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Autore: _Blue_Rose_    24/11/2009    4 recensioni
Salve. Questa è una piccola storia inventata per trasmettere una scelta. Una scelta che forse vi è già capitato di dover fare. Dalla storia Siamo abbastanza forti da affidarci a qualcuno che, anche se ha già sbagliato, ti dice che i suoi sentimenti sono veri e ti chiede perdono? Siamo abbastanza forti per porgere l'altra guancia? Io ho scoperto di non esserne capace.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shot

 

And you until where you can forgive?




Fino a dove possiamo perdonare noi umani?

Siamo abbastanza forti da passare sopra gli errori di altri che ci hanno distrutto dentro?

Siamo abbastanza forti da affidarci a qualcuno che, anche se ha già sbagliato, ti dice che i suoi sentimenti sono veri e ti chiede perdono?

Siamo abbastanza forti per porgere l'altra guancia?

Io ho scoperto di non esserne capace.


Io lo amavo, lui amava me, abitavamo felici nel nostro piccolo appartamento che mantenevamo con qualche sacrificio: questo è tutto ciò che mi bastava per essere felice.

Poi è arrivata l'altra.

Bassina, mora, viso delicato, occhi grandi ed espressivi, corpo minuto ma perfettamente proporzionato.

Una donna molto bella.

La prima volta che l'ho vista eravamo ad una festa di amici, un anniversario di matrimonio per essere precisi, e lei era la sorella dell'amico del fratello di qualcuno di ignoto.

La guardavo da lontano come si può vedere un qualsiasi estraneo dall'alto della propria felicità, una piccola formica che ti attraversa la strada e tu quasi neanche la vedi.

Il mio lui ed io felici e sorridenti, innamorati persi, perennemente appiccicati, siamo stati presentati alla suddetta sconosciuta, e solo allora il mio sguardo si fa più attento, ma completamente immune da un qualsiasi pensiero maligno.

Oh che persona virtuosa, penserete voi.

No, niente affatto. Semplicemente era troppo lontana, troppo sfuocata, ed io troppo felice per pensare a qualcosa di sospetto.

Notai che il rosso le donava molto, e considerai che anche il bianco le sarebbe stato divinamente.

Feci un commento con una amica di fianco, le dissi “Non riesco a capire come possa camminare su quei trampoli, beata lei che se li può permettere.”

Si, perchè io non me li posso permettere.

Sono alta un metro e settantacinque, mettermi i tacchi troppo alti sarebbe un problema per il mio fidanzato (all'epoca), che è alto uno e ottantasette.

Dopo questi pensieri, poco più che inutili, nulla muto nella mia vita, nella nostra vita.

Almeno fino al mese successivo.


Era Ottobre, il mio compleanno, e lui mi svegliò con un malizioso bacio sul collo, sapeva che quella mattina sarebbe stata una delle poche in cui mi sarei svegliata con il piede giusto.

Ero raggiante nei miei nuovi 27 anni e non vedevo l'ora di farmi un bel regalo: fare l'amore con lui.

Voi non lo potete sapere, ma io ottengo sempre ciò che voglio, quindi non aspettai neanche di svegliarmi del tutto.

Gli afferrai le spalle, diedi una spinta con i reni, e dopo esserci rotolati un po' nelle lenzuola, arrivai sopra di lui.

Un bacio sulle labbra, un “buon giorno” sussurrato per non infrangere quella perfezione, poi lo baciai con passione, scordandomi di piccoli dettagli inutili come non essermi ancora lavata i denti: ho un alito terribile la mattina appena alzata.

Fortuna volle che anche lui se ne scordò e mi baciò a sua volta con passione, quasi con fame.

Seguivamo i nostri ritmi, la nostra danza personale, aggiungendo qualcosa in più ogni volta e allo stesso tempo non cambiando mai.

Forse a voi potrò sembrare solo una piccola sciocca innamorata, che neanche pensa alla possibilità che magari lui non era un così bravo amante (ed avreste ragione) ma non sono mai stata un angioletto, a dispetto dei miei boccoli di uno strano biondo-castano con riflessi ramati (in pratica un miscuglio di tinte a forma di cespuglio) e degli occhi cerulei, che cambiano secondo l'umore e quindi secondo il tempo.

Molto affascinante, penserete, il problema è che spesso (troppo spesso) hanno una sfumatura grigio ghiaccio e piccole pagliuzze azzurre che indicano “scazzata”.

Oh, mi sono scordata una cosa: a volte parlo peggio di uno scaricatore di porto.

Ma non divaghiamo, in fondo crogiolarsi un po' di più in quel dolore nostalgico che ti dilania il petto mentre ripensi a quello che tu ritenevi fare l'amore è sempre piacevole.



Lui fu costretto a cambiare lavoro, perchè la fabbrica in cui era impiegato stava chiudendo, e con i miei piccoli impieghi da apprendista guadagnavo appena i soldi per l'affitto e per i viveri.

Il destino (o fato, o Dio, o Buddha chiamatelo come cazzo vi pare) lo fece entrare proprio nel reparto di quella tizia, che tra l'altro aveva un nome: Ginevra.

Che coincidenza: ho sempre odiato il nome Ginevra!” dissi a cena il giorno in cui mi disse i numi dei suoi nuovi colleghi.

La nostra vita scorreva piacevolmente tranquilla: la mattina ci alzavamo, ci spostavamo per casa in perfetta sincronia, ognuno andava al proprio lavoro e fino alle 6 di sera non ci vedevamo.

Io in realtà rientravo alle 5, ma lui finiva il turno alle 5 e mezza.

Preparavo la cena mentre lui apparecchiava, una chiacchiera qui, un pettegolezzo là, qualche bacio scambiato al volo, e a volte un veloce amplesso consumato sul piano da lavoro della cucina.

Poi coccole e film, o in alternativa un uscita con gli amici, poi di nuovo quella perfetta sincronia negli spostamenti prima di andare a letto e di nuovo facevamo l'amore, in ogni modo possibile.

La perfezione... che per antonomasia non esiste.

Un giovedì mattina lui escì, come al solito, arrivò in ufficio e la sua superiore, Ginevra, gli disse che avrebbero dovuto fare una relazione per la mattina successiva.

Ovviamente il tempo non bastò e lui mi chiamò alle 4 per dirmi che quella sera non sarebbe tornato per cena, proprio per finire quella dannatissima relazione.

Era il 10 Ottobre.


Ventitré giorni dopo, io sono dai miei genitori per le feste, e lui mi raggiunge con un giorno di ritardo “Scusa Elena, ma mi sommergono di lavoro. Meno male che almeno forse così mi guadagno la promozione!”

Certo, la promozione. In fondo quando ti scopi il capo è facile salire di livello.

In quel giorno di ritardo arrivarono i primi dubbi.

La sincronia che ogni tanto stonava, alcuni suoi sguardi troppo stanchi, troppo malinconici, quegli occhi così marroni erano troppo tormentati per essere quegli di un uomo felicemente in compagnia della donna che ama e con solo un po' di lavoro in più.

Il fatto che ultimamente il nome Ginevra comparisse troppo spesso nei discorsi, come troppo frequenti erano gli straordinari e le chiamate di emergenze.

Secondo voi che emergenze ci possono essere, durante una domenica sera, per costringere un semplice addetto ai conti e alla rilegatura dei fascicoli a scappare per correre due ore in ufficio? Per poi tornare con un sorriso troppo largo per uno che si è perso la serata di “giochi” con il suo amore.

La cosa che mi consolò quella volta fu il vedere il suo sorriso che si trasformava in una smorfia piena di sentimenti contrastanti che sapevano di profondo travaglio interiore.

Perchè lo avevo intuito, anche se non ci volevo credere.

Sfortunatamente non sono mai stata stupida, e tutto quell'acume si riversò proprio nel giorno in cui lui non c'era e non poteva ammaliarmi con la sua bocca carnosa, le sue spalle larghe e i suoi scombinati capelli castani che sapevano del mio shampoo.

Mi auguro che voi non abbiate mai provato quello che ho provato io.

Quando il giorno dopo (il quattro novembre) arrivò a casa dei miei, ci dileguammo nella mia piccola depandance per recuperare il tempo perduto.

Fu orribile.

Sentivo quelle mani che fino a due giorni prima mi facevano andare in visibilio con il loro calore, diventare fredde e viscide, distanti, mentre compievano gesti quasi meccanicamente.

Sentire che quando lo accarezzavo la sua pelle portava graffi che non gli avevo fatto io, e poi quando entrò in me sentirmi tradita, fragile e sola.

Sentirmi sporca perchè mentre facevamo l'amore dovevamo essere io e lui, i nostri odori e le nostre pelli, senza nessun profumo costoso a mischiarsi al nostro sudore.

Rimanemmo distesi sul letto, io rannicchiata di lato, rivestita in fretta e furia con gli slip e una maglia vecchia, per non essere indifesa, senza nessuno scudo davanti alla lancia che sta per uccidermi.

A quando pare una maglia non fu uno scudo sufficiente, e l'essere orgogliosa, testarda, indipendente e troppo frettolosa non aiutò.

Sai perchè odio il nome Ginevra?” Lui era disteso accanto a me, disteso a pancia in su, con solo il piumone blu a coprirlo. “Una volta, in quinta elementare, una bambina di quel nome dette un bacio a quello che all'epoca era l'uomo della mia vita e lui le cominciò a scodinzolare dietro, mandandole bigliettini durante le lezioni. Lei era così perfetta, così minuta e aggraziata, i capelli perfettamente neri, lisci e lucidi, il sorriso tutto zucchero. Mi sentivo una specie di brutto anatroccolo, e non vedevo l'ora di crescere per diventare un cigno come mi spettava di diritto, e sbatterle in faccia che io ero più bella e che il mio ragazzo era meglio del suo.”

Il silenzio divenne più pesante che mai, mentre mi sentivo sempre più fredda e lontana, tutto intorno a me era un eco indistinto e la vista mi si offuscava da lacrime che non volevo versare davanti a lui.

L'ho lasciata. Ieri sera. Non ce la facevo più. Tornato a casa vedevo i tuoi occhi fasi sempre più tristi e quando ti dicevo che c'era un emergenza e dovevo andare a lavoro potevo sentire il tonfo del tuo cuore per terra. Era peggio di una tortura. Non so neanche perchè l'ho fatto. Mi conosci, non sono mai stato tipo da tradire ripetutamente: se tradisco una volta il giorno dopo mollo quella vecchia per quella nuova. Ma non potevo lasciare te, non mi riusciva, e allo stesso tempo quando la vedevo mentre si sedeva sulla mia scrivania, con la gonna troppo corta... non riuscivo a fermarmi. Hai sempre avuto ragione in fondo, gli uomini ragionano solo con una cosa, anche se in alcuni casi preferirebbero tagliarselo.”

No, non è una stronzata, l'ha detto davvero.

Tra noi c'era sempre stata questa sfida: io una irriducibile femminista e lui uno stronzo sciupa femmine. Io sostenevo che gli uomini ragiono solo con il cazzo senza neanche rendersene conto: sono minorati poverini, non è mica colpa loro.

Mentre lui sosteneva che sì, ragionano con il cazzo, ma solo perchè lo decidono loro e noi glielo permettiamo.

Avevamo e abbiamo ragione entrambi, ma quell'arringa l'avevo vinta io, anche se non avevo smesso un minuto di sperare in una sonora sconfitta.

Per una volta sarei stata capace di gioire mentre mi arrendevo.

Maledetta me, lui e il nostro amore un po' troppo litigarello.


Non l'ho perdonato ed ora vivo con un piccolo bimbo che è la fotocopia sputata di suo padre, a trentuno anni piango ancora il mio lui, che si è trasferito in un'altra città.

Soprattutto vivo con l'eterno rimorso di non averlo perdonato (perchè mi amava davvero e io lo so), per non avergli detto che il 25 di Dicembre ho scoperto di essere incinta, e per la consapevolezza che se lo avessi perdonato lui non mi avrebbe più amata, perchè non sarei più stata io.



Salve.

Questa è una piccola shot, scritta di getto dopo un finale troppo triste e il ritorno di chi non avrei voluto rivedere mai più.

Posso dire che nel complesso è una storia inventata, tranne alcuni piccoli dettagli e il senso generale della storia.

Io davvero non sono riuscita a perdonare.

Dopo questa piccola spiegazione vi lascio, sperando che la storia sia stata di vostro gradimento.

Sara.


P.S: i commenti sono ben accetti.


 

  
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