Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Wren    20/11/2009    4 recensioni
...arriva all'improvviso e non si può far altro che correre a rispondere!
Un'AU sui gatti, sull'amore, su Kurogane e Fay e su quello che sono costretti a fare i pompieri quando non ci sono incendi in città.
[indiscussamente KuroFay]
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Guarda un po', una resta fuori dalla vita online per qualche tempo e Tsubasa finisce... A rischio di contraddire la maggioranza, beh, a me è piaciuta la fine!

Ci tenevo a dire due cosine prima di lasciare che la fanfic parli da sé di quanto io ami ancora Tsubasa e le Clamp... Ovviamente avete tutti i diritti e le ragioni di voler saltare questa parte, quindi, se vi scoccia, passate pure alla fanfic qui sotto, non vi interrogherò su questo! XD
A costo di sembrare vanagloriosa a fare queste cose pubblicamente... è diverso tempo ormai che alle fiere del fumetto c'è sempre qualche anima buona e gentile che in un modo o nell'altro scopre la mia vera identità (Wren... Wren è la mia vera identità ovviamente! XD) e mi fa complimenti, mi tira le orecchie perchè pubblico poco e perchè non vado avanti con Kuro-stellina (sì, sì... vado avanti con Kuro-stellina, giuro!!!) e in generale gonfia il mio ego fino a proporzioni cosmiche perchè ha apprezzato le mie storie... Beh! Di solito sono sempre troppo imbarazzata per dimostrarlo appieno, ma... Grazie! Grazie di cuore! *abbraccio forte*
Se stai leggendo queste righe e sei tra quelle adorabili persone che nella loro vita hanno deciso di spendere un po' del loro tempo per venire a tampinarmi di persona, rendendomi immensamente felice, sappi che questa storia è dedicata a te!

Inoltre, questa fanfic è stata scritta per la community Cliché Clash, sul prompt #1. Damigella in Difficoltà. Dato che la community è parzialmente Kbyte dei miei Kbyte e pixel dei miei pixel, ne approfitto maialosamente per dirvi di ANDARE A ISCRIVERVI! :D









Ultimo giorno…

Kurogane lo osservò per lunghi istanti dal basso verso l'alto, prima di esclamare un secco "No".
"Non ti puoi rifiutare, Kurorin!" piagnucolò Fay. "E' il tuo lavoro!"
"C'è un limite a tutto. E questa è un'assurdità troppo grande, persino per te!"
Nonostante il suo netto rifiuto, Kurogane restò immobile, ad osservare l'idiota nella sua impossibile situazione, realizzando che avrebbe probabilmente fatto qualcosa per porvi rimedio, ma solo dopo che il suo cervello avesse digerito l'immagine alla quale si trovava davanti.
E pensare che Kurogane, da piccolo, voleva davvero fare quel lavoro!



Primo giorno…

Era stata forse la sua fascinazione per la divisa, o la sua scapestrata attrazione per il pericolo, o il continuo insistere da parte di suo padre che sfruttasse le sue energie per qualcosa di più costruttivo che rompere parti della mobilia ogni volta che si innervosiva. Forse aveva visto troppi film. Sicuramente sua madre non poteva aver ragione, non era certamente per un motivo tanto melenso come il fatto che gli piacesse aiutare la gente. Figurarsi!
Fatto sta che Kurogane finalmente aveva coronato il suo sogno professionale ed era diventato vigile del fuoco.
Il giorno del diploma aveva fatto di tutto per nascondere sotto un'impenetrabile espressione aggrottata l'eccitazione che provava all'idea di cominciare quel lavoro così perfetto per lui. Poi c'era stata l'assegnazione al suo dipartimento...
"Kurogane! Hanno appena chiamato per un gatto intrappolato su un albero all'incrocio tra Celes Street e Avenue Q!"
"Anche questa no, eh!" tuonò Kurogane, avvicinandosi a passo di marcia verso la centralina delle segnalazioni, presso la quale stava seduta senza alcuna logica motivazione la direttrice operativa della squadra. Kurogane era certo che ci dovesse essere un regolamento da qualche parte che vietasse a persone dall'aria così inaffidabile di svolgere un compito delicato come quello. Non si sarebbe stupito se un giorno quella strega di Yuuko Ichihara l'avesse spedito all'indirizzo sbagliato, dando poi a lui tutta la colpa.
La donna scostò con un gesto intriso di eleganza il microfono dalla propria bocca e sorrise al ragazzo in una maniera che si sarebbe potuta descrivere solo come malvagia.
"Hai qualcosa da ridire a proposito della missione che ti ho appena incaricato di svolgere?"
"Non è possibile andare avanti così!" continuò a inveire Kurogane, cercando di non lasciarsi intimidire. "E' da quando sono qui che mi spedisci a fare cose assurde! Prima l'idrante che perdeva acqua! Poi la donna con la serratura bloccata che non sapeva più come rientrare in casa! E centinaia di gatti bloccati sugli alberi! C'e' decisamente qualcosa che non va in questa città, ci sono troppi gatti e troppi alberi… E io dovrei essere qui per spegnere incendi, dannazione!"
Kurogane riprese fiato dopo la sua tirata e notò con un'accesa scarica d'odio che la donna lo fissava ancora con quel suo sorriso di sufficienza.
"Kurogane..." Il modo mellifluo con cui pronunciò il suo nome gli mise i brividi. "Ti stai forse augurando che la casa di qualcuno dei nostri bravi concittadini vada a fuoco? Ma è terribile..."
Kurogane si chiese quanto sarebbe stato terribile, in confronto, strangolare la donna sull'istante.
"Qual'è l'impegno di noi pompieri?" gli domandò lei con un fastidioso tono da maestrina.
Kurogane abbassò lo sguardo e biascicò qualcosa.
"Non ho capito bene."
"Servire la comunità..." borbottò lui a voce più alta.
"Benissimo! Quindi ora vedi di prendere una macchina, di portare il tuo fondoschiena tra Celes Street e Avenue Q e di servire, prima che io mi veda costretta a compilare il modulo per farti radiare dal corpo dei vigili del fuoco!"
A casa, quella sera, Kurogane avrebbe spaccato sicuramente un pezzo d'arredamento per sfogarsi. In quel momento rispose con un saluto militare stizzito e si avviò verso il garage.
"E, Kurogane..." lo richiamò Yuuko, all'ultimo momento. "Ti riterrò personalmente responsabile se non trarrai in salvo con la massima delicatezza quel felino in difficoltà, siamo intesi?"

Kurogane non voleva che le case bruciassero, davvero. Era la frustrazione a giocare brutti scherzi alla sua testa. Il lavoro in quel dipartimento era così noioso! Non succedeva mai niente, la cosa più emozionante capitata da quelle parti era stato un rubinetto dimenticato aperto e il conseguente allagamento di uno scantinato. Quella volta erano addirittura intervenuti in due, ma alla fine Doumeki, il suo collega, era rimasto fuori a tranquillizzare, con scarsissimi risultati, Watanuki, il padrone di casa. Il problema era che la loro città era tranquilla e il distretto coperto dal suo dipartimento era ancora più tranquillo. Nemmeno l’ombra di un teppistello che desse fuoco, per esempio, ad un cassonetto dell’immondizia! Una cosa piccina, innocua. Una cosa qualsiasi per sfogare quella maledetta frustrazione. Non era per salvare gatti sugli alberi che era diventato pompiere, lui.
E, a proposito di gatti, imboccò Celes Street con la macchina del dipartimento e quando fu in vista dell’angolo con Avenue Q, individuò immediatamente la fonte del suo attuale, felino problema. Ai piedi di un robusto albero di ciliegio c’era un ragazzo biondo, che ciondolava con aria agitata e lo sguardo rivolto verso l’altro, mentre tra i rami e le foglie si scorgeva un inconfondibile spruzzo di pelo grigio.
“D’accordo, vediamo di farla finita presto!” brontolò Kurogane, tirando il freno a mano e scendendo dalla macchina. Senza rivolgere uno sguardo ai diretti interessati, si diresse verso il retro del veicolo dove era agganciata la scala per le emergenze e la liberò dalle cinghie. Quando si voltò svogliatamente verso l’albero, notò che il ragazzo lo stava fissando con un’espressione indecifrabile. Kurogane rimase distratto da quel paio di occhi di un blu sorprendente, perché per un primo istante rispose allo sguardo, fissandolo a sua volta. Si riprese immediatamente, in ogni caso, e sollevò un sopracciglio con aria irritata.
“Beh? Che hai da guardare?” gli domandò sgarbatamente. I suoi ordini erano di trattar bene il felino, non il suo padrone.
L’altro gli rivolse un sorriso fin troppo ampio e indicò la macchina alle sue spalle.
“Che carino~ Cos’è, il battaglione dei pony?”
Kurogane arrossì e si infuriò.
“E’ il simbolo del dipartimento e NON E’ UN PONY! E’ UN CAVALLO!”
“Un cavallino direi…”
Kurogane poteva essere più sfortunato di così? Oltre ad avere un lavoro noioso, l’emblema del suo dipartimento era il disegno stilizzato di un cavallo dall’aria fiabesca e poco virile, che capeggiava di un bianco sfavillante sulla fiancata di tutte le vetture. Resistette all’impulso di fracassare la testa dell’idiota con la scala e si diresse verso l’albero, rivolgendo al ragazzo solo diverse occhiatacce e qualche grugnito minaccioso.
“Vediamo di farla finita alla svelta!” esclamò, sbattendo letteralmente la scala contro il tronco d’albero e cominciando a salire i pioli.
Il ragazzo si affrettò ad accorrere sotto l’albero a sua volta. “Fai attenzione, signor pompiere! Non credo sia il caso di svegliare Kakyou!”
“…chi?!”
“Kakyou, il mio gatto! E’ un po’ narcolettico, poverino, si addormenta all’improvviso senza rendersi conto di dove si trovi. Oggi si è addormentato sull’albero e non vorrei che cadesse.” In effetti, raggiunta la cima della scala, Kurogane aveva trovato tra le frasche un gatto dal pelo lungo e grigio beatamente addormentato a penzoloni sul ramo. Non esitò un istante prima di prenderlo in braccio per riportarlo a terra.
“Però se si sveglia di colpo potrebbe avere reazioni incontrollat–”
“Miao?”
I pioli della discesa, Kurogane li fece precipitando, con gli artigli di un gatto impazzito attaccati alla faccia.

Dopo aver constatato che no, con tutta probabilità non avrebbe perso un occhio, Kurogane si lasciò convincere a farsi medicare dalla fonte dei suoi problemi (il padrone, non il gatto, in fondo non era stato il gatto a telefonare per costringerlo ad intervenire). Intontito dai graffi che gli bruciavano sul viso, si ritrovò spinto a sedersi sul cofano della sua macchina, sopportando ad occhi chiusi la garza imbevuta di disinfettante che scivolava sulle sue ferite.
“Mi spiace tanto, signor pompiere~” si scusava nel frattempo il ragazzo biondo, con un’aria sorridente tutt’altro che dispiaciuta. “Kakyou è stato proprio un birichino! Però io te l’avevo detto di stare attento a non svegliarlo…”
“Avresti dovuto dirmelo prima, idiota di un-!!” e Kurogane avrebbe sicuramente trovato un epiteto adatto al suo attuale stato d’animo se solo il disinfettante –dannazione!– non avesse cominciato a bruciare da cani.
“Ma tu sei corso a salvare il mio gattino con tale sprezzo del pericolo che ne sono rimasto affascinato e me ne sono dimenticato completamente~” rispose l’altro con tono sognante, falso quanto una moneta con due teste.
Kurogane lo guardò storto e ricevette in tutta risposta una risatina e un cerotto sul naso, dove i graffi erano più profondi.
“Beh, eccoti sistemato! Grazie ancora, signor pompiere!”
La risata leggera del ragazzo gli rimase imprigionata nella testa per tutto il resto della giornata, e alla fine Kurogane era così nervoso che per farla smettere tirò un pugno al muro dell’ingresso di casa sua e fece cadere e rompere uno specchio da parete. Per un attimo la sua espressione furiosa fu attraversata da un moto sconsolato. La pila degli oggetti che seguitava a rompere stava assumendo dimensioni preoccupanti e, visto l’andazzo, faceva volentieri a meno di sette anni di guai.

Secondo giorno…

I suddetti sette anni di guai cominciarono a manifestare i loro nefasti influssi il mattino seguente, quando la macchinetta del caffè della caserma gli sputò il caffè bollente addosso piuttosto che nella sua tazza (la sua caffettiera era stata precedentemente vittima del suo malumore, per cui Kurogane aveva preso l’abitudine di consumare la colazione al lavoro) e non aveva fatto in tempo a sciacquarsi la divisa che la maledetta strega già gli si era parata davanti con uno dei suoi sorrisi malefici.
“C’è un’emergenza, ed è tutta per te!” gli annunciò come se gli avesse appena offerto un biglietto per l’Inferno e ci stesse godendo tantissimo nel farlo.
“Di che si tratta..?” chiese con circospezione Kurogane.
Quando lei glielo comunicò, ci rimase troppo sconcertato perfino per pensare di sfogarsi sulla macchinetta del caffè.

“Hyuu~ il signor pompiere è giunto un’altra volta in mio soccorso sul suo cavallino bianco~” gli gridò la sua emergenza da lontano.
Kurogane avrebbe investito quell’idiota, e senza rallentare. L’avrebbe fatto, sissignore. La tentazione era troppo forte.
Il suo senso civico lo convinse invece a inchiodare a lato della strada, senza alcuno spargimento di sangue.
“Come diamine è possibile che il tuo stupido gatto sia bloccato sullo stesso albero per due giorni di fila?!” sbraitò Kurogane appena aprì la portiera del veicolo.
“Stai forse insinuando che io lanci il povero Kakyou apposta sugli alberi, per il semplice gusto di scomodare il corpo dei vigili del fuoco?”
Kurogane rimase inebetito da tale assurdità, pur trovandola in qualche modo plausibile, visto il tipo.
“No, sciocchino! E poi questo è un altro gatto!”
“Come sarebbe a dire un altro?!”
“Non ci sono regole che vietino di avere più di un gatto!”
“Per certi imbecilli, dovrebbero…” borbottò Kurogane, appoggiando seccamente la scala all’albero e cominciando a salire. Il gatto stavolta se ne stava acquattato e pacifico dietro ad una frasca. Era un bell’esemplare nero, con delle macchie attorno agli occhi gialli. Era così tranquillo che quasi sembrava che sorridesse. Kurogane allungò una mano verso di lui…
“Ah, stai attento, signor pompiere!” lo richiamò l’idiota dal basso. “Seishiro tende ad essere un po’ violent-”
“Miao~”
Gli artigli da predatore selvaggio di quel gatto scavarono profondi solchi nella mano di Kurogane e, mentre lui si sforzava, nell’ordine, di non cadere, di non gridare e di non morire dissanguato, Seishiro fece un balzo, si appoggiò un istante sulla sua schiena e scese elegantemente a terra sparendo nel nulla.
“Quel gatto è un vero bricconcello!” commentò con tono quasi affettuoso il padrone.
“QUEL GATTO E’ UN ASSASSINO E ANDREBBE TENUTO IN GABBIA!” ruggì Kurogane, in parte anche per sfogarsi del dolore.
“Suvvia, sei un pompiere grande e grosso, fammi vedere la mano, sono sicuro che non è niente!” lo accolse giù dalla scala il ragazzo biondo.
Kurogane gli mostrò la ferita.
“Ehr… forse è meglio che tu venga in casa un attimo e ti stenda…”

Saltò fuori che l’idiota abitava nella casa proprio di fronte all’albero tanto apprezzato dai suoi felini. Kurogane ci venne trascinato dentro in fretta e furia con un fazzoletto premuto sulla mano sanguinante.
“Ecco, stenditi qui, io vado a prendere qualcosa per medicarti!” gli disse il ragazzo biondo, spingendolo letteralmente sul divano e scomparendo in un’altra stanza. Kurogane era troppo stordito per protestare e si lasciò andare sui cuscini. Le tempie gli pulsavano fastidiosamente, gli sembrava di avere la testa piena di ovatta, quindi chiuse gli occhi. Anche il rumore di cassetti e ante che venivano aperti e chiusi gli pareva smorzato. Da qualche parte, si sentiva miagolare.
Riaprì gli occhi quando si sentì spostare delicatamente la mano. Il ragazzo biondo stava sollevando con cura il fazzoletto dalla ferita.
“Vedi di non peggiorare la situazione!” brontolò Kurogane.
“Tutta questa sfiducia mi ferisce, signor pompiere!” rispose prontamente l’altro, ridendo. Però tornò subito serio non appena mise mano a garze e disinfettanti e in quella concentrazione a Kurogane sembrò di vederlo quasi preoccupato, quindi questa volta ingoiò ulteriori proteste, anche se la medicazione, dannazione, bruciava un sacco.
Notò distrattamente che le mani del ragazzo erano sottili, affusolate e di gran lunga più pallide. A confronto con la sua carnagione e con tutto quel sangue, sembravano quasi bianche. Ed erano anche più piccole, rispetto alla sua mano. Che fosse più basso aveva già avuto modo di notarlo, ma si accorse ora per la prima volta di quanto fosse anche esile di corporatura. Probabilmente, considerò Kurogane, sarebbe riuscito a sollevarlo senza alcuna fatica. I suoi occhi, poi, l’avevano già colpito la prima volta che l’aveva visto e, in effetti, guardandoli meglio, erano di un colore eccezionale, non ne aveva mai visti di un azzurro così profondo prima d’ora. Concentrato com’era sul suo compito, aveva cominciato a mordicchiarsi il labbro inferiore e sulla sua bocca lo sguardo di Kurogane si arenò, finché il ragazzo non dichiarò “Fatto!” e lui si rese conto che aveva smesso di sentire dolore, inebetito a guardare l’altro per chissà quanto tempo.
Scattò in piedi come se il divano l’avesse morso.
“Devo tornare in servizio,” dichiarò bruscamente e mentre se ne andava in tutta fretta e senza ringraziare, sperò che il calore che sentiva sulle guance fosse in qualche modo dovuto alla perdita di sangue.
A casa, quella sera, a furia di rimuginarci su, finì per staccare la maniglia di un cassetto.

Terzo giorno…

La chiamata d’emergenza, quel giorno, lo sorprese solo fino a un certo punto, e fu la volta di Kohaku, un gattino biondo talmente timido che Kurogane dovette inseguirlo sui rami, prima di riuscire a riportarlo a terra.
Il ragazzo quel giorno si presentò.
“Grazie! Mi chiamo Fay!” gli disse porgendogli la mano. Non sembrava essersela presa per la sua ritirata del giorno prima.
Kurogane si strinse nelle spalle e ricambiò il gesto.
“Kurogane,” rispose soltanto.
“Che nome lungo! Posso chiamarti Kurochi?”
“MI HAI FORSE PRESO PER UNO DEI TUOI STUPIDI GATTI?!”
Quella sera Kurogane ruppe due bicchieri, un piatto e, non capì mai come, una forchetta di metallo.

Quarto giorno…

Su quel ciliegio maledetto, il giorno dopo ci salirono decisamente in troppi.
Al momento della chiamata, sull’albero erano solo in due: un grosso gatto scuro di nome Zagart, il quale non costituiva di per sé motivo di allarmarsi, essendo piuttosto agile e perfettamente in grado di scendere da solo, e una gattina bianca chiamata Emeraude, fatalmente infatuata dell’altro gatto e che disgraziatamente l’aveva seguito ben oltre le sue possibilità atletiche. Il fatto era che anche Zagart sembrava piuttosto affezionato alla gattina, quindi a sua volta si rifiutava di scendere senza di lei e la situazione era così in stallo.
Tempo che Kurogane ebbe raggiunto l’indirizzo che oramai conosceva a memoria, e la popolazione felina dell’albero era aumentata. Fay spiegò, tra il divertito e il preoccupato, che uno scapestrato trio di gattine (Hikaru, Umi e Fuu) – Ma dove diavolo tirerà fuori tutti questi nomi, quell’idiota?! – avevano preso l’iniziativa di salvare la situazione e si erano arrampicate a loro volta tra i rami del ciliegio e si dividevano tra il cercare di attaccar briga con Zagart e il convincere Emeraude a scendere.
Kurogane fissò allibito il ragazzo biondo, chiedendosi come potesse essere normale una situazione del genere. Nessun animale normale si comporterebbe in quella maniera e gli venne da domandarsi se l’idiozia del padrone non avesse finito per contagiare quelle povere bestie.
Il pompiere prima fu costretto ad immobilizzare le tre gattine più piccole, che facevano di tutto per essergli ostili, ma che per fortuna erano ancora troppo piccole per fare danni (e Kurogane aveva cominciato a portare guanti più robusti ultimamente). Il problema era che appena cercava di recuperare gli altri due, una delle tre che aveva in collo si liberava e doveva ricominciare tutto da capo. Gli ci volle un’ora buona per radunare tutti i gatti e riportarli a terra e nonostante l’avessero fatto dannare come un disperato, almeno i felini parvero soddisfatti del risultato di tanto penare, visto che presero a scorrazzare avanti e indietro per lo spiazzo erboso ai piedi dell’albero.
Nel frattempo sembrava che Fay avesse avuto parecchio tempo libero, perché aveva organizzato proprio lì sotto una specie di picnic, con tanto di stuoia e vettovaglie. Kurogane pensò che gli ci mancava solo quello per rendere la giornata ancora più stupida, ma quando l’altro gli offrì una limonata fresca, si accorse – di quanto fosse bello il sorriso di Fay quando non lo usava per prenderlo in giro – di avere una gran sete, quindi accettò, mostrandosi solo un pochino contrariato. Le tre gattine si unirono a loro, felici di poter gozzovigliare e giocare coi loro avanzi. Umi in particolare doveva aver preso in simpatia Kurogane, perché gli saltò in grembo e ivi rimase.
Quel giorno i due ragazzi parlarono.
Fay raccontò di come il suo iniziale progetto di diventare veterinario si fosse trasformato nell’attività abbastanza redditizia di scrittore di libri sui gatti (questo almeno spiegava in maniera sensata l’incredibile popolazione felina della sua casa) e Kurogane, che non amava raccontare di sé, preferì lamentarsi del suo capo e di quanto fosse noioso il suo lavoro.
“Kurotan!” esclamò Fay con un’espressione di orrore così profondo da essere finto. “Ti stai forse augurando che la casa di qualcuno dei nostri bravi concittadini vada a fuoco? Ma è terribile...”
Kurogane rabbrividì per quanto il ragazzo suonasse simile alla dannata strega.
“Ovvio che no!” scattò immediatamente. “E’ solo che… Dannazione! Non è per questo che sono diventato vigile del fuoco!”
La risata di Fay aleggiò nell’aria come un tintinnio di campanelle. “Sei proprio una forza, Kuro-pompiere!”
“E smettila di prendermi in giro!” gli abbaiò contro Kurogane.
“No, sul serio!” La risata si dissolse in un sorriso. “Kurorin vorrebbe salvare le persone… E’ una cosa molto dolce!”
Kurogane si indispettì, rispose a tono e – arrossì – decise che era tempo di levare le tende, prima che quell’idiota contagiasse anche lui. Era già in macchina quando Fay richiamò di nuovo la sua attenzione.
“Però, Kuropi… Non è divertente un pochino anche salvare i miei gatti?”
A seguirlo a casa, quella sera, non furono tanto quelle parole, quanto il modo in cui le aveva dette: la stuoia ripiegata tra le braccia e stretta contro di sé, gli occhi bassi e un’espressione strana, come se quello che volesse intendere fosse tutt’altro.
A farne le spese fu la tenda della camera da letto, tirata con troppa forza.
La luce di conseguenza entrò molto presto, e Kurogane poté incolparla del suo scarso riposo, anche se era già sveglio ben prima che il sole sorgesse.

Quinto giorno…

Kurogane ormai si aspettava di tutto, tranne che di essere baciato.
Tutto era avvenuto esattamente come sempre, negli ultimi giorni. Quella strega del suo superiore gli aveva comunicato che c’era stata una chiamata d’emergenza all’angolo tra Celes Street e Avenue Q, con la stessa precisa identica sputata faccia da sadica. Lui aveva preso la vettura di servizio e già da lontano aveva visto Fay ai piedi dell’albero, lo sguardo rivolto in sua direzione, come se lo stesse aspettando. Il gatto questa volta era una palla di lardo tale da sembrare più un’enorme polpetta che un felino. Kurogane non si spiegava come quella bestia dall’aria pigra fosse riuscita ad arrampicarsi fin lassù, però ora Mokona, il gatto ciccione, non sembrava aver nessuna voglia di scendere. Come al solito, il pompiere aveva posizionato la scala sotto lo sguardo – di quell’azzurro così incredibile… - di Fay e si era avventurato tra le fronde del ciliegio, dove Mokona l’aveva guardato con un’aria beata e, quando lui l’aveva tirato su di peso, gli si era letteralmente accoccolato in braccio.
“Che razza di polpetta…” commentò Kurogane, scendendo dalla scala con non poche difficoltà, ingombrato com’era da quel gatto immenso.
Fay rise di gusto. “Mokona è un coccolone per indole, ma tu devi piacergli molto, se si è gettato così tra le tue braccia!”
E poi qualcosa successe.
Kurogane si chinò verso Fay per depositargli in braccio Mokona, e in un istante rimase paralizzato da quanto si era avvicinato, da quanto intensamente quella vicinanza lo colpì. Fay lo guardò negli occhi, come se ci stesse cercando qualcosa, e l’istante dopo si alzò sulle punte dei piedi per colmare quella breve distanza e la loro differenza d’altezza. Kurogane, per essere uno che non si aspettava di essere baciato, la prese piuttosto bene.
Fu un bacio strano. Non era la più comoda delle posizioni, con quel palla di lardo pelosa ancora in mezzo a loro, ma Kurogane sarebbe rimasto così per sempre. Non fece nulla, nemmeno ricambiò il bacio, ma di questo se ne accorse solo dopo, al momento era troppo sopraffatto per fare qualsiasi cosa che non fosse starsene immobile come uno stoccafisso.
Durò un istante o un’eternità, la differenza tra le due unità temporali sembrava così labile al momento, fatto sta che finì – troppo presto – senza che Kurogane riuscisse a scuotersi dal suo blocco e non poté fare altro che guardare ad occhi sgranati il volto di Fay, gli occhi socchiusi che lentamente si riaprivano, ricambiavano il suo sguardo e…
Si rendevano conto.
“Scusa!” rantolò senza fiato, e prima di lasciargli il tempo di rispondere era già corso via.
Ecco, pensò Kurogane, lo sapevo che era contagioso!
Perché fermo immobile sotto l’albero di ciliegio, incapace di pensare a cosa fare, non si era mai sentito più idiota.

I giorni successivi…

Dopo aver quasi scardinato la sua porta d’ingresso e sfondato un muro, la notte di quel giorno, Kurogane non vedeva l’ora di essere spedito per l’ennesima volta al salvataggio di uno dei gatti di Fay. Era andato al lavoro assolutamente impaziente. Gli avrebbe tirato un pugno su quella zucca vuota che si ritrovava. E poi… E poi avrebbe deciso che fare al momento, ma qualsiasi cosa sarebbe successa solo dopo un sonoro pugno in testa.
Invece, quando Yuuko lo chiamò per un’emergenza, l’indirizzo era diverso.
“Sarai contento, questa volta… Un certo Sorata ha cercato di fare un barbecue per impressionare la sua vicina di casa e ha incendiato il giardino.”
Kurogane spense il suo primo incendio, ma non fu contento. Per niente.
Aspettò la sua chiamata d’emergenza per tutto il giorno, mentre penne e matite spezzate si accumulavano sulla sua scrivania, ma la chiamata non venne.
Né quel giorno, né quello dopo, né quello dopo ancora.

Ultimo giorno…

“Kurogane!” tuonò Yuuko minacciosa. “Giuro che se trovo un’altra biro spezzata, comincio a detrartela dallo stipendio al triplo del suo valore!”
Kurogane, manco a dirlo, era di pessimo umore. Casa sua sembrava un campo di battaglia, se qualcuno fosse andato a fargli visita avrebbe pensato ad un terremoto o ad un uragano. Non si era più preoccupato nemmeno di raccogliere i resti delle vittime del suo malcontento. Dopo l’incendio, non c’erano più state segnalazioni di alcun genere e la noia non faceva che accentuare la sua irritazione e sottolineare il fatto che Fay non aveva più chiamato.
La noiosa tranquillità della caserma fu squarciato dallo squillo elettronico del ricevitore.
Yuuko, la quale stava ancora minacciando Kurogane con la sua presenza, si diresse verso la postazione telefonica, armeggiò con cavi e pulsanti e si mise in ascolto.
Kurogane la osservò, dapprima svogliatamente, poi con curiosità crescente, mentre la donna sgranava gli occhi, lo guardava con aria sorpresa, sorrideva in maniera inquietante e rispondeva qualcosa al ricevitore. Sotto i suoi occhi stupiti, Yuuko si alzò dalla sua postazione, scomparve nell’altra stanza e ritornò trascinando Doumeki con sé.
“Doumeki caro…” cominciò lei, parlando a voce così alta che probabilmente l’avrebbero sentita fin dall’altra parte della strada. “…c’è stata una chiamata di emergenza…”
Doumeki inarcò un sopracciglio e lanciò un’occhiata a Kurogane, dato che di solito era sempre il suo collega ad intervenire, quindi non comprendeva il suo coinvolgimento nella questione.
“…e pensa che strano!” proseguiva intanto Yuuko. “Mi hanno chiesto esplicitamente di non mandare Kurogane…”
Kurogane stavolta tese le orecchie, la sua attenzione era completamente catturata.
“Si tratta di un gatto bloccato su un albero o qualcosa del genere… All’angolo tra Celes Street e Avenue Q… Che ne dici, Doumeki? Pensi che dovrei affidare a te questo intervento?”
Doumeki non si premurò di rispondere, prima di tutto perché, mentre parlava, Yuuko non sembrava affatto rivolgersi a lui. Inoltre Kurogane era già saltato su e sparito verso il garage.
“Oi… si può sapere che succede?” domandò pacatamente il ragazzo.
“Nulla, Doumeki caro… è solo che il nostro Kurogane è troppo stupido per risolvere i suoi problemi da solo e sembra che abbia trovato qualcuno che, in quanto a stupidità, sia in grado di tenergli testa!” e con queste criptiche e profetiche parole, Yuuko tornò a sfogliare una rivista di moda e Doumeki decise di fare spallucce e tornare a sonnecchiare sulla sua scrivania.

Quell’idiota, quello stupido, stupido idiota!
Kurogane ignorò la segnaletica stradale che rammentava quali fossero i limiti di velocità sulle strade cittadine e pigiò sull’acceleratore. Dire che fosse incavolato sarebbe stato un eufemismo, scoprire che Fay desiderasse ignorarlo al punto da chiedere alla strega di mandare qualcun altro l’aveva mandato letteralmente in bestia. Percorse a tempo di record quella strada ormai così familiare e notò subito che non c’era nessun biondo idiota ad aspettare sotto il ciliegio.
E’ scappato! Mi ha visto ed è scappato! Ah, ma andrò a prenderlo persino dentro casa sua! Idiota!
Ma non appena ebbe parcheggiato, si rese conto che la realtà era ben diversa e molto, ma molto più allucinante di quanto pensasse.
Allibito da ciò che i suoi occhi stavano vedendo, scese dalla macchina, dimentico della rabbia, dimentico di ogni cosa che non fosse la scena a cui stava assistendo. Sull’albero, aggrappato convulsamente al tronco e appollaiato su un ramo dall’aria precaria, c’era Fay. Anche il ragazzo si accorse della sua presenza e ne fu così sorpreso che per un attimo si lasciò andare al panico e cercò un’impossibile via di fuga. Il ramo sotto scricchiolò un avvertimento. Allora Fay si immobilizzò, cercò ancora con lo sguardo Kurogane e parve accantonare i suoi turbamenti in favore della incolumità fisica.
“Kurotan… mi tiri giù?” gli chiese con un sorriso preoccupato e voce lamentosa.
Kurogane lo osservò per lunghi istanti dal basso verso l'alto, prima di esclamare un secco "No".
"Non ti puoi rifiutare, Kurorin!" piagnucolò Fay. "E' il tuo lavoro!"
"C'è un limite a tutto. E questa è un'assurdità troppo grande, persino per te!"
Nonostante il suo netto rifiuto, Kurogane restò immobile, ad osservare l'idiota nella sua impossibile situazione, realizzando che avrebbe probabilmente fatto qualcosa per porvi rimedio, ma solo dopo che il suo cervello avesse digerito l'immagine alla quale si trovava davanti.
“Come diamine ci sei finito lassù?!” si decise a chiedergli.
“Beh, ecco…” cominciò lui, cercando di mostrarsi il più allegro possibile. “Anche se negli ultimi giorni li tenevo chiusi in casa, il vecchio Taishakuten si è ribellato, è scappato da una finestra e si è arrampicato fin quassù! Ho cercato in tutti i modi di farlo scendere, ma lui non ne voleva sapere, allora ho pensato che fosse così vecchio da non essere più capace di scendere e allora… beh… sono salito a prenderlo io, in fondo ho visto Kuro-pompiere farlo un sacco di volte! Così mi sono arrampicato… Solo che Taishakuten non ha gradito la mia presenza ed è sceso tutto da solo, mentre io… Beh io non sono più capace di scendere!” e concluse il tutto con una risata, come se avesse raccontato la cosa più divertente del mondo.
“Idiota!” si sfogò Kurogane. “Non salire sugli alberi se non sai come fare a scendere!”
“Miao,” commentò con aria soddisfatta il gatto grigio seduto ai piedi dell’albero, mentre osservava compiaciuto il suo padrone bloccato. Kurogane lo fissò sconcertato da una tale pubblica manifestazione di crudeltà gratuita.
“Allora, mi tiri giù?” piagnucolò ancora Fay.
Il vigile del fuoco sbuffò e decise di essere magnanimo e di recuperare la scala dal retro della sua autovettura. L’appoggiò al tronco e cominciò a salire, ma fu solo a metà strada che ebbe l’illuminazione. Fay, l’idiota dal quale pretendeva diverse spiegazioni, era meravigliosamente chiuso all’angolo, senza alcuna possibilità di sfuggirgli. Kurogane sorrise.
“Prima che di farti scendere…” disse, inchiodando Fay con lo sguardo. “…non credi che ci sia qualcosa che dovresti dirmi?”
“Ehr…” Fay era stato colto con la guardia palesemente abbassata. “…grazie?”
Kurogane non si lasciò irritare dal suo atteggiamento, tanto, per quel che lo riguardava, aveva tutto il tempo del mondo. Sorrise ancor di più, l’inebriante sapore di una vittoria certa stretto tra i denti come il gambo di una spiga in una placida giornata d’estate.
“Kuropon, non mi sembra davvero il momento…” cercò di sdrammatizzare Fay occhieggiando ansiosamente la scala, così vicina eppure così irraggiungibile.
“Perché non hai più chiamato in dipartimento?” Kurogane lo freddò con una domanda secca.
“Beh, nessun gatto era rimasto bloccato sull’albero e…”
“Perché hai chiuso i tuoi gatti in casa?”
“Col freddo che fa in questi giorni…”
“C’è un sole che spacca le pietre. Perché oggi hai chiesto che non mandassero me?”
“…” Fay lo fissò cercando con tutte le forze di non lasciar trapelare la sua disperazione. “Sai una cosa, Kuro-pompiere? Credo proprio di farcela a scendere da solo, sissignore, sicuro! Quindi puoi…” cercò di spingere via Kurogane, tentando disperatamente di non avvicinarglisi troppo. “…puoi anche andare, è tutto sotto controllo!” e cercò di ridere.
Kurogane era sul punto di spazientirsi e invece, a quanto pareva, toccava al ramo farlo. Lo scricchiolio stavolta fu atroce. Fay sgranò gli occhi e si catapultò letteralmente tra le sue braccia.
“Tsk…” commentò Kurogane, senza perdere il suo sorrisetto. “Sei davvero un idiota!” e, proprio come aveva immaginato, non fece alcuna fatica a sollevare quel corpo esile.
“Non puoi pensare di risolvere sempre tutto dandomi dell’idiota…” Fay si era stretto a lui con tutte le sue forze, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
“Non puoi pensare di risolvere sempre tutto nascondendoti e scappando,” rispose tranquillamente Kurogane, mentre scendeva a terra tenendolo saldamente contro di sé.
Fay non gli rispose e, quando raggiunsero finalmente il suolo, si divincolò immediatamente, ma Kurogane, senza nessuno sforzo, lo tenne stretto e non lo lasciò andare. Fay si azzardò a scostare il volto dalla spalla dell’altro per poterlo guardare negli occhi e capire a cos’avrebbe portato quella loro stramba situazione.
“Lo vedi che sei un idiota?” lo rimproverò ancora Kurogane, chinandosi su di lui quel tanto che bastava per baciarlo.
Fu irruento e rapido e gli lasciò un Fay pietrificato tra le braccia. Kurogane provò un’immensa soddisfazione nel pensare di non essere l’unico ad essere rimasto come uno stoccafisso quando era stato baciato. I tempi di reazione di Fay però furono più rapidi, dopo il primo momento di shock, gli si illuminò il volto di un sorriso radioso.
“Meno male, che sollievo!” sospirò abbracciandolo felice. “Ero terrorizzato dalla tua reazione al mio bacio, ma direi che questo risolve tutto!”
“Mh…” commentò Kurogane, lievemente imbarazzato. “Puoi anche scendere, adesso…”
Fay scosse energicamente la testa con aria giuliva. “Eh no, Kurorin! Adesso mi terrai in braccio! Per sempre!”
“Sei veramente un id-!!”
Un bacio.
“Te l’ho detto che non puoi risolvere tutto così, Kuro-love!”
Un altro bacio, stavolta più intenso.
Mentre si baciavano, però, Fay li interruppe di nuovo e gli scoppiò a ridere sulle labbra.
“Si può sapere che c’è, adesso?” gli chiese Kurogane, vagamente risentito.
“Il mio Kuro-cavaliere è venuto a salvarmi sul suo grazioso pony bianco!” e ridendo ancora indicò l’automezzo di Kurogane.
“Ancora con questa storia del pony?!” ma Fay aveva finalmente deciso di tornare a baciarlo e la discussione si fermò così.
Il bacio stavolta proseguì, invece. Per molto, molto tempo.



Primo nuovo giorno dopo l’ultimo di questa storia (e tutti quelli che lo seguirono)…

Kurogane imparò che Fay sapeva riempire la sua vita e renderla interessante molto più di un incendio, che i gatti evidentemente lo prendevano in particolare simpatia ed imparò anche a non rompere più così tante cose.
Per lo meno non così spesso.



Owari



BONUS TRACK! DIRECTOR'S CUT!! BACKSTAGE!!! :D Ecco un estratto del mio lavoro in corso:
(Dal "Quarto giorno...")
Kurogane pensò che gli ci mancava solo quello per rendere la giornata ancora più stupida, ma quando l’altro gli offrì una limonata (…….lkfkjdlkc,x-.cxjfsòdaàoiglhkfjsdsz FAY TU SI’ CHE SAI ARRIVARE AL SODOFLòFDoafojdlòksdodfijgj dsofdldfj dsdps “Kurorin, ti andrebbe di LIMONARE???” kdpolkfdòlòcvvcvc) fresca, si accorse...





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