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Autore: Takkun    22/11/2009    0 recensioni
E se Takuto, prima di ottenere il suo primo incarico ufficiale da Shinigami, avesse trascorso un periodo di "addestramento", magari insieme a un'aspirante messaggera di morte un po' particolare...? Questo racconto è dedicato ad Aryuna... buon compleanno, sorellina!
Genere: Commedia, Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un pò tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. Essere uno Shinigami

 

 

         La Luna piena era ormai alta nel cielo.

         Un pallido disco che si rifletteva in ogni specchio d’acqua, creando mille Lune in terra, invidiose di non essere lassù. I suoi freddi raggi illuminavano le poche persone in giro a quell’ora: famiglie desiderose di tornare a casa che camminavano in fretta chiedendosi perché non avevano preso la macchina, gruppi di ragazzi che passavano per le strade alla ricerca di qualche luogo di ritrovo, coppie d’innamorati che si scambiavano baci su panchine, muretti, prati o qualsiasi altro luogo adatto a contenere un angolino d’amore. Qualche alito di vento increspava i ciuffi d’erba, che illuminati dalla Luna sembravano minuscole trame intrecciate di fili d’argento.

         Eichi Sakurai camminava nel corridoio dell’orfanotrofio, dopo aver tentato in ogni modo di addormentarsi ma senza successo. Dopo aver saputo che Mitsuki si era sentita male solo per non aver letto il contenuto del suo libro aveva passato le ultime due giornate combattuto tra la paura di mostrarle il libro e la gioia di sapere che un suo segreto contava così tanto per lei.

         Si accorse di aver portato il libro con sé. Automaticamente si diresse verso la stanza di Mitsuki, pensando che forse avrebbe anche potuto mostrarglielo, se lei ci teneva così tanto.

         A pochi metri da lui, seduta sul davanzale di una finestra, c’era Aryuna, con la testa poggiata sulle ginocchia e lo sguardo perso in un punto imprecisato del muro opposto del corridoio.

         Per tutto il giorno aveva vagato senza meta, fino ad accettare l’idea che non sarebbe riuscita a restare lontana da quel luogo, quella notte. Takuto aveva ragione, non era scappando che avrebbe risolto tutto. Doveva esserci. Molto probabilmente non sarebbe riuscita a rubare l’anima di Yu, ma essere presente le sarebbe servito nel suo percorso per diventare una messaggera di morte. Allora perché era seduta lì da ore, senza riuscire a trovare il coraggio di andare avanti?

         Al suono dei passi di Eichi aveva sperato che Takuto sbucasse da quell’angolo. Almeno sarebbe riuscito a tirarla su. Poi aveva temuto che i passi fossero di Haku, venuto per Yu, e aveva rabbrividito al pensiero di rivedere quel volto che avrebbe potuto suscitarle altri traumatici ricordi. Invece era arrivato quel bambino biondo, che lei aveva riconosciuto subito come il bambino del libro, quello che Mitsuki desiderava tanto leggere.

         Aryuna non era riuscita a comprendere cosa si agitasse nell’anima di quel bambino: chissà cosa significava per lui quel libro, chissà cosa aveva patito tempo fa. Dopotutto, ogni ragazzo in quell’orfanotrofio aveva alle spalle un passato che sapeva di morte.

         Eichi si bloccò di colpo, fissandola. Aryuna si risvegliò dal suo torpore, guardandolo con aria interrogativa. Sapeva bene che lui non poteva vederla.

         “Mi segui anche oggi, eh? Perché?” Sussurrò, a metà fra il fastidio e il pianto.

         Aryuna credette di aver commesso l’errore dell’ultima volta, e fece per volare attraverso la finestra e scappare via. Ma come poteva quel ragazzino averla vista altre volte? Anzi, credere che lo stava seguendo? Poi si calmò, e seguendo lo sguardo di Eichi che andava oltre il suo volto stupito, capì che il bambino stava parlando alla Luna.

         Un attimo dopo Eichi gettò a terra il suo libro, lanciando un urlo di rabbia, e si sedette per terra a piangere.

         Aryuna era ancora più stupita, se possibile, e non aveva idea di cosa stesse succedendo. In quel momento quel ragazzino dava un’immagine di fragilità e di insicurezza che andava ben oltre i suoi dubbi. Lo compatì, sapendo bene ciò che lei stessa stava attraversando in quei momenti, e convincendosi che Eichi aveva bisogno di un sostegno si alzò cautamente e fece per avvicinarsi.

         Il suo gesto, però, si esaurì nel nulla, poiché il bambino si alzò dopo poco tempo con uno sguardo risoluto, e sotto gli occhi di un’attonita Aryuna abbozzò un sorriso.

         Eichi si diresse verso una porta e bussò piano, bisbigliando qualcosa che Aryuna non riuscì a percepire. Incuriosita, una piccola volpe arancione con la coda e le orecchie basse, un ciondolo a forma di chiave e due occhioni azzurri si avvicinò alla porta che si stava schiudendo.

         Nello spiraglio che si aprì fece capolino il visino intimorito di Mitsuki, che guardava Eichi in attesa di sentire le sue parole. Lui le sorrise, e le parlò con voce tranquilla.

         “Senti… perché non andiamo a guardare le stelle?”

         Il volto di Mitsuki si illuminò di gioia, i suoi occhi si spalancarono e la sua bocca si aprì in un sorriso mentre quel “si!” le usciva dritto dal profondo del cuore.

Eichi le fece segno di non fare rumore e i due bambini si allontanarono tenendosi per mano, passando accanto ad Aryuna che li osservava meravigliata. I suoi occhi rimasero a guardare il punto dove i due avevano imboccato un altro corridoio per molto tempo dopo che furono spariti alla sua vista.

         Aryuna era stupita di come un bambino, che doveva sicuramente soffrire per drammi molto più imponenti di quelli di tanti adulti, era riuscito a trovare una risolutezza tale da lasciarsi in un attimo il passato alle spalle e fare la cosa più giusta. La cosa più giusta…

         Sollevò lo sguardo e si allontanò dalla parte opposta di Mitsuki ed Eichi, decisa ad andare incontro al proprio destino.

 

 

 

         Il gufetto diede l’ultimo, lieve colpo col beccuccio sulla mano di Yu. Emise un verso appena percettibile, con un movimento fluido spalancò le ali e sparì in pochi secondi tra le fronde di un albero.         Yu, come al solito, lo guardò finchè i suoi occhi riuscirono a fissarsi su quella piccola sagoma sfuggente, poi chiuse la finestra e si rintanò sotto le coperte.

         Dietro la sponda del letto, in piedi, Takuto lo osservava in silenzio.

         Non aveva più visto Aryuna dalla notte prima, ma continuava ad essere convinto che sarebbe tornata presto. Se la conosceva, e ormai aveva imparato a conoscerla, non sarebbe rimasta lontana a lungo. Continuò a guardare quel visino, del quale dopo gli ultimi giorni conosceva ogni particolare. Non si sentiva per niente pronto, si augurava solo che al momento giusto lo sarebbe stato.

         Passarono i minuti e si spensero mormorii e bisbigli, sostituiti dal lieve russare di qualche bambino. Yu, come al solito, faticava ad addormentarsi. Si girava e rigirava nel letto, stringendo ogni tanto il suo portafoto che conteneva la foto di Aryuna quando era in vita. Il tempo per Takuto sembrava rallentare di secondo in secondo, mentre lui avrebbe voluto che volasse e quel dramma terminasse una volta per tutte. Immobile come una statua, i lineamenti contratti in un’espressione che poteva voler dire tutto e niente, non poteva fare altro che seguire il movimento delle poche nuvole che ogni tanto offuscavano la Luna per qualche secondo.

         Ad un tratto Takuto udì dei passi strascicati nel corridoio. Chi stava camminando faceva molta attenzione a non fare rumori, ma nel silenzio della notte ogni passo risuonava come uno sparo. Lentamente il rumore si fece sempre più forte, fino a interrompersi del tutto. Takuto trattenne il fiato, ma non successe nulla per molto tempo. Probabilmente anche Yu doveva aver sentito quei rumori, perché si drizzò a sedere.

         Qualcuno si affacciò molto rapidamente nella stanza, lanciò una breve occhiata all’interno e ritirò subito la testa. Una figura scura, indistinta.

         Yu…” Un sussurro si alzò dal corridoio. Yu trasalì.

         Yu!” Il richiamo si ripetè una seconda volta, più forte, poi il silenzio.

         Takuto, con un pensiero così forte che a parole sarebbe stato un grido, ripeteva a Yu “Non muoverti!” Ma il bambino, come ipnotizzato, scese dal letto. Un passetto dopo l’altro si diresse verso il vano oscuro della porta. Takuto lo seguì in silenzio.

         Yu uscì nel corridoio, che era deserto. O quasi. In fondo, così lontano da essere appena percettibile alla luce della Luna, c’era un uomo accovacciato. Takuto lo riconobbe subito, era Haku.

         Yu, non aver paura, vieni qui! Sono Haku!” Il bambino si avvicinò dubbioso all’uomo vestito di grigio. Takuto si chiese come facessero a conoscersi.

         Quando arrivò alla fine del corridoio Takuto si voltò e vide, in piedi nel corridoio accanto, Aryuna. Lei gli volse un breve sorriso, e lui rispose con uno sguardo interrogativo.

         “Bravo, Yu.” Sussurrò Haku, fremendo di qualcosa che poteva essere rabbia o attesa. “Ora, perché non mi dai il tuo portafoto?” E stese la mano verso il bambino.

         Yu, dopo un attimo di indecisione, afferrò il suo portafoto e lo strinse a sé. Haku sbuffò.

         Dai, Yu, voglio solo riportarlo ad Aryuna!”

         “E lei dov’è? Perché non è più tornata?” Takuto guardò Aryuna, che però continuava a fissare l’uomo.

         Yu, smettila, devi fidarti! Dammi il portafoto!”

         “No…” Il bambino indietreggiò.

         La tensione cresceva, Takuto se ne era accorto. Stava per succedere qualcosa di irreparabile.

         “Dammelo!” Haku si alzò in piedi e si protese verso Yu.

         “No!” Continuando a stringere il portafoto, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime, fece per gridare. A quel punto Haku estrasse velocemente una pistola con un silenziatore e la puntò sul bambino. Takuto trasalì e socchiuse gli occhi.

         In un decimo di secondo, al vedere quella scena, la mente di Aryuna sembrò esplodere. In quell’attimo ricordò ogni cosa…

          Molto tempo prima, o almeno a lei sembrava che fosse passato molto tempo, Haku era stato il suo fidanzato. Era un poco di buono, un criminale di poco conto, ma a lei non importava. O almeno, aveva cercato di tenere chiusi gli occhi e non vedere la realtà. Ma lui le aveva suggerito un’idea, qualcosa che avrebbe permesso a entrambi di vivere da ricchi e a lui di tirarsi fuori dai brutti giri in cui era finito. Così diceva. Lei si fece assumere come tata del figlio dei proprietari di una famosa gioielleria. Il piano era semplice, diventare intima con quella famiglia e trovare un modo per derubarla. Erano però andati per le lunghe, perché i sistemi di sicurezza erano impenetrabili.

         Finchè, un giorno, il bambino le aveva fatto scoprire il cassetto dove i suoi genitori tenevano i diamanti appena tagliati, coi quali lui giocava spesso, anche se gli era stato proibito. L’unica parte incustodita della gioielleria. L’obiettivo era stato scelto, era tutto perfetto. Ma era successo l’impensabile: Aryuna si era affezionata al bambino, che la considerava una persona cara, “la sua migliore amica”. Combattuta per molti giorni, decise infine di farsi licenziare, così il colpo sarebbe andato a monte ma Haku non le avrebbe dato la colpa. Si fece vedere dai genitori di Yu mentre giocava insieme al bambino coi diamanti e li nascondeva in giro. Yu ne aveva presi cinque o sei e li aveva messi nel portafoto che lei gli aveva regalato.

         Quando tornò da Haku, questi andò su tutte le furie e decise che il colpo si sarebbe fatto lo stesso. Forse il bambino, arrabbiato per la sgridata e perché i suoi avevano licenziato Aryuna, non aveva restituito i diamanti e li teneva ancora appesi al collo. Niente di più facile da rubare.

         I due si presentarono alla gioielleria, con l’aiuto di un complice che rimase all’esterno. Nonostante il litigio, la famiglia di Yu aprì senza indugi la porta ad Aryuna e Haku, che Yu aveva già visto in altre occasioni. Il piccolo però non era in casa, era fuori città insieme alla famiglia di un amico per qualche giorno. I diamanti erano con lui. Haku, stanco di aspettare, decise di fare di testa sua: prese la sua pistola e minacciò la coppia, ordinandogli di consegnare tutti i gioielli. Impensabile, perché erano chiusi in una cassaforte a tempo. Aryuna, che aveva anche lei la sua pistola, seguì impallidita i toni farsi sempre più alti e la tensione crescere. Fino a quando il padre di Yu provò a disarmare Haku, che gli sparò tre volte. Sua moglie urlava, mentre Haku puntava la pistola anche verso di lei. Ma Aryuna non riuscì a fare nulla. Colpita in pieno petto, la donna si accasciò a terra, e Haku scappò senza pensare ad Aryuna che era caduta in ginocchio nel mezzo della stanza, in lacrime.

         Era tutta colpa sua.

         Dopo molto tempo si udirono le sirene dell’ambulanza e della polizia. Ma lei non le sentiva. Non riusciva più a pensare. Non riusciva più a fare nulla. Aveva pianto così tanto che le mancava il respiro. Schiacciata da un peso infinito, l’unico gesto che riuscì a fare fu quello di portarsi la pistola alla tempia. L’ultima cosa che vide fu il volto di Yu che le sorrideva. I muscoli si tesero in un ultimo singhiozzo, e

         “NOOOOO!!!” Urlò a squarciagola, gettandosi fra Haku e Yu.

         Il proiettile la colpì in pieno petto, e Aryuna si accasciò a terra.

         Yu corse via impaurito e Haku restò immobile a fissare quel corpo femminile vestito in maniera così strana disteso davanti a lui. Poi si voltò e vide Takuto che lo fissava con uno sguardo infuriato. Per lui fu troppo. Lasciò cadere la pistola e si mise a correre più veloce che poteva, non fermandosi finchè non ebbe scavalcato la siepe che circondava l’orfanotrofio.

         Takuto lo seguì con lo sguardo oltre il vetro della finestra. Scosse la testa, pensieroso. Com’era possibile che Aryuna fosse riuscita a salvare Yu? Il suo nome non era forse scritto nella lista? Allontanò lo sguardo dalla siepe e tornò a osservarla, convinto che un proiettile non poteva farle nulla: dopotutto, era già morta. Ma ciò che vide lo lasciò senza fiato.

         Il cappello, l’asta, la camicetta e tutto l’abbigliamento di Aryuna erano a terra. Al di sopra di questi oggetti lei fluttuava in mezzo al corridoio, circondata dalla luce più forte che Takuto avesse mai visto. Sembrava avere l’aspetto che avrebbe avuto il Sole se fosse stato un essere vivente. Era, però, tutto fuorchè minacciosa: ispirava una pace e una serenità irraggiungibili in questo mondo. Per continuare a guardarla fu costretto a schermarsi gli occhi con una mano, e anche così riusciva a capire che quella figura era Aryuna solo perché ne intuiva i lineamenti del viso.

         Poi lei parlò, con una voce lontanissima dalla sua così acuta e pungente. Era una voce che ne racchiudeva mille altre, una voce che evocava tempi lontani e spazi infiniti, rumorosissima e silenziosa.

         Takuto…” Gli sorrise.

         Aryuna, ma che…”

         Shh!” Tese dolcemente una mano verso di lui per interromperlo. “Non aver paura. Il mio destino si è compiuto.”

         “Io non…” Aryuna ridacchiò dolcemente.

         “Non so come sia potuto succedere. Né se possa essere spiegato in qualche modo. Ma so che nel momento in cui quel proiettile mi ha colpito ho sentito davvero cosa vuol dire morire. E non è nulla di simile alla morte che credevo di aver attraversato.

         Ma com’è possibile?”

         “Avevo una colpa terribile. Una pena da scontare. Non sono stata capace di salvare i genitori di Yu, e ho creduto di pagare con la mia morte. Ma non funziona così. Ora, però, ho visto dall’esterno il mio corpo cadere dopo lo sparo, e mi è sembrato il corpo della madre di Yu. Quel piccolo, dolce, tenero bambino che ora vive grazie a me.

         Un lungo silenzio riempì i secondi successivi, lei era in attesa di una risposta che però non arrivò. Come una melodia che riprende corpo dopo una pausa in cui la musica è ridotta al minimo, riprese a parlare.

         “Mi sento libera, Takuto. Da un peso che era diventato la mia stessa esistenza. E senza quel peso, non ho più motivo di essere in questo mondo. Addio, amico mio.”

         Dopo queste parole i contorni e le forme di Aryuna cominciarono a sparire, avvolti sempre di più nella luce che l’avvolgeva.

         Takuto non riuscì a fare nulla, solo ad osservare quella sua rivale a cui aveva imparato a voler bene mentre svaniva nell’alone di luce, che iniziò a portarsi verso l’esterno e verso l’alto. Si accorse di avere le braccia protese verso di lei e gli occhi velati di lacrime amare. L’ultima cosa che vide di Aryuna fu un viso radioso che ammiccava verso di lui sorridendo.

         Il bagliore si allontanò verso il cielo, dopo aver preso la forma di una miriade di puntini luminosi che si riflettevano negli occhi di Takuto, e per un attimo sembrò essere accolto dalle altre stelle, come un vecchio amico di ritorno dopo tanti anni. Un momento dopo, fu come se tutto ciò non fosse mai avvenuto.

         La Luna, immobile, non rispose alle domande che l’aspirante messaggero di morte le rivolse con gli occhi.

         “Facciamo una passeggiata, Takuto?”

         Si voltò al suono della voce di Izumi, che era seduto su una panca a pochi metri da lui, immerso nella penombra.

         “Ah, alla fine ti sei ricordato di noi!”

         Izumi si alzò piano e lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla. Takuto se la scrollò di dosso e uscì in cortile, seguito dal suo maestro.

         “Io vi ho osservato in ogni momento, Takuto. Dall’inizio alla fine.”

         “Ah, e non hai mosso un dito quando ti sei accorto che questo incarico era troppo grande per Aryuna?” Mormorò a denti stretti, fermandosi di colpo e girandosi verso di lui. Il silenzio di Izumi fu come un’affermazione che Takuto colse al volo. “Sapevi già tutto, vero?”

         “Sì. Anche se non avevo idea che sarebbe andata a finire così. Devo ammettere che questi ultimi minuti hanno dato una lezione anche a me.

         Quindi era tutta una prova per Aryuna, un test studiato a tavolino?”

         “Sì e no. Era una prova, ma non per Aryuna. Era una prova per te.”

         “Come sarebbe?”

         “Il nome di Yu è scomparso tempo fa dalla lista. Al suo posto, era apparso quello di Aryuna. La prima volta che un nome sia apparso due volte, credo.

         Takuto era più stupito ogni secondo che passava.

         Quindi sapevi che Aryuna era destinata a… morire?”

         “Non avevamo idea del perchè il suo nome potesse riapparire sulla lista. Ora lo sappiamo.”

         “Ma cosa c’entro io?”

         Izumi gli si avvicinò.

         “L’addestramento per diventare un messaggero di morte non è qualcosa che si può attuare insegnando a volare o a passare attraverso i muri, Takuto. Esserlo è molto più di tutto questo. E credo che nelle ultime giornate tu lo abbia compreso.

         Takuto chinò il capo, e dopo qualche secondo annuì brevemente. Izumi lo osservò senza dire nulla, poi si alzò in volo.

         “Vieni, è ora di andare.”

         “Ma Aryuna…”

         “Non fare domande di cui non esistono risposte. Non credevo che fosse possibile scontare una pena come quella che siamo costretti a portare, ma a quanto pare mi sbagliavo. Andiamo.”

         “ E ora dov’è?” Insistette Takuto mentre iniziava a seguirlo. Izumi sorrise.

         “Se vuoi credere negli angeli, Takuto, non sarò certo io a vietartelo.”

         Un varco di energia si aprì nel cielo, e Izumi lo attraversò.

         Takuto lo seguì, chiedendosi fino all’ultimo se avrebbe trovato il coraggio di voltarsi indietro a guardare quell’orfanotrofio, che non avrebbe mai dimenticato. Con un groppo un gola e un peso nel cuore, decise invece di guardare verso l’alto e rivolse un saluto ad Aryuna. Poi attraversò il varco.

         Peccato, perché alle sue spalle avrebbe visto un bambino biondo, impaurito e spaesato, ma destinato a vivere ancora per molto tempo, che raccoglieva un ciondolo a forma di chiave in un corridoio.

Avrebbe visto due poliziotti catturare Haku, giunti per una segnalazione che li avvertiva di un uomo che si era introdotto nell’orfanotrofio.

Avrebbe visto un gufetto che osservava il cielo, sperando che l’indomani lo stesso bambino degli ultimi giorni gli avrebbe dato da mangiare.

         E, soprattutto, avrebbe visto un ragazzo e una bambina seduti sul tetto dell’orfanotrofio a guardare le stelle, felici di godersi un momento magico e indimenticabile.

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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