.-

Inoue annuisce, bevendo un sorso del liquido nero presente nella sua tazza.

Caffè, quanto ne sento la mancanza…

-Penso che Daisuke non abbia mai capito cosa rischiava di perdere fino a questo momento. Kaoru è tutto per lui, e lo stesso vale all’opposto. Sono due corde di una stessa chitarra… indivisibili. Ma, per paura o per ingenuità, nessuno dei due lo ha mai capito. O per lo meno, Daisuke. Kaoru è fin troppo sveglio in certe cose, ma con tutte le paranoie che si crea quell’uomo, non lo avrebbe mai ammesso.-

-Magari si sveglieranno entrambi.-

Risponde il bassista al biondino, sorridendo.

Alla fine, Kyo e Toshiya hanno sempre avuto ragione, su tutto.

 

Svegliarci? Magari fosse così facile, Toshimasa.

 

Una sensazione strana, diversa.

Sento un impulso alla testa, fino a svenire, di nuovo, cadendo in un mondo ovattato…

 

 

Luogo ignoto.

Ora ignota.

Domenica 20 dicembre 1994.

 

Mi stringo il più possibile nella mia giacca di velluto nero, affondando il viso nella sciarpa rosso fuoco regalatami da una delle mie tante ex.

Guardo l’ora, sospirando.

Perderò il treno, nuovamente…

Accenno una corsa, ma, non appena mi trovo sul ponte, vedo passare sotto di me l’ultimo treno per Hyogou.

Impreco mentalmente, sapendo perfettamente che dovrò passare una nottata al gelo qui, in mezzo ad una città che conosco quel poco per sapere dove abita Tooru.

Scendo le scale della stazione di Kyoto, andando a sedermi su di una panchina.

Guardo al di fuori della vetrata della sala di aspetto, sorridendo appena.

La neve quest’anno non è ancora caduta.

Ed è triste, un Natale senza neve non si può chiamare Natale…

Sebbene la neve mi metta tristezza, ancora di più che la pioggia.

Vedere quei leggeri fiocchi che sembran fatti di panna montata svolazzare liberi nel cielo senza freni, fanno crescere in me un sentimento di invidia.

Vedo i bambini giocare con essa, senza preoccupazioni ne pensieri.

La vita per loro, deve ancora iniziare, veramente.

Ricordo gli anni in cui andavo a scuola.

Ah, quanto l’ho odiata…

Volevo fare il chitarrista, io, e la scuola mi portava via solo tempo prezioso alla mia chitarra.

Ma, in fondo, mi piaceva.

Avevo degli amici con cui parlare, di sogni, di speranze…

Speranze che oramai sono andate in frantumi, per la  centesima volta.

E’ un sogno così utopico chiedere un chitarrista decente?

 

Anche oggi, abbiamo sentito vari aspiranti chitarristi.

Chi troppo classico, chi troppo incapace, chi troppo… troppo.

E’ vero, sono un tipo difficile, ma voglio il meglio, voglio una band che venga ricordata, e non per il bel faccino dei loro componenti.

Mentre sono perso nei miei pensieri, le dita della mano con cui tengo la custodia della chitarra iniziano a perdere sensibilità, tanto che lascio la fodera, portando la mano sotto la giacca, sperando in calore.

Purtroppo, sembra che il riscaldamento della stazione sia spento…

La porta si spalanca, facendo sì che del freddo ulteriori entri.

Sento dei passi veloci, che si muovo verso il tabellone delle partenze.

-Merda!-

Sento, dopo poco.

 

Per lo meno, non sono il solo.

 

Alzo lo sguardo verso il ragazzo, che si lascia andare nella sedia affianco la mia.

-Che cazzo…-

Gli sento dire, notando una flotta di capelli rossi uscire dal cappello che porta.

-Perso il treno?-

Chiedo, all’improvviso, mentre lo vedo annuire, prima di guardarmi.

-Sì… anche tu?-

Annuisco, sorridendo appena.

Ci fissiamo in silenzio per un paio di minuti, di imbarazzante silenzio.

Fino a quando, lo vedo fissare la mia custodia.

-Suoni la chitarra? Che coincidenza, anch’io!-

Dice, con un sorriso sul viso…

Sorriso che posso vedere ogni mattina da ormai tanti e tanti anni…

 

Ospedale.

Ora di pranzo.

martedì 10 novembre 2009.

 

Perché ho questi ricordi proprio ora?

Sono passati davvero tanti anni, ormai, e non ci pensavo più.

Ma, c’è un particolare, uguale a quella sera.

Sento una mano stretta intorno alla mia, come quando Daisuke aveva cercato in tutti i modi di far riavere sensibilità alla mia mano.

E’ lo stesso calore, tanto che mi fa pensare che sia lui a tenermi la mano.

-Stai tranquillo, è fuori pericolo, si sveglierà a momenti.-

Dice la voce rauca di Kyo, mentre sento soltanto un mugolio di assenso.

Ed è vero.

Dopo pochi minuti, inizio a muovere prima le dita, per poi passare al resto del corpo.

I miei occhi si aprono quasi da soli, mentre vedo il suo volto appoggiato mollemente al letto, come per dormire.

La mia fronte si corruca per un momento, mentre sento un sussurro lì vicino.

-E’ rimasto sveglio tutta la notte.-

Giro il viso verso quella voce, sapendo che Kyo ne è il possessore.

-Come mai?-

-Voleva… che tu ti svegliassi. E’ stato per tutta la notte ad accarezzarti il viso e baciarti più volte la mano .-

Cerco di rimanere il più possibile impassibile, ma l’esplosione di gioia nel mio cuore fa si che sulle mie labbra si dipinga un sottile sorriso.

-Ah sì?-

-Sì… si vede che…-

-Ha capito solo ora che cosa significasse perdermi.-

Dico, ricordando il suo discorso della giornata precedente, con un sorriso.

Lui mi guarda stranito, non capendo come faccia a sapere quei particolari.

-Ma…-

-Shh… non vorrai mica svegliarlo?-

Dico, con dolcezza, tirandolo sul lettino affianco a me, abbracciandolo.

Rivedo il sorriso di quella sera, ed è tanto che, ora ne sono sicuro, non lo vedevo così sincero.

Gli accarezzo il petto, sorridendogli.

-Dormi Daisuke, avremo molto di cui parlare.-

Ora lo so, ne ho tempo.

Ne avremo fino alla fine dei nostri giorni.

 

 

“I can't let you go.
Want you in my life.

 

 

 

 

 

 

 

 

Speravate di esservi liberati di me, eh? è_é

E invece no xD Ho avuto l’ispirazione in due diversi momenti: nel viaggio di ritorno da scuola in treno, e nel frattempo visualizzavo proprio la pagina con le fan fiction dei Diru su EFP, trovandola… non so, spoglia, penso.

E quindi, ho deciso di provarla ad arricchirla con questa piccola idea che ho avuto, sebbene non sia uscita proprio come volevo (ma non ne sono mai soddisfatta, questa non mi dispiace, in fin dei conti xD).

Prima di tutto, voglio dedicarla, sebbene con un ritardo pazzesco, lo so, a chiunque fosse al concerto dei Dir en grey a Milano, uno dei giorni più belli della mia vita. L’emozione che mi regalano quei cinque ragazzi è paragonabile a davvero pochissime altre cose.

In seconda, voglio dedicarla ad una scrittrice di fic che adoro e che trovo davvero brava.

AintAfraiToDie : è la seconda fic che ti dedico, lo so, ma devo farlo xD. Dopo che ho letto le tue fic, mi è tornata una certa voglia di scrivere e, come mi ricordasti tu nel commento della vecchia fanfic, il fandom dei Diru è stato leggermente lasciato a se stesso. E’ vero ma non possiamo farcene una colpa. Con questo mio scritto non voglio far nulla di che, solo mostrarti che c’è ancora qualcuno che cerca di tenere “alto” il fandom dei Diru (sebbene con una coppia che non è la tua preferita, lo so u_u). Purtroppo non ci siamo viste ai Diru, ma spero che capiti presto, è possibilissimo che un giorno vedrai un mio messaggio con scritto che vengo a Firenze, ho davvero voglia di incontrarti, ragazza <3 Spero che apprezzerai e, magari con un commento o in privato, mi potrai esprimere il tuo parere. Mi sono impegnata al massimo per avanzare nella scrittura, e spero di esserci riuscita.

E poi ad una persona  a me molto cara, davvero tanto.

aMMora: non la leggerai mai questa fic, non ti ho dato l’indirizzo apposta, perché so che non è il massimo di quello che posso dare. Ma tu sei costantemente in questi miei lavori. Ti voglio bene, e lo sai, e ancora mi chiedo se era scritto nel destino che io e te ci conoscessimo così, per puro caso. A breve, se non erro i calcoli, sono due anni che ci conosciamo… e sono stati due anni magnifici, ti voglio bene <33

E poi la dedico a te che non saprai mai nulla, che non conosci neanche questo mio hobby <3 Col cambio di scuola, avrei pensato di non trovare nulla di interessante, ma tu mi hai fatto cambiare idea. Questa vena neo-romantica è scaturita in me a causa tua, maledetto essere riccioluto <3 Ti ringrazio per tutto, per le giornate che mi fai passare tra scherzi e giochi a scuola, e ti ringrazio… ti ringrazio di essere te, e di avermi aiutato a tirarmi su quando non avrei mi pensato di riuscirci <33

 

Bene, questi erano gli unici punti che volevo sottolineare. Ah. All’inizio di ogni parti ho messo il giorno, l’ora e il luogo per sfizio, come se fosse un diario di viaggio. Ho cambiato carattere per presentare l’esperienza di premorte avuta da Kaoru, il corsivo per il passato e la scrittura normale per il resto. Le strofe della canzone che appaiono all’inizio e alla fine del mio racconto sono di EveryTime we touch dei Cascada.

 

See you soon my lover <333

 

 

   
 
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