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Autore: ElderClaud    30/11/2009    4 recensioni
Ulquiorra era un buon osservatore, sapeva scrutare le debolezze delle persone che lo circondavano, esattamente come riusciva ad anticipare le mosse dei due sulla scacchiera. Quello che non sapeva vedere però, erano le cose che stavano oltre quelle mosse strategiche.
[Ulquiorra-Orihime-Tesla]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Arrancar, Inoue Orihime, Schiffer Ulquiorra
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono concessa l'ennesima oneshot non ambientata in una AU, in attesa di ritornare a scrivere sulla mia long principale di Bleach.
Il mio intento, era di scrivere una TeslaHime (datemi della pazza ù_ù) fin dal principio, ma dato che non riuscivo a decidermi su che lato introspettivo scriverla, ho puntato di mostrare il tutto attraverso gli occhi di Ulquiorra.
Quindi, è più una Ulquiorra centric che una oneshot su una coppia, e dato che sempre del Cuarto Espada parliamo, è tutto mostrato attraverso i suoi pensieri piuttosto sibillini.
Buona lettura!


Chess liars


Negare.

Negare sempre l'evidenza.
È la cosa che riesce sempre bene alla spazzatura che lo circondava.
Ulquiorra Shiffer era saturo di spazzatura fino al collo, e benché sopportava il tutto con un certo stoicismo, era snervante vedere i suoi simili raccontare balle per nascondere certi fatti.
Il negare una realtà, qualunque essa sia, era un sinonimo di debolezza. Ed in mezzo a quel luogo dimenticato, solo Aizen sama non mentiva a se stesso.
Mentre persino una patetica Fracctiòn, era capace di raccontare balle anche inverosimili.
Forse magari era lui ad essere troppo onesto, oppure pretendeva troppo da un semplice ragazzo.
Ma Tesla era un tipo di spazzatura decisamente singolare, che ostentava un patetico orgoglio e onore per il proprio sire.
Ammirare uno come Nnoitra Jilga ci voleva fegato, ma continuare a raccontare fandonie anche davanti al suo sguardo freddo e assassino, era più che avere fegato.
Era avere pazzia.
E come potesse questo giovane ragazzo possedere così tanta pazzia in corpo, non lo comprendeva e voleva quindi farci luce.
Anche se in quel preciso momento, si trovavano in una camera isolata e semibuia del castello di Las Noches. Una sorta di sala degli interrogatori provvisoria, spoglia e priva di mobilio alcuno, prima che si decidesse che uso farne.

Immobile come una statua, con le braccia incrociate dietro la schiena e fermo come un soldato di guardia, Tesla sembrava pronto a ricevere una frustata anziché una semplice domanda.
E questo, fece sospirare di noia Shiffer in modo interiore.
“Che cosa stavate facendo li dentro?”
Ancora quella domanda scontata che si perdeva nel piccolo eco della stanza, e ancora un altro lungo silenzio prima della risposta del ragazzo. Che sembrava tardare come indeciso sulla risposta da dare, o divorato dal rimorso.
Un attimo prima di far uscire le parole tutte d'un fiato, il Cuarto Espada non potè non notare il lieve mordersi il labbro superiore del ragazzo, e l'evidente gesto di deglutizione.
Nonostante il suo occhio fermo a guardare il vuoto da bravo soldato.
“Stavamo giocando a scacchi, signore”
Ancora balle che giungevano alle sue orecchie. Ancora un piccolo brivido di irritazione che gli sfiorò appena l'anima. Ulquiorra detestava la spazzatura bugiarda.
Quel ragazzo stava negando l'evidenza dei fatti, ed era quasi sicuro che lo zampino del suo sire c'entrava un poco. Doveva averlo istigato lui per forza di cose.
Si, doveva essere così per forza. Quell'Arrancar aveva atteggiamenti squallidi e per lui totalmente inspiegabili. Sembrava quasi che alle volte plagiasse la testa degli individui più deboli tipo l'individuo che aveva dinnanzi.
“Giocando a scacchi...”
Ripeté lui con la solita flemma.
Quasi come a fargli comunicare un presunto scetticismo che poteva, nella voce di Ulquiorra, anche trasformarsi in strafottenza e derisione.
Sempre e comunque a modo suo.
“Esattamente signore”
Il giovane rimase fermo di voce e comportamento, nonostante l'Espada sapesse alla perfezione che quel giovane Arrancar, stava trattenendo dentro di se una forte tensione.
Seccante e stupido, ma non poteva pretendere di più da della spazzatura simile.

E pensare che in parte era colpa sua.

Da circa una settimana, la donna che corrispondeva al nome di Inoue Orihime, soggiornava come loro ospite all'interno del castello.
Stranamente, sia Ulquiorra che Aizen sama, si sarebbero aspettati che gli amici di tale femmina, sarebbero arrivati il prima possibile a salvarla, ma i casi evidentemente erano due.
O si stavano preparando ben bene per venire a riprendersela, oppure l'avevano ormai etichettata come traditrice.
Tipico della spazzatura comportarsi così. Intanto tuttavia, nonostante la femmina ostentasse una maschera fiduciosa e severa, gli era chiaro a lui e a tutti gli altri che stesse fingendo.
Che perdesse fiducia in tutto questo era ovvio, e il fatto di non possedere distrazioni concrete in quella lunga permanenza forzata, le stava dando sui nervi.
Diventando sempre più indisposta alle conversazioni spicce del Cuarto Espada.
Fu in quel periodo tuttavia, che la Quinta Espada si era interessato dell'ospite e dei suoi lunghi e noiosi pomeriggi.
Ulquiorra aveva già sospettato che a Nnoitra ronzasse qualcosa in testa dopo una loro prima chiacchierata, ma che arrivasse ad attuarla concretamente non ci aveva pensato. Il sospetto comunque c'era, e per questo tanto sorpreso alla fine non lo fu.
Piuttosto, si sorprese che avesse mandato la propria Fracctiòn in mezzo e non lui stesso. Rendendolo alquanto sospettoso.
Vorresti negare un po' di svago a due ragazzi, Ulquiorra?!”
Testuali parole lo lasciarono in silenzio per diversi minuti, di fronte al sorriso di Nnoitra che invece di scomparire, si allungava a dismisura.
Ma dato che Aizen sama alla fine non aveva negato a nessuno l'accesso alle stanze della femmina, e del trattamento che avrebbe ricevuto dato che l'unico ordine era che rimanesse in vita, acconsentì che si attuasse quella stranezza.
Ma ad una condizione personale, avrebbe tenuto d'occhio Tesla durante le sue visite che non dovevano superare mediamente un ora precisa di orologio.
E il giovane Arrancar accettò in silenzio la condizione da buon soldato. Incurante di un fin troppo evidente sorriso complice del proprio sire.

Per circa una settimana, i due ragazzi avevano giocato regolarmente a scacchi scambiandosi poche parole che non fossero quasi tutte legate al gioco stesso.
Il primo giorno, la giovane Fracctiòn di Nnoitra aveva quasi speso il suo tempo ad insegnare alla femmina l'antico gioco di strategia.
Muovendo le sue pedine d'onice in direzioni prestabilite, e facendo altrettanto con quelle d'avorio di lei. Su quella preziosa scacchiera in legno intagliato, Ulquiorra aveva calcolato decine e decine di mosse e strategie possibili. E quei due decisamente, risultavano prevedibili nei movimenti e nelle scelte di di manovrare le pedine.
Ad ogni modo comunque, poté constatare come quei giorni per la femmina fossero decisamente più “passabili” degli altri.
Nonostante la diffidenza iniziale e la perplessità, aveva accettato la presenza di quel nuovo individuo, e questo sembrava renderla più “serena” se si poteva passare il termine.
Ulquiorra era un buon osservatore, sapeva scrutare le debolezze delle persone che lo circondavano, esattamente come riusciva ad anticipare le mosse dei due sulla scacchiera.
Quello che non sapeva vedere però, erano le cose che stavano oltre quelle mosse strategiche.
E questa piccola mancanza, era alla base dell'interrogatorio che fece in seguito ai due.
Perchè sarà vero che lui per una settimana non aveva mai abbassato la guardia, ma era anche vero che certi avvenimenti potevano scatenarsi anche in pochi minuti scarsi.

All'ottavo giorno, si era dovuto scostare da quella partita silenziosa quasi subito, a causa di un colloquio immediato alla sala dei grandi dieci.
Non vi era sospetto alcuno che macinava nella sua mente, e gli ordini comunque, andavano eseguiti. Ma non si aspettava di tornare dopo due ore interminabili e di notare un quadro insolito rispetto tutti gli altri giorni. Una di queste stranezze, era il fatto che Tesla – nonostante fossero passate ben due ore oltre gli ordini – era ancora li in stanza. L'altra era nell'ambiente circostante.
Normalmente i due impiegavano le loro partite sul piccolo tavolo presente nella stanza. Tanto che l'ordine delle pedine e della scacchiera preziosa su quel tavolo, lo conosceva alla perfezione.
Ma quando entrò, notò che l'ordine delle cose in quel piccolo mondo, erano state stravolte.
La preziosa scacchiera non era più messa centralmente il tavolo così come l'aveva vista l'ultima volta, ma era spostata di lato. Verso il bordo del tavolo sospesa nel vuoto quasi per metà.
Idem le pedine preziose, alcune sparse in terra altre cadute sul ripiano, anziché disposte ordinatamente sulla superficie lustra e dai colori monocromi.
E i due sfidanti, i due giocatori silenziosi, erano per un misterioso motivo seduti sul grande e candido divano presente in stanza non lontano da quel tavolo.
I suoi occhi verdi si indirizzarono lenti e apparentemente apatici verso quelle due figure inspiegabilmente silenziose.
Avvicinandosi con placidi passi, iniziò ad avvertire una strana tensione nell'aria.
Era successo qualcosa di strano durante la sua assenza, qualcosa che percepiva nel disordine, e nell'odore dell'aria che si faceva più viziata mentre si avvicinava ai due.
Qualcosa che aveva portato i due dai semplici sgabelli del tavolo, al comodo canapè.
Analizzò quindi con cura l'ambiente circostante e gli individui in apparenza tranquilli e silenziosi. Che cosa da catalogare alle stranezze rinvenute, c'era anche il fatto che una volta entrato nessuno dei due aveva reagito. Continuando a fissare un punto imprecisato nel tappeto arabo finemente lavorato, dalla trama rossa che si incorporava nelle decorazioni ocra e blu, fino a formare inquietanti motivi floreali.
Si sarebbe aspettato quantomeno che la giovane Fracctiòn reagisse sul momento. Che si alzasse in piedi sull'attenti invece di guardare con sguardo vuoto il pavimento e ciò che era presente in esso.
Ci volle quasi mezzo minuto affinché Tesla si accorgesse della presenza Dell'Espada prossimo ai due, indirizzando lo sguardo verso le due ametiste verdi di Ulquiorra.
Svegliandosi quasi, da un lungo sonno tormentato. Scattando in piedi trattenendo nel petto un sospiro dovuto allo sforzo e mormorando un “signore” udibile giusto da chi lo circondava.
Come se fosse stato beccato in flagranza di reato, a questo dettaglio Shiffer ci fece caso.
Non si arrabbiò per la tardività del saluto militare da parte del suo simile, dato che comunque stava cercando di capire il motivo di tanto silenzio.
Persino la femmina umana, sembrava indifferente alla sua entrata di scena. Guardava verso il basso osservandosi attenta i calzari, e le mani che, più che tormentare la stoffa della gonna, sembravano sistemare le pieghe sgualcite.
Volutamente ignorò la presenza di Ulquiorra, come se all'improvviso fosse diventata ancora più scomoda degli altri giorni passati. Deviando quello sguardo freddo come se l'orgoglio fosse stato appena ferito dalla candida presenza dell'Espada.
Non battè ciglio, fino a quando il suo carceriere non espose una domanda ad entrambi. Se poi avesse avuto il coraggio di guardarlo dritto negli occhi, avrebbe maledetto lui e tutto il mondo.
Che cosa è successo qui?”
Pacato e diretto come al solito, Ulquiorra fissò intensamente il giovane ragazzo in cerca di una reazione che parlasse da sola prima delle parole.
Il corpo esprime bene i sentimenti che una persona prova, ma spiegare il motivo del perchè di tale causa – del perchè nascevano certe cose – lui non se lo spiegava.
Quindi in parte capì.
Notò il busto del ragazzo irrigidirsi e girare appena il capo verso la femmina, mentre ella, notando quel timido sguardo, distolse la vista verso il pavimento indirizzandola altrove.
Tesla si morse appena l'interno del labbro inferiore prima di parlare.
“Stavamo... - tornò con lo sguardo verso il superiore e acquistò coraggio - …Stavamo giovando a scacchi signore”
Chiunque si sarebbe quantomeno irritato per una simile risposta. Oppure si sarebbe messo a ridere con gusto per una simile bugia.
L'Espada tuttavia, non fece nessuna di queste cose, limitandosi a fissare in silenzio entrambi i due individui, ed elaborare nella propria testa tutte le soluzioni possibili.

In effetti, non ci impiegò poi molto a capire cosa fosse realmente successo in quella stanza dopo che lui si era allontanato.
Ma era incomprensibile il modo in cui negassero l'evidenza dei fatti raccontando stupide menzogne.
Per le meccaniche che avevano portato i due a raccontare una simile fandonia, lui non riusciva a spiegarselo con certezza. Poteva solo fare ipotesi sul cosa avesse scatenato la scena che li aveva portati dalla scacchiera, al divano più distante.
Dedurre se era stata semplicemente una mera questione chimica – il termine adatto per un Arrancar sarebbe nostalgia – oppure di sentimenti di solitudine misti a disperazione nascosta, si rendeva cosa ardua quando si mentiva per cose così stupide.
Prese quindi, la sua decisione nell'immediato, ordinando al giovane Tesla di seguirlo, e lasciando una femmina con sguardo enigmatico in volto.
Notò comunque, le continue – ma velate – occhiate del ragazzo a lei. In un misto di preoccupazione e disagio sicuro. Un comportamento patetico che faceva sembrare ancor più infantili le bugie sugli scacchi.

Ed infine l'interrogatorio in una stanza a parte.
Con Nnoitra che attento fuori dalla stanza, quasi avesse fiutato aria di guai, se la rideva in silenzio divertito da tutto quel piccolo trambusto. Compiaciuto sicuramente dall'impresa del suo servo, era dannatamente ovvio che lui c'entrava qualcosa in tutto questo.
Ma nulla era in confronto ai sentimenti di disgusto che Ulquiorra provava per quell'ostentata e falsa sicurezza.
Osservare come quel soldatino se ne rimanesse sull'attenti nonostante fosse sottoposto a quello sguardo distaccato e poco incline alla pietà. Che attento e analitico, aveva analizzato la sua giovane figura in tutti i suoi dettagli.
Gli venne persino da dirgli “hai un bottone della giacca fuori posto” ma decise comunque di lasciar perdere. Quella giacca era solo apparentemente sistemata bene.
Quello sguardo era solo apparentemente severo e distaccato.
Un atteggiamento così infantile che gli venne da sospirare dal profondo per la noia sincera che provava. Ma come avrebbe poi aggiunto in modo fin troppo abbondante la Quinta Espada dopo quell'interrogatorio:
Dopotutto sono ragazzi”.
Pessima battuta, come giustificazione alle menzogne ricevute. Il tutto scandito con il più perfido dei sorrisi, mentre compiaciuto lanciava un'ultima occhiata di scorcio ad un Ulquiorra impassibile, nell'atto di riprendersi il ragazzo una volta terminato quell'inutile interrogatorio.
Se Tesla non aveva rilasciato informazioni decenti, allora forse la femmina avrebbe saputo fare di meglio.
In parte non poteva in qualche modo non fargliene una colpa. Perchè un essere umano era così fragile emotivamente, che era una cosa disgustosa doversene spiegare le motivazioni.
Lasciando quindi quella stanza vuota e semibuia utilizzata in precedenza come stanza degli interrogatori, dopo aver visto i due Arrancar sparire in silenzio sotto il suo sguardo fermo e demotivato.
Quesiti senza risposta gli tormentavano con irritazione il cervello mentre nel silenzio di quel lungo e buio corridoio, attraversava la via che doveva condurlo al secondo individuo da analizzare.
Poteva benissimo sfruttare il sonido per raggiungere la stanza dove era rinchiusa la femmina, ma si concesse una lunga camminata per riflettere.
Una stanza dove da una settimana, attendeva – invano – che amici fiduciosi l'andassero a salvare.
Erano mera spazzatura, e lei confidava in loro per aver salva la vita. Semplicemente pazzesco.
Una volta raggiunta la meta, non fu sorpreso di varcare la porta e di trovare ora tutto l'ambiente in ordine e pulito.
Niente pedine sul pavimento, niente sottane sgualcite, niente che lasciasse intendere che lì gli scacchi, erano stati l'ultima distrazione che si erano effettivamente concessi.
La donna era li.
In piedi al centro della stanza, intenta ad osservare un cielo vuoto e nero che si estendeva oltre le sbarre della sua prigione lussuosa. Dandogli le spalle in apparenza indifferente alla sua entrata.
Neppure la luna che di norma era presente nei cieli di quel purgatorio senza dio, sembrava voler capitolare da oltre i muri per mostrarsi in quella finestrella troppo lontana e troppo piccola.
Una metafora perfetta di un qualcosa di troppo lontano da raggiungere e capire.
Ulquiorra si chiuse le porte alle spalle facendo il meno rumore possibile. Facendo scattare la serratura con un lieve rumore, che in teoria, avrebbe dovuto essere udibile solo a lui.
Lei a prescindere lo sentì. E forse aveva avvertito la sua scomoda presenza già nel corridoio.
La sua risposta quindi, fu come una picca che velenosa gli trapassò il petto.
Vuoi una risposta Ulquiorra?!”
In quella voce femminile di norma remissiva e poco udibile, non sembrava esserci spazio per le titubanze.
Non vi era spazio per i chiarimenti, ne tanto per la pazienza di sentirlo parlare e concedergli risposte alle sue inutili domande.
Complice una smisurata disperazione e solitudine, che quasi sicuramente la stava divorando dentro.
“Beh mi spiace, ma non ci sono spiegazioni!”
Si volta verso di lui scandendo ancora parole piccate.
Scandendo ogni sillaba con irritata verità, di chi ormai non temeva più quello sguardo freddo, arrivando persino ad osteggiarlo con il proprio fatto di un argento che, con il passare del tempo, si stava spegnendo ormai preda di false speranze.
Per una volta stranamente, Ulquiorra non se la sentì di replicare.
Non se la sentì di deriderla per quel suo sciocco comportamento, e non se la senti neppure di porgerle quella consueta domanda.

Il motivo forse era rinchiuso in quella dannata ostinatezza, che gli stava letteralmente ribaltando lo stomaco.
Per questo forse, prese l'unica decisione saggia che poté prendere nell'immediato.
“Capisco”
Si disse quasi rivolto più ai propri pensieri e alla loro risoluzione parziale, che alla femmina in se.
Voltandosi infine, dandole così le spalle a quegli occhi ormai induriti dalla prigionia, e lasciandola definitivamente sola per quel giorno particolare.

   
 
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