Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Puglio    18/11/2009    2 recensioni
"...Nadia si coprì gli occhi con le mani e pianse. Qualcuno la toccò sulla spalla, e lei sollevò il viso, rigato di lacrime. Il bambino si era rialzato e ora la fissava attraverso i suoi occhi vuoti, ma accesi di una strana e cieca consapevolezza. Lei gli rivolse uno sguardo disperato. «Perché?» disse. «Perché tutto questo?» Perché è il tuo destino, fu la risposta, prima che lei si svegliasse..." Primo volume del mio seguito della serie “Nadia: il mistero della pietra azzurra”. Sono passati cinque anni da quando Nadia e Jean hanno combattuto contro Gargoyle. Nadia si è trasferita in Inghilterra, dove lavora come giornalista. Jean, dopo aver seguito Hanson a Berlino per motivi di studio, ora insegna in una prestigiosa università americana. Le loro vite sembrano destinate a separarsi per sempre, se non fosse per un evento inaspettato, legato a un misterioso oggetto, che li costringerà a ritrovarsi e a fare i conti con i fantasmi del passato. La trama di questa ff tiene scrupolosamente conto di quanto raccontato nella serie e nel film "Nadia e il segreto di Fuzzy". Tuttavia, essendo ambientata cinque anni dopo la fine della serie, ho creduto necessario pensare e proporre un'evoluzione del carattere dei personaggi. Dunque non stupitevi se incontrerete personaggi apparentemente fuori carattere, o un'ambientazione che si mostra a tratti lontana da quella a cui ci aveva abituato la serie: è proprio ciò che ho voluto fare, cioè immaginare come Nadia e gli altri sarebbero stati una volta "diventati grandi". Da questo punto di vista, i personaggi sono divenuti necessariamente oggetto di una "riscrittura", visto che la storia li presenta più vecchi di ben cinque anni; tuttavia, ho cercato di modellare quelli che sono i nuovi tratti del loro carattere basandoli sui tratti originali, in modo da presentare una loro possibile vita futura che risultasse però coerente con quanto era stato raccontato nell'anime. Per chi non volesse registrarsi sul sito ma intendesse comunque dire la sua: nadia.ilmisterodellapietrazzurra@yahoo.it Ciao!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alle 23 e 35 del 29 Maggio 1890, l’astronomo David Billings e il fisico John Hume dell’osservatorio di Greenwich, puntarono per puro caso il telescopio sulla fascia di cielo compresa tra la Grande Nebulosa di Orione e la piccola Nebula M78, catalogo Messier. Non avevano un reale motivo per osservare quella particolare area del cosmo e anche per questo, quello che si presentò ai loro occhi li lasciò senza parole. Un nuovo pianeta era visibile in modo chiaro e distinto: la sua distanza dal Sole era all’incirca di 150 milioni di chilometri, più o meno la stessa della Terra; ma il pianeta sembrava seguire un’orbita completamente diversa rispetto a quella terrestre. Gli venne dato il nome Side e fu possibile osservarlo per alcuni mesi. In seguito, tuttavia, scomparve misteriosamente com'era apparso. Ogni ulteriore tentativo di inquadrarlo, dopo di allora, si risolse in un insuccesso. Nessuno riuscì mai più a vederlo.

Valle dell'Urubamba, Bolivia, 23 Febbraio 1895

Incrociatore imperiale di Atlantide, Mesekhet



Quando la porta si aprì, lo vide come al solito immerso nelle carte, la fronte corrugata sorretta da una mano. Negli occhi aveva sempre il solito sguardo angelico da bambino, quasi che la sua infanzia si fosse trattenuta in lui forse troppo a lungo, proprio come una lacrima tra le ciglia folte. Ma era più probabile che un'infanzia lui non l'avesse mai neppure avuta e quello non era, dunque, che uno spettro terribile di essa, che aleggiava spargendo tutt'intorno a sé il proprio monito. Era qualcosa di lui che la stupiva sempre: come una tale dolcezza potesse convivere con un animo così duro.

Gli si avvicinò, come sempre attenta ad aspettare che fosse lui ad invitarla a parlare. E, come sempre, lui alzò gli intensi occhi di ghiaccio, fissandoli severamente nei suoi. Talvolta lei l'aveva visto sorridere, ma era molto che non accadeva.

«Si?» le domandò. «Cosa desidera, Faloe?»

«Signore, ci sono novità... spiacevoli» fece la donna. Lui aggrondò ancora di più.

«Quali?»

«Non abbiamo più notizie del resto della spedizione. L'incrociatore Argo è sparito improvvisamente dal rilevatore posizionale, dopo che si erano interrotte le comunicazioni nel passaggio attraverso la Merkaba. Appena abbiamo raggiunto la gravità terrestre abbiamo provato a contattarli, ma senza successo».

L'uomo impallidì. «Non può essere vero».

«Purtroppo è così, signore» fece lei, con un timido inchino. «Li abbiamo persi».



***

Resoconto stilato da:

Capitano di corvetta Jacob Ketterley, Marina Reale Britannica, distaccamento di Wellington, New Zeland, Oceano Pacifico.

Oggetto: Incidente avvenuto presso Samoa, 23 Febbraio 1895


Questo è quanto emerso dall’interrogatorio dei testimoni, marinaio scelto Murray, Carl e mozzo Leslie, Harold.


Versione di: Leslie, Harold, mozzo, prestante servizio a bordo della fregata H. M. S. Queen Victoria:


Il 23 Febbraio, ci trovavamo al largo dell’arcipelago di Samoa, al confine con le acque Americane. Erano circa le 12. Me lo ricordo perché dovevo portare le patate alla cambusa, per il pranzo, ed ero sceso a prenderle nella stiva.

Prima di rientrare, mi sono fermato un secondo sul ponte, a fumare. Non avrei dovuto, ma era tutta la mattina che non mi facevo una sigaretta, e cominciavo ad averne davvero bisogno.

Me ne stavo lì, tranquillo; ricordo che il sole era caldissimo e il riflesso sul mare accecante. Tirava una leggera brezza e sul ponte non c’era nessuno. Stavo bene.

Improvvisamente, ma proprio così, di punto in bianco, tutto s'è fatto silenzioso. Me ne sono accorto perché ho cominciato a sentirlo dentro di me, prima che all’esterno. È strano da spiegare: il cuore ha preso a pulsarmi nelle orecchie, come quando uno se le tappa.

Mi accorsi che il vento si era improvvisamente calmato. Il mare era tranquillo, liscio come un tappeto. Non riuscivo quasi a scorgere la cresta delle onde.

Ricordo benissimo che mi sono guardato intorno e ho visto che tutto aveva cambiato colore. Era come se ci illuminasse una luce chiarissima e abbagliante. Ho guardato all’orizzonte e mi sono accorto di una enorme colonna di luce azzurra che dal mare saliva fino in cielo. Ho pensato subito a un’esplosione vulcanica, qui ne accadono spesso, e ho avuto paura che potesse scatenarsi uno tsunami, o una cosa del genere. Ho gridato, almeno credo, ma non ho sentito nessun suono uscire dalla mia bocca. Per un istante, il sole si è coperto e tutto si è fatto buio. L’unica cosa che brillava era quella intensa colonna di luce azzurra, ma confesso che potrei anche aver avuto un’allucinazione, perché tutto è durato davvero pochissimo. Ho cominciato a correre e ricordo bene la fatica che ho fatto per muovere le gambe. Erano come incollate al legno del ponte e non volevano saperne di muoversi. Forse perché ero terrorizzato, chissà.

Riuscii in qualche modo a dare l’allarme. Il primo che incontrai fu il sottufficiale marinaio scelto Carl Murray. Salì con me sul ponte e quando vide quello spettacolo, restò pietrificato esattamente come me. Fu pochi istanti dopo che la luce scomparve e tutto riprese a scorrere come se nulla fosse successo.



***

Fossa di Tonga, Samoa, Pacifico Occidentale,

23 Febbraio 1895



«Tirali su!»

Il marinaio azionò il verricello. Lentamente e con uno stridente rumore di ingranaggi e lamine di acciaio che sfregavano tra loro, la scaletta si abbassò, raggiungendo il pelo dell’acqua. Uno alla volta, i tre sommozzatori si prepararono a risalire a bordo.

«Ecco il primo, Hanson. È Sergio» gridò uno dei marinai, che se ne stava sulla balaustra, affacciato sul mare come da un balcone.

Hanson Garrett se ne stava dritto in mezzo al ponte, cercando di controllare che tutto filasse per il verso giusto. Fece un cenno deciso con la mano.

«Aiutalo, forza. Tiralo su».

Il sommozzatore si aggrappò alle mani che gli venivano tese dai compagni. Non appena ebbe scavalcato la balaustra, si accasciò sul legno bagnato del ponte, ansante.

«Caràjo» esclamò, guardando da sotto in su Hanson, che avanzava a passo malfermo verso di lui. «Ma que pasò?»

«Quien sabe?» commentò Hanson, tendendo la mano al secondo degli uomini che risalivano la scaletta. «Un gran casino, questo è certo».

«Forse dovremmo andare a vedere che non ci siano feriti, non credete anche voi?» disse il secondo dei sommozzatori, mentre si toglieva di dosso l'attrezzatura.

Hanson annuì. «Credo anch’io. Domanderò a Kurtag se è d’accordo. In fin dei conti, è lui che guida la spedizione».

Non appena tutti i sommozzatori furono fatti risalire a bordo, Hanson compilò un rapporto su quanto avevano riportato, quindi si diresse sotto coperta. Scese la ripida scaletta dagli stretti gradini, attento a non ruzzolare. Il passaggio era angusto e lui poteva avanzare solo stando di lato, a causa della sua stazza.

Devo mettermi a dieta, pensò. Giuro che prima o poi lo faccio. Davvero, così non può andare avanti.

Bussò a una piccola porta di legno. Dall’altra parte di essa, una voce sottile e profonda al tempo stesso lo invitò ad entrare.

Un anziano signore sui settant’anni se ne stava in piedi, con i gomiti appoggiati a una specie di ripiano su cui si trovavano un libro aperto, una carta geografica e diversi fogli manoscritti. Sembrava intento a decifrare qualcosa tracciato su un foglio e se ne stava chino, con la testa dai capelli incanutiti tra le mani.

«Prof.?»

L’uomo si voltò, fissando Hanson da sopra gli stretti occhiali che portava in bilico sulla punta del naso.

«Ah, sei tu?» disse. «Stanno tutti bene?»

«Sì, solo un po’ spaventati» rispose Hanson, e indugiò con lo sguardo sul resto della cabina. Sembrava che tutto si fosse rovesciato là dentro. «E lei?» domandò, lievemente preoccupato.

«Solo un po' di confusione, tutto qui».

Hanson osservò dubbioso la cabina messa a soqquadro. Kurtag dava realmente l'impressione di non essere rimasto toccato da quanto era accaduto. Probabilmente era così immerso nei suoi studi che, quando la mareggiata li aveva investiti, non si era accorto di nulla.

«Il rapporto dell'immersione?» chiese il professore. Hanson gli tese la cartellina.

«Eccolo».

Il vecchio studiò il foglio, limitandosi ad annuire.

«Bene. Come pensavo». disse. Quindi, soppesandolo con gli occhi: «pensi che potremmo scendere ancora più in basso?»

Hanson scosse la testa. «Temo che abbiamo raggiunto il limite. Ho provato ad aggiustare le saldature della gabbia di profondità, ma non so per quanto ancora potranno reggere».

Il professore si morse un labbro, picchiettando la cartellina sul ripiano di lavoro mentre guardava fuori dall’oblò.

«Questo significa che dobbiamo tornare a casa?»

«Almeno finché non riusciamo a trovare il modo di scendere oltre i 500 metri senza rischiare la pelle» rispose Hanson, con una scrollata di spalle.

«Sono convinto che prima o poi riuscirai a trovare la soluzione» fece Kurtag ridendo. «Solo, cerca di muoverti. Non mi resta molto tempo. Sono vecchio».

Hanson rise. Il professore era anziano, è vero, ma ancora pieno di energie. «Un'altra cosa,» riprese Hanson. «Ci chiedevamo se non fosse il caso di andare a controllare...»

«Sì» saltò su Kurtag, intuendo quello che l'altro stava per dire. «Dirigiamoci là, magari possiamo essere di aiuto».

Hanson annuì, quindi si allontanò, lasciando il professore ai suoi pensieri. Non appena fu risalito sul ponte, richiamò l’uomo addetto alle macchine.

«Rotta est, nord est, Kyle» gli disse. «Facciamo in fretta».

Il ragazzo scattò, prendendo la barra del timone. «Andiamo a vedere, Han?»

Hanson annuì. Fissava con il binocolo nella direzione in cui aveva visto alzarsi quella immensa colonna di luce.

«Sì» disse. «Andiamo a vedere. E che Dio ce la mandi buona».



***

Resoconto stilato da:

Capitano di corvetta Jacob Ketterley, Marina Reale Britannica, distaccamento di Wellington, Oceano Pacifico.

Oggetto: Incidente avvenuto presso Samoa, 23 Febbraio 1895

Versione di: sottufficiale Murray, Carl, marinaio scelto, prestante servizio sulla fregata H.M.S. Queen Victoria:


Erano le 12 e 05 quando vidi il mozzo corrermi incontro in preda all’agitazione. Pensai che fosse successo qualcosa di terribile, perché mi sembrò davvero sconvolto. Per questo decisi di seguirlo immediatamente sul ponte, per vedere cosa fosse successo, anche perché dalle sue parole scomposte era difficile riuscire a capire qualcosa.

Quando fui sul ponte, mi trovai di fronte a uno spettacolo a dir poco impressionante. Una enorme colonna di luce azzurra saliva dal mare fino al cielo, in direzione della poppa. Era qualcosa di incredibilmente spaventoso, perché sembrava distante almeno una cinquantina di miglia e tuttavia era colossale. Temetti per un’esplosione vulcanica e per un conseguente tsunami, e per questo corsi immediatamente ad avvertire il capitano; ma non appena questi salì in coperta, della luce non c’era più traccia.

Ci recammo comunque sul posto. Trovammo una serie di frammenti metallici, sparsi tutt'intorno. Dopo poco ci raggiunse una nave cerca relitti, o qualcosa del genere. Erano venuti a vedere anche loro quello che era successo. Ci scambiammo alcune informazioni su quello che avevamo visto e cominciammo a recuperare parte dei frammenti più grandi. Poi, improvvisamente, lo vedemmo: era una luce, una specie di faro che proveniva dal fondo dell’oceano. Lanciava un bagliore intermittente. In un primo momento ne fummo spaventati, perché temevamo che si potesse scatenare una seconda esplosione, ma in realtà non accadde nulla del genere. La luce continuò ad affievolirsi sempre più, finché non restò che un debole scintillio. Decidemmo che era il caso di saperne di più. Tuttavia, noi potevamo fare ben poco: non avevamo l'attrezzatura adatta al recupero subacqueo, né una squadra immersione. Se ne occuparono gli uomini a bordo di quella nave: possedevano tutte le attrezzature necessarie, e anche di più. Sembravano molto competenti, a giudicare da come si muovevano. Calarono in mare i sommozzatori e alcune apparecchiature strane, e trovarono quella pietra luminosa. Il resto lo sapete, non ho nulla da aggiungere a quanto già riferito dal resto dell’equipaggio.

Solo una cosa ancora mi perseguita, in tutta questa storia. Non riesco davvero a capire che fine abbia fatto il tempo che sono sicuro di aver impiegato a guardare l'esplosione. Sono assolutamente certo di essere rimasto lì, a fissare quello spettacolo impressionante per diversi minuti, prima di riuscire a reagire. Eppure, il capitano afferma di avermi visto uscire dalla cabina di comando solo pochi secondi prima che io mi precipitassi a chiamarlo. È questo che non riesco a spiegarmi. Ma chissà, forse la mia fu solo suggestione.

***










La caratteristica di essere un uomo, è solo quella che lo è per importanza.

Winston si sforzò di capire cosa diceva quella frase racchiusa nel quadro. Tutte le volte che si trovava a passare da lì, cercava di capirci qualcosa, ma ogni volta gli risultava sempre più oscura. Non che gli piacesse particolarmente. La trovava persino stupida: per lui, una frase incomprensibile era una frase che non voleva dire nulla.

Scrollò le spalle. Anche il quadro non gli piaceva. Gli dava i brividi. Certo che ce ne voleva di pessimo gusto, per appendere una roba del genere. Uno scheletro umano era raffigurato seduto su un trono, con in mano una enorme spada, mentre nell’altra reggeva una bilancia di cui si serviva per pesare alcune monete d'oro. Sotto ai suoi piedi ossuti, su una pergamena srotolata, si poteva leggere la frase misteriosa, quasi fosse stata messa lì a mo' di commento. O almeno così Winston aveva sempre immaginato.

Il ragazzo guardò il grosso orologio a pendolo appoggiato alla parete. Le tre meno cinque. Ormai era ora.

Si alzò e si aggiustò la giacca. Quindi si incamminò a passo calmo e deciso lungo il corridoio. I suoi passi echeggiavano tra il pavimento di marmo rosa e le pareti imbiancate. Tenne lo sguardo fisso avanti a sé, anche perché non c’era proprio nulla da guardare, se non la grande porta di quercia in fondo al corridoio.

Era come percorrere una sorta di lungo e stretto budello: Winston sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Accadeva tutte le volte che doveva andare in quel posto maledetto.

Si fermò davanti alla porta. Si passò una mano sui capelli impomatati, si spazzolò la giacca e si sistemò la cravatta. Non appena ebbe bussato, una voce calma e scura rotolò da dietro il legno spesso, invitandolo ad entrare. Come sempre, il ragazzo vide l’uomo seduto alla grande scrivania di mogano avvolto in una nuvola di fumo denso, il sigaro stretto tra le dita ingiallite dal tabacco.

«Puntuale, come sempre. Bravo».

Il ragazzo sorrise, impacciato.

L’uomo sospirò e una densa nube di fumo uscì dalle sue labbra. Tra le mani teneva una cartellina, su cui il giovane riuscì a leggere frettolosamente “Resoconti”. Non appena l’uomo alla scrivania se ne accorse, chiuse la cartellina in un cassetto, con un sorriso smaliziato.

«Prenda questa» disse, porgendogli una busta sigillata con la ceralacca. La carta era immacolata, senza alcuna scritta. «La consegni al solito indirizzo».

Il ragazzo si inchinò ossequioso, quindi fece per voltare le spalle e andarsene, come al solito.

«Aspetti».

Lui si fermò, una mano sulla maniglia. «Signore?»

«Lei è bravo» disse l’uomo, dopo un brevissimo istante. «Continui così e farà strada. Ma ricordi: mai rivolgere una domanda su quello che vede qui, né a se stessi, né ad altri; mai parlare di quello che vede qui, né con se stessi, né con altri».

L’uomo aspirò una boccata di fumo caldo. Quindi la trattenne per qualche istante, per poi soffiarla fuori dalle labbra, lentamente e con disinvoltura.

«Intesi?»

«Sì, signore» rispose, il giovane. «Grazie».

L’uomo annuì. «Può andare, Churchill».

E con un ultimo inchino, il ragazzo se ne andò.

  
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