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Autore: malacam    13/11/2009    0 recensioni
E' una buia notte all'Ordine Oscuro, ma anche in tempi di tregua non tutti dormono sonni tranquilli. Qualcuno è sempre sveglio e pronto ad affrontare le tenebre. [Cross-centric]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- al mio adorato emolo verso cui va tutto il mio affetto e ringraziamento per cose che neanche immagina;
- a tutte le persone che rendevano Milano la mia casa, il posto speciale che è;
- alla mia più cara amica, che per troppo tempo non ci ha fatto compagnia ^^ se sono qua è soprattuto grazie a te!

Note: Il titolo è una citazione al film "V per Vendetta".

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E' ben provato che con aria devota ed azione pia
inzuccheriamo lo stesso diavolo!!!



Il flebile sbattere del vento sulle vetrate chiuse dell’ampio finestrone tuonò come un boato nell'ampia stanza da letto, dove anche la scoppiettante luce del fuoco faticava a tenere lontane le tenebre.

Un sottile filo di fumo nero saliva ancora da tre delle quattro candele ormai consumate del pesante candelabro in ottone posto sul tavolinetto al centro della stanza, e il supporto della tonda lampada ad olio sul comodino, spenta da troppo tempo, era ormai gelido.

I lunghissimi capelli biondi dell'elegante ragazza in abito da sera, che solo quattro ore prima suscitava l’invidia dell’intera sala del ricevimento dell’ambasciatore austriaco, giacevano disordinati sulla federa di seta del cuscino. Il volto di lei, rilassato nel sonno, era celato dalle lunghe ciocche e dalle tende leggere del letto a baldacchino che si muovevano leggermente per gli spifferi.

Cross era seduto su una sedia, di fronte al camino acceso, e fissava le fiamme irregolari che consumavano i tocchi di legno. La camicia bianca di seta abbottonata all’altezza dell’ombelico lasciava intravedere il petto del generale, e le eleganti pieghe del bordino ricamato, che partiva dal colletto, gli cadevano addosso dolcemente.
Il braccio destro poggiato sul bracciolo della sedia, reggeva un ampio calice di cristallo colmo di vino rosso.
La mano sinistra cadeva senza vita sull’altro bracciolo.
La pesante croce del lungo rosario che portava al collo poggiava senza austerità sulla sua gamba, il primo mistero che si nascondeva nelle pieghe dell’ampia camicia.

Per qualche minuto le ombre danzanti della stanza osservarono la sua immobilità glaciale, volteggiando disordinate e irregolari ma rispettose del terso silenzio in cui era immersa la stanza.

Solo il lamento di un gatto fuori dalla finestra attirò la sua attenzione, quindi il Generale distolse lo sguardo dalle fiamme nel camino e lo diresse verso l’ampio finestrone alla sua destra.
Inspirando profondamente si raddrizzò sulla sedia, poi bevve un sorso di vino e si alzò in piedi.

I passi sordi dei pesanti stivali dell’esorcista, risuonando sul levigato pavimento in pietra della stanza, lo accompagnarono fino al mobile poggiato alla parete ai piedi del letto, di fianco al camino. Qui Cross vi poggiò il calice, subito dopo portando la mano al portasigarette d’argento.

Afferratolo lo portò con sè, tornando a dirigersi verso la sedia, al contempo prendendo un ceppo dalla piccola legnaia sul lato sinistro del letto e mettendolo nel fuoco.

Il Generale tornò a sedere, abbandonandosi sulla comoda spalliera rivestita di velluto e aprendo il portasigarette. Ne estrasse una, e la accese con uno dei fiammiferi presi dalla tasca sinistra dei pantaloni. Iniziò a fumare, il portasigarette in grembo, continuando a scrutare il fuoco.

Sentì dei passi, lenti e molto leggeri, provenire dal corridoio. Rimase in ascolto, senza muoversi nè distogliere lo sguardo dalle fiamme.

Li percepì distintamente interrompersi davanti la sua porta.

Pochi secondi di silenzio, subito interrotto dal fruscìo di stoffa, e poi altro silenzio.

I passi ripresero, allontanandosi dalla sua stanza, questa volta più frettolosi ma sempre molto leggeri.

Il Generale fece un lungo tiro di sigaretta, poi distolse lo sguardo dalle fiamme e lo diresse verso l’orologio sul camino: segnava le 4.15 della notte.

Spense la sigaretta sul gradone del camino, dando in pasto alle fiamme il mozzicone, e si alzò nuovamente in piedi. Si avvicinò ai piedi del letto abbottonandosi la camicia, e sollevò la tunica nera che solea portare quando non era in uniforme. Indossandola si avvicinò alla porta. L’aprì e leggero scivolò fuori.

Appena fuori prese sicuro il corridoio alla sua sinistra. I corridoi dell’ordine erano bui, anche se ogni tanto qualche candela sui candelabri di ottone appesi al muro lasciava intravedere gli spazi fra i mattoni grigi della gotica torre, e in breve il corridoio si spense sulla nera ringhiera in ferro battuto del pianerottolo.

Cross ci poggiò una mano sopra e seguì il corrimano facendosi accompagnare fino al piano dell’immensa biblioteca dell’ordine.

La biblioteca era chiusa da una pesante porta in legno di castagno a due ante. Marian poggiò delicatamente il medio della mano destra su di esso, percorse per qualche centimetro le scure venature del legno, poi poggiò l'intero palmo della mano e spinse l’anta.

A discapito dalla sua mole la porta si aprì facilmente, come se spinta dal vento, senza che nemmeno i cardini si sentissero.

L’ampia stanza si aprì allo sguardo del generale. Le immense scaffalature si perdevano nell’ombra della stanza, soli oggetti ben illuminati il tavolinetto da thè e le due poltrone con spalliere molto alte che facevano bella mostra di sè davanti al camiono. La fiamma dava colore all’intera scena, brillando dall'immenso camino di marmo sormontato dallo stemma dell’Ordine Oscuro.

Cross attraversò l’uscio e chiuse delicatamente il pesante portone, sforzandosi di fare meno rumore possibile.

Estrasse di nuovo il portasigarette d’argento e lo accarezzò con la mano, aprendolo ed estraendone un'altra sigaretta. Di una delle due poltrone vedeva solo lo schienale, quella di fronte era vuota.

Accese la sigaretta e si avvicinò alla poltrona.

Si fermo ad un passo da essa. Posando il portasigarette in tasca estrasse Judgement. Per un attimo le ombre per un attimo avanzarono verso il Generale, aiutate dagli spifferi che rendevano difficile la vita alle fiamme nel camino, ma queste presto respinsero le tenebre lontano dall’uomo.

L'arma tenuta bassa ma sempre stretta in pugno, Cross si affiancò alla sedia appoggiando delicatamente la mano sulla spalliera.

Riconosciuta la persona seduta su di essa lasciò la mano staccarsi dal velluto e posarsi sui suoi fianchi. Allontanandosi di un passo dalla sedia, avvicinandosi al camino dando le spalle al suo ospite, posò l’arma sul tavolinetto da thé.

“Le ragazze carine dovrebbero riposare a quest’ora della notte!!!”

L'altra persona non rispose, e neanche lo scoppiettìo del fuoco interruppe il momento di silenzio.

Fatti un altro paio di passi il Generale si girò e si sedette sull’altra grande poltrona.

Lenalee, accoccolata sulla poltrona con le ginocchia al petto, cinte dalle braccia serrate, alzò la testa e fissò l’uomo senza dire una parola.

Cross fece un lungo tiro, fissandola di rimando, poi prese la teiera che era poggiata sul tavolino. Riempì una tazzina con cura, senza versarne fuori una goccia. Aggiungendo del latte mise sul piattino un biscotto e spostò la tazzina verso la ragazza.

“E' caldo, ti farà bene…” disse.

Lenalee continuò a fissarlo, ma non rispose.

“Beh, mia cara, siamo spesso da biasimare in questo: è ben provato che con aria devota ed un’azione pia inzuccheriamo lo stesso diavolo!!!” considerò lui, sorridendo.

Al sorriso del generale Lenalee allungò un braccio per prendere il piattino, sorrise di rimando e ringraziò.

Cross tornò a sedersi e riprese a fumare.

“Voi non avete mai paura generale?” chiese lei, la voce fievole e incerta.

Marian accavallò le gambe, esitando un po’ nel rispondere.

“…Paura di cosa, figliola mia?”

“Di non essere all’altezza dei suoi compiti! Di deludere gli altri…”

Cross si lasciò scappare una rumorosa risata che fece sobbalzare Lenalee, facendole cadere qualche goccia di thè per terra.

La ragazza lo guardava incredula. Non riusciva proprio a capire cosa quell’uomo trovasse buffo nella sua angoscia! Provò quasi rabbia per quella reazione scortese e insensata, quindi distolse gli occhi rivolgendoli alle gocce di thè che risaltavano inermi sul freddo pavimento in pietra.

La luce disegnava, con i suoi riflessi, forme insensate sul pavimento. Insensate come quella situazione.

Sobbalzò di nuovo quando sentì le mani del Generale sulle sue spalle.

“Ma cosa dici, ragazza mia? Deludere gli altri? Avete già la sfortuna di essere degli apostoli di Nostro Signore, vi è stato caricato sulle spalle un fardello troppo grande... E vista la piega degli eventi è una sorpresa che siate ancora vivi!!!” Cross sorrise, divertito “Avete già sorpreso tutti!!!”

La ragazza si sentì sollevata dalle parole del Generale, anche se continuò a guardarlo con espressione persa...
La leggerezza con cui parlava la irritava!

“…Non dovresti lasciare che certi pensieri ti assillino la mente, figliola mia… la lucidità è un bene troppo prezioso per lasciare che certe frivolezze la inquinino!”

“Quali frivolezze?” Squillò la ragazza, sentendosi toccata nell’orgoglio.

“Aspettative e dovere per esempio; le logiche deduzioni che scaturiscono da una serie perversa di convinzioni che vi sono state messe nella testa…”

Cross tirò un'ultima volta dalla sigaretta e ne lanciò il mozzicone consumato nelle fiamme. Espiravando il grigio fumo mise dell'altra legna nel fuoco e continuò:

"Voi siete dei soldati... In una strana guerra, siamo d’accordo, ma siete dei soldati e come tali avete obblighi e doveri, e anche delle responsabilità... e la prima responsabilità è verso voi stessi. La vostra vita ha un valore troppo insignificante sulla bilancia del mondo, anche se siete dei compatibili. Tuttavia preservarla è un vostro preciso dovere e non soltanto per continuare il conflitto. Pesare la vostra esistenza sulla bilancia dell’Ordine non rende giustizia a voi stessi, figliola mia.”

Tornando a sedere si versò un'altra tazza di thè, fissando Lenalee che a sua volta teneva lo sguardo fisso rivolto verso le fiamme che riprendevano vigore.

“L’Ordine è un istituzione. Dietro di esso ci sono idee ed ideali, anche nobili se vogliamo. Tuttavia i suoi componenti sono umani; la gente al suo interno cospira, trama per portare acqua al suo mulino, ha paura e mossa da essa fa cose stupide o sciocche. A volte è avventata, a volte superficiale e pochi qui dentro sono veramente disposti a sacrificare la loro vita per la causa dell’Ordine…soprattutto coloro che si trovano qui perché non gli è stata data altra scelta…”

“E lei per questo li disprezza, Generale? Per questo non condivide con loro sofferenze e dispiaceri, e non li ritiene degni di essere al suo fianco nella lotta?”

Cross bevve un sorso di thé poi rispose sorridendo:

“Io non li disprezzo... è che al mio fianco probabilmente sarebbero già morti, e i morti non servono a nessuno, mia cara… e poi chi ti dice che io sia interessato a continuare questa stupida guerra?”

Lenalee non disse nulla. Spostando con la mano i capelli dalla fronte alzò lo sguardo per guardarlo in faccia.

“Allora perché non se va?”

“Magari è proprio quello che ho intenzione di fare…”

Il silenzio interruppe il dialogo, e il vento per un attimo fece cigolare le imposte di legno degli ampi finestroni chiusi.

“Vedi, figliola mia, gli uomini sono soliti pensare che il Tempo sia un loro alleato. Credono sempre di avere tempo. Si rinchiudono in una gabbia di ideali ed obiettivi che servono soltanto a mascherare l’inutilità dell’esistenza umana; tanto per uscire da quella gabbia, pensare al tuo ruolo nella storia, alla morte, a Dio c’è sempre tempo no?”

Posò la sua tazzina sul tavolo, poggiandosi bene con la schiena alla poltrona. Congiungendo le mani sotto al naso, i gomiti ben puntellati sui braccioli, proseguì:

“Questo modo usuale di comportarsi genera degli esseri al più inconsapevoli. Che vivono le loro vite con una maschera sorridente sul volto. Vite senza magia, completamente svuotate di misticismo, ma al contempo relativamente felici... e che, se non intervengono fattori esterni che ne resuscitano la paura, possono vivere eternamente felici. Ma quando porti una maschera per troppo tempo, mia cara, spesso finisci per dimenticare chi c’è sotto. E se la “home” che tu ti ostini a proteggere non fosse altro che una tua illusione per darti uno scopo? E se il Dio che servi e che ti ha incatenato ad un destino di sofferenza e privazione non fosse realmente buono? E se le persone che ami tu le amassi perché sono delle proiezioni tue che mistificano quello che sono in realtà? E se la tua vita non avesse uno scopo, se la tua esistenza fosse casuale e non governata da un destino, se la morte fosse una tua amica e la tua unica scappatoia, come ti comporteresti ora?”

Lenalee non ebbe il coraggio di rispondere. Alzò solo le spalle.

Le tenebre spinsero pesantemente la luce verso il camino, mentre la penombra aveva ormai inghiottito il dolce viso della ragazza. Il peso delle parole di Cross incombevano pesantemente sull'intera stanza.

“E' più difficile avere consapevolezza della propria piccolezza che ricoprirsi di pomposi ideali. A differenza tua, figliola, non tutti hanno avuto il privilegio di essere circondati da persone tanto degne da poterle definire Casa. Magari questo ha spinto alcune persone a fare prima i conti con questi interrogativi.”

Il Generale si alzò, rimettendo la pistola nel fodero, ed estraendo il portasigarette. Accese un fiammifero quando era ad un passo dalla poltrona su cui era seduta Lenalee, illuminandole la schiena, e lo utilizzò per accendere la sigaretta. Agitando la mano per spegnere il cerino, concluse:

“Ora finisci il tuo thé. Quando sarò uscito da quella porta ti sentirai sollevata, figliola mia, e ricorderai che quello in cui credi non sono delle illusioni... e che non bastano due parole dette da un perfetto sconosciuto che non sa nulla di te per smontarle!" Sorrise. "Sei una brava ragazza, Lenalee, tieni duro e non sprecare troppe notti a rimuginare inutilmente su cose passate o che devono ancora succedere”.

Pochi attimi e il pesante portone si richiuse con un sordo boato, facendo sussultare la ragazza che era ormai abituata ai soli flebili e famigliari rumori della notte.

Cross si allontanò rapidamente, e quando arrivò al suo corridoio si fermò un secondo dinanzi la sua porta, continuando a fumare. Rimanendo voltato verso la porta di ciliegio girò lo sguardo verso il fondo del corridoio.

Espirò.

Con una mano girò la maniglia della porta ed entrò, ma prima si rivolse alle tenebre nel corridoio.

”E' proprio un posto orribile, questo!!!”

Una volta nella sua stanza si diresse verso la finestra, buttando il soprabito su una sedia; poggiò la cinta con la fondina sul davanzale e si ci sedette a sua volta, poggiandovi sopra anche il piede sinistro. Guardò fuori e si sorprese di vedere che aveva cominciato a piovere. Sorrise. Aveva il sentore che le visite non fossero finite, per quella notte.

Le nuvole scure e cariche di pioggia, trasportate lontano dal pesante vento, lasciarono scoperta agli occhi del mondo la pallida luna piena. La luce fredda della luna trapelò attraverso i vetri delle finestre della gotica torre dell’Ordine Oscuro. Di fianco ad una di queste finestre, in fondo al corridoio dov’era la stanza del generale, si fece spazio fra la penombra una figura.

Aveva un cappuccio nero sulla testa da cui fuoriuscivano ciuffi di capelli che coprivano i suoi occhi, uno dei quali celato da una benda nera. Le mani in tasca, aveva un espressione seria che difficilmente i suoi compagni d’avventura avrebbero abbinato a lui.

“…Ha ragione, Generale: è proprio un posto orribile.”

Detto questo sollevò le spalle e nascose la bocca sotto la sciarpa che portava al collo, incamminandosi e sparendo nelle tenebre.

Il flebile sbattere del vento sulle vetrate chiuse tuonò come un boato nella silenziosa sede dell’Ordine Oscuro. Le pesanti nuvole nere ricoprirono nuovamente la pallida luna, privando il mondo della sua luce fredda.

Forse, quella notte, sul mondo la luce era effettivamente di troppo. La perlata luce della luna e la nervosa luce delle fiamme presto smisero di lottare, lasciando alle tenebre la libertà di abbracciare l’inquietudine degli abitanti della torre.

Qualsiasi altra illuminazione, quella notte, sarebbe stata troppo beffarda e fuori luogo.


  
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