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Autore: MarissaGwyn    16/06/2005    9 recensioni
Questa fic è ispirata a Sin City. Chi ha visto il film ci troverà non poche similitudini, a cominciare dai nomi di alcuni personaggi. L' ho scritta ieri notte, ascoltando il pezzo dei The servant, Cells, che fa da sfondo al trailer del film ed è compreso nella colonna sonora. I due personaggi Ryan e David sono inventati da me; i personaggi di Dwight, di Nancy e della cameriera sono quelli di Clive Owen, Jessica Alba e Brittany Murphy. Ascoltate la canzone mentre leggete...
Genere: Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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UNA NOTTE A SIN CITY


“La vita dell’ uomo, per salvare quella della bambina”


‘Balla. Balla, Nancy.’

I capelli biondi fluttuavano lunghi e lisci, nelle luci del locale avevano il colore dello champagne e dell’ oblio di troppe notti passate insonni.

‘Balla, Nancy’.

E Nancy ballava. Il corpo flessuoso, gli occhi marroni e la bocca carnosa e semiaperta. Il top di pelle nera che non arrivava a coprirle la vita. I fianchi larghi abbastanza da sembrare una vera donna, e non una fottuta Lolita che si crede grande.

Nancy ballava, e il locale fumeggiava di uomini che volevano sfuggire alla realtà per un istante e cadere illusi in un’altra realtà ancora peggiore- l’ odore stantio di alcool e notte e del non fidarsi di nessuno. Di chi ti puoi fidare, nel bel mezzo dell’ inferno, l’ inferno fatto di asfalto e lampioni e i grattacieli di un sobborgo di New Orleans.

L’ inferno che odora di tequila e jack daniels in un impossibile mix che porta a vedere allucinazioni di una vita che esiste, ma che tutti fingono di non vedere.

Anche questa è la realtà.

Ryan cercò di farsi strada nel marasma di corpi e volti indistinti, faticando a camminare come se si trovasse in un fottuto mare fatto di fango, in mezzo a gente di cui non riusciva a vedere il viso e di cui non gli importava vederlo.

Il fumo gli bruciò gli occhi mentre li sollevava sulla silohuette di Nancy.
Era per quello che aveva deciso di entrare in quel locale di perdizione.
Nancy.

Cercò di raggiungere un angolo e da lì lasciò che il suo sguardo vagasse sui movimenti morbidi della ragazza. Il pantalone di pelle seguiva l’ ancheggiare dei suoi fianchi, e il suo ballare era qualcosa di diabolico come tutta l’ atmosfera che li circondava.

“Hey tesoro. Che cosa ti porto?”

Ryan tornò alla realtà e guardò davanti a sé, e i suoi occhi incontrarono gli occhi bistrati di nero di una giovane cameriera. Anche lei vestita con solo qualche centimetro di stoffa, e il grembiule bianco che stonava con il resto come l’ala di un angelo trapiantata nella schiena di un demone.

“Mmmm… un Bourbon”, riuscì a mormorare.

La cameriera gli strizzò un occhio e si allontanò, e Ryan si chiese come avesse mai fatto a capirlo. Aveva mugugnato qualcosa in una lingua che non sembrava nemmeno inglese, mentre i suoi occhi mesmerizzati tornavano alla danzatrice sul cubo.

Che cosa diavolo ci faceva lì, Ryan pensò, non tanto sicuro se quel pensiero si riferisse a sé stesso oppure alla figura che l’ aveva ipnotizzato. Non doveva avere nemmeno vent’ anni, maledizione. Che cosa ci faceva lì, perché non era a casa sua, con il telefono in una mano e i libri di scuola nell’ altra.

Il locale si riempì ancora e Ryan si allontanò di qualche passo dall’ angolo, la gente si ammassava ed un tizio di colore che doveva essere alto almeno quanto un palazzo di due piani gli si era messo davanti.

Cazzo, pensò Ryan. Non sono venuto qui per farmi venire un attacco di cuore fumando e bevendo o per aspettare la prima rissa e buttarmici in mezzo.

Sono venuto qui per *lei *.

“Ryan”.

Ryan si voltò all’ improvviso ed abbassò lo sguardo seguendo la provenienza della voce.

“Perché non ti siedi qui”.

Ryan sospirò e si sedette accanto all’ uomo.

“Non avrei mai immaginato di trovarti qui, David”, disse fra i denti, senza guardarlo.

“Nemmeno io. Ma sai com’è. La vita è strana, ragazzo”.

Ryan annuì, amaro. “E tu lo sai bene”.

La musica sembrò farsi più alta improvvisamente. Le luci si spostavano da una parte all’ altra come impazzite, e il fumo faceva del suo meglio per annebbiare la visuale di quelle povere anime da purgatorio con i bicchieri in mano.

L’ alcool apparve anche di fronte a Ryan, e subito dopo il corpo seminudo della cameriera fu davanti ai suoi occhi.

“Fanno 5 dollari e settanta, bellezza”.

Il ragazzo sollevò gli occhi a guardare la cameriera, mentre la sua voce mielosa gli penetrava nelle vene come la più invasiva delle droghe.

‘Non l’ ho voluta io questa cosa. Io non sono così’, pensò, il cervello già annacquato al solo sentore saturo del bourbon nel bicchiere di vetro davanti a lui.

‘Sono venuto qui per *lei *’.

Ryan allungò un biglietto da dieci dollari alla cameriera. Era una bella ragazza, niente da dire. I suoi occhi allungati dall’ eye liner nero come la pece ammiccarono in silenzioso ringraziamento, e lei si voltò aggraziata e se ne andò.

“Sei di nuovo qui per bere?”

David si era avvicinato un po’ di più. Ryan poteva sentire l’ odore di menta e di vino bianco nel suo respiro, e in quella bolgia satura di aria pesante e di vite umane incrociatesi per caso il suo respiro gli apparve come una ventata di ossigeno giunto dalla serratura del paradiso.

“No. Lo sai benissimo”.

“Sei venuto per lei”.

Ryan si voltò improvvisamente, realizzando soltanto in quel momento di aver fissato per dieci minuti buoni il legno ebano di quel fottutissimo tavolo a cui erano seduti. La voce di David lo ipnotizzava, come tutte le volte.

Nancy! Dov’era Nancy?

La cercò con gli occhi, ma non la vide. Non era più su quel cubo, non era più su quel maledetto palcoscenico per depravati. Almeno lei non si faceva infilare le banconote nel reggiseno come facevano le sue colleghe del martedì.

Non che lui le conoscesse, quelle del martedì. Gliene avevano parlato, ecco tutto. Già.

Poco male. Nancy faceva sempre una pausa ad un certo punto della serata. Oh cazzo, non era mica un fottutissimo robot.

“Ryan?”

“Lo sai perché.”

David tacque per un momento, ponderando la risposta. Sapeva che Ryan non voleva parlargli, e soprattutto non in quel momento.

Si avvicinò ai suoi ricci corvini e inalò il profumo dello shampoo che cominciava a fondersi con le esalazioni fumose del pub e con l’odore del giovane corpo a cui appartenevano.

“Perché fuggi da me…”David sussurrò, avvicinandosi ancora di più e passandogli un braccio attorno alla vita.

Ryan sussultò. Voleva allontanarsi. Non era lì per quello…non era lì per quello…

“Non sono qui per questo, David”, riuscì ad ansimare, chiudendo gli occhi e sentendo le labbra dell’ uomo accarezzargli il collo e poi scendere lungo la pelle calda della gola, fin dove riuscirono ad arrivare. La sua mano gli accarezzava il petto con languidi movimenti, come il cobra che sta circondando la sua preda in attesa del momento opportuno per stringere e strangolarla.

“No!” gridò Ryan, allontanandosi di quel poco che lo spazio su quella panca logorata permetteva.

La sua voce si rivelò essere più alta di quanto avrebbe voluto, ed un uomo all’ altro lato del tavolo si voltò nella loro direzione e puntò su di lui due occhi azzurri e taglienti come lame.

Dwight. Lo conosceva. Lo aveva sempre visto là, al Black Cat, ogni volta che lui ci andava per vedere Nancy.

Forse anche lui andava lì per lei. Forse anche lui andava lì per vederla ballare, per spiarle il corpo, per cercare di scoprirne l’ anima. Per cercare di vedere se c’era, l’ anima.

No. Quello lo faceva lui, Ryan. Il ragazzo per bene che un giorno si era trovato per caso in un sobborgo putrido e pieno di puttane e papponi e di individui in giro con la pistola nella manica della giacca. Il ragazzo per bene che un giorno era entrato nel locale dei papponi e delle puttane, e aveva visto Nancy e da allora ci andava, tutte le settimane, solo per vederla.
Solo per vedere *lei *.

Dwight non era così. Dwight era come gli altri. Dwight guardava Nancy come guardava tutte le altre donne nel locale, come guardava quella cameriera.
Per Dio, Dwight guardava quella cameriera con i suoi occhi di ghiaccio e lei gli sorrideva. E lui non se ne andava finchè lei non smontava, e se ne andavano via insieme, chissà dove.

Si era sbagliato. Dwight era esattamente come lui.

“David, lasciami in pace”.

Gli occhi di Ryan tornarono al centro del locale, volarono al di sopra delle teste e dei tavoli e lì, sopra al cubo, videro di nuovo Nancy. Stava ballando di nuovo. I suoi capelli biondi stavano di nuovo galleggiando in quell’ aria satura come dentro un acquario inquinato e pieno di pirana che la volevano, che volevano Nancy e lei ballava, ballava come se non avesse mai paura di nessuno.

Ryan aveva paura per lei. Ryan avrebbe avuto paura, se fosse stato in lei.

“Non puoi salvarla”, David disse, bevendo un lungo sorso dalla sua birra di malto scura e pulendosi la bocca con il dorso della mano.

“Oh, David. Sta’ zitto”sbottò Ryan, chiudendo gli occhi per un secondo. Il bourbon cominciava a salirgli alla testa,e allora lui cominciava a vederlo davvero, quell’ acquario. Cominciava ad esserci in mezzo.

‘Io non sono come loro, Nancy. Io non sono come loro’.

“Tu credi di sapere sempre tutto. Tu credi di sapere, ma non sai nulla. Non sai quello che penso”.

David allungò una mano e lentamente la posò sul viso del ragazzo, costringendolo a voltarsi verso di lui.

“Io non so tutto, dolcezza. Ma so quello che è ovvio”.

Ryan fissò i suoi occhi scuri in quelli azzurri dell’ uomo davanti a lui.
“Come fai a vivere così”, sibilò. La sua mano risalì dall’ orlo freddo del bicchiere fino a quella dell’ uomo che giaceva sulla sua guancia, ma non la allontanò.

Piccole pozze di lacrime cominciarono a formarsi nei suoi occhi, ma Ryan si rifiutò di lasciarle cadere e scivolare sulle sue guance gelate.
Oltre le spalle di David, gli occhi di Dwight si incatenarono increduli ai suoi. Quel cobalto tagliente penetrò nella sua carne come fosse reale, e Ryan gemette, allontanando la mano dell’ uomo dal suo viso ed alzandosi in piedi di scatto.

“E’ finita, David. Lo sai che lo è”.

David lo fissò, come attendendo, e Ryan restò fermo, respirando faticosamente. La musica rumorosa diventava sempre più indistinta e fastidiosa alle sue orecchie, l’ acquario lo stava avvolgendo, lui stava annegando, annegando…non era Nancy a dover essere salvata.

Era lui.

“Tu non mi hai salvato. Come puoi sapere cosa succederà agli altri? Come puoi sapere che io non la salverò?” gridò, la sua voce un lamento pietoso e nessuno dei condannati al purgatorio lo sentì.

Nessuno si accorse che lui voleva ancora essere salvato.

David lo sentì. Restò immobile, continuando a fissarlo, e Ryan ricambiò lo sguardo con astio, combattendo per respirare, mentre i polmoni si chiudevano e lui non riusciva più a sentire l’ aria nella trachea.

Sto annegando. Sto annegando.

Nancy…Nancy…

David non aveva più nulla da dire, perché se ne stava zitto, come in attesa. ‘Che cosa aspetti, maledizione? Aspetti che io muoia? Che diventi come ciascuno di voi, come ciascuno di voi stupidi, fottuti pervertiti di questo maledetto quartiere?’

Lo stava già diventando. Ne faceva già parte.

Dwight si alzò in piedi, lentamente, con quel suo modo apparentemente calmo, apparentemente sicuro, e fece qualche passo nella sua direzione.

E adesso che cosa vuoi anche tu, pensò Ryan. Il cuore non aveva smesso di battere come un fottuto tamburo e lui se lo sentiva nel petto, nella gola, nelle tempie. Sovrastava il frastuono di quella musica da lap dance e lui non voleva, non voleva sentirlo.

Dwight si fermò, e sorrise, mentre davanti a lui si fermava la cameriera di prima.

Ah, già, erano appena scoccate le tre. Preparate la carrozza, il principe è venuto a prendere la sua principessa.

Ryan guardò la ragazza e Dwight che si allontanavano, mentre quest’ ultimo lo guardava un’ ultima volta profondamente negli occhi, infliggendogli un ultimo dolore con le lame delle sue iridi.

David restò immobile, e chiuse per un attimo gli occhi. Un gesto tanto semplice, ma pieno di tacita disperazione.

Ryan non potè più sopportarlo. Riuscì a sciogliere il suo sguardo dalle catene in cui lo tenevano imprigionato gli occhi dell’ uomo e si voltò a guardare la sua principessa.

Nancy stava ancora ballando. Muoveva il bacino sinuosa, e le anche seguivano il movimento, mentre i fronzoli del top nero si sollevavano e la luce le scolpiva il corpo quasi fosse fatto di marmo.

I suoi occhi, però, erano diversi. Non erano più persi nel vuoto, non erano più senza anima, disillusi dell’ esistenza di una possibile salvezza, ma ora stavano guardando qualcosa di vivo.

Qualcosa di vivo in mezzo alla bolgia di peccatori sulla via dell’ inferno e quel qualcosa era lui, Ryan, Ryan che ricambiava quello sguardo e che ora aveva capito.

David lo aveva lasciato libero. Era l’ unico modo in cui poteva salvarlo e l’ aveva fatto, ed ora lui doveva andarsene. Riprendere sé stesso, e fuggire.
Ryan guardò per un ultima volta l’ uomo seduto di fronte a lui, i cui occhi pieni di disperazione e rimpianto gli stavano dicendo di correre, di scappare, di aprire quella porta e di non tornare mai più. Gli stavano dicendo vattene, o resta qui con me, dannato per sempre, come lo sono io.

Ryan si voltò, e si fece nuovamente largo tra quella massa informe di corpi che ora gli sembrava ancora più informe. Raggiunse un punto sulla pista, e i suoi occhi cercarono nuovamente, febbrilmente quelli di Nancy.

La ragazza sorrise, e scese dal cubo, correndo verso di lui e gettandogli le braccia al collo. Ryan la circondò con le braccia e la strinse a sé, e lei si tirò un po’ indietro ed unì le loro labbra, con la foga di dieci, cento, mille anni di prigionia.

I capelli color miele ora erano abbandonati sulla sua schiena, e la sua bocca carnosa era premuta contro quella di Ryan, e lui poteva sentire quel corpo di donna contro il suo. Era intriso di alcool, di odore di fumo e di gente sconosciuta, ma sapeva di buono, ed era come prendere una boccata d’ aria sulla superficie.

Ryan la strinse a sé un' ultima volta, poi la rimise a terra e la guardò in quei suoi grandi occhi, sorridendo.

Nancy ricambiò il sorriso. La gente attorno a loro sembrava non essersi accorta di nulla. Restava invischiata nel fango che li aveva inghiottiti. Non c’era salvezza per loro, non c’erano sorrisi, non c’era qualcuno a dirgli che la vita era meglio di così.

Ryan prese la mano di Nancy e la strinse nella sua.

“Vieni. Andiamo”.



The end
  
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