Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: medea237    25/11/2009    1 recensioni
"E' una soleggiata mattina di Marzo,uno di quei giorni splendidi,in cui il cielo si tinge di un azzurro etereo e i peschi in fiore regalano a chi li guarda una soffusa sfumatura rosata,deliziosamente delicata. Gli uccellini cantano,e il sole inonda il marciapiede imbrattato di sangue." (estratto).
A volte anche gli assassini tengono la luce accesa... aborto mentale dedicato a Jamie,lei sa perchè.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
killers keep the light on
Alla mia sociaH,perchè lei c'è sempre
e con la sua presenza
mi aiuta a non aver paura di me stessa.
<3
                                                                  
KILLERS KEEP THE LIGHT ON









"
Qualcosa doveva essere andato storto con lui verso i tre anni,suppergiù.
O forse no,forse proprio la sua nascita era sbagliata,ecco perchè era avvenuta così disastrosamente.
Markus nacque quarantasette anni fa,un neonato sottopeso e con l'ittero,dopo aver quasi tentato di uccidere sua madre uscendo di piedi. Tentato,sì,volontariamente. Perchè Markus era convinto che quell'evento lo avesse condizionato a vita,imponendogli le scelte che lo hanno portato ad intraprendere la strada della perdizione.
 
Il primo (o forse bisognerebbe rettificare... il secondo?) istinto omicida gli venne alla tenera (ma anche non tanto) età di otto anni. Viveva la sua terza elementare come un incubo senza fine,lo studio era superfluo materiale che non riusciva a saziare appieno la sua mente in costante movimento,e i compagni gli apparivano fantocci vuoti e privi di senso. Esattamente come lui appariva a loro.
Sam Doerthan era il suo compagno di banco; un ragazzino grassoccio e maleducato,una vergogna se messo a confronto con la compostezza e la smilza struttura fisica di Markus. Era arrogante fino all'inverosimile, ma questo è un buon motivo per tentare di sfondargli il cranio?

Stava ridendo,lui. Rideva con Christian Brunke,seduto qualche posto più avanti.
Ridevano di Markus,e Markus lo capì.

E allora gli prese la testa tra le mani esili,e,senza che l'altro avesse il tempo di sottrarsi a quella stretta innaturalmente forte per un bambino di quell'età,gliela sbattè con forza al muro.

Boom. Frattura celebrale. Non grave,no: non abbastanza.

Sam era ancora vivo,ma Markus avrebbe desiderato morire piuttosto che rivederlo a scuola,qualche giorno dopo,con quella fasciatura candida attorno al capo. Inutile far finta che Markus non fosse stato espulso dalla scuola per cattiva - pessima- condotta,come altrettanto è inutile dire che Markus provò rabbia. Lui semplicemente girò i tacchi,fece un'inversione a U nella sua vita e tornò indietro,cambiando scuola.

E mentre il mondo attorno a lui cresceva,imparando a riconoscere la sfumatura di colore grigio della vita,che non sempre è nera o bianca,Markus restava bambino,si guardava intorno con occhi vacui e si illuminava di felicità solo quando riusciva ad immergere il suo sguardo stanco in una "buona lettura".  I suoi coetanei guardavano la televisione, leggevano fumetti poco complessi, si svagavano ascoltando la musica o andando al cinema e al circo. Markus non sarebbe mai andato al circo: lui aveva il terrore di Pennywise,il clown assassino del libro It di Stephen King.

E quando l'aria natalizia si avvicinava,ogni anno,quel tenero bambino non cantava mai nessuna canzoncina inerente alla festa.  Intanto che gli altri intonavano Jingle Bells,lui si limitava a sistemarsi gli occhiali sul naso affilato con aria leggermente infastidita. Non lo avrebbe mai ammesso,ma aveva paura,una paura folle: nessuno gli aveva detto di star lontano dai film di Dario Argento a undici anni.

La ruota del tempo girava,ognuno seguiva la propria strada. Markus non riusciva a trovare la propria.
Aveva il terrore dei film, aveva paura degli assassini, ogni singola persona in fila alla cassa del supermercato dietro di lui avrebbe potuto accoltellarlo alle spalle. L'aria che lo circondava era sempre tesa,una tensione pronta a spezzarsi sfociando nel panico. Ma rimase sempre in bilico,e non si spezzò mai.
Le paure di Markus,oltre alla coulrofobia, erano svariate: soffriva di claustrofobia e vertigini, non pernottava mai negli alberghi,temeva le bambole,gli specchi e tutti i tipi di insetti.
I genitori non si curavano delle stranezze del figlio, non si accorgevano che pian piano stava cominciando a cambiare: la vista non era più vacua, il fascino della morte lo ammaliava anzichè spaventarlo. Essa lo seguiva, talvolta impnotizzandolo,rapendolo e facendolo sprofondare. La notte si svegliava urlando,e nessuno accorreva mai.

E poi arrivò: il rancore.
Il rancore per una vita passata nell'ombra dei propri timori,senza che nessuno lo aiutasse a vincerli. Chi c'era con lui? Chi lo assisteva,chi lo portava dal dottore quando stava male? Chi gli cucinava il pranzo o la cena?
Non di certo la madre depressa o il padre ubriaco dalla mattina alla sera.
Così,a quindici anni Markus trovò il suo punching-ball: si chiuse in camera,e la sfondò letteralmente. Non fu una crisi da abbondanza di testosterone come fanno le star nelle stanze degli hotel,ma fu una vera e propria lotta contro ciò che gli altri gli avevano costruito intorno. Aveva solo quattro mura con cui prendersela, e be', se la prese di brutto. Ma infondo,cosa aveva fatto una parete,in confronto a quello che gli avevano fatto le persone?
Verso i sedici anni cominciò a rubare,per il puro gusto di suscitare reazioni nei suoi genitori. Diamine,aveva distrutto una stanza che era costata soldi. Ma niente.
I furti al supermercato passavano sempre inosservati, le sue continue richieste di attenzione ignorate.
Chi avrebbe mai dato ascolto ad uno stecco con gli occhiali più spessi del muro di Berlino?

Il primo amore venne e così come era venuto se ne andò, nuovamente sostituito dalla rabbia cieca per il suo mondo statico. A ventun anni,la consapevolezza che uccidendo sua madre e suo padre avrebbe semplicemente fatto loro un favore si faceva sempre più forte in lui. Infondo,non era come se fossero già morti? Ma Markus non lo fece,perchè aveva paura della polizia.
La sua vita ora si riduceva a qualche furtarello,qualche esplosione di rabbia ogni tanto, un monolocale umido (tanto per stare lontano dai genitori) e una laurea in magistratura che non lo avrebbe portato da nessuna parte.
Era un vulcano in quiescenza. Ma non era affatto spento.

Un giorno prese un'ascia e li accettò entrambi. Tanto,come detto,erano già morti. Non ci volle molto per occultare i cadaveri: con maestria impeccabile,li nascose dove non sarebbero mai stati trovati; ventiquattro anni, fama di furto con scasso e un doppio omicidio alle spalle: quello tanto desiderato,quello dei suoi genitori. Non riceveva attenzione da loro da quando era stato espulso dalle elementari,allora sì che si erano arrabbiati; ma cosa aveva fatto,poi? Sbattuto la testa al muro di un certo Samuel,Sam...  Dirten? Doroty?
Markus proprio non lo ricordava.

E invece se lo ricordò.
E pensò che avrebbe fatto bene a finire la sua opera tanto,tanto tempo addietro. Prima di trovarlo di persona,però,lo cercò per tanto tempo e si preparò per altrettanti mesi. A venticinque anni, dopo aver ucciso sua madre e suo padre,una terza vittima si aggiunse alla lista: Samuel 'Sam' Doerthen,perso a martellate sul cranio,la stessa testa che gli aveva dato tanto da trivellarsi negli anni passati.

Markus scoprì che la sua felicità consisteva nel privare gli altri della vita

E così cominciò la sua caduta,se così vogliamo chiamarla; ma se lo chiedessimo a Markus,lui risponderebbe che fu in quel momento che la sua vita iniziò.
All'inizio erano persone di cui si voleva vendicare da tempo,un datore di lavoro bastardo, una fidanzata che lo aveva tradito. Poi divenne un lavoro,il più bel lavoro di tutti,che nessuna laurea in magistratura gli avrebbe mai potuto regalare: si faceva pagare per uccidere.
Era un assassino.
Aveva unito due delle sue più grandi passioni: la morte e il piacere,in ogni sua f
orma,specialmente quello violento provocatogli dal sangue.
Markus non aveva più paura dei film.  "

E' una soleggiata mattina di Marzo,uno di quei giorni splendidi,in cui il cielo si tinge di un azzurro etereo e i peschi in fiore regalano a chi li guarda una soffusa sfumatura rosata,deliziosamente delicata.  Gli uccellini cantano,e il sole inonda il marciapiede imbrattato di sangue.
Markus si appresta
( devo,non voglio )
a rimuovere le tracce,infondo a quell'ora del mattino in una cittadina praticamente deserta chi vuoi che si accorga di un mostro
(è il mio lavoro diamine,non voglio )
che fa sparire l'ennesimo corpo morto.
Markus è grande ormai,ha quarantasette anni
(troppi,o troppo pochi?)
e ha fatto della morte la sua unica compagna di viaggi.
(ho fatto una scelta)
Ma era proprio necessario?
(sì,in questo caso)
Cosa?
(caso... )


Quello che all'inizio era un grande amore adesso si rivela una cosa prettamente legata al denaro,e alle colpe inespiabili. Tutto quello che ho fatto nella mia vita non ha alcun senso,è morboso,malato e inutile.
Ma mi pagano per farlo,e io devo campare in qualche modo.
No,non è vero. Non lo faccio per i soldi. Sono adagiato nel denaro,ormai. Il mio è un impiego pericoloso,e ormai sono un professionista assodato
( ventun anni di miseria e morte)
lo faccio perchè non riesco a smettere,e perchè se smettessi mi suiciderei. Il denaro non è l'Ace candeggina della vita,non smacchia le mie colpe ormai confermate. Sono dannato,e sono anni che lo so.
Cosa posso fare se non continuare l'opera che il destino mi ha assegnato?
Cammino dritto e a testa alta,una signora anziana si affaccia dal balcone con aria sospettosa. Mai nessuno che si faccia i fatti propri.
Apro lo sportello della Volkswagen e metto subito in moto,tentando di fare più in fretta possibile; tentando di sfuggire. In macchina non ascolto la musica,ho smesso da tempo di farlo,anzi metto su il telegiornale. Sento gli omicidi,mi sento chiamato continuamente in causa.
Anni fa avrei dato chissà cosa per entrare nella mente di un assassino e scoprire cosa lo spinge ad uccidere,ma adesso che ci sono dentro fino al collo riconosco che non è vero che gli assassini non hanno paura di niente,come pensavo da giovane. Delle paure che avevo un tempo ne ho conservata una sola,ma c'è, più fervida che mai,e mi dilania il petto come una bestia che vuole uscire.
La terrò a bada. Almeno in pubblico.
Arrivo presto a destinazione,e scendo dalla macchina con una determinazione che non mi appartiene: niente di quello che faccio mi appartiene veramente ormai,e questo già da un po',ma non riesco a staccarmene.
L'eco dei miei passi,prodotta dai miei mocassini neri lucidi,mi distrae per un po',mentre salgo le scale e anche mentre attraverso il pianerottolo con l'aria di uno che sta vagando in cerca di un citofono. Sono troppo bravo in questo.
Io non sto cercando un citofono,io sto aspettando.
E lui non mi delude,perchè alla fine non l'ha mai fatto. Non lavoro per lui, ma di certo ha molti servizi da offrirmi.
Lo odio.
Mi chiede di fare quello che da anni nel mio cuore ho smesso di fare.
Mi chiede di uccidere ancora,ogni volta.
- Quando?
- Mezz'ora fa,appena prima di venire qui- rispondo alzando la testa e sistemandomi gli occhiali sul naso. Questo mi è rimasto dall'infanzia.
Lui sorride compiaciuto,e si sorprende della mia velocità.  
Gli rispondo che ormai mi conosce,dovrebbe sapere quanto ci metto a fare fuori qualcuno. Dannazione,mi disgusto.
Mi mette qualcosa di molto consistente in mano e si allontana,senza salutare, facendo finta di non conoscermi. Perchè è così che si fa,quindi è così che faccio anche io. Non ho bisogno di guardare la mia mano per scoprire che è piena di banconote; chiudo gli occhi e mi chiedo se davvero costa così tanto.
La puzza delle banconote mi brucia dentro,la sento più forte che mai. Puzza di soldi, puzza di quello che io non dovrei avere e che invece ho.
Illegalmente. Ammazzando sconosciuti solo perchè me lo chiedono gli altri.
L'uomo mi richiama al cellulare,ma per oggi basta morte: potrai tornare a farmi visita domani,come d'accordo.
Spengo l'apparecchio telematico e fischiettando mi rimetto in macchina. Sbrigo alcuni servizi,e verso le otto di sera torno finalmente a casa. Non più nell'umido monolocale,ho una villa adesso.
Il mio portafogli è pieno ma il frigorifero è vuoto; una scatola di fagioli mi basta a ricordarmi l'infanzia,nel periodo precedente a quando la rabbia aveva il sopravvento su ogni cosa;erano tempi diversi,e invece di godermi la vita facevo il morto,proprio come i miei genitori.
Dopo cena spengo le luci e vado a dormire. Come sempre.

E invece no,perchè io la luce non la spengo.
Mentre tutto è avvolto dal mantello dell'oscurità,la lampadina sul mio comodino fa scintille e con un
click illumina uno spazio limitato ma sufficiente a farmi dormire tranquillo. Non ho paura del buio.
Non ho paura dei clown.
Non ho paura dei film.
Ho paura degli assassini,e quando hai paura di te stesso,
niente può salvarti.


  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: medea237