4. Essere uno Shinigami
La Luna piena era ormai alta nel cielo.
Un pallido disco che si rifletteva in
ogni specchio d’acqua, creando mille Lune in terra, invidiose di non essere
lassù. I suoi freddi raggi illuminavano le poche persone in giro a quell’ora:
famiglie desiderose di tornare a casa che camminavano in fretta chiedendosi
perché non avevano preso la macchina, gruppi di ragazzi che passavano per le
strade alla ricerca di qualche luogo di ritrovo, coppie d’innamorati che si
scambiavano baci su panchine, muretti, prati o qualsiasi altro luogo adatto a
contenere un angolino d’amore. Qualche alito di vento increspava i ciuffi
d’erba, che illuminati dalla Luna sembravano minuscole trame intrecciate di
fili d’argento.
Eichi Sakurai camminava nel corridoio dell’orfanotrofio, dopo
aver tentato in ogni modo di addormentarsi ma senza successo. Dopo aver saputo
che Mitsuki si era sentita male solo per non aver letto
il contenuto del suo libro aveva passato le ultime due giornate combattuto tra
la paura di mostrarle il libro e la gioia di sapere che un suo segreto contava così tanto per lei.
Si accorse di aver portato il libro con
sé. Automaticamente si diresse verso la stanza di Mitsuki,
pensando che forse avrebbe anche potuto mostrarglielo, se lei ci teneva così tanto.
A pochi metri da lui, seduta sul
davanzale di una finestra, c’era Aryuna, con la testa
poggiata sulle ginocchia e lo sguardo perso in un punto imprecisato del muro
opposto del corridoio.
Per tutto il giorno aveva vagato senza
meta, fino ad accettare l’idea che non sarebbe riuscita a restare lontana da
quel luogo, quella notte. Takuto aveva ragione, non
era scappando che avrebbe risolto tutto. Doveva esserci. Molto probabilmente
non sarebbe riuscita a rubare l’anima di Yu, ma
essere presente le sarebbe servito nel suo percorso per diventare una
messaggera di morte. Allora perché era seduta lì da ore, senza riuscire a
trovare il coraggio di andare avanti?
Al suono dei passi di Eichi aveva sperato che Takuto
sbucasse da quell’angolo. Almeno sarebbe riuscito a tirarla su.
Poi aveva temuto che i passi fossero di Haku, venuto
per Yu, e aveva rabbrividito al pensiero di rivedere
quel volto che avrebbe potuto suscitarle altri traumatici ricordi. Invece era
arrivato quel bambino biondo, che lei aveva riconosciuto subito come il bambino
del libro, quello che Mitsuki desiderava tanto
leggere.
Aryuna non
era riuscita a comprendere cosa si agitasse nell’anima di quel bambino: chissà
cosa significava per lui quel libro, chissà cosa aveva patito tempo fa.
Dopotutto, ogni ragazzo in quell’orfanotrofio aveva alle spalle un passato che
sapeva di morte.
Eichi si
bloccò di colpo, fissandola. Aryuna si risvegliò dal
suo torpore, guardandolo con aria interrogativa. Sapeva bene che lui non poteva
vederla.
“Mi segui anche oggi, eh? Perché?” Sussurrò, a metà fra il fastidio e il pianto.
Aryuna credette
di aver commesso l’errore dell’ultima volta, e fece per volare attraverso la
finestra e scappare via. Ma come poteva quel ragazzino
averla vista altre volte? Anzi, credere che lo stava seguendo?
Poi si calmò, e seguendo lo sguardo di Eichi che
andava oltre il suo volto stupito, capì che il bambino stava parlando alla
Luna.
Un attimo dopo Eichi
gettò a terra il suo libro, lanciando un urlo di rabbia, e si sedette per terra
a piangere.
Aryuna era
ancora più stupita, se possibile, e non aveva idea di cosa stesse succedendo.
In quel momento quel ragazzino dava un’immagine di fragilità e di insicurezza che andava ben oltre i suoi dubbi. Lo
compatì, sapendo bene ciò che lei stessa stava attraversando in quei momenti, e
convincendosi che Eichi aveva bisogno di un sostegno
si alzò cautamente e fece per avvicinarsi.
Il suo gesto, però, si esaurì nel nulla,
poiché il bambino si alzò dopo poco tempo con uno sguardo risoluto, e sotto gli
occhi di un’attonita Aryuna abbozzò un sorriso.
Eichi si
diresse verso una porta e bussò piano, bisbigliando qualcosa che Aryuna non riuscì a percepire. Incuriosita, una piccola
volpe arancione con la coda e le orecchie basse, un ciondolo a forma di chiave
e due occhioni azzurri si avvicinò alla porta che si
stava schiudendo.
Nello spiraglio che si aprì fece capolino il visino intimorito di Mitsuki, che guardava Eichi in attesa
di sentire le sue parole. Lui le sorrise, e le parlò con voce tranquilla.
“Senti… perché non andiamo a guardare
le stelle?”
Il volto di Mitsuki
si illuminò di gioia, i suoi occhi si spalancarono e
la sua bocca si aprì in un sorriso mentre quel “si!” le usciva dritto dal
profondo del cuore.
Eichi le fece segno di non fare
rumore e i due bambini si allontanarono tenendosi per mano, passando accanto ad
Aryuna che li osservava meravigliata. I suoi occhi
rimasero a guardare il punto dove i due avevano
imboccato un altro corridoio per molto tempo dopo che furono spariti alla sua
vista.
Aryuna era
stupita di come un bambino, che doveva sicuramente soffrire per drammi molto
più imponenti di quelli di tanti adulti, era riuscito a trovare una risolutezza
tale da lasciarsi in un attimo il passato alle spalle e fare la cosa più
giusta. La cosa più giusta…
Sollevò lo sguardo e si allontanò dalla
parte opposta di Mitsuki ed Eichi,
decisa ad andare incontro al proprio destino.
Il gufetto
diede l’ultimo, lieve colpo col beccuccio sulla mano di Yu.
Emise un verso appena percettibile, con un movimento fluido spalancò le ali e
sparì in pochi secondi tra le fronde di un albero. Yu, come al
solito, lo guardò finchè i suoi occhi riuscirono a
fissarsi su quella piccola sagoma sfuggente, poi chiuse la finestra e si
rintanò sotto le coperte.
Dietro la sponda del letto, in piedi, Takuto lo osservava in silenzio.
Non aveva più visto Aryuna
dalla notte prima, ma continuava ad essere convinto
che sarebbe tornata presto. Se la conosceva, e ormai aveva imparato a conoscerla, non sarebbe rimasta lontana a lungo. Continuò a
guardare quel visino, del quale dopo gli ultimi giorni conosceva ogni
particolare. Non si sentiva per niente pronto, si augurava solo che al momento
giusto lo sarebbe stato.
Passarono i minuti e si spensero
mormorii e bisbigli, sostituiti dal lieve russare di qualche bambino. Yu, come al solito, faticava ad
addormentarsi. Si girava e rigirava nel letto, stringendo ogni tanto il suo
portafoto che conteneva la foto di Aryuna quando era
in vita. Il tempo per Takuto sembrava rallentare di
secondo in secondo, mentre lui avrebbe voluto che volasse e quel dramma
terminasse una volta per tutte. Immobile come una
statua, i lineamenti contratti in un’espressione che poteva voler dire tutto e
niente, non poteva fare altro che seguire il movimento delle poche nuvole che
ogni tanto offuscavano la Luna per qualche secondo.
Ad un tratto Takuto udì dei passi strascicati nel corridoio. Chi stava
camminando faceva molta attenzione a non fare rumori,
ma nel silenzio della notte ogni passo risuonava come uno sparo. Lentamente il
rumore si fece sempre più forte, fino a interrompersi del tutto. Takuto trattenne il fiato, ma non successe nulla per molto
tempo. Probabilmente anche Yu doveva aver sentito
quei rumori, perché si drizzò a sedere.
Qualcuno si affacciò molto rapidamente
nella stanza, lanciò una breve occhiata all’interno e ritirò subito la testa. Una
figura scura, indistinta.
“Yu…” Un
sussurro si alzò dal corridoio. Yu trasalì.
“Yu!” Il
richiamo si ripetè una seconda volta, più forte, poi
il silenzio.
Takuto, con
un pensiero così forte che a parole sarebbe stato un grido, ripeteva a Yu “Non muoverti!” Ma il bambino, come ipnotizzato, scese
dal letto. Un passetto dopo l’altro si diresse verso il vano oscuro della
porta. Takuto lo seguì in
silenzio.
Yu uscì nel
corridoio, che era deserto. O quasi. In fondo, così lontano da essere appena
percettibile alla luce della Luna, c’era un uomo accovacciato. Takuto lo riconobbe subito, era Haku.
“Yu, non aver
paura, vieni qui! Sono Haku!” Il bambino si avvicinò dubbioso all’uomo vestito di
grigio. Takuto si chiese come facessero a
conoscersi.
Quando arrivò alla fine del corridoio Takuto si voltò e vide, in piedi
nel corridoio accanto, Aryuna. Lei gli volse un breve
sorriso, e lui rispose con uno sguardo interrogativo.
“Bravo, Yu.”
Sussurrò Haku, fremendo di qualcosa che poteva essere
rabbia o attesa. “Ora, perché non mi dai il tuo portafoto?” E stese la mano
verso il bambino.
Yu, dopo un
attimo di indecisione, afferrò il suo portafoto e lo
strinse a sé. Haku sbuffò.
“Dai, Yu, voglio solo riportarlo ad Aryuna!”
“E lei dov’è? Perché non è più tornata?” Takuto guardò Aryuna, che però continuava a fissare l’uomo.
“Yu,
smettila, devi fidarti! Dammi il portafoto!”
“No…” Il bambino indietreggiò.
La tensione cresceva, Takuto se ne era accorto. Stava per succedere qualcosa di irreparabile.
“Dammelo!” Haku
si alzò in piedi e si protese verso Yu.
“No!” Continuando a stringere il
portafoto, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime, fece per gridare. A quel
punto Haku estrasse velocemente una pistola con un
silenziatore e la puntò sul bambino. Takuto trasalì e
socchiuse gli occhi.
In un decimo di secondo, al vedere
quella scena, la mente di Aryuna sembrò esplodere. In
quell’attimo ricordò ogni cosa…
Molto tempo prima, o almeno a lei sembrava che
fosse passato molto tempo, Haku era stato il suo
fidanzato. Era un poco di buono, un criminale di poco conto, ma a lei non importava.
O almeno, aveva cercato di tenere chiusi gli occhi e non vedere la realtà. Ma lui le aveva suggerito un’idea, qualcosa che avrebbe
permesso a entrambi di vivere da ricchi e a lui di tirarsi fuori dai brutti
giri in cui era finito. Così diceva. Lei si fece assumere come tata del figlio
dei proprietari di una famosa gioielleria. Il piano
era semplice, diventare intima con quella famiglia e trovare un modo per
derubarla. Erano però andati per le lunghe, perché i sistemi di sicurezza erano
impenetrabili.
Finchè, un
giorno, il bambino le aveva fatto scoprire il cassetto dove
i suoi genitori tenevano i diamanti appena tagliati, coi quali lui giocava
spesso, anche se gli era stato proibito. L’unica parte incustodita della
gioielleria. L’obiettivo era stato scelto, era tutto perfetto. Ma era successo l’impensabile: Aryuna
si era affezionata al bambino, che la considerava una persona cara, “la sua
migliore amica”. Combattuta per molti giorni, decise infine di farsi
licenziare, così il colpo sarebbe andato a monte ma Haku non le avrebbe dato la colpa. Si fece vedere dai
genitori di Yu mentre giocava insieme al bambino coi diamanti e li nascondeva in giro. Yu
ne aveva presi cinque o sei e li aveva messi nel portafoto che lei gli aveva
regalato.
Quando tornò da Haku,
questi andò su tutte le furie e decise che il colpo si sarebbe fatto lo stesso.
Forse il bambino, arrabbiato per la sgridata e perché i suoi avevano licenziato
Aryuna, non aveva restituito i diamanti e li teneva
ancora appesi al collo. Niente di più facile da rubare.
I due si presentarono alla gioielleria,
con l’aiuto di un complice che rimase all’esterno. Nonostante il litigio, la
famiglia di Yu aprì senza indugi la porta ad Aryuna e Haku, che Yu aveva già visto in altre occasioni. Il piccolo però non
era in casa, era fuori città insieme alla famiglia di un amico per qualche
giorno. I diamanti erano con lui. Haku, stanco di
aspettare, decise di fare di testa sua: prese la sua
pistola e minacciò la coppia, ordinandogli di
consegnare tutti i gioielli. Impensabile, perché erano chiusi in una cassaforte
a tempo. Aryuna, che aveva anche lei la sua pistola,
seguì impallidita i toni farsi sempre più alti e la tensione crescere. Fino a
quando il padre di Yu provò a disarmare Haku, che gli sparò tre volte. Sua moglie urlava, mentre Haku puntava la pistola anche verso di lei. Ma Aryuna non riuscì a fare nulla.
Colpita in pieno petto, la donna si accasciò a terra, e Haku
scappò senza pensare ad Aryuna che era caduta in
ginocchio nel mezzo della stanza, in lacrime.
Era tutta colpa sua.
Dopo molto tempo si udirono le sirene
dell’ambulanza e della polizia. Ma lei non le sentiva.
Non riusciva più a pensare. Non riusciva più a fare nulla. Aveva pianto così tanto che le mancava il respiro. Schiacciata da un peso
infinito, l’unico gesto che riuscì a fare fu quello di portarsi la pistola alla
tempia. L’ultima cosa che vide fu il volto di Yu che
le sorrideva. I muscoli si tesero in un ultimo singhiozzo, e…
“NOOOOO!!!”
Urlò a squarciagola, gettandosi fra Haku e Yu.
Il proiettile la colpì in pieno petto,
e Aryuna si accasciò a terra.
Yu corse via
impaurito e Haku restò immobile a fissare quel corpo
femminile vestito in maniera così strana disteso
davanti a lui. Poi si voltò e vide Takuto che lo
fissava con uno sguardo infuriato. Per lui fu troppo. Lasciò cadere la pistola
e si mise a correre più veloce che poteva, non fermandosi finchè
non ebbe scavalcato la siepe che circondava l’orfanotrofio.
Takuto lo seguì con lo sguardo oltre il vetro della finestra. Scosse la
testa, pensieroso. Com’era possibile che Aryuna fosse riuscita a salvare Yu?
Il suo nome non era forse scritto nella lista? Allontanò lo sguardo dalla siepe
e tornò a osservarla, convinto che un proiettile non poteva farle nulla:
dopotutto, era già morta. Ma ciò che vide lo lasciò
senza fiato.
Il cappello, l’asta, la camicetta e
tutto l’abbigliamento di Aryuna erano a terra. Al di sopra di questi oggetti lei fluttuava in mezzo al
corridoio, circondata dalla luce più forte che Takuto
avesse mai visto. Sembrava avere l’aspetto che avrebbe avuto il Sole se fosse
stato un essere vivente. Era, però, tutto fuorchè
minacciosa: ispirava una pace e una serenità irraggiungibili in questo
mondo. Per continuare a guardarla fu costretto a schermarsi gli occhi con una mano,
e anche così riusciva a capire che quella figura era Aryuna
solo perché ne intuiva i lineamenti del viso.
Poi lei parlò, con una voce lontanissima
dalla sua così acuta e pungente. Era una voce che ne racchiudeva mille altre,
una voce che evocava tempi lontani e spazi infiniti, rumorosissima
e silenziosa.
“Takuto…” Gli sorrise.
“Aryuna, ma
che…”
“Shh!” Tese
dolcemente una mano verso di lui per interromperlo. “Non aver
paura. Il mio destino si è compiuto.”
“Io non…” Aryuna
ridacchiò dolcemente.
“Non so come sia potuto succedere. Né
se possa essere spiegato in qualche modo. Ma so che nel momento in cui quel
proiettile mi ha colpito ho sentito davvero cosa vuol
dire morire. E non è nulla di simile alla morte che credevo di aver
attraversato.”
“Ma com’è
possibile?”
“Avevo una colpa terribile. Una pena da
scontare. Non sono stata capace di salvare i genitori di Yu,
e ho creduto di pagare con la mia morte. Ma non
funziona così. Ora, però, ho visto dall’esterno il mio corpo cadere dopo lo
sparo, e mi è sembrato il corpo della madre di Yu.
Quel piccolo, dolce, tenero bambino che ora vive grazie a me.”
Un lungo silenzio riempì i secondi
successivi, lei era in attesa di una risposta che però non arrivò. Come una
melodia che riprende corpo dopo una pausa in cui la musica è ridotta al minimo,
riprese a parlare.
“Mi sento libera, Takuto.
Da un peso che era diventato la mia stessa esistenza. E senza quel peso, non ho
più motivo di essere in questo mondo. Addio, amico mio.”
Dopo queste parole i contorni e le
forme di Aryuna cominciarono a sparire, avvolti
sempre di più nella luce che l’avvolgeva.
Takuto non riuscì a fare nulla, solo ad osservare quella sua rivale a
cui aveva imparato a voler bene mentre svaniva nell’alone di luce, che iniziò a
portarsi verso l’esterno e verso l’alto. Si accorse di avere le braccia protese
verso di lei e gli occhi velati di lacrime amare. L’ultima cosa che vide di Aryuna fu un viso radioso che ammiccava verso di lui
sorridendo.
Il bagliore si allontanò verso il
cielo, dopo aver preso la forma di una miriade di puntini luminosi che si
riflettevano negli occhi di Takuto, e per un attimo
sembrò essere accolto dalle altre stelle, come un vecchio amico di ritorno dopo
tanti anni. Un momento dopo, fu come se tutto ciò non
fosse mai avvenuto.
La Luna, immobile, non rispose alle
domande che l’aspirante messaggero di morte le rivolse con gli occhi.
“Facciamo una passeggiata, Takuto?”
Si voltò al suono della voce di Izumi, che era seduto su una panca a pochi metri da lui,
immerso nella penombra.
“Ah, alla fine ti sei ricordato di
noi!”
Izumi si alzò
piano e lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla. Takuto
se la scrollò di dosso e uscì in cortile, seguito dal suo maestro.
“Io vi ho osservato in ogni momento, Takuto. Dall’inizio alla fine.”
“Ah, e non hai mosso un dito quando ti
sei accorto che questo incarico era troppo grande per Aryuna?”
Mormorò a denti stretti, fermandosi di colpo e girandosi verso di lui. Il
silenzio di Izumi fu come un’affermazione che Takuto colse al volo. “Sapevi già tutto, vero?”
“Sì. Anche se non avevo idea che
sarebbe andata a finire così. Devo ammettere che questi ultimi minuti hanno
dato una lezione anche a me.”
“Quindi era
tutta una prova per Aryuna, un test studiato a
tavolino?”
“Sì e no. Era una prova, ma non per Aryuna. Era una prova per te.”
“Come sarebbe?”
“Il nome di Yu
è scomparso tempo fa dalla lista. Al suo posto, era apparso quello di Aryuna. La prima volta che un nome sia apparso due volte,
credo.”
Takuto era
più stupito ogni secondo che passava.
“Quindi sapevi
che Aryuna era destinata a… morire?”
“Non avevamo idea del perchè il suo nome potesse riapparire sulla lista. Ora lo
sappiamo.”
“Ma cosa c’entro io?”
Izumi gli si
avvicinò.
“L’addestramento per diventare un
messaggero di morte non è qualcosa che si può attuare insegnando a volare o a
passare attraverso i muri, Takuto. Esserlo è molto
più di tutto questo. E credo che nelle ultime giornate tu lo abbia compreso.”
Takuto chinò
il capo, e dopo qualche secondo annuì brevemente. Izumi
lo osservò senza dire nulla, poi si alzò in volo.
“Vieni, è ora di andare.”
“Ma Aryuna…”
“Non fare domande di cui non esistono
risposte. Non credevo che fosse possibile scontare una pena come quella che
siamo costretti a portare, ma a quanto pare mi sbagliavo. Andiamo.”
“ E ora dov’è?” Insistette Takuto mentre iniziava a seguirlo. Izumi
sorrise.
“Se vuoi credere negli angeli, Takuto, non sarò certo io a vietartelo.”
Un varco di energia si aprì nel cielo,
e Izumi lo attraversò.
Takuto lo seguì, chiedendosi fino all’ultimo se avrebbe trovato il
coraggio di voltarsi indietro a guardare quell’orfanotrofio, che non avrebbe
mai dimenticato. Con un groppo un gola e un peso nel
cuore, decise invece di guardare verso l’alto e rivolse un saluto ad Aryuna. Poi attraversò il varco.
Peccato, perché alle sue spalle avrebbe
visto un bambino biondo, impaurito e spaesato, ma
destinato a vivere ancora per molto tempo, che raccoglieva un ciondolo a forma
di chiave in un corridoio.
Avrebbe visto due poliziotti catturare Haku, giunti per una segnalazione che li avvertiva di un
uomo che si era introdotto nell’orfanotrofio.
Avrebbe visto un gufetto che
osservava il cielo, sperando che l’indomani lo stesso bambino degli ultimi
giorni gli avrebbe dato da mangiare.
E, soprattutto, avrebbe visto un
ragazzo e una bambina seduti sul tetto dell’orfanotrofio a guardare le stelle, felici
di godersi un momento magico e indimenticabile.
Fine.