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Autore: Pudentilla Mc Moany    30/11/2009    3 recensioni
Il fatto era, che Mary Sue Dashwood riteneva che Augusta e Aginulfo Dashwood, gli autori dei suoi giorni, fossero di gran lunga i peggiori genitori del mondo. Era un’affermazione imperativa, ma certo giustificata dal dato inconfutabile del suo nome kitsch. E dal momento che suo fratello maggiore si chiamava Gary Stu, bisognerà credere che i coniugi Dashwood bazzicassero il Colmo dell’Ignominia con una costanza da brivido.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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FORMALITA’ INTRODUTTIVE DI RITO: No, i personaggi non sono miei. Fossero miei, Sirius adesso sarebbe alle Cayman ad evadere il fisco, ma sano e salvo e abbronzato e bellissimo.
Appartengono tutti a mamma Row, che dio la benedica, e il copyright è suo e dalla regia mi dicono che è anche della Warner Bros.
E’ il mio primo esperimento di long fiction, e il mio ingresso nel territorio vergine del fandom di Harry Potter. E’ naturalmente ambientata dopo i fatidici diciannove anni dopo; cinque anni dopo, in effetti, durante il sesto anno dei frugoletti imberbi dei nostri eroi.
Che dire? Siate pure inclementi; in fondo, la nostra protagonista è una Mary Sue.




( Mary )   Sue me!
Capitolo primo: di come la nostra eroina è certa che sarà un anno orribile.




Respirò l’aria densa del mattino a King’s Cross in una boccata acre di fumo e fritto, e mentre si sollevava la sciarpa di Corvonero sul naso non potè fare a meno di pensare che quell’anno sarebbe stato orribile.
Era una congettura all’apparenza del tutto ingiustificata, ma a ben vedere i segni dell’Apocalisse c’erano tutti.
Faceva un freddo gelido malgrado fosse solo il primo di Settembre, e l’aria era come impregnata di pulviscolo impazzito, grigiastra di smog e puzzolente di fumo dei camini –o di  braci infernali, che poi agli occhi della protagonista di questa storia sarebbe stata la stessa cosa.
Gli allievi del primo anno sciamavano attorno ai genitori, quelli dell’ultimo scrollavano le spalle di fronte ai consigli di madri sempre ansiose, qualcuno esibiva la sua tintarella scoprendo un avambraccio con lodevole incuranza del clima impietoso.
C’era l’aria elettrica di quando sta per scoppiare il primo temporale dopo un’estate torrida, quel sentore di pioggia che intorpidisce le membra, rende la bocca pastosa e fa venir voglia di mangiare dolcetti di zucca e leggere un libro di avventure. Che era esattamente quello che la nostra eroina avrebbe voluto fare, se solo il dovere non l’avesse chiamata a presentarsi al binario nove e tre quarti, quella mattina alle otto, per offrire un altro anno della sua verde gioventù in pasto al sistema scolastico del mondo magico.
Storse il naso contrariata quando sua madre le stampò un bacio cremisi sulla guancia, e sbuffò di puro dispetto quando il padre la strinse in un abbraccio spaccaossa mentre ancora tentava di ripulirsi dal rossetto della genitrice.
Gettò a entrambi un’occhiataccia fulminante prima di afferrare la maniglia del suo baule e incedere fra la folla con poca grazia e una gran copia di esclamazioni stizzite, in direzione vagone.
Il fatto era, che Mary Sue Dashwood riteneva che Augusta e Aginulfo Dashwood, gli autori dei suoi giorni, fossero di gran lunga i peggiori genitori del mondo.
Era un’affermazione imperativa, ma certo giustificata dal dato inconfutabile del suo nome kitsch. E dal momento che suo fratello maggiore si chiamava Gary Stu, bisognerà credere che i coniugi Dashwood bazzicassero il Colmo dell’Ignominia con una costanza da brivido.
Qualora l’onomastica infelice dei genitori della Sventurata non fosse ritenuta dai lettori di questa storia una circostanza bastevole a giudicarli crudeli a sufficienza, bisognerà confortare la nostra tesi precisando che la genetica aveva giocato un brutto tiro alla nostra Mary Sue, che era secca, pallida e aveva l’aria arcigna di una vecchia zitella.
Circondata da inglesotte floride e indiane mozzafiato, costretta a subire il fascino sottile delle orientali, spiccava per insipidità e malagrazia.
Indossava un paio di occhiali da vista dalla montatura nera, enormi, senza i quali era quasi del tutto cieca. Malgrado il primo giorno del primo anno le avessero detto, per confortarla, che gli occhiali demodé fossero di gran moda a Hogwarts, non le risultava che nessuno si fosse mai sognato di inforcare quegli abominii di plastica pesante da babbana.
Aveva i capelli lisci, sottili e di uno sgradevole color topo, e la frangetta le adombrava gli occhi enormi e castani facendole assumere un’espressione inquietante, intimidatoria.
Era acida e freddolosa e bassa ed era piatta come una tavola. Era una per cui “curve giuste al posto giusto” significa che su una strada di montagna nessun gard rail ha ancora ceduto.
Camminava con la testa incassata fra le spalle, gli occhi fissi a terra davanti a sé per non inciampare e per non incontrare sguardi indesiderati: era una solitaria; amava pochissime persone, e quasi la metà le conosceva sin dal suo primo anno a Hogwarts. Solo con un po’ di sforzo avrebbe confessato che, malgrado tutto, amava anche quei genitori squinternati che la salutavano con la mano dalla banchina, occhialuti e infagottati in verde e marrone.

Consegnò il baule assicurandosi che lo posizionassero adeguatamente –conteneva oggetti molto fragili, spiegò al facchino, e salì sui gradini di lamiera che portavano al secondo vagone.
Era quasi confortata, e il puzzo abituale di nafta la rassicurava col calore di un’abitudine consolidata negli anni.
Una tacita convenzione voleva che quello fosse il luogo designato alla prima riunione annuale del gruppo sparuto di Corvonero di cui faceva parte, tre adolescenti variopinti che erano un’estensione naturale della sua famiglia quand’era a scuola.
Patrick, Lola e Thelma erano stati selezionati durante lo smistamento, e Mary Sue ringraziava ancora la fortunata coincidenza che l’aveva portata a sedersi accanto a loro durante la sua prima, terrificante cena a Hogwarts.
Aveva scelto le ragazze per i loro nomi aberranti, e aveva capito di essere loro amica quando l’aveva ammesso in una confessione forzata e loro avevano riso di gusto; mal comune mezzo gaudio, si dice, ma quel giorno le era sembrato che il gaudio fosse completo.
Quanto a Patrick, sarebbe stato impossibile non sceglierlo: era una checca irlandese dai boccoli d’oro, e sull’Hogwarts Express l’aveva difesa da un Malfoy in rotta di collisione. Quando se l’era ritrovato accanto alla mensa di Corvonero, l’amicizia aleggiava in vapori rosa nell’aria, e no, non è una citazione di Elton John.
La nostra eroina stava appunto pregustando le tre ore di chiacchere e i dolcetti comprati a credito e la risata di Thelma e i golf di angora di Lola e il profumo dello shampoo di Patrick -che ti si attaccava addosso come un marchio di infamia, e ti faceva sorridere, quando un’esclamazione divertita pronunciata da una voce sconosciuta la fece sobbalzare.
La voce misteriosa proveniva dal secondo vagone, scompartimento numero uno.
Si trascinò gemebonda verso la porta, sul volto l’espressione incredula e affranta di chi non vuole credere a un dato irrefutabile. Quando scorse le sagome dei suoi amici più quella di un estraneo attraverso il vetro, dichiarò a se stessa -ed era già la seconda volta, quella mattina- che quell’anno sarebbe stato orribile.
Deglutendo pesantemente, fece scorrere la porta a vetri.
<< Mary Sue! >>
Un falsetto giubilante precedette l’apparizione fra le sue braccia di un delizioso ometto fasciato in un cardigan blu nel momento stesso in cui varcò la soglia di quell’inferno familiare, di quella Caina in cui i traditori affondavano in plaid patchwork fino al collo, ruminando biscottini e salutandola allegri.
Abbracciò Patrick che la abbracciava solo perché era proprio impossibile non corrispondere il suo affetto tenero e irruento dopo un’estate di soli contatti cartacei, ma si guardò bene dal dispensargli la solita profusione di effusioni, che sostituì con un’occhiata penetrante. Quanto alle ragazze, evidenziò la sua perplessità con un inarcarsi dubbioso delle sopracciglia, che accompagnò a un ringhio gutturale.  In quella scena toccante di ricongiungimento, l’ospite fu ignorato bellamente per almeno una manciata di secondi.
Per correttezza nei confronti della nostra eroina, bisogna dire che non era suo costume esibirsi in quelle scenate da mastino idrofobo.
Al contrario, andava fiera del suo contegno educato e della sua educazione irreprensibile. Non rispondeva male ai professori e obbediva ai suoi genitori, e non litigava mai a meno che non ci fossero dei seri motivi per farlo. Insomma, era una personcina piuttosto equilibrata, e per nulla al mondo si sarebbe sognata di trattare male qualcuno per il semplice fatto di esistere.
Il punto era che il qualcuno che quel giorno veniva a turbare la pace idilliaca del suo quadretto ideale non era un qualunque signor nessuno.
Albus Severus Potter, prefetto di Grifondoro che se ne stava seduto accanto al finestrino a succhiare una caramella, era popolare.
Popolare, nel mondo di Mary Sue, significava guai.
Popolare era una persona circondata da un nugolo di amicizie superficiali, così distante dal suo mondo di affetti pacati da essere quasi un alieno, un abominio che avrebbe fagocitato il suo piccolo gruppo rassicurante e l’avrebbe ridotto a un satellite della sua galassia.
Mary Sue non aveva niente di personale contro Albus Severus Potter, che non conosceva se non per le sue prodezze a quidditch e per il suo padre ingombrante, ma quel giorno sentì di odiarlo con tutta la violenza del mondo, perché era venuto lì per corrompere il suo spazio sacro. Così, quando quello sollevò una mano per salutarla, con un bel sorriso aperto e la coda di un verme gommoso che gli penzolava dal lato della bocca, si guadagnò per tutta risposta uno “ciao” strozzato, e come se non bastasse l’espressione della giovane Corvonero, che era quella di una che gli avrebbe volentieri staccato la testa a morsi, bastava da sola a smentire le minime tracce di calore che solo un’anima candida come lui avrebbe potuto scovare in quel saluto laconico.
<< Che ci fa lui qua? >> Sussurò Mary Sue all’orecchio di Lola senza premurarsi troppo di dissimulare il fastidio, dopo essersi accasciata al posto di fianco al suo, sulla diagonale opposta dell’Arcinemico.
<< Oh, era da solo, e poi è-insomma, è Potter. >> Biascicò confusa la ragazza, scuotendo la testa veementemente in uno sbatacchiare di ciocche scure.
<< Questo lo so benissimo da sola, grazie. Oltre alla volgare evidenza del suo nome di famiglia avete anche raccolto informazioni sulla sua rendita, in mia assenza? >>
<< Direi che stai esagerando. In fondo, è uno studente come un altro. >>
Malgrado la lodevole diplomazia di Thelma, la nostra protagonista non doveva essere particolarmente bendisposta verso le giustificazioni, quel giorno. La interruppe con un altro bisbiglio, stavolta accuratamente calibrato per raggiungere le orecchie di Potter.
<< Non vedo cosa possa farci qui, dal momento che non è un Corvonero. >>
<< Mai sentito parlare di fraternità fra le case, Dashwood? >> Fra le caratteristiche dei Grifondoro doveva esserci anche l’orecchio fino, perché la risposta fu tempestiva e irridente.
<< Non mi pare che durante l’ultimo incontro di Quidditch dell’anno scorso tu ti sia dimostrato molto fraterno, Potter. >>
<< In guerra e in amore tutto è lecito, Dashwood.>>
<< Ma in pace bisogna rispettare le regole. Ci puoi stare, qui? >>
<< Essendo un prefetto, direi che posso fare tutto quello che mi pare. >>
Bisognava riconoscere che il Grifondoro aveva opposto all’imbeccata di Mary Sue un’argomentazione schiacciante. Nel mondo del quidditch si sarebbe detto, e non a sproposito, che il punteggio era uno a zero per Potter.
Quanto a lei, si mosse un po’ sul sedile, come se improvvisamente fosse diventato motlo stretto, incrociò le braccia al petto e si rifiutò di parlare con quei traditori. Se non urlò al sabotaggio fu solo perché Thelma ebbe il buon cuore di rimboccarle la coperta e imboccarla di salatini al formaggio, e allora si limitò ad estrarre un tomo enorme dalla sua tracolla sdrucita, al di sopra del quale si premurò di gettare occhiate assassine a Potter in risposta al più pallido tentativo di conversazione.

<< Per farla breve, oserei dire che la manovra centodiciassette bis ha sortito i suoi effetti. >>
Aveva la voce impastat dalla sigaretta pesante fumata sulla banchina, e i capelli biondi, liscissimi, gli ricadevano sulle tempie diafane mentre incedeva sicuro, facendo dondolare fra le dita sottili un bastone da passeggio di lacca nera.
<< Hai penetrato il vallo? >>
L’amico gli si affiancò con un ghigno, e aveva labbra piene e gli occhi di un verde brillante.
Entrambi portavano lo stemma di Serpeverde sui risvolti delle giacche di buon taglio, e entrambi avevano l’aria di saperla lunga, e quella classe un po’ torbida del dandy snob.
<< Quasi. Abbiamo stipulato un trattato di non aggressione. >> Ammise il biondo, esaurendo l’argomento in un arricciarsi sdegnato delle labbra pallide. << Ma è pur sempre un progresso. Come è andata la tua annessione? >>
<< La mia annessione è stata molto piacevole, grazie. Ma amice, tu mi preoccupi. La Polonia non ha ancora ceduto, e mi chiedevo se ciò non avesse per caso affetto la tua salute mentale. Mi chiedevo se il tuo sex appeal non stesse per caso…>>
Un colpo di bastone ben assestato su un polpaccio abortì le congetture dell’altro, che si esaurirono in un rantolo sordo.
<< Caro mio, non hai forse fiducia nel sottoscritto? Il mio sex appeal è immutato. Quella che vedi è una macchina dell’amore. E’ che la Polonia è troppo-scontata, perché mi impegni seriamente. >>
<< E’ singolare che una conquista così scontata ti crei tanti problemi. >>
<< Non fare basse insinuazioni, Flegias. Posso ancora avere qualsiasi donna a Hogwarts. >>
<< Oh, lo credo bene. Ma saresti pronto, giusto per scherzare fra di noi, a- non so, supportare la tua dichiarazione? Voglio dire, potresti dimostrarmelo accettando una piccola scommessa. Divertendoti anche, mettendoti alla prova con una seduzione difficile. >>
<< Ti seguo, Houdini. >>
Flegias Houdini, Serpeverde del sesto anno, prefetto di Hogwarts, eletto all’unanimità secondo uomo più sexy di Serpeverde, si fermò a pochi passi dalla porta del primo scompartimento del secondo vagone dell’espresso di Hogwarts. Fece un cenno d’intesa al compagno, poi si appoggiò con una spalla contro la parete. << Là dentro. >>
Il ragazzo pallido si appostò dietro di lui, spiando dai vetri doppi un po’ appannati.
<< Dovrei sedurre Potter? >> Berciò scandalizzato, il gomito sollevato, pronto a colpire.
<< Guarda meglio. >> Lo corresse l’altro, la voce carezzevole; era molto credibile, nel ruolo di tentatore. Fece un cenno col mento verso una ragazza castana seduta sulla poltrona di fronte al prefetto di Grifondoro, che in quel momento stava intraprendendo un’animata conversazione con quel finocchio di Patrick O’Malley. << Dashwood la frigida,Corvonero, sesto anno. Purosangue, vergine, bisbetica. Tu la domi, io sgancio i quattrini. >>
<< Cento galeoni? >>
<< E cinque falci se te la fai entro il semestre. >>
<< Quello che mi piace di te, Houdini, è proprio questo: la disponibilità suicida a pagare cifre folli unita a un linguaggio molto elegante. Accetto, per l’onore di Serpeverde e per la gloria della mia famiglia. Io trasformerò questa-questa cosa rozza e occhialuta, questo materiale grezzo, in una vera donna. Non è una scommessa, tienilo bene a mente: è una missione, e io sono il sacerdote della Bellezza. Ce la farò. >>
<< Sacerdote della Bellezza un piffero. Non saresti credibile come ecclesiastico; le gonne ti donano pochissimo. >> Si voltò verso il biondo e sorrise, e gli tese la mano. << Ad ogni modo, è un piacere fare affari con lei, Signor Malfoy. >>





  
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