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Autore: Torica    01/12/2009    2 recensioni
Quel terribile boato mi rimbombava ancora nella testa mentre cercavo di rimettermi in piedi.
Non eravamo preparati alle granate, quando la vedetta si era resa conto del pericolo due ordigni avevano già colpito la prima linea di trincea.
Nessuno gli aveva visti arrivare.
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Quel terribile boato mi rimbombava ancora nella testa mentre cercavo di rimettermi in piedi. Non eravamo preparati alle granate, quando la vedetta si era resa conto del pericolo due ordigni avevano già colpito la prima linea di trincea. Nessuno gli aveva visti arrivare. Se passi tre mesi al freddo in un buco fangoso cercando di evitare i proiettili nemici ci vuole poco per farti perdere il controllo: la trincea era caduta nel panico e gli uomini correvano avanti e indietro, mentre ogni suono mi giungeva ovattato e distorto rendendo tutto più terrificante di quanto già non fosse; in tutto quel caos l’unica cosa che mi pareva veramente reale era il fucile che stringevo convulsamente al petto. E in quel momento, mentre lafanteria nemica imperversava su quella terra di nessuna appartenenza, assecondai l’unico istinto che in quel momento potessi avere: mi voltai e iniziai a sparare. * Da quando ero stato inviato in quel buco avevamo perso due linee di trincea, tutti i soldati di quelle che erano state la prima e la seconda linea erano morti in quelle missioni suicide in cui ci si fa strada su un terreno devastato e coperto di fango mentre i Tedeschi sparano. Linee che avevamo puntualmente riconquistato. Per questo quando presi posizione in prima linea detti per scontato che sarei morto durante uno di questi assurdi scontri. Anche Giovanni lo fece. Ci eravamo conosciuti a settembre quando fummo entrambi spostati prima in seconda e poi in prima linea; troppo giovani per la guerra, troppo vecchi per la paura. E in un ambiente dove chi ha paura fa la stessa fine destinata al nemico, ci aggrappammo l’uno all’altro sperando insieme di non aver mai la possibilità di mostrare quanta paura avessimo, quanto volessimo mollare quella divisa e quanto in fondo fossimo ancora soltanto dei bambini rispetto alla cruda realtà della guerra. In un ambiente precario e pericoloso non puoi tirare avanti da solo sperando di contare solo sulle tue forze, le trincee sono un mondo il cui il sottile confine tra la vita e la morte è continuamente sconvolto perché non sono solo i corpi riversi nel fango ad essere senza vita, puoi essere morto anche se il tuo cuore continua a battere ed era proprio quando uno di noi due si dimenticava di battere insieme al suo cuore che l’altro glielo ricordava. La paura e il dolore hanno il dono di unire le persone. Giovanni era accanto a me quando esplose l’inferno. In quei tre mesi né noi né il nemico avevamo mai usato le granate: le trincee non erano abbastanza vicine per un simile attacco e non ci saremo certo immaginati che i soldati Tedeschi si sarebbero imbarcati in una missione suicida solo per tentare un nuovo attacco, evidentemente il loro ‘superiore’ si era stancato di questa situazione di stallo. Dopo quello che era stato l’attacco più cruento dell’ultimo periodo entrambe le parti avevano acconsentito ad una tregua e mentre i Tedeschi recuperavano i corpi dei loro compagni e tentavano di salvare i pochi feriti che davano ancora segni di vita io correvo avanti e indietro nella trincea devastata alla ricerca di Giovanni, scacciando violentemente ogni pensiero negativo riguardo alla sua sorte. Tanti, troppi corpi erano riversi nel fango, facce note si alternavano a corpi massacrati e volti sfigurati lasciando solo la divisa, talvolta Italiana talvolta Tedesca, a dare una parvenza d’identità a quelle persone. Tra di loro alcune urlavano e gemevano, imploravano aiuto e recitavano preghiere molti in una lingua a me incomprensibile, che altro non facevano se non rendere più straziante la mia disperata ricerca e mentre in me si faceva strada la possibilità che fosse vana un oggetto richiamò la mia attenzione: uno dei tanti corpi sfigurati portava al collo un piccola croce di legno. “Non è stato Dio a creare la guerra, Antonio. Siamo stati noi” Mi ripeteva spesso quella frase, ogni volta che gli chiedevo come facesse a credere ancora che lassù qualcuno ci volesse bene. Incespicando nel fango e nei detriti mi feci strada fino al suo corpo e mi inginocchiai accanto a lui. Il mio sguardo si posò sul volto ustionato del mio amico, alla ricerca di una qualsiasi conferma della sua identità, quasi sperando che quel corpo non fosse il suo. Gli presi la mano e poggiai delicatamente la mia sul suo petto, esitando a pronunciare il suo nome, spaventato dall’eventualità che potesse non rispondere. ''...Antonio?'' il suo fu un sussurro quasi inudibile. ''Si, sono io amico'' Per un secondo pensai che in fondo tutto sarebbe andato per il meglio, che saremo tornati a casa insieme e avremmo avuto entrambi il tempo di portare a termine tutti i progetti che avevamo fatto. Ma quando sei in guerra non ti puoi permettere illusorie speranze, rendono tutto più difficile di quanto già non sia. Eppure quella consapevolezza mi colse alla sprovvista. La consapevolezza che lui non sarebbe tornato a casa, la consapevolezza che sarei stato solo da quel momento. ''Antonio...'' ''Sono qua Giovanni'' ''Dove siamo?'' Deglutì. Non volevo che mi sentisse piangere, non in quel momento e nonostante la mia voce fosse rotta dai singhiozzi sorrisi. Sorrisi anche se sapevo che non poteva vedermi. ''Stiamo tornando a casa, amico, stiamo tornando a casa'' Giovanni sorrise, con quello che fu probabilmente il sorriso più bello che avessi mai visto. E mentre la sua mano scivolava dalla mia, lacrime amare mi bagnarono le guance e per la prima volta dall’inizio di quella dannata guerra piansi, piansi lasciandomi andare a quell’umanità che per tanto a lungo mi ero negato, ricordandomi dopo tanto tempo, di battere insieme al mio cuore.
  
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