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Autore: crimsontriforce    03/12/2009    0 recensioni
Gioco d'attesa nelle pianure scarlatte. Racconto in maschera. [Rekka post-game: Karel, Lucius]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima storia - di due - per il Gran Ballo in Maschera di Criticoni. L'iniziativa, appena conclusasi con giro di champagne e salatini, consisteva nel presentare fanfiction fingendosi un altro autore e confondere il più possibile un (ahimé arguto) team di investigatori. Qui mi sono cammuffata dalla cara Loveless, riuscendoci per poco più di metà, pare XD Non so quanto mi abbia tradita il fatto che per tessere trame che, secondo me, erano adatte per LORO io sia finita a usare in entrambi i casi un personaggio che piace a ME (Legault e Lucius? Ma pe dave'? E te saresti in maschera?)... giuro che la sceneggiatura era in buona fede, se fossero usciti Bartre e Nino avrei usato Bartre e Nino. '_'
Per le basi della caratterizzazione di Karel, ho riletto tutti i suoi supporti ma ho cavato pochi ragni dal proverbiale buco. Io dico che è il concetto della spada bla bla che lo tira scemo, e il dover uccidere anche Karla è l'aggravante. Poi lei muore di malattia e questo lo scuote trasformandolo come vediamo in Fuuin. Qui la sta ancora cercando, come si promettono nel supporto. La fanfic è comunque il seguito del supporto A fra lui e Lucius.
...e no, questa teoria non comprende l'aver scippato il titolo a Guy. NON LO SO perché si fa chiamare come lui. Magari è l'ultima persona che ha ucciso prima di 'rinsavire'. Detestando Guy, ci spero cordialmente XP










Those were the days I sacrificed


Come la lava.
Il tramonto non cala, a Sacae: il tramonto cola come la lava e infiamma fino all'ultimo stelo le distese d'erba infinite. L'avanzata s'infrange su di un vecchio acero, che è l'unico a spezzare verso l'alto la monotonia del paesaggio. Ai suoi piedi, Lucius siede con la schiena appoggiata al tronco, le dita aperte fra l'erba rigogliosa, i capelli appena smossi dal vento. Una folata se lo potrebbe portare via, bianco e sottile com'è, ma non lo fa e Lucius resta a terra, circondato dall'aria pesante, a soffocare. Il suo male riaffiora e si divincola; lui si morde le labbra e chiude le spalle rassegnato. Sarebbe più semplice se fosse solo una cicatrice che mugghia assieme ai temporali.
Ha fatto il possibile per rendere la tenda lì accanto un luogo da poter chiamare 'casa' per stasera, a partire dal falò che arde protetto, poi le pentole ordinate, un tomo aperto con un segnalibro liso; gli sarebbe piaciuto cogliere dei fiori. Ma la stagione è tarda e i dolori l'hanno costretto a sedersi.
Non è un buon casalingo, per quanto Raymond gli ripetesse il contrario. Ma Raymond ora è lontano e, sebbene non siano passati che pochi mesi, Lucius può solo ricordarlo con l'affetto di un passato remoto.
E le pianure, col loro rosso scarlatto uniforme che va scurendosi assieme all'aria, non sono la meta che gli ha promesso Karel. Sono solo un nuovo inferno, quando credeva di essersi lasciato la guerra alle spalle. E Karel... Karel sta arrivando. Lucius lo sente.
È diventata una sena abituale, così incastrata nel trascorrere monotono dei loro giorni che Lucius potrebbe chiudere gli occhi e scandire dietro le palpebre ogni passo, stabilire il momento in cui la vicinanza gli permette di distinguere dal cielo in fiamme la linea rossa di Wo Dao. La katana viene trascinata dal suo padrone come un peso che annienta – passato, destino o colpevolezza, o tutti e tre insieme, Lucius non sa ancora dire – e tocca terra bevendone il sangue. O facendovelo defluire. Come ogni giorno, Karel è scappato verso non si sa dove e, come ogni giorno, al tramonto è tornato un po' più stanco, un po' più vuoto. Un po' più folle, di una follia evanescente e repentina che dalle braci che ha in corpo ogni tanto risale a fiamma.
Chiude davvero gli occhi quando gli si piazza davanti, con un ghigno aguzzo inciso in volto che gli strappa ogni residuo di umanità e lascia spazio solo al demone che ha fama di essere. Puzza di metallo e ruggine.

Resta immobile. Sa di non rappresentare un nemico per il peccatore che ha di fronte – per quell'anima tormentata: è l'unica certezza che continua a pulsargli in testa mentre il resto del suo mondo annaspa e tace. Elimine non è mai stata più lontana che a Sacae.

Quando Karel infine gli crolla addosso, nel suo corpo c'è solo stanchezza: stanchezza nelle occhiaie scure come segni di fuliggine sotto uno sguardo allucinato, stanchezza contratta in una smorfia infastidita, stanchezza di chi ha ucciso il proprio mondo ed è rimasto solo. Non c'è aggressione, solo la forza di gravità che vince il guerriero mentre Wo Dao gli scivola dalla mano e si conficca nel prato. Poi la spada perde il suo precario equilibrio e rovina al suolo, di taglio, senza smuovere quel poco di terra che l'aveva sorretta.
Lucius teme che quando la seguiranno, e non manca molto ormai, non potranno nemmeno concedersi il lusso di cadere in un unico pezzo.

Karel è alla ricerca del suo senso nelle pianure infinite. Sa, e a fatica anche Lucius gliel'ha carpito, che al centro di questo labirinto senza muri si trova il potere di curare il suo spirito inquieto o di spezzarlo del tutto. Ma non riesce a inseguirlo quando si trincera dietro al suo silenzio dolente, frustrato, inscalfibile, o a un sarcasmo grezzo che gli stona in bocca.
Cerca un appiglio, un punto di contatto, e segue una ciocca dei suoi capelli fino ad accarezzargli la spalla. Sotto la massa scura e gli strati di seta delle sue casacche sente i muscoli tendersi al suo tocco. Si ferma. Lui si rilassa. Riprende, riverente, in silenzio. Non è bravo a rimproverare, per quanto Raymond gli ripetesse il contrario. Ma Raymond ora è lontano, un ricordo su cui si accumula la polvere dei giorni. E Lucius resta solo in quell'abbraccio.

   
 
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