a
Mì,
buon
compleanno.
Era la terza volta quella settimana che si svegliava
di soprassalto; percepiva qualcosa di diverso nell’aria, qualcosa di talmente estraneo da fargli aprire gli occhi nel pieno della
notte. Alex si strinse le ginocchia al petto, respirando il caldo soffocante
della stanza.
Si sentiva
continuamente spiato, eppure aveva la consapevolezza che non c’era nessuno ad
osservarlo agli angoli dei corridoi, in biblioteca, negli spogliatoi, o proprio
lì, adesso, fra le lenzuola del suo
letto. Né tanto meno tardò a comprendere che il
disturbo non proveniva da ciò che
lo circondava, ma da dentro di
sé.
Like
minds
-
insomnia
My head is talking me,
I don’t know what it
needs
but the loudest voice is the one I
heed
Già da
quando aveva svoltato l’angolo, un brutto presentimento aveva cominciato a
farglisi strada nella testa. E infatti…
<<
Necrofilo del cazzo >> sbottò entrando nella stanza, con il braccio alzato
a coprire il naso. Stavolta, il fortunato vincitore della ruota della
vivisezione era un passerotto di sì e no qualche mese di vita; gli arnesi da
lavoro erano ancora vicino alla povera vittima, con accanto alcune provette e
prodotti chimici. Ma Nigel non c’era.
Rimase
per qualche istante al centro della stanza, indeciso se essere sollevato o meno
della sua assenza, mentre con la manica della giacca seguitava a strofinarsi
ancora il naso, cercando invano di allontanare l’odore nauseante che aleggiava
nella camera.
Si
sedette poi sul letto, scrutando da lontano il lavoro di un folle, con la luce
dell’abat-jour che illuminava asettica l’oggetto dell’operazione. Un improvviso
brivido prese a scendergli lungo la schiena, e Alex cominciò a provare verso il
“tavolo da lavoro’’ un’attrazione del tutto inaspettata. Si stupì, perciò,
quando si ritrovò a camminare attorno al bordo della scrivania, comunque con un
vago sentore di disgusto - le mani ora ostinatamente nelle tasche, come a
ricordarsi di “non toccare”: il ventre del pennuto era percorso da una lunga
linea verticale e, malgrado il piumaggio folto, sembrava come sgonfiato.
L’occhio gli cadde poi sulle fiale, e si rese conto con orrore che erano quelle
stesse a contenere gli organi del piumate. Continuò a lasciar correre lo sguardo
lungo il tavolo, notando come gli arnesi fossero tutti strumenti squisitamente
professionali, e tenuti con cura maniacale. C’era da chiedersi se il preside
avesse idea di quanto l’intelligenza di quel ragazzo sfociasse nella
depravazione…
Storse
la bocca: il padre l’avrebbe difeso a spada tratta anche dopo averlo trovato con
un bidone di benzina in mano, e la scuola in fiamme alle spalle. Ridacchiò,
sebbene quel ghigno lo sentì solo sulla pelle, ma non come un qualcosa che gli
appartenesse.
La luce
della lampada colpì un bisturi, che si rifletté sull’espressione di Alex,
facendogli assottigliare gli occhi, infastidito; la mano destra si mosse all’improvviso da sola verso lo
strumento, lasciando la sicurezza della stoffa dei pantaloni, a toccare con
decisione la fredda consistenza del metallo. Rigirandoselo fra le dita, e sotto
quella luce, l’arnese assumeva una certa aria accattivante, di cui si
meravigliò: era come guardare Nigel negli occhi, pensò. E d’un tratto si sentì
colpevole, disturbato, come se quel pensiero fosse tanto inadatto, quanto
appropriato.
Conficcò
i denti nella lingua, e così come velocemente l’aveva afferrato, altrettanto lo
fece scivolare dalla mano. Dei tin
insistenti scossero poi tutto il tavolo.
<<
Mi hai rovinato la sorpresa >>.
Alex si
voltò di scatto, il cuore che faceva quasi male per lo sforzo di pompare così
velocemente sangue; cercò di ricomporsi. << Ti ho detto che non voglio che
usi il dormitorio per i tuoi giochetti >> disse infine lui, contrariato. Cazzo, quanto odiava la sua
stramaledetta voce…
Nigel
avanzò nell’ombra della camera, lo sguardo sempre verso il compagno, le braccia
che ciondolavano lungo i fianchi.
<<
Stavi curiosando? >> lo stuzzicò, notando alcune dita del biondo lambire
ancora la scrivania, mentre un sorriso sornione in parte mascherato dal buio gli
segnava il viso.
<<
Non… >> Alex si passò l’altra mano sulla faccia. << Non paragonarmi
a te
>>.
È più un
timore nascosto il suo, e di certo quelle parole sono ben lontane dal suonare
come una minaccia. Il moro rimase in silenzio, con lo sguardo che sembrava
studiare di nuovo il compagno; ora era fermo a qualche passo da
lui.
<<
Fa’ sparire questa roba prima del coprifuoco >> continuò l’altro. <<
Non voglio dormire con questa puzza terribile >>. Non si aspettava affatto
una risposta, né tanto meno era così ingenuo da credere Nigel capace di una tale
accortezza; tuttavia ci provò, e i passi successivi che rivolse verso la porta
erano un blando tentativo di disfarsi di quel peso. Passandogli accanto, Alex lo
sentì sogghignare.
<<
Ti stai trattenendo >> sussurrò quasi, nel dirlo – la voce che ad ogni
abbassarsi di ottava risultava
sempre più suadente. Il biondo si paralizzò, le dita strette l’una con l’altra:
se si riferiva al suo trattenersi dal prenderlo a pugni, era sulla buona strada.
Ma sapeva che la questione era tutt’altra; voltò la testa verso di
lui.
<<
Una rissa è quello che mi ci vorrebbe per chiudere l’anno in bellezza >>
ribatté tuttavia, non dandogli adito di continuare. Quindi imboccò l’uscita,
deciso a non voler proseguire ulteriormente la
conversazione.
<<
Picchiami, allora >> Nigel si girò, guardando ora le spalle di lui.
<< Coraggio >>.
La mano
di Alex era già scattata in avanti ad afferrare la maniglia e tirarla verso di
sé, quando le parole del moro lo freddarono per la seconda volta: strinse le
labbra, deglutendo a fatica una provocazione amara da mandar giù. Anche se
girato, s’immaginava benissimo il ragazzo con le braccia aperte e la sicurezza
negli occhi di chi sa di aver già vinto in partenza. Si risparmiò perciò lo
sforzo di guardarlo in faccia, congedandosi sbrigativamente. << ‘Fanculo
>>.
Lo
sbattere della porta accompagnò per qualche secondo il silenzio intorno a Nigel,
e le maniche della giacca gli scivolarono lungo le mani, avvolgendole, quando
poi si sedette alla scrivania ad aspettare il
coprifuoco.
<<
Ti dico che quello ti sta fissando >> insistette Josh, adocchiando
sospettoso il nuovo arrivato.
<< E da parecchio, anche
>>.
Alex si
voltò, vedendo Colby impegnato a mangiare la propria zuppa. << Smettila di
dire cretinate e sbrigati a finire quella torta >> si lamentò invece lui,
mentre muoveva frenetico la gamba sotto al tavolo. << Se non facciamo in
fretta, non ci sarà più possibilità di sgattaiolare via di qui
>>.
L’amico
si portò alla bocca due grandi cucchiaiate di dolce, sempre tenendo lo sguardo
fisso sul ragazzo tre tavoli più indietro. << A che ora hai detto che comincia
la partita? >> biascicò.
<<
Alle 16.30 >> gli ricordò
impaziente, mentre allungava il collo verso l’entrata della sala mensa.
<<
Guawda >> fece d’un tratto Josh indicando con il mento alle sue spalle –
deglutì e riprese fiato. << L’ha fatto di nuovo >>. Altra generosa
cucchiaiata.
<<
Muoviti, ho detto >> replicò Alex a denti stretti, ignorando i farnetichi
dell’amico.
Quello
bofonchiò qualcosa contrariato, per poi posare il piatto vuoto sul tavolo con
malagrazia. << Okay, andiamo >> ribatté infine, e seguendo l’esempio
dell’altro s’alzò in piedi. Il biondo cominciò quindi a dirigersi verso l’uscita
con passo affrettato, accompagnato da Josh; inspiegabilmente, mentre camminava,
si sentì punto sulla schiena, come se qualcuno seguisse con insistenza i suoi
movimenti. Ma evitò di voltarsi, colto improvvisamente da una sensazione
sgradevole, e aprendo la porta se
la richiuse velocemente alle spalle.
***
Your sins into me,
oh, my beautiful
one
Nigel
aveva finito di riporre le proprie cose dentro gli scatoloni, che il sole
filtrava ancora debole dalle vetrate. Si mise quindi la giacca attorno al
braccio, lo zaino in spalla e lo sguardo imperturbabile di sempre, sebbene
alcuni pensieri continuassero a solleticargli la mente.
Non
aveva commentato in alcun modo la decisione del preside di spostarlo dalla
camera del figlio, per trasferirlo in una – così disse – più confortevole ai
suoi studi e necessità. Certo era che il suo quoziente intellettivo sarebbe
andato sprecato, se perso a ragionare sul vero motivo del suo allontanamento da
Alex. Si era perciò limitato a ringraziare e fare silenziosamente i bagagli,
anche perché la sua posizione non era delle più convenienti: l’accusa del
compagno di stanza era comunque grave, sebbene non confermata e di conseguenza
archiviata. Storse sornione un angolo della bocca al pensiero della faccia di
Alex, mentre l’amico cadeva giù dal treno… Non gli aveva più rivolto parola per
tutto il viaggio.
Ma
comunque, nonostante la reticenza del Forbes, avrebbe trovato lo stesso la
maniera di avvicinarlo e convincerlo che loro due erano destinati ad essere una
cosa sola, un unico corpo e mente; era solo questione di modi e tempi, tutto
lì.
Mosse
quindi qualche passo verso la porta, fin quando la figura del ragazzo intercettò
la sua. Nigel non abbassò lo sguardo, ma si limitò a rimane in piedi con uno
scatolone quasi casualmente fra le mani, in silenzio. Lo vide tentennare un
momento, l’espressione mista a rabbia e disgusto – notò il Colby – non solo
verso di lui, ma anche per se stesso.
<<
Sei un lurido figlio di puttana >> disse poi, la voce che gli tremava
leggermente, a mo’ di commiato nei confronti di un capitolo della storia che
avrebbe voluto in fretta superare e gettare nel dimenticatoio. Sebbene Nigel Colby non fosse certo uno che si
poteva cancellare facilmente dalla testa.
Il moro
continuò ad ostentare una calma quasi graffiante, tanto era disinteressata,
senza seguitare a ribattere nulla. E Alex, a quella “risposta”, afferrò
impulsivamente il bavero della camicia di lui avvicinando i loro volti. <<
Di’ qualcosa, vigliacco >>
insistette, l’emozione che continuava a rapirgli la gola, quasi
soffocandolo.
Nigel
senza interrompere il contatto visivo posò allora la mano libera su quella del
ragazzo, che lo stringeva con forza attorno al collo; per contro, Alex sussultò
impercettibilmente al contatto, colto dalla sorpresa. Quando poi Nigel allontanò
la sua mano dal proprio
cravattino, il biondo non se ne rese quasi conto: continuavano a
scrutarsi l’un l’altro, giocandosi da che parte l’ago della bilancia avrebbe
proclamato il vincitore.
Al di là
delle prospettive, la contesa fu breve: Nigel si scostò subito dopo da lui
urtando leggermente la sua spalla, ed uscì dalla stanza bisbigliando appena
<< Gli altri vengo a prenderli dopo >>. Ma già sapeva che Alex
avrebbe fatto in modo di non farsi trovare.
Il sole
illuminava tiepidamente la strada, mentre un vento freddo soffiava costante fra
la folla di ragazzi nel cortile della scuola, facendo alzare i colletti delle
loro divise.
Alex
teneva la borsa poggiata su una spalla, una mano in tasca e l’altra a coprire
uno sbadiglio. Nigel raggiunse poco dopo la panchina su cui era seduto,
imitandolo.
Il
biondo non si voltò neanche, ma rimase a fissare qualcosa davanti a sé,
stringendo le labbra: un uccellino cinguettava su un albero di ciliegio,
scuotendo vivace le ali.
<<
Ne volava uno simile nel giardino di casa nostra a Londra >> fece,
guardando il passerotto volare su un albero più in basso. << Almeno, nelle
estati in cui mia madre era ancora viva >> spiegò, senza davvero
interessarsi se Nigel lo stava ascoltando o
meno.
Il moro
voltò appena lo sguardo verso il pennuto, per poi ritornare a scrutare
l’espressione di lui, ora leggermente incupita. Quindi la campanella d’inizio
lezioni cominciò a trillare ed Alex si alzò. << Andiamo >> fece poi,
rivolto a Nigel che sembrava avere la testa da un’altra parte. << Vengo
subito >> rispose, lo sguardo verso un albero di ciliegio poco più avanti.
<< Comincia ad andare >>. Il biondo non replicò, mentre intanto
s’incamminava lungo il viale, distratto dai propri
pensieri.
***
You say I’m scaring you
now,
but I’m tired from watching you
sleep
Stavano parlando spalla contro spalla da più di mezz’ora, dentro
quella sottospecie di cantina. O meglio, Nigel parlava e Alex ascoltava. Non era
riuscito a dire comunque granché dopo che l’altro aveva tirato fuori la storia
dei Templari, e la loro improbabile parentela. Ma lui l’aveva lasciato fare,
tanto più che tentare di ragionare con i matti era solo un spreco di energie.
Poi Nigel fece un gesto involontario con la mano sfiorando la coscia di lui, ed
Alex si ritrovò a pensare a quanto la situazione, vista da occhi esterni, fosse
piuttosto fraintendibile: loro due, soli, rinchiusi in uno scantinato. Due
promettenti cospiratori e possibili checche da lanciare sul mercato
dell’oscenità, insomma. Certo che quella mano poteva anche toglierla da lì… Alex
si ritrasse, d’un tratto a disagio. Per contro, il moro aveva smesso di parlare,
vedendo l’amico guardarsi attorno nervoso: gli occhi di Nigel presero a cercare
i suoi, insistentemente.
Se prima era in imbarazzo, ora non poteva di certo sentirsi
meglio, con il suo sguardo puntato addosso. << Cosa? >> fece poi il biondo voltandosi, senza
riuscire comunque a soffermarsi sugli occhi di Nigel. Lui seguitò a scrutarlo,
ma non rispose; poi avvicinò il volto al suo come per studiarlo meglio, e Alex
sentì il respiro del moro contro il collo.
<< A che pensi? >> gli rispose invece con una domanda,
la voce bassa quasi fosse un sussurro. Il biondo fece spallucce. << Niente
>> la testa ora leggermente tirata indietro.
<< È solo che questo posto mette un po’ i brividi >>.
Gli occhi di Nigel rimasero ancora su di lui, indagatori: era
evidente che non se l’era bevuta. D’altro canto, Alex portò lo sguardo ai piedi,
mentre con le dita prese a picchiettare le ginocchia, in un gesto casuale.
Quindi si alzò in piedi, la testa rivolta ancora verso
il
basso. << Meglio andare >> suggerì, anche se sembrava
una frase buttata lì ad àncora di salvezza per una situazione tutt’altro che
piacevole. Ma Nigel rimase dov’era, le braccia incrociate al petto, come ad
aspettare qualcosa. Alex strinse di nuovo le labbra, e cercando di disfarsi di
un silenzio che suonava pericoloso, allungò un braccio verso di lui, invitandolo
ad alzarsi. Il ragazzo, per contro, guardò appena la mano offertagli per poi
soffermare nuovamente l’attenzione sull’amico. Quindi si decise ad afferrarla, e
successivamente Alex avvertì la sgradevole sensazione di essere tirato in
avanti: si ritrovò a trattenere il respiro e a cadere di spalle al muro, con
Nigel sopra di lui che gli cingeva i fianchi con le gambe. << Che cazzo
fai? >> imprecò, colto alla sprovvista, cercando di allontanare il moro
che lo tratteneva a terra. Ma lui non sembrava intenzionato a cedere, e difatti
ribadì il concetto stringendo la presa attorno al bacino.
<< Smettila di mentirmi >> replicò sottile, e stavolta
i suoi occhi non ammettevano fughe di sorta; Alex aveva smesso di agitarsi, ma
l’espressione sul suo volto non nascondeva una certa inquietudine, come il
respiro affannato che gli serrava la gola.
<< Tu sei fuori >> ribatté invece, accigliandosi.
<< Levati di mezzo>> fece poi, cercando di essere perentorio, ma la
voce suonò più roca e incerta di quanto avrebbe voluto.
Lo sguardo di Nigel s’indurì. << Non sei sincero >>
seguitò, il tono sempre più basso e ipnotico. << C’è qualcos’altro che mi
nascondi >>.
Alex tentò di alzare la schiena, ma inutilmente. << Ti ho
detto di toglierti >>
insistette, quasi a denti stretti ora, la testa che d’un tratto pulsava con
forza. Ma la situazione non migliorò, quando il moro posò una mano sul suo
petto: Alex poté giurare che la testa fosse sul punto di esplodergli. Nigel lo
vide stringere gli occhi, e lui prese a scostargli la giacca, per poi afferrare
il maglione e sollevarlo. Quindi le sue dita arrivarono ai bottoni della
camicia, cominciando a slacciarli con meditata lentezza: Alex sentiva come se un
vortice estraneo di pensieri gli avvolgesse la mente con prepotenza, ed emozioni
ed immagini che non gli appartenevano presero a scorrere assieme alle sue. La
mano fredda del moro sulla sua pelle lo ridestò un momento da quella sorta di
trance, anche se il flusso nella testa seguitava a vorticare.
La sala era vuota, quando Alex la percorse per l’ultima volta;
svoltò il corridoio che portava ai dormitori, le mani in tasca e la testa
decisamente altrove.
Quando entrò nella stanza, gran parte delle cose erano state
portate via e il restante accuratamente ammassato per terra. Rimase ad osservare
per qualche istante la desolazione della stanza, per poi sedersi sul letto
sfatto, incrociando le gambe in un gesto casuale: una mano nella tasca stringeva
un pacchetto, ormai da un po’.
Lo tirò finalmente fuori, la scritta sopra che ora si leggeva
quasi a malapena, la carta stropicciata e rigonfia, aperta a un
estremo.
<< L’abbiamo trovato
nella sua stanza >> gli aveva detto la psichiatra, mentre Alex
l’afferrava, il nome che allora spiccava nitido, sulla busta: Per Jack.
Se lo rigirò un paio di volte, prima di decidersi a tirarne fuori
il contenuto, temendo che fosse un altro dei suoi macabri regali. Ma le mani si
ritrovarono ad afferrare qualcosa di morbido e piccolo: era un pettirosso
imbalsamato. L’espressione di Alex s’accigliò quasi subito, confuso, ancora di
più quando dalla busta scivolò una familiare carta da poker, col dorso
differente. My Beloved Maraclea,
recitava, e questa lo impressionò inspiegabilmente più di molto altro.
***
I can’t get it right,
get it
right,
since I met
you
Nel frattempo, Nigel aveva avvicinato il proprio viso al suo
orecchio, una mano sempre sotto la camicia, cercando le labbra di lui con lo
sguardo. << Jack >> sussurrò, spostando il corpo in
avanti, e allentando perciò la presa sui fianchi. << A che pensi? >> richiese, gli angoli della bocca
rivolti verso l’alto, con fare sornione.
Alex continuava ad espirare affannosamente, gli occhi ora aperti,
mentre le parole dell’altro s’insinuavano fra i suoi pensieri, facendogli
stringere i pugni: era chiaro che Nigel si stava prendendo gioco di lui,
usandolo per uno dei suoi tanti esperimenti. Contemporaneamente, un dito del
moro gli percorse il torace in senso verticale fino ad arrivare all’ombelico,
dove si fermò; rivolse poi lo sguardo su quello del biondo, mordendosi il labbro
inferiore come per assaporare l’attimo, e proseguì sul basso ventre. Ma la
reazione dell’altro non tardò ad arrivare: Alex lo spinse d’improvviso indietro
con entrambe le braccia, e Nigel cadde a terra colto alla sprovvista: le
posizioni s’invertirono, e ogni cosa attorno al biondo smise di girare. Ora che
era lui ad avere il controllo della situazione, il moro lo studiava interessato,
tenendo la bocca aperta per recuperare il fiato perso. Anche Alex non era da
meno, e i suoi ansimi si aggiunsero ai propri, mentre stava attento che le gambe
gli cingessero bene il bacino. << Credi… di sapere tutto, eh? – arricciò il naso – Tu non mi conosci affatto
>> sibilò, ma Nigel rimase in silenzio, lo sguardo imperturbabile e allo
stesso tempo incerto, di chi riconosce nella propria preda un temibile
predatore. Alex storse un angolo della bocca. << Vediamo se riesco a
toglierti questa cazzo d’aria di superiorità dalla faccia >>. Quindi una
mano guizzò sul cavallo dei pantaloni di lui, prendendo a smanettare con la
lampo; il moro tuttavia non distolse lo sguardo, né cercò di ribellarsi in
qualche modo, cosa che in fondo Alex sperava. Aperta la cerniera, sembrò
titubare un attimo, aspettando forse che Nigel reagisse in qualche modo: ma lui,
in tutta risposta, non si mosse. Era una sfida implicita, la
sua.
Il biondo allora posò una mano sul suo sesso e in maniera un po’
impacciata cominciò a sfregarla contro la stoffa dei boxer. Dapprima, sembrò che
l’espressione di Nigel fosse rimasta la stessa, lo sguardo imperscrutabile
sempre rivolto a quello di lui: poi Alex sentì il suo respiro accelerare e farsi
affannoso, la bocca ora leggermente socchiusa, mentre la durezza da sotto la
stoffa era la conferma che le attenzioni della mano del biondo erano state
percepite. Continuavano a scrutarsi l’un l’altro, Nigel con un’eccitazione
crescente che trapelava lenta dagli occhi, ed Alex stavolta con lo sguardo
concentrato e deciso di chi è cosciente di avere in mano la situazione; ma d’un
tratto anche lui si ritrovò a dischiudere le labbra, un’emozione che prese a
pervadergli il basso ventre, mentre il movimento del suo braccio si faceva
sempre più veloce.
Nigel inarcò leggermente la schiena, quando Alex premette con più
forza avvicinando in un gesto involontario il proprio bacino al suo: all’altro
sfuggì un sospiro più profondo degli altri, e alcune goccioline di sudore
comparvero all’attaccatura dei capelli. Alex ora boccheggiava quasi,
ritrovandosi improvvisamente a deglutire a fatica, e al momento che si accorse
che Nigel non era l’unico ad essere eccitato in quella stanza, bloccò di colpo
la mano. Al moro si mozzò il fiato appena il movimento sul cavallo dei pantaloni
cessò, e il suo sguardo reclamava impaziente che l’altro riprendesse da dove
aveva interrotto. Ma Alex non sembrava avere alcuna intenzione di continuare, e
togliendo la mano distolse poi lo sguardo.
Susan si sfregava le mani per il freddo, le labbra socchiuse,
mentre voltava di continuo la testa da una parte all’altra della strada: del
Forbes, neanche l’ombra.
<< Andate avanti
>> aveva detto,
poco prima che le sue amiche entrassero nel cinema, col biglietto già in tasca.
<< Susan >>. La ragazza si voltò, sentendosi chiamare,
le pupille leggermente dilatate per la sorpresa. << Sei Susan, giusto?
>> ripeté.
<< Tu chi sei? >>.
<< Un amico di Alex >> fece, tendendo poi una mano in
avanti. << Nigel >>. Ma lei non la strinse. << Mi ha mandato a
dirti che non potrà venire >> spiegò, e Susan si limitò a
guardarlo.
<< Ti riaccompagno a scuola, se vuoi
>>.
<< Le mie amiche mi stanno aspettando
>>.
<< Vuoi davvero rimanere qui, con questo freddo? >>
chiese a mo’ di sfida. << È
tardi, non ti lasceranno passare >> una smorfia accennata sul volto, e nel
frattempo la tapparella del gabbiotto della biglietteria venne tirata giù, e
Susan vide passare davanti a suoi occhi anche l’ultima possibilità di guardare il
film.
<< Andiamo? >> le propose Nigel di nuovo, e stavolta a
percorrere la strada al contrario furono in
due.
***
I don’t know where I end
and
where you begin
Passò così qualche istante, i respiri affannosi dei due che si
confondevano l’uno con l’altro, e finalmente il biondo fece per alzarsi, le
gambe malferme nel tentativo. Ma Nigel lo precedette, e puntellandosi sui gomiti
portò il busto in avanti, finché si ritrovò a pochi centimetri da lui: Alex
dovette poggiarsi sui palmi delle mani per non cadere di nuovo di schiena. Il
moro prese a fissarlo con invadenza, le labbra ancora socchiuse nel tentativo di
far entrare aria il più possibile; d’altro canto, il biondo evitava lo sguardo
di lui, le dita che stringevano la polvere, mentre sentiva il sangue fluire alle
guance. Inaspettatamente, Nigel portò un braccio avanti cercando la mano
dell’altro, mentre l’amico ora lo guardava confuso e inquieto, l’ossigeno che
intanto faticava ad arrivargli ai polmoni. E quando la trovò, Alex perse
l’equilibrio, e fece per andare indietro, ma l’altro lo attirò verso di sé,
tirandogli il braccio non troppo delicatamente e facendosi poi indietro con la
schiena: adesso le fronti dei due quasi si sfioravano, il moro praticamente
inginocchio fra le sue gambe. In tutto questo, gli occhi di Nigel continuavano a
rincorrerlo, soffermandosi prima sull’espressione di lui, poi sulle labbra ed
infine sul collo.
La mano di Alex era ancora ben stretta in quella di Nigel, finché
il moro non sciolse il contatto e posizionò la propria di mano sul cavallo dei
pantaloni dell’altro, che si ritrovò ad inspirare suo malgrado con la bocca.
Colby storse compiaciuto un angolo delle labbra, riprendendo quello che lui
aveva interrotto: dapprima Alex portò un braccio avanti, cercando di spingerlo
via, ma si ritrovò a poggiarsi sulla sua spalla e poi a stringere la stoffa
della giacca. << Togli-, merda
>> tentò di nuovo, cercando di riacquistare lucidità, ma ricadde di
schiena, spinto con malagrazia da Nigel. << Vuoi che mi sposti? >>
chiese, la voce fastidiosamente roca e la solita smorfia sul viso, mentre
continuava a masturbarlo.
<< Tu… sei… >>. Malato? Disturbato? Per quanto si sforzasse,
nessun termine riusciva a racchiudere tutta la rabbia e il disgusto che avrebbe voluto provare verso di lui.
Non sono come te, si ripeteva nella testa, tentando a non
impazzire del tutto, Io non sono te. Una mano di Alex rimase sul
suo petto, anche se la distanza che li divideva non era comunque troppa; e
quando Nigel riuscì ad aggirare la resistenza del Forbes, raggiunse l’incavo del
suo collo prima con gli occhi e poi con le labbra, finché i suoi gesti non
divennero ipnotici.
E con tutto se stesso, Alex si sforzò di non pensare né alle mani
di lui sul suo corpo, né ai vestiti ora ammucchiati per la stanza, né al
piacere, né ai loro respiri che si confondevano l’un l’altro: semplicemente, si
limitò a viverli.
<< Non capisci, vero? >>. Il
fucile freddo puntato sulla guancia, la pioggia che faceva da lenitivo, a
contorno di una fine già preannunciata.
<< Smettila, ti
ho detto >>.
<< Sei tu che sei entrato nella mia testa, Alex
>>. Sentire pronunciare il
suo nome da lui stonava troppo con la realtà di
adesso.
<< Sta’ zitto >> gridava quasi, gli occhi lucidi di
chi ha un dannato bisogno di piangere,
<< zitto,
zitto
>>.
<< Spara, Jack
>> continuava l’altro, tornando alla loro, di realtà. << Spara!
>>.
Ma Alex
si limitava a stringere il fucile, un formicolio diffuso nelle mani, che faceva
quasi male. << Io… non volevo questo >> la voce è stridula, e ora
non sono solo le mani a tremare.
Nigel
solleva un angolo della bocca, nonostante tutto. << Perché sei qui,
allora? >>.
Ma lui
non sa rispondere, e non vuole, perché la risposta la legge nella mente
dell’altro, dolorosamente nitida. << Piangi, se vuoi>> le gocce che
continuavano a picchiettare sulle palpebre, << ma spara
>>.
<< Prima Susan…
e ora… >> mormora invece Alex, completamente fradicio dalla testa ai
piedi, come del resto Nigel. << Che diavolo avevi in testa? >>.
<< È finita
>> replica, i palmi delle mani rivolti verso l’asfalto. << Non è
questo, quello che volevi? >>. Cliché.
Eppure, no: c’era
qualcos’altro, al di là di ora, del disgusto e dell’odio che Alex non riusciva
ad afferrare, o semplicemente evitava di farlo. << È finita >>
ripete Nigel, come a rispondere alla sua domanda. << Non c’è nient- >>.
<< Tu lo sai, vero? >> l’arma ora più ferma, fra le mani. << Eh,
lo sai cos’è? >> seguita, ma il moro non sembra seguire il suo stesso
corso di pensieri.
<<
Un solo colpo, Jack >> gli occhi che cercano senza difficoltà i suoi.
<< Uno solo >>.
<<
Rispondimi, dannazione >> insiste, sputando le parole a denti stretti, ma
Nigel ha già proteso le mani avanti. << Rispond-
>>.
Ma la
risposta si confonde nello sparo, Alex che quasi cade all’indietro per il
contraccolpo, mentre ora nelle sue orecchie rimbomba solo un sordo bang.
End
Note
dell’autrice:
Shot
tratta dal film Symbiosis - o Like minds, in inglese - partorita dopo
un travaglio di tre mesi e qualcosa: be’, non è un tentativo granché riuscito,
ma l’impegno – assicuro – c’è stato. Spero vivamente di non essere scaduta
nell’Out of Character, sebbene per i cliché non si possa fare molto.
xD
È
naturalmente una What if?, poiché ho
tentato di rivedere alcune scene, e di analizzare dei missing moments tra Nigel
e Alex in chiave slash. Le frasi che compaiono qua e là sono spezzoni di
canzoni, di cui riporto i titoli originari e i nomi degli artisti in ordine di
apparizione:
1)
Insomnia, Megadeth;
2)
Silver and Cold,
AFI;
3)
Closer, Burn
Season;
4)
Map of Problematique, Muse;
5)
Discipline, Nine Inch
Nails;
Il tutto
è dedicato a Mì, aka Mika-mika, aka
Giuditta per i suoi 19 (e tre mesi) anni: lo’ ya, gal. <3