Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Miss_Juls_giu    21/11/2009    1 recensioni
Ed ecco che cinquanta tre diventano due e ad arrivare ad uno c'è voluto davvero poco. Aveva perso tutto. Davvero tutto. Avrebbe potuto tornare indietro, ma volerlo era diverso.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ggtgt

Non se l'aspettava, ecco tutto.

Davvero, per una volta, non credeva potesse andare come aveva previsto.

Tutto nella sua vita sapeva di utopia: i suoi genitori, li aveva sempre immaginati innamorati, felici, un padre ed una madre con i fiocchi.

Ma la dura realtà le si gelava sulla pelle tutte le volte che sentiva quelle urla strazianti, il sonoro sbattere delle porte della sua casa, quei piatti rotti e quei cocci buttati per nascondere verità troppo dolorose, erano tristemente taglienti.

Tristemente.

La parola più adatta.

Quella che l'aveva portata a cadere giù, troppo giù, infinitamente per risalire.

Mosse un passo, uno dopo l'altro, con andatura leggera, come non poteva essere altrimenti.

Ma la sua era una leggerezza differente, una di quelle che pesano.

Inciampò in qualcosa, barcollando credette di cadere, ma si sostenne sulle gambe, o quello che ne era rimasto.

“Attenta, bella, se cadi ti spezzi..” alzò lo sguardo, scossa dal suono rauco della voce di una donna.

Lasciò vagare gli occhi languidi nei suoi, verde acido, tentando di trovare quello che cercava.

Aprì la bocca, ma non con l'intenzione di dire qualcosa, per il puro gusto di farlo.

Erano pochi ormai, i piaceri di cui poteva godere, ed aprire la bocca per qualunque motivo, non era uno tra i più frequenti.

La donna si strinse nelle spalle, stordita da quella figura pressapoco inesistente ed insulsa, quasi stesse avendo un brivido di freddo, ma dentro l'anima.

“Beh, guarda dove metti i piedi” disse, distaccatamente spaventata.

Girò i tacchi e percorse il vicolo così velocemente, che Alina non fece in tempo strizzare gli occhi, che era già sparita.

Alina era il nome che aveva scelto sua madre.

Il nome di sua nonna e quella di sua zia.

Ora il suo.

Faceva fatica perfino a denominarsi, in quello stato, cosa avrebbe potuto chiamare?

Il suo viso? Due zigomi spigolosi e sporgenti, un naso che tempo fa le invidiavano in molte, ora appariva enorme e appuntito.

Il suo seno? Il suo seno, una volta.

Ora quello che ne era rimasto.

La sua pelle?

Il suo cuore mancò di un battito.

La sua pelle era stata risucchiata dalla perversione della sua mente malata, come da una cannuccia si succhia il frappè.

Aveva gravitato intorno ai cinquantaquattro per molto tempo, poi finalmente c'era riuscita.

Il suo unico grande traguardo.

Ed ecco che cinquanta tre diventano due e ad arrivare ad uno c'è voluto davvero poco.

Aveva perso tutto.

Davvero tutto.

Avrebbe potuto tornare indietro, ma volerlo era diverso.

Come un fumatore afflitto dai sensi di colpa, butta il pacchetto di sigarette, per poi voltarsi e andare a comprarne un altro, lei mangiava una fetta di pane, e infilandosi due dita in gola la vomitava.

Quando il sangue iniziò a bruciarle la gola decise che avrebbe smesso di mangiare semplicemente.

Alina, non sarai dimagrita troppo?”

Ricordò la domanda, spudoratamente retorica che sua madre le poneva ogni qualvolta le capitava di incontrarla in casa.

Non rispondeva Alina, e chiudendosi in camera, osservava con gelido distacco il suo riflesso nello specchio.

Di più.

Più giù.

Non sapeva, o forse non voleva sapere, che sarebbe morta.

Come fosse quel giorno, dispersa senza meta in quel vicolo, neppure lei sapeva bene.

trascinava quarantanove chili per la strada, che nonostante tutto, le sembravano un'immensità.

Aveva pensato tanto, cosa l'avrebbe salvata?

Chi?

Ma sopratutto, perchè?

Gli occhi spauriti di quella donna le dicevano ciò che sapeva: era andata troppo oltre, dove neppure lei era più in grado di fermarsi.

Brancolava nel buio, cercando un luce che nessuno avrebbe acceso per lei.

Sentì delle voci lontane, in fondo alla strada, e un profumo che negli ultimi mesi le irritava il naso e le provocandole la nausea, la travolse.

Un uomo, che dall'intonazione sembrava grassoccio e ubriaco, intonava un canto stonato.

Una fragorosa risata di donna, le riscaldò il cuore.

Lei disse qualcosa in una lingua straniera e lui scoppio in un riso, che si tramutò dopo poco in una tosse aspra e pensante.

Senza accorgersene, si era avvicinata, i due erano all'entrata di una locanda.

Gli occhi, che si erano abituati al buio, le lacrimarono illuminati dalla flebile luce.

Quando la videro, l'uomo si voltò verso la donna, che abbandonò il sorriso.

Lui le disse qualcosa, probabilmente in greco, lei lo guardò allibita.

Per un secondo Alina rimase immobile, sulla tavola imbandita un pollo fumante lasciava la scia che prima l'aveva travolta.

Solo quando decise che sarebbe andata via la donna parlò.

“Vuoi sedere con noi? Può mangiare pollo, se tu vuoi, può bere vino con me e marito...”

Alina la guardò colpita.

Mangiare pollo..

sapeva perchè le aveva rivolto quello del cibarsi come primo invito.

Salì i tre scalini della veranda e colmò con tre passi lo spazio che li divideva.

Si sedette titubante sulla panca, accanto alla donna.

Pollo.

Che sapore aveva?

L'odore era dolcemente salato nelle sue narici..

sfiorò la pelle abbrustolita con la mano sporca.

“Su, mangia, fatto io ora questo, buono...”

la donna la incitò.

Si era dimenticata perfino come si facesse.

Decise, non vedendone neppure una, di non usare le posate.

Prese una coscia, l'odore la pervadeva e le parole dell'uomo accanto a lei, che aveva emesso un grugnito, probabilmente perchè la sua porzione di pollo sarebbe diminuita, le giungevano sconnesse e lontane.

Avvicinò la carne alla bocca, quel contatto nuovo con le sue labbra la scosse, strinse lentamente i denti contro il pollo, strappandone un pezzo.

Masticò, prima lentamente, poi sempre più velocemente.

Era buono.

E lei aveva dimenticato quanto.

Vide il sorriso della donna accendersi, quando improvvisamente si avventò su un'altra coscia.

L'uomo disse qualcosa, e lei lo zittì sgarbatamente.

Mangiò tutto.

Si poggiò sullo schienale della sedia, con una sensazione di pesantezza che non provava da mesi ormai.

Sapeva che tutto quel cibo avrebbe stravolto il suo stomaco, che aveva perso l'abitudine, ma non le importava.

Voleva mangiare.

Dio, sì, mangiare.

Come aveva potuto mai privarsi di questo per così tanto tempo, senza morire?

Stavi per morire...

scosse la testa, cancellò quel pensiero.

Cosa fosse cambiato, non sapeva.

Sapeva che della sua vita non importava a nessuno, ma per una volta, avrebbe voluto importasse a se stessa.

“mia madre e mio padre hanno divorziato, mio fratello è morto quando avevo tredici anni...

la mia migliore amica mi ha abbandonato, non rivelandosi tale..

il mio ragazzo voleva la carne che io non avrei più potuto dargli..

Avevo tutto questo, l'ho perduto.

Ora ho solo la mia vita.

Non posso permettermi di perdere anche questa”


Dieci anni dopo.


“E' una femmina! Hai già deciso come la chiamerai?”

Alina guardò lo scricciolo che aveva tra le braccia.

Era incommensurabilmente bella.

Era sua.

Sua.

Loro.

“Fortuna. Perchè non Non ci sia mai nessuno che non abbia bisogno di lei”






  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Miss_Juls_giu