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Autore: Mapi D Flourite    22/11/2009    2 recensioni
[fanfic100_ita] Prompt 072, Riparato.
Non era mai stato particolarmente attento a prendersi cura di se stesso: dopotutto il suo corpo era solo un mezzo da utilizzare in battaglia, un’arma come un’altra.
E se le armi si danneggiano o vengono distrutte, lui lo sapeva bene, esistono solo due possibili alternative. O si riparano o si eliminano.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Heero Yui
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Continuare a vivere.
Pairing: Nessuno
Rating: G
Conteggio  Parole: 844
Warnings: Nessuno.
Spoiler: Nessuno.

Note: Questa è stata tecnincamente la prima a venire alla luce. Solo che ci ho litigato come una matta: evidentemente Heero non era ispirato (o era troppo confuso dalla presenza dei suoi due uomini prediletti) e ha continuato a comportarsi in modo assurdo per tutta la stesura. Poi però l'ho bacchettato e ha deciso di collaborare.
Il parallelo tra Heero e il Wing a quel punto della serie era una cosa a cui non avevo mai prestato davvero attenzione: se l'ho notato è stato solo merito del prompt "Riparato" che è stato, giust'appunto, usato per questa fanfic, ed è una cosa che davvero mi affascina.
Ah, come adoro descrivere Heero!

Disclaimer: Gundam Wing appartiene agli aventi diritto. Questa fanfiction non è scritta a scopo di lucro.

-:-:-

Faceva un freddo cane e quel ragazzo si ostinava a rimanere seduto immobile su quell’impalcatura da almeno un paio d’ore.
Noin aggrottò le sopracciglia osservando la figura che, coperta dall’impermeabile bianco troppo grande, sembrava straordinariamente piccola. Se si fosse avvicinata avrebbe potuto notare più dettagli. Avrebbe notato gli occhi grandi, troppo grandi per essere quelli di un orientale, il naso con la punta rivolta leggermente all’insù, le labbra dure appena socchiuse, i polsi sottili, le gambe lunghe e magre, incrociate davanti a lui di modo che potesse appoggiare i gomiti sulle ginocchia.
Sedici anni, o quasi. Noin abbassò le palpebre per un secondo e quando riaprì gli occhi quelli di lui erano nei suoi. Nessuna espressione. Lei cercò di ricambiare lo sguardo con la stessa intensità, non volendo cedere davanti ad un ragazzino. Non le era forse già successo tempo prima al Lago Vittoria? Un altro piccolo orientale che, di certo, sapeva il fatto suo. Tutti questi bambini sapevano il fatto loro.
Lui la osservò ancora per un momento, probabilmente ignaro – oppure lo sapeva? –  del fatto che lei si stesse sforzando per mantenere il contatto visivo e poi si voltò di nuovo, il mento leggermente sollevato, ancora come lei lo aveva trovato.
Noin chiuse gli occhi e abbassò la testa per un lungo momento prima di girare sui tacchi ed allontanarsi.

Heero sbatté le palpebre velocemente, due volte, quanto bastava per inumidire gli occhi.
Trowa gli aveva ripetuto che sarebbe stato meglio che fosse andato a dormire, ma lui non aveva voluto sentire ragioni e si era ritirato nell’hangar quando ormai anche gli addetti alla manutenzione erano andati a letto.
“Per la tua salute”, gli aveva detto. “Se affronti una battaglia senza esserti riposato adeguatamente parti svantaggiato.”
Lui aveva annuito distrattamente e aveva aspettato che l’altro ragazzo raggiungesse l’alloggio che avevano preparato per loro prima di girare i tacchi e andarsi a sedere su quell’impalcatura, davanti al suo Gundam.
Non aveva bisogno di riposare e non sarebbe riuscito comunque a dormire. Non era mai stato particolarmente attento a prendersi cura di se stesso: dopotutto il suo corpo era solo un mezzo da utilizzare in battaglia, un’arma come un’altra.
E se le armi si danneggiano o vengono distrutte, lui lo sapeva bene, esistono solo due possibili alternative. O si riparano o si eliminano.
Strinse i pugni sulle ginocchia e sentì una fitta al braccio sinistro. Strinse i denti e cercò di combattere il dolore, di cacciare la sensazione in un angolo della mente. Non doveva provare dolore, il dolore era un intralcio alla missione.
La missione. Aveva creduto che non ce ne sarebbero mai più state altre. Aveva ricevuto il preciso ordine di distruggere se stesso e il suo Mobile Suit in modo che nessuno dei due finisse nelle mani di OZ e potesse essere usato per danneggiare le colonie.
Ed ecco che, inaspettatamente, era proprio OZ a riconsegnarglielo. E in perfette condizioni.
Non gli era molto chiaro il perché Zechs (un nome adatto a lui, si era detto. Nonostante non gli fosse stato possibile vederlo in volto le sue parole e le sue azioni, ne era certo, lo descrivevano più chiaramente dei lineamenti del suo stesso viso) avesse deciso di raccogliere i rottamo del Gundam e ricostruirlo, nascondendosi dalla sua stessa organizzazione. E lo stesso si poteva dire per Trowa.
Aveva aspettato pazientemente che lui si risvegliasse e nel frattempo lo aveva curato, rimettendolo in sesto, e lo aveva seguito per mezza Europa nella sua caccia alla famiglia Noventa senza mai lamentarsi o fargli capire che avrebbe avuto un altro milione di cose da fare, piuttosto che stargli dietro nei suoi capricci.
Non riusciva a capire il perché di tutta questa attenzione, il perché due uomini così tanto diversi, alla fine, si fossero dati l’unico obiettivo di rimettere in piedi sia lui che il suo Mobile Suit.
Lui aveva commesso troppi errori, da quando era arrivato sulla Terra, diventando quasi un peso per le Colonie, e il Gundam era una macchina troppo pericolosa perché OZ potesse decidere di lasciarla andare e restituirgliela così a cuor leggero.
Nessuno dei due aveva più ragione di essere vivo e in perfette condizioni, ma egoisticamente – egoisticamente? – quelle due persone avevano stabilito che lui e il suo Gundam dovevano vivere.
Chiuse gli occhi e si alzò in piedi, voltando le spalle alla grande macchina che scrutava davanti a sé con sguardo impassibile.
Se questo era quello che si aspettavano da lui, allora lui avrebbe continuato a vivere, anche solo fino a domani, anche solo fino all’eternità.
Se quegli uomini avevano fatto tutto questo perché lui potesse vivere, era il minimo che doveva loro.

  
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