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Autore: kiku_san    02/12/2009    3 recensioni
Una piccola appendice alla mia ultima ff "Yu, Vanessa and me", scritta alla luce degli ultimi avvenimenti e dopo la conclusione della relazione tra i due.
Ma attenzione se la situazione è diversa, lo sono anche i personaggi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Strify, Yu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For Y(o)u.


Alza la mano per bussare, poi quasi preso da un ripensamento la fa scivolare lungo lo stipite.
Vi si appoggia contro con tutto il peso del corpo, con aria assorta.
Cerca di ascoltare i rumori che provengono dall’interno, ma non sente nulla.
Sbuffa e con più convinzione bussa alla porta, ma tutto ciò che riesce a produrre è un suono debole e quasi impercettibile, in fondo il segno tangibile di ciò che in questo momento vorrebbe fare: lasciare la porta chiusa davanti a se, non entrare, non vedere, non parlare, andarsene.
Sa che è orribile anche solo pensarlo, ma non può farci niente, perché lui non è una persona coraggiosa, perché non pensa di farcela ancora a recitare una parte che lo sta tormentando.
E soprattutto perché mai avrebbe pensato che sarebbe toccato a lui questo ruolo, ma al cento per cento avrebbe pronosticato che sarebbe prima o poi successo il contrario.
Nessuna risposta, solo il nulla.
Abbassa la maniglia e con un sospiro si decide ad entrare.
E’ come penetrare nella nebbia.
L’aria è piena di fumo, il cielo grigio fuori dai vetri si mescola alla foschia che sovrasta l’interno.
Vede l’amico steso sul letto come sempre, con la cuffia sulle orecchie e gli occhi spalancati sul soffitto. Immobile, se non per la mano che si sposta per portare l’ennesima sigaretta alle labbra, senza neppure preoccuparsi di dove vada a cadere la cenere.
Comincia a tossicchiare, avvicinandosi al letto con aria che cerca di rendere il più possibile noncurante.
“Dio si soffoca qui dentro”
Si avvicina alla finestra tentando di aprirla, ne entra uno spiffero umido.
“Piove, che tempo di merda”
Non se n’era neppure accorto di quella pioggerellina fine, fine, quasi invisibile che rende il paesaggio cittadino, se fosse possibile, ancora più grigio, ancora più triste.
“Senti, che ne dici se usciamo?”
L’idea sembra pessima anche a lui, da dove gli è uscita una proposta del genere?
Giusto il tempo ideale per uscire!
Ma potrebbe anche affrontare il grigio del cielo e della pioggia pur di non dover fronteggiare quello che respira in questa stanza.
Non riceve risposta.
Ma ci è abituato, è da un po’ che non riceve risposta e le sue domande e le sue offerte cadono nel vuoto.
E a questo punto si chiede cosa ci fa ancora lì, a dire stupidaggini sperando che lui almeno lo guardi, che si tolga quella musica dalle orecchie, che gli conceda un mezzo sorriso.
Almeno quello e invece nulla.
E’ per questo che si domanda se lui in fondo lì è perfettamente inutile, incapace; se forse non dovrebbe lasciare il posto a qualcuno, forse a Romeo, ma neppure Romeo è riuscito a fare meglio e allora tanto vale restare e riprovare, anche se è sempre più dura, fa sempre più male, è sempre più difficile, è sempre più scoraggiante.
Si siede su di una poltrona accanto ad uno specchio.
Ci sono i soliti trucchi, le solite spazzole, la piastra e in un disordine caotico gingilli tra i più vari: collane, catene, bracciali, bandane e altro ancora.
Butta un’occhiata distratta a tutto quel ciarpame che si sta coprendo di polvere, che è lì abbandonato da settimane e che nessuno ha più toccato.
“Senti che ne dici se ora ti togli quelle stramaledette cuffie e mi ascolti?”
Si rende conto che la sua voce comincia a salire di tono.
No, accidenti non vuole ripetere la solita routine che va avanti da giorni e giorni.
Lui che all’inizio entra nella camera dove Yu si è barricato, con tutte le buone intenzioni del mondo e lui che alla fine esce urlando, senza aver ottenuto neppure uno sguardo da quell’emerito stronzo.
E se ogni giorno quando se ne esce infuriato giura che è l’ultima volta, che ha provato abbastanza, che nessuno può chiedergli di più, che forse è meglio lasciare che all’amico passi da sola quella strana tristezza e apatia che lo sta devastando, beh il giorno dopo si ritrova a d entrare di nuovo in quella stanza che ormai sta odiando con tutte le sue forze, perché non è più la stanza di Yu, ma è diventata qualcosa di estremamente aliena e lontana, così come l’amico.
Ogni giorno ci riprova anche se ogni giorno vorrebbe non esserci mai entrato, perché il fumo è nebbia che non solo ti entra nei polmoni ma anche nei pensieri e te li intorpidisce; perché vedere l’amico buttato sul letto a fumare e a rintronarsi con la musica sparata a palla lo fa stare male, perché tutta la situazione è per lui troppo frustrante: si rende conto sempre di più di essere impotente, di non riuscire a smuoverlo, di non contare nulla, di essere quasi invisibile.
Chi lo avrebbe mai detto che quella storia dovesse avere un finale del genere.
Degli strascichi di quel tipo.
Ricordare quella sera a Varsavia è come immergersi in un incubo, nessuno lo fa volentieri.
Ma qui seduto sulla poltrona tra il grigio e la pioggia che ora scroscia contro i vetri, con quel ragazzo che è il suo amico e tempo fa anche qualcosa di più, ora ricordare è l’unico modo per rimanere seduto lì e non lasciarsi prendere dalla voglia di uscire, sbattendo la porta e urlando.
Cercare di capirci qualcosa, se è possibile, perché capire i comportamenti di Yu spesso è difficile, perché è come seguire una scheggia impazzita, un fuoco d’artificio, un gatto randagio, un cucciolo incosciente.
Quello di Yu e Vanessa è stato amore vero, potrebbe giurarci, almeno per quanto riguarda l’amico.
Mai visto così preso e perso.
Perché l’amore per quella ragazza è stato per lui veramente un perdersi anziché un ritrovarsi, un chiudersi anziché un aprirsi, un allontanarsi invece che avvicinarsi agli altri, al mondo.
Loro due a parlare, stretti e vicini, sempre più inglobati in un loro universo da cui tutti erano banditi.
Loro due, con i loro rituali, le loro formule d’amore quasi magiche, il loro mondo che diventava sempre più personale.
Tutti si erano resi conto che qualcosa non andava, che l’amore non sempre fa bene, che esiste un amore tossico perché non fa respirare, perché ingarbuglia la realtà, perché rende ogni cosa diversa da quella che è.
Il loro amore stava diventando sempre più così.
Tutti lo capivano, ma nessuno sapeva cosa fare.
Vanessa … che dire… non riesce ad esprimere nessun giudizio su di lei.
Negli ultimi tempi ne ha avuto quasi timore, ha cominciato ad intuire dietro il viso da bambola di quella ragazza un malessere nascosto dal trucco, dai piercing e dalle sue stravaganze, qualcosa che sfiorava la megalomania, non solo la voglia di farsi notare, ma qualcosa di malato che la rendeva sicura che lei sola potesse fare qualcosa per Yu, che lei sola potesse comprenderlo veramente, che lei sola lo avrebbe innalzato.
Non è uno psicologo, ma le lettere che Vanessa ha scritto dopo la rottura gli hanno confermato questa sensazione.
Lettere un po’ farneticanti, di passioni e tradimenti e cuore spezzato e vita spezzata e insulti al gruppo e a Yu, che forse nascondevano solo dolore oppure erano veramente ciò che lei aveva sempre pensato di loro.
Quella sera a Varsavia lui era rimasto chiuso nella sua camera, come gli aveva detto il manager. Aveva sentito le urla della ragazza, il trambusto, i suoi pianti, gente che cercava di rendere meno eclatante quella che da litigio tra due innamorati si era trasformata in una scena da tragedia greca.
La polizia, gli addetti all’hotel, il tourmanager, le telefonate convulse.
Yu che non sapeva che fare, che avrebbe voluto restare con lei, ma che finalmente si era reso conto di come quella storia stesse pericolosamente trascinandolo in un baratro.
Si era tirato indietro, si era dissociato. Con dolore lasciando un po’ di sé e della sua vita tra le mani di Vanessa..
Da allora Yu non è più Yu.
Qualcun altro ha preso il suo posto.
Yu sdraiato sul letto per giorni, senza fare nulla?
Yu che non blatera di scemenze?
Che non organizza qualche serata dove sballarsi un po’?
Che non fa sesso?
Ma chi cazzo è il tipo che se ne sta sul letto a fumare e ad ascoltare musica?
E’ tipico di Yu cacciarsi nei casini, questo lo sa bene, non è certo la prima volta che deve cercare di tirarlo fuori dai guai, ma questa volta è completamente diverso, perché nessuna sua arma funziona.
Si alza in piedi lentamente, getta un ultima occhiata ai trucchi abbandonati.
Si avvicina al letto.
Con una mossa veloce toglie le cuffie dalle orecchie dell’amico.
Yu lo guarda come se si fosse svegliato in quel momento.
Frastornato, intontito.
“Sai da quanto non esci?”
Lui non risponde, cerca solo con le mani le cuffie per poter isolarsi ancora e non ascoltare nulla.
“Eh no, adesso basta Hannes è da settimane che ti sei asserragliato in camera tua e che io sto tentando di fare la brava crocerossina, ora basta”
Chiude un attimo i suoi occhi chiari e si passa la mano sui capelli fini e lucidi.
“Io non ce la faccio più, non sono un’ infermiera, non so come dirtelo, ma se tu non ne vuoi uscire da questa storia io non posso fare nulla per te, mi dispiace, davvero”
Non si aspetta una riposta naturalmente , è solo uno sfogo che non riesce più a trattenere perché vedere Yu in quel modo lo fa stare male più di quello che avrebbe mai pensato; perché anche per lui non è più vita; perché forse tutto quello che c’è stato tra loro un tempo e che pensava sepolto, forse non lo è poi del tutto; perché altrimenti non si sentirebbe così angosciato per lui, non così impotente.
Ora capisce che quello che lo ha portato a non arrendersi e a continuare a bussare ogni giorno alla camera di Yu, ad entrare ugualmente anche se non ha mai ricevuto risposta, è qualcosa di più dell’amicizia, è quell’amore che tra loro è nato parecchio tempo prima e poi hanno lasciato spegnere di comune accordo, attratti ambedue da una vita nuova, da nuovi visi e nuovi corpi.
Ed è quell’amore che lo fa soffrire, perché intuisce che se per lui ha ancora così tanto valore da spingerlo a non arrendersi, per l’amico invece, molto probabilmente, valore non ne ha più, se mai ne ha avuto, perché non è sufficiente a farlo alzare da letto, a farlo riprendere a vivere, a farlo tornare quello di sempre.
“Pensavo di contare per te più degli altri, pensavo di poterti aiutare a superare questo dolore, che la mia presenza fosse sufficiente, mi sono sbagliato, a questo punto è inutile che stia a guardarti mentre mandi a puttane la tua vita, mi fa stare troppo male”
Gli si accosta e lo bacia sulle labbra delicatamente, come si farebbe con un bambino.
I primi baci che si sono scambiati erano così: teneri e infantili e giocosi.
Ora quel bacio non ha nulla di giocoso, ma è rimasta tutta la tenerezza e la dolcezza di un tempo.
“Io vado, ti lascio in pace, sei riuscito a liberarti di me, non lo avrei mai detto che potessi essere così testardo da riuscirci”
Si incammina verso la porta.
“Ehi Seb “
Strify si blocca.
Seb è il nome che Yu usa nei momenti più intimi, che usava per lo meno.
Da molto lui è solo Strify.
Si gira, non sa cosa aspettarsi, non vuole aspettarsi nulla, ma non vuole vedere solo fumo e grigio.
In realtà ciò che scorge è Yu che si è seduto sul letto e che con un gesto lento della mano si sta infilando dietro alle orecchie i capelli, che gli coprono lo sguardo.
E poi lo osserva meglio e non gli piace il suo viso perché è triste e spento e trascurato e stanco e addolorato, perché non è Yu.
Ma in realtà nello stesso tempo il suo viso gli provoca un senso di calore dentro alla pancia e si sente sciogliere per la tenerezza, perché quello non è Yu ma è Hannes, come lui in questo momento non è più Strify ma solo Sebastian.
  
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