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Autore: Lysanda    03/12/2009    0 recensioni
Dopo tanto che non scrivo ho deciso di rimettermi in gioco. Questo è il primo abbozzo di una storia di due amiche, ormai adulte, che da tempo non sanno l'una cosa sta facendo l'altra. Il primo capitolo (spero che EFP non mi ammazzi, ma non sono una esperta di questo sito) è il ricordo di Reina dell'incontro con la sua amica Maya. "Ringrazio" Damien Rice per la sua canzone "Blower's Daughter" che mi aiuta non poco con la concentrazione.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maya è la mia migliore amica.
Sarebbe più corretto dire che lo è stata, in passato... prima che le strade ci dividessero, che tutto ciò che siamo diventate ci portasse in luoghi diametralmente opposti, fisicamente e caratterialmente.
Scoprii che il suo cognome era Kirkman quando ormai era lontana da tutto ciò che conoscevo, saranno stati quattro anni dopo quella mattina.
All'inizio ero convinta che non fosse legata allo scandalo che portava quel nome... ma quando vennero i federali a chiedere di lei, beh.. non ci fu più nessun dubbio.

La conobbi a sedici anni.
Mentre tutti erano impegnati a parlare di Millennium Bug, mille e non più mille e altre scemenze varie, io stavo lottando per diventare minorenne emancipata.
Non venivo da una famiglia disagiata, non ero orfana e mio padre non era conosciuto per essere un violentatore di bambine e di fronte a un giudice, tutto questo suonava la pretestuosa richiesta di una ragazzina completamente fuori di senno.
La motivazione era tutt'altro che semplice, ma si può riassumere dicendo questo: mio padre era Sir Andres Marder, discendente di una delle più facoltose, nobili e imparentate con la Corona dal sangue che più blu di così non si può della vecchia Inghilterra.
A dodici anni ero già esaurita e facevo il conto alla rovescia a quando sarei potuta andarmene di casa. Non sopportavo il dover passare la vita da un banchetto all'altro, sorridendo a sconosciuti che parlavano di golf club, di quanto fossi "un buon partito", dello schifo che fosse l'America perché non aveva la Regina sulle monete... figurarsi inoltre la fatica con cui sopportavo lo spocchioso accento britannico che mi aveva donato e che tentavo, invano, di nascondere in tutti modi.
Mi sentivo fuori posto lì.
In ogni caso, per la fine del secolo e del millennio e dopo i passaggi a svariati tribunali per l'affidamento, diventai a tutti gli effetti un'adulta e per quanto avessi volutamente accentuato la mia richiesta di non ricevere aiuto di alcun tipo dalla mia famiglia d'origine, mio padre si premurò di inserire tra le clausole della mia emancipazione l'obbligo di vivere nella casa di famiglia a Corvallis in Oregon e di ricevere un sussidio mensile così alto da sembrare ridicolo, giusto perché il buon nome dei Marder non venisse oscurato da una figlia pezzente che viveva in mezzo alla strada e che aveva lottato con tutto ciò che aveva in corpo di allontanarsi da loro (ingrata!).
Fu così che misi un annuncio sul giornale della scuola per ricercare una coinquilina che rendesse la casa meno vuota e la mia vita meno triste. Non volevo un animale da accudire e nemmeno una scusa per crearmi la famiglia che volevo. Avevo semplicemente la necessità di rendermi utile per qualcuno, rendere meno fastidioso il dover sopportare una casa in cui ero costretta a vivere per una sentenza e un sussidio troppo grosso per le necessità di una sedicenne.

Fu con queste premesse che  conobbi Maya.
All'epoca mi riferì che il suo cognome era Littlefield e così attestavano anche i documenti e i registri di classe.
Rispose correttamente a tutte le domande che facevo per le "selezioni" (andiamo, ero alla ricerca di una coinquilina, ma non ero così disperata da accettare chiunque mi si mostrasse innanzi). Domande su Star Trek, sui film con Kurt Russell e su che musica ascoltava.
Tra me e lei fu amore a prima vista.
Non mi raccontò mai della sua infanzia, di dove era cresciuta, della sua famiglia. Nemmeno cosa significasse per lei "casa" prima di conoscere me.
D'altro canto anch'io stavo fuggendo da tutto quello che mi aveva sempre circondato, muri che non parlavano di me, persone che avevano tra le labbra il mio nome senza sapere chi fossi.
La cosa che ricordo più nitidamente di Maya erano quei lunghissimi capelli biondo ramato che le arrivavano alla fine della sua fragile schiena, mossi quanto basta da crearne un movimento sinuoso quali le onde del mare.
Quel corpo esile, perennemente stanco, che sembrava non riuscire a trasportare una così voluminosa chioma.

Sebbene avessimo la stessa età, la trattavo sempre come se fosse la mia piccola sorellina: dovevo necessariamente controllare che si lavasse i denti mattina e sera, che non vivesse di solo gelato al cioccolato, che si lavasse dietro le orecchie e via dicendo.
Si potrebbe pensare che per la mia età fosse veramente un po' troppo ridurmi a madre di me stessa e madre di una adolescente, ma tutto questo non mi pesava allora e al pensiero non mi pesa neppure adesso.
Ricordo le innumerevoli sere passate a spazzolare i setosi capelli di Maya, mentre lei si sfogava per l'ennesima delusione d'amore, per la F in Algebra, per le caviglie che le dolevano e perché non sapeva che fare della sua vita.
Un capitolo a parte lo meritano i suoi amori.
Uno al giorno, sempre diversi e alla fine sempre gli "stessi".
Credo che avesse un radar per i ragazzi sbagliati, quelli che la facevano soffrire. Il primo di cui mi parlò fu un certo James, che fatalità frequentava il mio stesso corso di Storia, il quale fu suo ragazzo per la durata di cinque minuti, il tempo di infilargli la lingua in bocca e poi vantarsene con i suoi amici ridendo alle sue spalle.
Poi ci fu la volta di Matt del corso di Chimica, che molto carinamente dapprima le fece perdere la testa perdutamente per ben sei mesi, in cui ci furono le solite promesse d'amore e fedeltà eterne, per poi sbarazzarsene allo stesso modo in cui ci si libera delle scarpe ormai sfondate.
Con Maya era sempre tutto così intenso. Mi sembra quasi che me l'abbia fatto ieri, l'epocale discorso in cui, piangendo come una fontana, esplose singhiozzando - Rimarrò sola per tutta la vita, non è vero Reina? -. La calmarono solo una montagna di muffin al cioccolato, inzuppati in una confezione maxi di Haagen Dazs alla vaniglia.
E' vero che la mente cancella i ricordi più tristi. Se proprio non riesce a eliminarli, li offusca da una velata nebbia che piano piano li sopisce, li addormenta, mentre porta a vividi colori le esperienze più belle che si ha nel vissuto.
Per quello che riguarda me e Maya, credo che sia proprio andato così.
  
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