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Autore: Stateira    05/12/2009    31 recensioni
- Qualche ultimo desiderio, Signor Malfoy?-
Vincitrice del concorso "And They didn't Live Happily Ever After" di Claheaven e Anfimissi
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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DID’T LIVE HAPPILY

PREMESSA

 

Questa shot si è aggiudicata il concorso indetto da Claheaven e Anfimissi “And They Did’t Live Happily Ever After”.

Sono davvero felicissima per il risultato, viste e considerate tutte le splendide storie in gara.

Grazie di cuore alle due giudici e a tutti quelli che hanno votato per questa storia, fate di Stateira una personcina tanto felice!

Nell’ANGOLINO alla fine della storia ho incollato i giudizi che sono stati dati, correte pure a leggerli mentre io rotolo qua e là.

A voi.

 

 

 

 

 

 

Gwendalina (The Last Wish)

 

 

 

 

- Qualche ultimo desiderio, Signor Malfoy?-

Il mago pasciuto e pallidiccio che si rivolse a Draco senza un’espressione particolare non aveva assolutamente idea di quello che di lì a pochissimo si sarebbe sentito rispondere. Draco valutò brevemente che poteva quasi somigliare al ricordo remoto che aveva di Neville Paciock, il ché rendeva la situazione ancora più umiliante. E non che morire non fosse umiliante a sufficienza.

- Uhm… essere scarcerato? – buttò lì, guardando il giudice dritto negli occhi.

L’uomo non si scompose, ma il suo disappunto trasparì senza equivoci dalla vibrazione diffusa delle sue guance mollicce.

Draco afferrò. Non era il momento di scherzare.

- Vorrei poter vedere Harry Potter. – rettificò allora, con una naturalezza disarmante.

E constatò compiaciuto quanto poco ci volesse per far schizzare in piedi un’intera corte marziale.

Il nome di colui-che-ha-vinto-la-guerra si rincorreva da una bocca all’altra toccando fastidiosissimi picchi acuti quando veniva pronunciato da qualche signora particolarmente sensibile. Qualche svenimento a spolvero sulla platea avrebbe completato il delizioso quadretto.

- E perché vorrebbe vederlo, signor Malfoy? – formulò bruscamente il giudice.

- Perché desidero parlare con lui, ecco tutto. – Draco si strinse nelle spalle, come se non gli importasse davvero. – In privato. – aggiunse, distrattamente.

- Non è… -

- È un ultimo desiderio. –

Una donna secca, piuttosto alta, e vestita troppo pesantemente per il clima timidamente primaverile di quei giorni si levò, permettendosi di interrompere le rimostranze del ciccione odioso come si zittiscono le lagne di un marmocchio. Chissà come si chiamava, Draco avrebbe voluto saperlo. Probabilmente Gwendalina, o qualche altro nome adatto ad una vecchia zia che trascorre le sue giornate a bere tè, dimenticata dal mondo.

Grazie, Gwendalina.

– Abbiamo il dovere di accontentarlo, è un diritto di ogni condannato a morte. Se il signor Potter acconsentirà, naturalmente. –

- Naturalmente. – le fece eco Draco, soave.

Figurarsi, tanto Potter non avrebbe mai rifiutato. Con che cuore avrebbe negato ad un avversario leale, condannato ad un ben misero destino, di sospirare per un’ultima volta sua faccia? Magari appannandogli un po’ gli occhiali, se ci fosse riuscito.

Oh, Potter non era un santo. Era solo troppo dannatamente curioso, per privarsi del piacere di scoprire che cos’aveva da dirgli di così importante Draco Malfoy, una decina di giorni prima di essere ucciso. Pensò che in fondo lo Sfregiato avrebbe dovuto persino sentirsi lusingato, per essere stato eletto ad oggetto del suo desiderio. Quando fu ricondotto in cella, era così sfacciatamente soddisfatto che le guardie, per sicurezza, ripassarono qualche incantesimo usandolo come cavia, tanto per ricordargli che era ad Azkaban, non in villeggiatura.

Ma poco male.

L’intontimento gli avrebbe permesso di bearsi ulteriormente con la prospettiva di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco: Gwendalina sarebbe andata dritta filata ad avvisare Potter, che avrebbe fatto una faccia delle sue, con tanto di sopracciglia appese fino all’attaccatura dei capelli.

Avrebbe sicuramente speso qualche parola poco carina nei suoi confronti, sul fatto che era un codardo criminale che meritava di stare dove stava, ma non l’avrebbe pensato sul serio.

Avrebbe pensato invece che era un condannato a morte, soltanto questo.

Perché era Harry Potter, e gli Harry Potter pensano questo genere di cose.

Si sarebbe sicuramente ricordato che la sua infelice carriera di Mangiamorte era cominciata un po’ per costrizione, in fin dei conti. Lo aveva visto, no? Lo aveva visto con il moccio al naso davanti a Silente, lo aveva visto esitare. Si sarebbe rammaricato del fatto che non tutti al mondo nascano con un cuore impavido e gonfio di ideali come il suo. E dire che le aveva provate tutte per salvarlo, per tanto tempo: persino aprirgli la pancia e perseguitarlo in modo francamente imbarazzante per l’intero sesto anno. Avrebbe valutato, non senza un vago senso di colpa, che in effetti la sua faccina pallida l’avrebbe rivista volentieri un’ultima volta, anche solo per allungargli un cazzotto.

E poi, sarebbe venuto.

… Sarebbe venuto, vero?

Sì, sarebbe venuto sicuramente.

 

Infatti, Harry Potter arrivò.

 

Azkaban non era cambiata, di una virgola, dall’ultima volta che ci era stato anni prima per scortare un paio di prigionieri particolarmente recalcitranti. La stessa, monotona fila di celle buie e grigiastre, il solito scricchiolio metallico fastidioso, arrugginito, le stesse mura tisiche e butterate di umidità. Percorse a passo sostenuto il corridoio, fino alle celle di massima sicurezza.

La massima sicurezza, nella fattispecie, constava nel fatto che fossero ancora più putride e sinistre delle altre.

 

Draco non si era accorto di lui.

Se ne stava in un angolo, appoggiato alla parete, con le ginocchia abbracciate, probabilmente cercando di ripararsi dal freddo che filtrava impietosamente dalla minuscola finestrina sbarrata collocata altissima, quasi all’incrocio con il soffitto. Sembrava addormentato, oppure molto stordito.

Harry sentì un brivido, violento, lungo tutta la schiena. Per un momento, come se fosse stato lui a dover morire, vide davanti a sé un bambinotto biondo, dal sorrisetto antipatico, e poi un ragazzo verde e argento, a cavallo di una scopa, e poi un giovane uomo con un marchio nero sul braccio e la faccia accartocciata dalla paura.

- Ciao, Malfoy. – esordì, piatto.

Draco sollevò la testa di scatto, con un movimento felino, e fissò Harry, apparentemente vuoto. – Buongiorno, Potter. – rispose però, con voce sorprendentemente ferma. – Gwendalina è stata veloce. –

- Gwendalina? –

- La secca che si è tanto premurosamente levata in mia difesa. Non lo so, portava un caschetto preciso a filo di bacchetta. –

- Vuoi dire Dorothy? –

- Dorothy? Bah. –

L’impressione di Harry fu che Draco avesse investito davvero molto su quel nome improbabile. Come se avesse scommesso un sacco di soldi con sé stesso e avesse appena appreso di averli persi.

- Mi hai cercato? –

Draco si appoggiò alla parete con i gomiti, e si diede goffamente una spinta, per tirarsi su. – Sì. – fece, noncurante, avvicinandosi alle sbarre. – Ho chiesto di te, in effetti. –

- Perché? –

Il volto del Mangiamorte si contrasse in un piccolo, faticoso sorrisetto. – Mi mancavi. – rispose, lezioso.

Stranamente, Harry non si lasciò provocare. Draco ebbe come l’impressione che al suo puntuale riassunto mancasse un tassello importante. Ma al diavolo, aveva fame e freddo ed era piuttosto certo di essere ridotto peggio di qualsiasi elfo domestico del pianeta.

- Veniamo al sodo, Malfoy. – gli sentì dire dopo un sospiro. – Come mai hai voluto vedermi? –

- Per ucciderti, Potter. –

- Cos-… -

 

Ah. Che occhi grandi che hai, Harry Potter.

 

- Merlino, non dirmi che ci sei cascato. – sbuffò, annoiato. – Sono disarmato, e non intendo sporcarmi le mani e fare tanta fatica per cercare di strangolarti, o cose simili. Ah, e io che credevo che mi conoscessi. –

- Ti conosco, infatti. – ribatté Harry, risentito.

- E allora dimmi… Perché ti ho chiamato qui? –

Harry incrociò le braccia, e aguzzò lo sguardo, come se quella domanda non fosse una prova per lui, ma per Draco.

– Perché speri che io ti tiri fuori. – rispose con sicurezza.

Scese un silenzio densissimo, fra loro, un silenzio che Harry non aveva previsto. Malfoy lo guardava dritto negli occhi, e il suo sguardo lo agghiacciava. Ci leggeva minacce terrificanti, giudizi, odio e terrore che però non erano rivolti contro di lui: per pochi istanti Harry condivise con lui ciò che aveva patito, come essere umano e non come servitore di Voldemort. Arrivò quasi a capire quanto facesse paura il rimbombo di una condanna a morte nelle orecchie.

 

Poi, improvvisamente, Draco li sgranò, quegli occhi offuscati, e scoppiò in una risata fredda e roca, come Harry non gli aveva mai sentito fare prima.

- Oh, questa è più che buona, Potter, è un vero capolavoro! E tu credi che io sia così illuso da sperare che tu, proprio tu, mi aiuterai a scamparla? –

Harry lo squadrò, duro, e in fondo un po’ piccato. – Beh, potrei farlo, se lo volessi. –

- E allora cambiamo domanda. – lo sfidò Malfoy. – Credi che sia caduto tanto in basso da ridurmi a venire da te per mendicare il tuo aiuto? –

- Oh, Malfoy, non sei mai stato un campione di ritegno. –  

Draco si zittì. Valutò con una cura quasi maniacale le parole da usare, ora che Potter lo aveva provocato apertamente, mettendo fine a quei rimpalli di antipasto.

– Beh? – si decise infine. – Non vieni dentro? –

 

Una guardia carceraria apparve di fianco ad Harry, appena ebbe pronunciato il suo sì. Come d’incanto, era proprio il caso di dirlo. Draco venne paralizzato da un incantesimo, mentre le sbarre si aprivano strillando tutto il loro disappunto, ché non erano abituate ad aprirsi e chiudersi molto spesso. Harry, suo malgrado, si sorprese ad accelerare quanto più possibile il suo ingresso. Quando Draco fu liberato dall’incanto pietrificante, sospirò, e Harry sospirò insieme a lui, istintivamente. Si mise a sedere sul pavimento sporco della cella, accanto a quell’uomo così giovane che in quel momento non riusciva a vedere in altro modo che non fosse un ex compagno di scuola.

 

Trascorsero alcuni istanti, che forse diventarono minuti, in religioso silenzio. Harry sapeva che era un modo, da parte di entrambi, di cercare di ricostruire qualcosa di irrimediabilmente perduto: ma chiudendo gli occhi e sforzandosi, forse… Hogwarts, le lunghissime panche della Sala Grande, i giardini sconfinati, gli atri maestosi. E loro due, seduti da qualche parte in un cantuccio nascosto, che parlavano.

Harry si sorprese ad immaginare che fosse la torre di Astronomia, verso l’ora del tramonto, quando le prima stelle, le più forti, cominciano a luccicare sul tappeto ancora brunito del cielo.

 

- Stai bene? – tentò, a disagio, guardandolo scrollare nervosamente le braccia intirizzite.

- Stavo meglio prima, in effetti. – soffiò Draco. – Ma comunque fra poco più di una settimana starò decisamente peggio di così, perciò non posso lamentarmi. –

Harry scosse la testa, provato. – Sempre simpatico, eh? –

- Andiamo, Hogwarts sarebbe stata una noia, senza di me. – Draco finalmente riuscì a guadagnare una smorfia supponente che gli restituì almeno una parte di ciò che era stato. Harry lo ammirò, per un momento, per questo: emanava una dignità e un contegno davvero stupefacenti, per un criminale condannato e caduto in disgrazia. E un po’ lo rendeva triste, che tutta la nobiltà del suo sangue emergesse soltanto ora, che era irrimediabilmente troppo tardi.

- Dunque? – fece, un po’ più accomodante. – Che cosa volevi dirmi, Malfoy? –

Draco sorrise, e questa volta non per prenderlo in giro. – Nulla, in realtà. Sul serio, Potter, non fare quella faccia. Volevo soltanto poter parlare con qualcuno. Un po’ di compagnia, ecco, vedila così. –

- E la volevi proprio da me, la compagnia? –

Draco levò lo sguardo verso il soffitto, dove la muffa aveva disegnato delle macchie militari. – Ti sembrerà strano saperlo, ma tu sei l’unico che è rimasto, del mio passato. So che i tuoi amici stanno bene, lavorate insieme, no? –

Harry annuì. Lentamente, stava incominciando a capire dove Draco volesse andare a parare. E non gli piaceva granché.

- I miei amici invece sono morti. – riprese leggero Malfoy. – Tutti quanti, con questa guerra. E anche i miei genitori. E chiunque conoscessi. –

- Anche io ho perso persone che amavo, cosa credi? –

- Oh…- Malfoy sollevò un sopracciglio, incurante. – Non fare il bambino, Potter, nessuno dei due lo è più, ormai. Si perde sempre qualcuno, prima o poi. Per questo bisogna tenersi stretti quelli che restano. –

- Sei cinico. –

- Sono concreto. Questa guerra non ha lasciato né eroi, né sconfitti. Alla fine eri tu contro di lui. Il resto era soltanto una cornice. –

- Beh, pezzi di quella cornice sono morti, Malfoy. –

- Lo so. Fra pochi giorni, io sarò l’ultimo angolo a distaccarsi. – Draco sorrise, ed Harry si morse la lingua.

- Levami una curiosità, Malfoy. Perché non hai cercato di tirartene fuori? –

Draco si strinse nelle spalle. – E come avrei potuto, secondo te? –

- Facendo nomi, ovviamente. E non dirmi che non ne hai, perché non ti credo. Potevi comprarti la libertà, e lasciare gli altri nel fango. Non è quello che hai sempre fatto, in fondo? –

Draco fece una smorfia. – Sei rimasto indietro, Potter. Sei rimasto a quando ero un ragazzino, e potevo permettermi certi lussi. Credi davvero che mi avrebbero creduto, i bastardi della corte? Oppure che mi avrebbero liberato, in ogni caso? –

- Come fai a saperlo? Forse sì. –

- Dai, dillo. – la voce di Draco gli arrivò alle orecchie secca e pungente come un colpo di tosse. – Dillo, coraggio. Chiedimi chi sto coprendo. Dimmi che se parlo forse mi salverò. –

Harry credeva di avere la risposta pronta sulla punta della lingua, ma si rese conto che non era affatto così. Ed il motivo era evanescente. Gli sembrava di essere tornato indietro, con la mano immersa in una polla d’acqua, alla ricerca di un medaglione che non riusciva ad afferrare.

Provò rabbia.

Cercò con insistenza gli occhi di Draco, straordinariamente cristallini nonostante i patimenti: le occhiaie erano segnate nettamente, le palpebre erano gonfie, ma le sue iridi splendevano come se fossero rimaste l’unica parte di lui a voler sfidare la morte.

- Servirebbe a qualcosa farlo? –

Il suo sguardo era altrettanto limpido e freddo, come il metallo. L’altro non gli rispose, ma Harry lesse una vita intera oltre quel tenue scudo nemmeno troppo alzato, e sapeva che in quella vita c’era stato anche lui, in qualche modo.

Vide la vita, negli occhi di Draco Malfoy.

E ne fu quasi annientato.

- Posso dirti una cosa cretina? – fece, con un mezzo sorriso esausto.

- Oh, beh. Ne hai dette parecchie, fino ad ora. –

- Già. Beh, non mi piace vedere che ti arrendi così, sai, Malfoy? – Con la coda dell’occhio, vide il profilo di Draco irrigidirsi, e sorrise ancora di più. – Mi ricordo di quando giocavamo l’uno contro l’altro, a Hogwarts. – proseguì. –

 Tu eri il mio avversario preferito, lo giuro. Di te avevo sempre un po’ paura, perché giocavi sporco, non avevi remore, e soprattutto non ti arrendevi mai. Nemmeno quando ormai avevo preso il Boccino, a volte. Che gran bastardo, che eri, però mi piaceva giocare contro di te, era una partita vera, quella, combattuta con ogni mezzo, e alla fine batterti era una sensazione davvero bella, perché sapevo di essermela guadagnata, di aver sudato, per riuscirci. –

Draco arricciò il labbro superiore. – Che cos’è, un elogio al perdente, Potter? –

- No. È più una di quelle frasi di circostanza. Ma lo penso veramente. –

Sì, Draco poteva percepirlo. In qualche modo, fu persino imbarazzante. Non tanto l’affermazione in sé, ma per la prospettiva inaspettata che essa spalancava: avevano un mondo da raccontarsi, peccato che il tempo che era stato a loro disposizione se lo fossero bruciato in bisticci che chissà quali scopi avevano, se non quello di farsi battere il cuore e potersi dire che era per la rabbia e per il rancore.

Sentì Potter che si agitava, lì di fianco, e non ebbe che da attendere la sua mossa successiva. Dopotutto, era un Grifondoro, e si sa come funzionano i Grifondoro.

- Senti. Così, tanto per curiosità. Se io non fossi venuto, che avresti fatto? –

– Beh… Avrei chiesto un pacchetto di sigarette, allora. –

- Tu fumi sigarette? –

- No. Ma darsi a sperimentalismi spericolati nel mondo Babbano per ingannare il tempo che mi rimane mi sembrava una cosa divertente da fare. 

- Credo di sì. – concesse Harry, mogio. – Dì, Malfoy. Posso chiamarti Draco? –

- Mhpf. Fai. –

- Dì, Draco. Niente donne? –

Draco atteggiò un sopracciglio biondissimo ad un’espressione scettica. Harry non poté fare a meno di sentirsi invadente.

- E’ il desiderio più comune. – si giustificò, in un eccesso di pudore.

- Capisco. – fu la quieta replica. – Ed io ti sembro “comune”? –

- Non ti sarai offeso. Volevo soltanto dire che… -

- Già, già. – lo interruppe Draco, divertito. – E invece, ho chiesto di te. Chissà, magari sono innamorato. –

- Già, magari sì. Sarebbe disgustoso. –

- Altroché. Sarebbe umiliante. Allora. Harry. – proseguì, sottolineando con un soffio il suo nome. – Mi salverai? –

Harry rischiò di perdere l’equilibrio pur essendo seduto. Gli rivolse uno sguardo più che allucinato, facendolo ridere amaramente.

- Fantastico. Lo so. – lo prevenne, asciutto. – Tu non puoi fare niente per me. –

- Draco… -

Draco, però, si era già rannicchiato su sé stesso, come se il freddo che prima era riuscito a dimenticare fosse tornato ad aggredirlo improvvisamente.

- Io non voglio che tu muoia. – aggiunse Harry precipitosamente, come se la sua sola volontà potesse servire a fermare tutto. – Di tutti i bastardi assassini che ho conosciuto, tu sei quello che lo merita meno di tutti. Perché sei stato tirato dentro. –

- Ma come? La vigliaccheria non è una colpa gravissima, Grifondoro? –

Sorridere a quel punto sarebbe stato del tutto fuori luogo, ma Harry si azzardò a farlo comunque. Era uomo abbastanza da incassare un cazzotto risentito, eventualmente.

- Beh. L’unica volta che hai mostrato di avere un po’ di fegato sei finito atterrato da un Ippogrifo. Perciò è meglio se stai buono e fermo. –

- Cosa fai, del sarcasmo, Potty? –

- Eravamo arrivati a Harry, mi pare. –

Draco fece una smorfia infastidita che, in qualche bizzarra maniera, ristabilì l’equilibrio. Harry si trovò ad esserne sorprendentemente rassicurato, al punto da rilassarsi tutto d’un colpo. Chiuse gli occhi, e cercò di concentrare la sua attenzione sulla cicatrice, ridotta ormai ad uno sfregio inerme.  

- Ah. Draco. –

- Mh? –

- Niente. È solo che tu sei il più grande rimpianto che ho. –

Con la schiena urtò il muro mollemente, senza badare a quanto fosse sudicio. Anzi, stava quasi per appoggiarci la testa, ma prima volle fare qualcosa. Calcolò con attenzione la giusta distanza da mantenere mentre tendeva a Draco una mano.

Tendeva, sì.

Non dritta per stringerla, piuttosto il contrario, molle, aperta fin dove la naturale inclinazione delle dita lo permetteva, con il palmo teso speranzosamente verso l’alto.

Voleva prendere la sua.

E scappare via.

Portarlo chissà dove nel mondo, nasconderlo alla giustizia.

Voleva tenerlo con sé.

Voleva stringerlo.

Voleva, forse, fare l’amore con lui.

Era tutto così evidente che Draco trattenne il respiro. Tutta quanta, tutta la sua esistenza si sfaldava davanti a quell’unico possibile dubbio, a quella variabile inaffidabile. Stare lì, tenersi per mano senza riuscire a pensare a niente di più ovvio e naturale da fare rischiava di ribaltare tutto ciò in cui, nel bene o nel male, Draco Malfoy aveva sempre creduto.

La prospettiva di una via di scampo dalla morte era niente, in confronto al gigantesco palazzo di sabbia che gli si alzava alle spalle, fatto della stessa materia del deserto che trascina con sé miraggi fluttuanti e sempre un po’ troppo belli per essere veri.

Harry lo era, in quel momento. Non lo era mai stato, fino ad allora, eppure adesso lo era. Bello.

Gli ci volle una forza che non aveva mai sospettato di avere, per rompere l’incanto.

Senza spezzare il fragile intreccio di dita, ripeté: – Magari sono innamorato. – senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

In quel momento Harry sentì che sarebbe morto insieme a lui. E sperò con tutta la forza che aveva nell’anima che Draco stesse bluffando per farsi un’ultima risata alle sue spalle, perché non erano mai stati così vicini, e non poteva esistere momento più sbagliato.

 

- Magari sì. Sarebbe… Strano. –

- Altroché. Sarebbe… -

- Sarebbe bello. –

Harry deglutì. Draco non osò muovere un muscolo, ma poté constatare che perlomeno il freddo lancinante che gli aveva corroso il volto fino a poco prima era svanito del tutto.

 

- Tu non potrai salvarmi. –

 

Non l’aveva detto con rabbia. E nemmeno con quel tono dimesso con cui in genere si dice qualcosa che serve più a sé stessi che all’interlocutore. Harry ebbe la netta sensazione che l’affermazione di Draco, limpida e ghiacciata come il brivido di una maledizione, fosse stata un autentico memento, e che fosse per lui.

“Non puoi salvarmi, Potter. Non puoi salvarmi nemmeno adesso che ti stai rendendo conto, povero stupido idiota, che le tue viscere sono a pezzi alla sola idea che io finisca sottoterra.”.

Ecco.

Più o meno questo.

 

- Magari lo sono anch’io. Intendo innamorato. –

- Ah sì? – non c’era sorpresa, nella voce di Draco. Soltanto un quieto, indecifrabile dolore.

Perché naturalmente, si cadeva nel banale.

Draco avrebbe di gran lunga sperato in qualcosa del tipo “Oh, Draco, solo ora mi rendo conto di amarti con tutta l’anima. Destino funesto, angoscia, delitto, infelicità.”, o una frase altrettanto decadente.

Invece, niente.

E a chi aveva da rinfacciargli l’agghiacciante consapevolezza di essere già diventato, ancora prima di lasciare questo triste mondo, il più grande rimpianto di Harry, avrebbe risposto con un delicato ma fermo ‘fanculo, perché non è che la prospettiva gli facesse venire molta voglia di morire.

 

E comunque, era ora di andare.

 

Quando Harry ritrovò l’aria fredda e pura che lo schiaffeggiò con la violenza di un brutto risveglio, non seppe dire che cosa, di preciso, gli fosse rimasto nel cuore.

Draco sarebbe morto.

Che cosa avrebbe dovuto fare?

Quali incantesimi avrebbe dovuto scagliare?

Quali preghiere recitare in sua discolpa?

Si sfiorò le labbra con il pollice, prima di leccarle con la punta della lingua.

Aveva persino avuto l’impressione di baciarlo, ma era di sicuro uno scherzo della suggestione.

O forse no.

Ad ogni modo, non sarebbe più tornato a trovarlo.

Dorothy. Accidenti, che brutto scherzo che gli aveva tirato.

Magari, l’avrebbe chiamata Gwendalina, d’ora in poi.

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Spero che vi sia piaciuta!

È angst, lo so. Tanto. Temo che abbia vinto per questo. çOç

Vi riporto i giudizi di Claheaven e Anfimissi, visto che non volevo infarcire la premessa di troppe… Premesse.

Di nuovo grazie di cuore a tutti, davvero!

Piango!

E ne approfitto anche per ringraziare tutti quanti delle recensioni a “Eyes don’t lie”.

Mi ha fatto talmente tanto piacere che mi sono vendicata con vagonate di angst, non siete felici?

 

 

 

 

GWENDALINA (THE LAST WISH):

Anfimissi: Questa è quella che si può definire “una storia che si legge tutto d’un fiato”. Davvero, lunga o corta che sia nella realtà, quando la si legge si perde decisamente il conto delle righe e si prosegue imperterriti e impazienti verso la parola “fine”, fregandosene di tutto il resto. A questo effetto in pieno stile “rapimento” contribuisce senz’altro il modo di scrivere dell’autrice: il linguaggio ricercato si stempera nella fluidità della narrazione, priva di voli pindarici, di aggiunte immotivate, e forte di quei passaggi che sanno essere ricchi ed essenziali al tempo stesso.
Ci sono diversi aspetti che sconvolgono, in questa storia. Tanto per cominciare i personaggi. Si tratta di una Draco/Harry, un pairing tutt’altro che canon, eppure eccoli lì, Draco Malfoy ed Harry Potter. I veri Draco ed Harry di cui abbiamo letto vita, morte e miracoli tra nelle pagine dei sette volumi della saga. Non mi viene nemmeno da definirli IC…semplicemente sono proprio loro, punto e basta.
Ma la vera magia di questa storia, sta proprio nel mancato lieto fine. Lo si sente, lo si sente forte. Le sensazioni trasudano dalle parole, da passaggi apparentemente innocenti. E’ già difficile scrivere una storia d’amore drammatica, senza lieto fine, e renderla credibile. Ma scrivere una storia del genere, credo sia ancora più complicato, perché trasmette tutto quello che deve trasmettere…senza bisogno di quasi nulla dal punto di vista dei fatti veri e prorpi. E’ tutto lì, lo si sente, ma non lo si vede. Non ci sono abbracci, non ci sono lacrime o momenti di folle disperazione, nessuna dichiarazione d’amore, niente…eppure si avverte tutto ciò che si deve avvertire. E’ davvero sconcertante.
Il rapporto tra Draco ed Harry diventa così terribilmente reale, due persone che non hanno alle spalle una storia, due persone che hanno un modo loro di parlare, fatto di battutine ironiche e taglienti, una sfida dopo l’altra. E’ il loro linguaggio, non lo usano con altre persone – nessuno a parte loro lo capirebbe – e non hanno alcun motivo per cambiare ciò che è. Dalla storia trapela la vera natura del loro legame, il fatto che - pur vivendo vite separate, circondati da persone diverse – finiscono per trovarsi l’uno di fronte all’altro, e poco importa quanto tempo hanno passato effettivamente insieme, cosa hanno condiviso o vissuto assieme: c’è una conoscenza reciproca che va al di là dello spazio e del tempo, un legame raro che non necessita di tempo trascorso insieme, pensieri confidati, segreti confessati o paure condivise. E’ una cosa che si sa, e basta. Draco sa che Harry verrà a trovarlo, lo sa con certezza.
E’ una storia davvero ben strutturata, ben congegnata. Il titolo inizialmente lascia un po’ perplessi, ma arrivati a fine racconto si può dire riassuma in parte il contenuto. Dorothy sarà sempre Dorothy per il resto del mondo, ma sarà Gwendalina per loro due. Un pensiero sciocco, quello di Draco, che Harry non esita a fare suo. Come dicevo prima, è il loro modo di comunicare, il loro modo di gestire la cosa.
Tanto di cappello all’autrice che è riuscita a regalare alla storia una finale degno. Al di là della morte di Draco, ormai prossima e inevitabile – a questo comunque non ci si scappava, visto l’obbligo del mancato lieto fine – c’è da dire che si conclude con la stessa grazia con cui è iniziata, lasciando il lettore con la mente piena di parole non dette, ed emozioni decisamente concrete.

Claheaven: Immagino sempre che tra il pensarla e scriverla ci sia un’immensa differenza per questa storia.
E’ il caso che collochi in un contesto logico il periodo appena formulato.
Nella mia mente, se mai avessi avuto un’idea del genere – in una totale botta di fortuna – probabilmente non sarei riuscita a renderla con la stessa scorrevolezza dell’autrice, né a padroneggiare i sentimenti di Draco (cito lui perché Harry l’ho compreso subito, introdotto in uno schema mentale preciso, e rielaborato).
Con Draco è stato più difficile, perché non capire lo scopo delle sue richieste è frustrante, manteneva la mia attenzione costantemente vigile, puntualmente convinta di aver finalmente inquadrato il condannato per poi perderlo un attimo dopo.
Non sapevo cosa aspettarmi e se aspettarmi qualcosa da loro due.
Ho apprezzato molto il titolo, perché lo trovo più ponderato di tanti altri, denso.
Oltre alla comunicazione non verbale della storia, fatta da descrizioni e fotogrammi, ho assaporato soprattutto i dialoghi.
L’ho trovata un’opera brillante, detta in tutta sincerità.


VOTO:9.50

  
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