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Autore: cartacciabianca    17/11/2009    7 recensioni
Dedicata a Manu (alias dark dream)
Sole, vento, limpido cielo e quiete primaverile. Il clima perfetto per volare...
"[...] Ad una finestrella della piccola casa sulla collina si affacciò un uomo di poco più adulto del primo. La barba lasciata crescere, gli occhi scuri e ben attenti, le sopracciglia folte e il vestiario reso comodo per via del lavoro che ancora lo aspettava e il clima di quella giornata scelta per emergere.
-Ezio! Pazientate ancora un istante, sarò subito da voi!- rispose, dopodiché tornò a frugare per le stanze del secondo piano di casa, cercando chissà cosa.
-Perfetto!- eruppe Ezio dal capanno, gridando per farsi sentire. –Ma non stupitevi quando tornerete qui…- si aggiustò il carico sulle spalle. –E troverete ad attendervi solo una poltiglia! Sarà ciò che resterà di me quando la vostra macchina dannata mi schiaccerà!- si lamentò fissando il vuoto dinnanzi a sé. [...]"
[Personaggi: Ezio Auditore da Firenze; Leonardo da Vinci]
Genere: Generale, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ezio Auditore, Leonardo da Vinci
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prefazione:
Questa minificion nasce da una fantasticheria/sogno ad occhi aperti che ho fatto ascoltando questa musica: http://www.youtube.com/watch?v=psJx4rKoCKY
Ciò che consiglio di fare a chi intraprenderà la lettura di questa storiella, è quello di ascoltare, anche a ripetizione, quella colonna sonora originale di AC II mentre sfoglia le righe che ho scritto. Premetto dicendo anche che gli unici due personaggi presenti nel testo, Ezio e Leonardo, sono posti in una situazione da me del tutto inventata, con pochi riferimenti alla trama del gioco nonché dipinti in un’ipotizzabile contesto. L’idea di scrivere questa fan fiction mi è saltata in testa davvero come un sogno, di quelli dolci e bellissimi che ti fanno sentire come se stessi guardando la scena finale di un film a lieto fine. Ho immaginato ben poco, forse qualche battuta, ma picchiettando sulla tastiera, spremendo la mia fantasia, ero cullata da alcune meravigliose immagini che si erano impresse nella mia mente e continuavano a ripetersi, una dopo l’altra. La prima, è per l’appunto quella di una campagna toscana nella massima bellezza: campi verdi, alberi in fiore, vento. Questa sarà l’ambientazione.
In fine, dedico questa storiella ad un grande scrittore e altrettanto grande fan di AC come, ovvero Emanuele, o più comunemente Manu (alias goku94) la cui ammirazione per Leonardo da Vinci è pari a quella di nessun altri.
Adesso vi lascio alla lettura. ^^ Grazie per l’attenzione.
La vostra Elika95


Assassin’s Creed II
“Flight over Florence”
Mai s’era visto un cielo più limpido: era una rara giornata di marzo che faceva invidia all’estate; li alberi floridi e verdi, sgargianti di mille foglie, danzavano accompagnati da una fresca corrente. Come violini gli uccellini svolazzavano tra i prati folti, residui di un inverno che si era consumato in tre lunghi mesi. Tornava il sole a scaldare le vette delle montagne: lì dove gli Appennini vigilavano sulle valli. Tornava sui campi avidi di calore e bellezza di quel Dio le cui braccia dorate si estendevano a scacciare tutte le ombre.
Era una musica magnifica quella del vento che spirava tra i boschi, tra le nuvole e sulle immense colline verdeggianti che si estendevano attorno alla bellissima Firenze. La città, florida, ricca della sua gente ora sparsa per le strade chiassose, tra le bancarelle e le piazze, nelle Chiese e nelle case a porte aperte; sempre allegra perché era tornata delle belle stagioni quella che sa di pace e di meraviglia più di tutte. Pareva un quadro, ma in realtà era il sipario di un palco addobbato dei colori della primavera: verde di prati e di chiome degli alberi, rosso di fiori e azzurro di cielo. Così apparivano le campagne, quei luoghi magici e misteriosi, quelle grotte e quelle piane lungo le rive dell’Arno, che tracciava curve sinuose e luccicanti delle sue acque limpide tutt’attorno alle valli. Come uno specchio a tal punto trasparente, si vedevano i pesci guizzare felici e i piccoli uccelletti avvicinarsi al bordo, spaventandoli, per bere la purezza di quelle acque.
Ma proprio là, seguendo il suo corso, dove il fiume che cullava la cultura e l’arte compieva una piccola volta e inclinava verso nord, imprigionando una tozza collina verdeggiante, sorgeva una piccola casupola in legno grezzo, arrangiata su quattro pareti e di due soli piani. Le imposte alle finestre erano aperte e lasciavano traspirare il vento e la luce del sole. Attorno solo un giardino di piante selvatiche; poco distante un boschetto di ulivi e secolari cipressi, assieme ad uno stretto sentiero percorribile a cavallo che si arrampicava su tutto il pendio, giungendo proprio sull’ingresso della casa..
Ad un tratto si udì un uomo chiamare a gran voce: -Leonardooooooo!-.
Alcuni uccelli sugli alberi, terrorizzati, fuggirono in cielo. Altri si nascosero altrove, magari svolazzano dall’ulivo al cipresso, o dal cipresso all’ulivo. Fecero una gran caciara di cinguettii, poi la voce d’uomo chiamò di nuovo, più indispettita: -Leonardooooooooooooooo!-.
In fine, accanto alla piccola casa, sorgeva un capannone col tetto un po’ fragile e un vasto ingresso. La costruzione era bassa ma larga almeno cinque metri, ed era nascosta tra un albero e un altro. Era da lì che provenivano le grida dell’uomo.
-Leonardooooooo!- strillò ancora costui.
L’interno era illuminato solo dalla luce che riusciva a passare dall’entrata a doppia anta scorrevole lasciata aperta. Sulle pareti erano disposti dozzine e dozzine di disegni, grandi e piccoli, fatti su una carta molto lavorata. C’erano anche diversi attrezzi, la maggior parte dei quali erano gettati a terra ai piedi di una grande figura allungata le cui estremità laterali quasi toccavano i muri del capanno. Cadevano come liane della giungla moltitudini di lacci, cinghie, e poi tranci di legno, spezzoni, tele; il tutto era sospeso a mezz’aria da una parte, ma troppo pendente verso il basso dall’altra dove, si vedeva con chiarezza, era chinato un giovane uomo.
Le braccia robuste del ragazzo sostenevano l’estremità sinistra del grande oggetto misterioso in parte nascosto da un ampio telo bianco. I denti stretti, i muscoli tesi, il viso contorno nella smorfia di chi sta faticando ormai ben oltre il dovuto. Le vesti che indossava erano ridotte ad una larga camica bianca di morbido cotone, leggermente sbottonata sul petto a mostrare il fisico allenato. I pantaloni scuri si accompagnavano ad un paio di stivali. I capelli li portava lunghi e legati in una coda di cavallo, ma alcune ciocche gli cadevano comunque in volto.
Parlò, o meglio, gridò di nuovo con la voce compressa da un primo intenso dolore: -Leonardo, dannazione! Sbrigatevi!- implorò nuovamente sistemandosi meglio il carico che teneva sulle spalle. –Ma dove si è cacciato?!…- borbottò che la mascella gli doleva per quanto la teneva stretta.
Ad una finestrella della piccola casa sulla collina si affacciò un uomo di poco più adulto del primo. La barba lasciata crescere, gli occhi scuri e ben attenti, le sopracciglia folte e il vestiario reso comodo per via del lavoro che ancora lo aspettava e il clima di quella giornata scelta per emergere.
-Ezio! Pazientate ancora un istante, sarò subito da voi!- rispose, dopodiché tornò a frugare per le stanze del secondo piano di casa, cercando chissà cosa.
-Perfetto!- eruppe Ezio dal capanno, gridando per farsi sentire. –Ma non stupitevi quando tornerete qui…- si aggiustò il carico sulle spalle. –E troverete ad attendervi solo una poltiglia! Sarà ciò che resterà di me quando la vostra macchina dannata mi schiaccerà!- si lamentò fissando il vuoto dinnanzi a sé. Sentiva cedere le gambe, tremare le braccia: non avrebbe retto ancora allungo.
-Trovato!- Leonardo tirò fuori da una vecchia cesta di paglia ingiallita ciò che cercava. Era una forcella con un meccanismo tirante che aveva ideato da bambino, per tirare su il secchio da pozzo di casa, ma giusto quell’inverno ci aveva lavorato come si deve traendone un utensile più che necessario. Aveva sempre saputo che prima o poi gli sarebbe ritornato utile, soprattutto quando si trattava di carichi pesanti che sarebbe stato altrimenti impossibile spostare.
-Arrivo, Ezio!- disse mettendosi a correre giù per le scale con tutta la cesta in grembo. Uscì di casa, ma prima che riuscisse ad abituarsi alla troppa luce del sole, era già entrato nel capanno di gran fretta accorrendo in aiuto del suo compagno sventurato.
-Che Dio sia lodato!- vociò Ezio riacquistando un po’ del vigore perduto.
-Resistete- cominciò Leonardo poggiando in terra la cesta e traendone poco a poco pezzi l’uno più strambo dell’altro: con rotelle, corde e frammenti di legno vario, fu in grado di costruire in pochi minuti un meccanismo tirante che, stretto da un gancio nella parete da una parte e legato ad un montante della macchina dall’altro, bastavano pochi gesti ed Ezio sarebbe stato finalmente libero del peso del misterioso. –Appena potete, allontanatevi da qua sotto!- suggerì poi l’inventore.
-Se potessi, mi allontanerei all’istante!- ruggì Ezio.
-Per questo ho detto “appena potete”!- ribadì l’altro stringendo un bullone.
Quando tutto fu pronto, Leonardo si posizionò su una scala posta a parete, abbastanza in alto per poter afferrare un lembo della corda che pendeva lì accanto e gettarcisi a capo fitto verso il suolo, dopo un balzo di due metri. Il meccanismo fece leva come dovuto, e mentre Leonardo saltava verso il basso, il pesante oggetto gravante sulla schiena di Ezio si alzò verso l’alto. Il tirante giunse alla sua massima estensione, un nodo segnava il limitare della corda alla quale fu impossibile proseguire la sua corsa nella carrucola. Fu così che, nel trambusto di mille rotelle e carrucole, lacci e cinghie, la macchina nascosta dal telo prima salì, e poi tornò giù.
Ezio avvertì il fardello sulle sue spalle innalzarsi tutt’a un tratto, e come detto da Leonardo poco prima, appena ne fu in grado, si lanciò in avanti sfuggendo per un pelo alla caduta della macchina, che tornò a terra con un gran tonfo.
-Ma che diavolo…- Ezio si mise a sedere sul pavimento del capanno, e seguì la traiettoria del tirante.
La macchina sarebbe dovuto rimanere sospesa in aria, ma il tirante e il bilanciere non avevano fatto il proprio dovere. Quest’ultimo, vide Ezio, era ancora sospeso in alto, penzolante ben stretto alla fune di cui si era servito poco prima.
Leonardo stava così attaccato al soffitto del capanno, perché il proprio peso non era bastato a tenere sospesa la macchina che invece era tornata a terra rischiando di scacciare ser Ezio nuovamente della propria massa.
-Capisco che la vostra grande passione è sempre stata l’altezza, Leonardo, ma cortesemente, ora potreste anche scendere di lì!- sbottò Ezio alzandosi in piedi e pulendosi della polvere sui vestiti.
Leonardo si dondolò prima avanti poi indietro, fin quando non raggiunse la scala dalla quale si era lanciato poco prima. –Perdonatemi- disse scendendo un gradino alla volta. –Non pensavo che non sarei bastato per bilanciare il peso- ammise.
-Probabilmente- Ezio si schiarì la gola. –Il telo che vi avete posto sopra per la pioggia della scorsa settimana l’ha appesantito più del dovuto- suggerì.
-Sì- concordò Leonardo massaggiandosi il collo. –Avete ragione. Ma credo che questa botta non le abbia fatto molto bene- sospirò.
-Hmm- fece Ezio seguendo lo sguardo dell’inventore sulla macchina. Incrociò le braccia al petto.
-Usando quel meccanismo pensavo che avrei potuto tenerla sospesa per riprendere i lavori con più calma, ma adesso che il tirante mal funziona sarà impossibile rimetterla su- disse Leonardo avvicinandosi al telo che celava la grande macchina. Ne accarezzò un lembo e vi batté due colpi. –Forza!- si rallegrò d’un tratto voltandosi. –C’è tanto che resta da fare! Occupatevi di liberare i tiranti posteriori, dopodiché raggiungetemi fuori dove stavamo lavorando sulla rampa. Prima di pranzo farete il vostro primo volo di prova, ve lo garantisco!- gioì.
-Ah…- si schermì Ezio. –Già, non vedo l’ora…- farfugliò poi rimboccandosi le maniche.

Il tempo trascorse agilmente, le prime ore della mattina si consumarono nei rapidi gesti necessari per la costruzione della rampa. Leonardo ed Ezio fecero un lavoro svelto e incredibilmente resistente, capace di tenerli entrambi che assieme facevano un centinaio di chili e più. La rampa venne issata sul pendio più stretto della collina, ovvero il versante che dava opposto alla magnifica Firenze, le cui case, le cui piazze e le cui strade si perdevano in una prima foschia. La piattaforma fu montata alle spalle del capanno e della casupola, dove la vista era mozzafiato e a strapiombo sulle rive dell’Arno che, proprio in quel punto, cingeva la collina compiendo un arco per poi perdersi nelle valli.
Soddisfatti, Ezio e Leonardo lasciarono così pronta la rampa e, rientrando nel capanno, dedicarono le forze restanti ai tiranti posteriori da slacciare e alla macchina da caricare, delicatamente su un carrello che l’avrebbe condotta sino a quei metri di rincorsa necessari distanti dalla rampa.
-Pronto?- chiese Leonardo guardando l’amico dall’altro capo della costruzione.
Ezio fece un gesto d’assenso col capo. –Al vostro servizio, da Vinci- arrise.
-Spingete!- ordinò allora Leonardo gonfiando il petto, ed Ezio tese un braccio piegando l’altro, accompagnando la macchina che, grazie ai carrelli ad essa saldati, venne condotta dai due fuori dal capanno.
Ora libera del telo che prima ne nascondeva le fattezze, la maestosa macchina quasi si mise a brillare baciata dai raggi del sole del mezzogiorno.
Le grandi ali di tela bianca rilucevano di luce propria, scintillando del loro candore. La forma di uccello non era mica scelta a caso, anzi: gli conferiva un aspetto aerodinamico che Leonardo aveva allungo ricercato nell’osservazione e nello studio dei pennuti che, fin dall’infanzia, lo affascinavano.
I vari legamenti scricchiolarono un poco nel transito dal capanno alla posizione stabilita davanti alla rampa; transito che durò pochi secondi e richiese un’immensa fatica nonostante i carrelli. La macchina faticava a spostarsi sulla terra, tra un ciottolo e l’altro del sentiero e poi sull’erba della collina che, irregolare, presentava alcune cunette da sorpassare.
-Qui andrà benissimo!- annunciò Leonardo dando di freno. –Spostiamola più indietro e allineiamola con la rampa- disse.
Ezio si mise subito all’opera tirando indietro la macchina e facendola ruotare il necessario perché l’estremità in testa fosse puntata perfettamente verso la rampa che terminava con un tuffo nel vuoto poche decine di metri sopra le acque dell’Arno.
Ezio ingoiò il groppo che aveva in gola. –A parte il vostro immenso coraggio e la vostra sfrenata passione, vi è qualche altra certezza che garantisca la riuscita del vostro progetto, Leonardo?- chiese a malincuore.
-Sì, Ezio, ce n’è un’altra- rispose con prontezza il da Vinci finendo di controllare e stringere alcuni dei lacchi che collegavano le varie parti della macchina. Il sorriso stampato sulle sue labbra era tutt’altro che rassicurante.
-Ebbene?- insisté Ezio.
-Voi, messere- arrise Leonardo. –Siete voi la clausola che assicura la riuscita del mio progetto-.
Ezio aggrottò la fronte. –Credo di non capire-.
-Se vostro padre dalla tomba sapesse che vi ho torto un solo capello- rispose tirando un cinghia con violenza. –Non esiterebbe- riprese –un solo istante a domandare al Dante in persona, dovunque egli si trovi, di mettere il mio nome sulla lista per l’Inferno- concluse allegro. –Perciò sono più che tenuto ad essere certo delle mie supposizioni prima di mandarvi all’altro mondo, Ezio. E’ sufficiente come ragione che mi spinge a mettere questa macchina a vostra disposizione?- formulò con tranquillità.
Ezio carezzò la tela dell’ala mettendosi a sedere sull’erba all’ombra di essa. –Sì, Leonardo- disse ammirando il panorama delle valli appenniniche che si estendeva tutt’attorno. –E’ più che sufficiente-.
Il ricordo di suo padre come conoscente di Leonardo, e l’amore per la cultura, l’arte e il buon gusto che avevano entrambi… tutti piccoli particolari per cui valeva la pena affiancare quel pazzo inventore nelle sue scoperte ancora una volta.
-Ditemi, Leonardo- intervenne Ezio ad un tratto interrompendo i suoi pensieri e il silenzio della natura che si era formato tutt’attorno.
Leonardo sedette accanto a lui. –Cosa?- fece curioso seguendo lo sguardo dell’altro giovane perdersi nelle campagne fiorentine.
-A parte l’ira di mio padre che avreste sulla coscienza sino all’altro mondo- arrise Ezio –cos’altro mi costringe ad essere qui quest’oggi?-.
-Ah!- Leonardo prese una gran boccata d’aria. –Come prima cosa, mirate che magnifica giornata da passare all’aperto in compagnia di vecchi amici!- gli batté una mano sulla spalla. –E in secondo luogo- aggiunse con malizia guardandolo negli occhi. –E’ il minimo che possiate fare essere mia cavia quest’oggi, Ezio. Non riparo mica lame nascoste a gratuito io, eh!-.
Scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.

-Ezio, le ginocchia non così strette!-.
-Non vorrete che precipiti nel fiume, spero!-.
-Ovvio che no, ma dovete tenervi teso sui piedi, e non stringere le ginocchia-.
-Così?-.
-Esatto-.
-Ma siete sic…-.
-Sì, sono sicuro! E adesso passiamo ai comandi. Ricordate che la macchina segue i vostri movimenti, perciò bilanciate il peso e siate coerente, ma poco frettoloso-.
-I comandi li abbiamo già ripassati la scorsa settimana. Ora ditemi coma diavolo faccio atterrare questo coso!-.
-E’ molto semplice-.
-Bene. Dite! Sono tutt’orecchi-.
-Se vedete un albero, prendetelo in pieno-.
-COSA?!-.
-Ahahahaha!-.
-Non siete divertente, Leonardo-.
-Suvvia, Ezio! Le correnti vi riporteranno a casa sano e salvo, vedrete!- ridacchiò l’inventore apportando le ultime modifiche perché Ezio potesse stare più comodo possibile, aiutandosi con la sua figura già posizionata sotto l’aliante. –Forza, ora scendete da qui e andate a mettervi addosso qualcosa di più pesante che solo ‘sta camicia. Lassù farà freddino- gli consigliò.
Ezio trasse le caviglie dall’apposito spazio e balzò giù agilmente. Si avviò di corsa verso il capanno e recuperò la parte superiore delle vesti di suo padre che indossò con sveltezza. Quando fu pronto tornò da Leonardo e fece per rimettersi sotto l’aliante, lì dove sarebbe rimasto durante tutto il volo.
-Per tutti gli Angeli…- mormorò Leonardo guardandolo.
-Cosa c’è?- domandò stupito ser Auditore.
-Nulla- Leonardo scacciò alcuni pensieri scuotendo la testa. –Devo dire che con quelle vesti addosso non credevo che vi ci avrei mai visto così da vicino- commentò mentre si chinava in ginocchio per stringere alcuni bulloni delle ali.
Ezio tornò a fissare dinnanzi a sé, stringendo sempre più convulsamente la stecca che aveva di fronte tra le mani. –Mio fratello meritava queste vesti almeno quanto me-.
-Ah! Conoscendo Federico- sghignazzò l’uomo. –Non avrebbe accettato di volare con una mia invenzione con la tale facilità con cui avete accettato voi-.
-E con questo cosa vorreste dire?!- eruppe Ezio.
-Serrate le vele, marinaio! Si parte!- Leonardo si allontanò di qualche passo continuando a ridere tra sé e sé.
-Dannazione-.
-Pregate il Santo in cui credete, assassino! E spiegate le vostre ali d’angelo!- gli parlò ancora Leonardo mentre piegava leggermente le ginocchia e si preparava ad intraprendere la rincorsa.
-Mi raccomando, fate con calma!- eruppe l’inventore. –Se mai doveste avere cento guardie che v’inseguono, avreste anche in quel caso tutto il tempo che desiderate, Ezio!- lo minacciò con quelle parole.
E fu allora che Auditore diede di gambe, partendo in corsa verso la rampa. Ora la macchina era leggera sulle sue spalle, priva di carrello, ed egli poté portarla facilmente con sé sino al punto di lancio.
A pochi passi ancora dall’estremità della piattaforma, la corsa lasciò spazio ad un vero e proprio salto nel quale l’assassino consumò il metro successivo di terreno calpestabile. Per un istante che parve infinito, le ali della macchina si gonfiarono della corrente che lo tenne sospeso rettamente nell’aria per un frammento di secondo; ma poi, risucchiato da un vento turbolento, Ezio e il grande uccello precipitarono entrambi verso il basso diretti a capo fitto nell’Arno che distava poche decine di metri.
Leonardo accorse sul bordo della collina e anch’egli cominciò a pregare perché i tiranti delle ali risollevassero sia la sua macchina che il giovane uomo.
Ad Ezio sfuggì un grido che rimbombò per la valle ed oltre fin quando, a pochi centimetri dalle acque turbolente e cristalline dell’Arno, le piccole carrucole e i meccanismi di sospensione si attivarono come per magia. Le ali si gonfiarono una seconda volta, ma restarono tali, belle, ampie e rigide per il volo che venne. Il grande uccello tornò a sollevarsi, risalendo la riva del fiume e poi più su, fino giungendo dove il vento formava un tunnel ascensionale delle sue correnti, che innalzarono ancora la macchina cullandola dolcemente tra le nuvole.
-FUNZIONA!- si udì uno strillo di vittoria. –FUNZIONA, EZIO FUNZIONA!- Leonardo aveva gli occhi verso il cielo, socchiusi per il sole ma sgranati per quella stessa gioia e commozione che glieli aveva riempiti di lacrime. –Funziona…- gli tremavano le mani, la schiena, le gambe. Si sentì quasi svenire per la felicità che aveva in cuore.
Ezio cacciò un altro grido, ma ‘sta volta di compiacimento e non più di terrore. Di quello ne era rimasto un po’, soprattutto nella difficoltà di tenere gli occhi inizialmente aperti. Nonostante le fredde correnti e il vento che picchiava sulla faccia, Ezio volle vedere: vedere la terra allontanarsi da sotto i suoi piedi e le nuvole inghiottirlo in cielo, accompagnato da un branco di uccelli che era riuscito a spaventare da un gruppo di alberi col suo urlo. –Wuhahahah!- l’Auditore era commosso, meravigliato dello spettacolo che gli si apriva dinnanzi al naso. Ogni cosa, pietra, albero che fosse diventava piccola come una formica man a mano che la macchina di Leonardo si portava sempre più in alto.
D’un tratto, non seppe se per la distrazione e per voler suo, Leonardo, che era rimasto come una statua a piedi fissi sulla rampa da lui stesso montata, vide la macchina inclinarsi ed eseguire una virata che la portò addietro, di ritorno verso la casa.
-Funziona!- strillò di nuovo alzando il naso al cielo, vedendo Ezio passargli sopra la testa e osservando la sua ombra alata correre sul prato verde della collina.
Ezio, dalle nuvole, gli lanciò solo una fugace occhiata e imboccò il vento che lo condusse sino oltre la collina. Puntava dritto a Firenze.
Leonardo allora mandò un’imprecazione e seguì il sentiero giù dalla collina, giungendo dove Ezio aveva lasciato a brucare il suo cavallo. Montò in sella di fretta e si avviò all’inseguimento.
Le sue paure si smentirono nell’atto di messer Auditore che, quando si accorse dell’uomo che lo seguiva da terra sul suo cavallo, impiegò perché il grande uccello virasse di nuovo. Lo inclinò anche un po’ in avanti, spostando il peso verso la punta, così che potesse perdere quota.
La macchina sorvolò così a pochi metri di distanza la criniera del cavallo sul quale sedeva in sella Leonardo. La bestia, spaventata, si alò su due zoccoli e sfuggì al controllo dell’artista per alcuni secondi.
Leonardo udì chiaramente la festosa risata di Ezio allontanarsi nel vento.

Il volo non durò troppo allungo, perché, una volta invertita la rotta, Ezio si era trovato costretto ad un atterraggio improvviso sulla stessa collina dalla quale era partito. Prima ancora che spiccasse il volo, Leonardo non gli aveva dato tutte quelle informazioni necessarie purché salvasse la pelle e la tela della macchina, perciò si vide costretto ad improvvisare.
Mentre Leonardo risaliva la collina a cavallo, Ezio portò in avanti le gambe, liberandole dalla seconda stecca sulla quale le aveva tenute poggiate. Dopodiché, sentendo la macchina cominciare a sbilanciarsi troppo, lasciò la presa tenendo alte le braccia e aprendo le mani.
Atterrò rotolando nell’erba, ritrovandosi successivamente con la faccia nella terra senza un minimo di esperienza, nel frattempo che il grande uccello perdeva quota adagiandosi sul prato come un aquilone senza vento da cui dipendere.
Ezio si sollevò a fatica con braccia e gambe tutte indebolite per l’impatto violento dell’atterraggio, e Leonardo giunse da lui in quell’istante.
-Ezio! Ezio, state bene?!- chiese in pensiero smontando dal cavallo e avvicinandosi all’amico.
-Ho trascorso momenti più piacevoli- gli sfuggì una smorfia alzandosi e massaggiandosi il fondoschiena.
-Immagino- ridacchiò l’inventore. –Benone, quello di oggi è stato un grande traguardo!- fece meravigliato avviandosi di corsa verso la macchina.
-Dobbiamo festeggiare, allora- propose Ezio andandogli incontro.


   
 
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