LA
SCELTA GIUSTA
AVVERTENZA: SPOILER IN MERITO AL SECONDO FILM, IL
FINALE!!
Alcune parti sono prese dalla versione romanzata del primo film di
STAR TREK, tutta la parte dei sentimenti di Orecchie a Punta è largamente
ispirata al romanzo del primo film. ^_^
NON MI APPARTENGONO I SUDDETTI PERSONAGGI, SONO TUTTI DI GENE
RODDENBERRY.
§§§§
“Signor Sulu, si allontani alla più alta velocità
possibile.”
La voce dell’Ammiraglio risuonò sul ponte mentre, nell’urgenza del
momento, dettava ordini al timoniere asiatico, nessuna risposta era stata data
da Scotty dalla sala macchine.
Le dita del giapponese scivolavano rapide sulla tastiera, dando al
computer istruzioni in merito, mentre David Marcus, preoccupato, teneva i gomiti
poggiati contro la console, sorvegliando i dati dell’imminente esplosione della
torpedo Genesi.
L’agitazione di tutti era palpabile, si poteva quasi tagliare con
un coltello.
Con un movimento leggero, la poltrona dell’ ufficiale scientifico
si mosse e l’occupante, senza essere notato, si diresse verso il turbo
ascensore.
Era questione di minuti, doveva agire
subito.
Anche con la forza, se necessario.
Prima di chiudersi le porte, il Capitano Spock lanciò uno sguardo
allo schermo grande, in diretta sulla catastrofe che stava per abbattersi su di
loro, la nave spaziale, squarciata dalle ripetute esplosioni, riluceva di una
insana luminescenza biancastra.
Doveva riattivare la velocità warp oppure per tutti loro sarebbe
stata la fine.
Le porte si chiusero con un sibilo, e il Vulcaniano sparì nelle
viscere dell’Enterprise.
A passo svelto, si inoltrò nei meandri labirintici della sala
macchine, percorrendo stretti corridoi pieni di tubi e cavi, fino a sbucare
nella grande stanza, regno di Scotty e dei suoi
assistenti.
Non aveva più molto tempo.
Laggiù, la situazione era ancora più drammatica, le radiazioni
percorrevano lascivamente la pelle biancastra dell’ufficiale alieno, le sentiva
insinuarsi sotto pelle, tutto attorno allievi e tecnici, agitati, cercavano di
sigillare come potevano la fuga di radiazioni.
La via era libera.
Si avvicinò con decisione alla console di comando, con la coda
dell’occhio scorse il medico di bordo somministrare qualche cura sommaria ai
feriti, se si fosse accorto di lui lo avrebbe fermato, impedendogli di
agire.
Doveva sbrigarsi.
Scotty giaceva a terra semi-privo di sensi sotto l’effetto delle
radiazioni, da lui non c’era bisogno di
guardarsi.
Concluse di impartire ordini al computer e fece per avvicinarsi al
cilindro di contenimento, quando la sagoma snella e azzurra del medico gli si
parò davanti, prendnedolo per il braccio: “Spock, non sarà per caso impazzito!?”
gracchiò l’uomo, “Nessun umano può tollerare la radiazione che c’è là dentro!”
urlò, sbarrandogli la strada.
Con un sospiro accondiscente, Spock guardò il collega negli occhi:
“Come certamente sa benissimo, io non sono umano.” disse con tono piatto e
fermo.
Il medico lo afferrò per una spalla, sorprendendolo non poco e
bloccandogli i movimenti.
“lei non entrerà lì dentro.” ringhiò Bones, serrando la mano attorno alla spalla ossuta del suo
collega.
Se avesse potuto, Spock avrebbe sorriso a quel comportamento,
tipico di Bones, così umano e amichevole.
Ma non aveva tempo, doveva giocare d’astuzia se voleva davvero
andare sino in fondo.
Con un sospiro rassegnato, si scostò, tirandosi indietro: “Ha
ragione dottore, come sta il signor Scott?” disse a tono più basso; McCoy si
voltò verso il capo ingegnere, sospirando: “Non credo che..”, era il momento che
l’alieno aspettava.
Con la rapidità che lo aveva reso famoso e rispettato tra i suoi
uomini, strinse con forza un punto sul collo del dottore, tramortendolo. Con
cura, lo fece scivolare a terra, poggiandogli la mano sul volto segnato: “Mi
spiace dottore, non ho tempo di ragionare con la sua logica.. Lo ricordi..”
sussurrò gentilmente e, scostatosi, afferrò i guanti protettivi di Scotty,
dirigendosi a passo svelto verso il cilindro.
Scoccò un ultima occhiata ai suoi compagni semisvenuti, ed
entrò.
Le radiazioni lo avvolsero non appena ebbe messo piede lì dentro,
il respiro si fece difficile, ma non poteva lasciare nulla
d’intentato.
Non avrebbe mai permesso che accadesse qualcosa alla sua nave o ai
suoi occupanti.
Sentiva la voce agitata di Scotty e i suoi pugni abbattersi sul
vetro, ma lo ignorò.
Era l’unico che poteva farlo.
“Spock, per te la risposta sta
altrove…”
La voce di T’sai risuonò come vento nella sua mente, per un attimo
si rivide inginocchiato a terra, nella sabbia rovente e rossastra davanti ai
Signori, e non riuscì a trattenere un debole sorriso, la sua parte umana non
sarebbe mai rimasta sopita, lasciando il posto alla parte vulcaniana, i
sentimenti ereditati dalla madre erano molto forti, più forti della logica
vulcaniana a cui era stato educato,
più forte di qualunque allenamento mentale cui si fosse sottoposto nella sua
vita.
Non poteva reprimerli, erano parte di
lui.
Erano stati loro a spingerlo a ritornare tra le file della Flotta,
a riprendere il suo posto accanto al suo capitano e ai suoi
compagni.
Una volta di più provò come un moto di affetto nei confronti di
coloro con cui aveva vissuto per tanti anni, con cui aveva condiviso la vita e
la morte, le crisi più nere e i pericoli più
tremendi.
E una volta di più, sentì il cuore sobbalzare al
pensiero.
Era anche per quello che si trovava
lì.
Non era logico, ma era quello che doveva fare, che sentiva di dover
fare.
Non era logico, ma era giusto.
Le grida di Scotty vennero raggiunte da quelle di Bones, lo stava
insultando?
Non riusciva a distinguere le sue parole, ma se lo avesse insultato
non gli avrebbe dato poi torto.
Il suo comportamento era davvero
illogico.
Il tempo si stava rapidamente assottigliando, non poteva perdere
tempo in sentimentalismi, doveva agire in
fretta.
Con la vista annebbiata, vide le sagome dei due contro il vetro,
impotenti nell’assistere alle sue azioni.
I sentimenti lo avevano cominciato a sopraffare, in nome di quei
sentimenti che tanto aveva cercato di combattere e reprimere in favore della
logica stava morendo.
Ormai non aveva più scampo.
Ma se ciò avesse permesso ai suoi.. amici, al suo t’h’yla, il suo
capitano, il suo migliore amico, di sopravvivere, non avrebbe avuto
rimpianti.
Nessun rimpianto.
Sentiva l’energia dell’ipervelocità tornare a scorrere nei circuiti
della nave, sentiva la pelle bruciare e staccarsi, ogni singolo nervo portava al
cervello segnali di dolore incredibile.
Ancora un po’, doveva resistere solo un altro
po’.
Con uno sforzo sovrumano, sollevò il pesante coperchio del reattore
energetico e lo rimise al suo posto,
sigillandolo.
Esausto, si lasciò cadere a terra, scivolando in un angolo della
celletta.
Socchiuse gli occhi, sentendosi improvvisamente il corpo
pesante.
Non aveva più molto tempo a sua
disposizione.
Il suo cuore volò su Vulcano, su quelle terre brulle e inospitali
che erano state e sarebbero state sempre la sua casa, il suo luogo di nascita,
rivide sua madre, bellissima nei suoi vestiti lunghi di foggia vulcaniana, suo
padre, austero e rigoroso…
La logica aveva ceduto il posto alla parte umana, ormai doveva
andare sino in fondo.
Una sensazione nuova, di calore, lo inondò dall’interno,
spaventosamente familiare e piacevole, mentre la vista di Vulcano al tramonto
lasciava posto al ponte di comando, si rivide seduto al suo posto, rivide le
vecchie divise gialle di Chekov e Sulu impegnati alle loro postazioni, il
capitano che battibeccava con Bones sulla soglia del turbo ascensore, Uhura
impegnata nel suo lavoro.
Era la prima volta che si attardava a osservarli così attentamente,
lo stupì il cameratismo che legava i due sottufficiali al timone e al radar, nei
sorrisi e nelle battute che si scambiavano mentre il capitano e il dottore
litigavano, quasi sicuramente per qualche decisione presa dal loro
comandante.
L’aria era luminosa e calda, non aveva mai fatto caso a quanto
fosse bello stare lassù.
Ormai era sicuro, aveva fatto la scelta
giusta.
Non se ne sarebbe mai pentito.
“Spock, la tua risposta è
altrove…”
Il Vulcaniano annuì, poggiando la testa contro la parete metallica:
“T’sai, aveva ragione… La mia risposta è qui, la mia risposta è
questa...”.
Ok, questi sono i pensieri di Spock mentre, dentro quel fottuto
cilindro, cerca di riattivare l’energia per il Warp durante la fuga
dall’esplosione della torpedo Genesi alla fine del II film di STAR
TREK.
Sembra alquanto OOC, lo so, ma non è
così.
Se riuscite a procurarvi il primo romanzo, scritto da Roddenberry
in persona, scoprite che sentimenti simili li aveva già provati quando era
ritornato a bordo.
E che, maledetto represso, se li era tenuti
dentro.
Quindi, onore al Capitano Spock, in attesa che vadano a
recuperarselo su Genesi!
XDXD
KISS A TUTTI
SHUN