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Autore: StillAnotherBrokenDream    06/12/2009    1 recensioni
Lucas riviveva quell'incubo quasi ogni notte.. una vita intera a ricordare quella terribile fine che il destino gli aveva riservato.. nella sua vita precedente... Ma qualcosa era cambiato: cosa stava succedendo?
(ff scritta come personale sequel de La Mummia - il film recente! - spero vi piaccia almeno un po'!)
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ancora una volta

N.d.A. :Come già detto nell’intro, ff scritta quasi 10 anni fa dopo aver visto il film con Brendan Fraser La Mummia. Non è completata e spero di farlo presto, questo è il primo capitolo.. spero piaccia a qualcuno! È una di quelle ff che mi vergognavo a pubblicare, ma stasera ho visto di nuovo il film (per la 100ima volta) e m’è venuta voglia di rispolverarla! A presto!

 

 

 

Sempre lo stesso sogno.

 

 

 

Ancora una volta. Ancora una volta la storia si ripeteva, nei suoi sogni. Era diventato quasi normale per lui, rivivere quei momenti, ma qualcosa non quadrava, era tutto troppo reale, e vicino. Si svegliò urlando e ansimando, si guardò intorno e si rese conto di essere nel suo letto, nella sua casa, nella sua vita. Il suo cuore batteva all'impazzata, il sudore gli scendeva lungo le guance, e un senso di nausea gli attanagliava la bocca dello stomaco. Si alzò dal letto barcollando, e andò in bagno, spinto dalla nausea sempre più forte. Rimettere lo fece sentire meglio, come se quel peso che gli comprimeva il petto fosse andato via insieme alla cena della sera prima. Aprì il rubinetto e si sciacquò la bocca e il viso, il contatto con l'acqua fredda lo svegliò del tutto. Si guardò nello specchio appeso sul lavandino, aveva il viso stravolto e contratto in un'espressione d'orrore e dolore. Una fitta alle tempie lo fece gemere mentre si portava le mani alla testa.

- Merda....-  imprecò quando vide un rivolo di sangue scendergli dal naso.

Asciugò il sangue con un asciugamano e constatò che la piccola emorragia si era già arrestata. Si accorse di tremare, si guardò le mani e le vide in preda ad un tremore anomalo, non gli era mai capitato, non così almeno. E poi gli dolevano, come se avesse davvero lottato fino alla fine per liberarsi da quella prigione di morte e follia. Si sentiva stanco e spossato, come se davvero si fosse dimenato forsennatamente agognando la libertà. Tornò in camera e guardò la radio sveglia sul comodino. Il display al quarzo segnava le due e trentacinque, non aveva dormito neanche tre ore. Aprì la finestra e uscì sul balcone, respirando a pieni polmoni la fresca aria notturna, solo dopo aver inspirato ed espirato aria un paio di volte, si liberò dal senso di soffocamento che aveva provato nel sogno. Era una notte così placida, quasi romantica, in una Londra addormentata e buia, illuminata qua e là da lampioni e da qualche sporadico bagliore di fari di auto. Era stupenda quell'immagine, sembrava un ritratto del diciannovesimo secolo, nel quale spiccava una splendida luna perfettamente rotonda e pallida, e il maestoso e silente Big Ben, e da lontano poteva intravedere le sponde del Tamigi. Sorrise, nonostante il senso di paura e rabbia e il tremore che ancora lo scuoteva. Restò sul balcone a guardare la città addormentata sotto la luna, mentre la sua mente turbinava di pensieri e ricordi, di domande senza risposte. Trasalì al suono forte e marziale del Big Ben, girò la testa verso sinistra, dove si trovava la torre. Il grande orologio segnava le tre di mattina, tra un paio d'ore o anche meno, la città avrebbe cominciato a svegliarsi, e a riprendere la sua inarrestabile vita. Amava la sua Londra, amava la sua Inghilterra, con  le sue contraddizioni, la sua grande e leggendaria storia, ma sentiva che presto l'avrebbe lasciata, e c'era la seria possibilità che non la rivedesse mai più. Una folata di vento più robusta soffiò sulla sua pelle, facendolo rabbrividire. Indossava solo i pantaloni del pigiama, mentre il torace e le spalle erano scoperte, in balia dell'aria fredda di una notte di primavera. Decise di rientrare in camera, afferrò il telecomando e tentò di accendere il televisore. Il telecomando, come faceva spesso, si rifiutò di ubbidire.

- Maledetto aggeggio!-  sbuffò l'uomo sbattendo leggermente il telecomando sul comodino. Solo dopo due incontri ravvicinati con legno, l'infernale attrezzo ubbidì al comando, strappando al suo padrone una risatina.

- Brutto bastardo, sei un pervertito, solo se ti picchiano funzioni.-  La Tv ventuno pollici si accese in un bagliore bluastro, mostrando immediatamente immagini in bianco e nero di un vecchio film degli anni quaranta, non riuscì a capire che film fosse, non riconosceva nessuno dei due attori che si fronteggiavano. Uno di loro alla fine estrasse una pistola dall'interno della giacca, e freddò l'uomo che gli stava di fronte. Al suono dello sparo, accorse una donna bionda che quando vide l'uomo accasciato a terra gettò un urlo e si mise le mani nei capelli. L'assassino allora le intimò di tacere, se non voleva fare la stessa fine del suo - amico- . Lucas accennò un mezzo sorriso.

 - Storia di corna... -  disse tra i denti mentre si accendeva una sigaretta e assaporava una lunga boccata. Il fumo che uscì dalle sua labbra formò una spirale grigia che salì verso il soffitto. Guardò per un po’ il film distrattamente, se dopo gli avessero chiesto di riassumerlo non ne sarebbe stato capace. Stava ripensando al sogno, mentre lentamente fumava la sua sigaretta.

 - E' impossibile...-  disse ad un certo punto Lucas. Si alzò dal letto dove era seduto e spense la sigaretta nel portacenere sul comodino. Diede un'occhiata alla radio sveglia, mancavano venti minuti alle quattro.

 - Al diavolo.-  sibilò l'uomo. Ormai era tardi per rimettersi a letto, doveva essere al lavoro per le otto, tanto valeva restare alzato. Si ricordò che la sera prima non aveva finito di tradurre alcuni frammenti di papiro, poiché aveva quasi quattro ore a disposizione, pensò bene che era il momento giusto per finire il lavoro. Spense la Tv e lanciò il telecomando sul letto. Andò nel piccolo studio che si trovava proprio accanto alla camera da letto. Lucas era un egittologo, ma in tutta la casa non si poteva trovarne nessun segno. Niente statuette, niente papiri appesi, niente mezzi busti di vari faraoni o regine. Era strano, visto che anche, e a volte sopratutto, la gente comune riempie la sua casa di reliquie in parte vere (sicuramente sono in prevalenze meno vere) e lui, che poteva accaparrarsi qualche oggetto autentico, non lo aveva mai voluto. Il suo rapporto con l'Egitto era conflittuale, nel suo cuore sentiva di amarlo fino all'impossibile, ma la parte più razione di lui gli diceva di odiarlo e di distaccarsene. Gli aveva procurato solo dolore, in tutti i sensi. Ma aveva finito lo stesso col lavorare con lui, e per lui. Si sedette al tavolo di lavoro e prese una cartella bianca, dove erano riposti alcuni pezzi di un vecchio papiro. Era stato ritrovato in uno scavo a Tebe, nell'antica Tebe. Era assurdo, ma Lucas la conosceva molto bene, molto meglio di chiunque altro, era nato a Tebe, era vissuto lì. Pensò alle sue 'lontane' origini, e concluse che l'avrebbero preso per pazzo, se avesse raccontato a qualcuno la sua storia. Scosse la testa e distolse la mente da quei pensieri, concentrandosi ora su quel vecchio papiro ingiallito che lo stava guardando da sotto le sue mani. Purtroppo era molto rovinato, molte parti non c'erano, e dubitava che le parole tradotte, una volta messe insieme, avrebbero avuto un senso compiuto. Per tradurre i geroglifici non aveva mai avuto bisogno di libri, neppure quando li studiava. Nel medioevo per una cosa del genere, lo avrebbero accusato di stregoneria e mandato al rogo, pensava di tanto in tanto Lucas. Adesso invece era uno dei più stimati egittologi europei. Qualche anno prima, avevano ritrovato alcune iscrizioni con segni ieratici ancora sconosciuti agli studiosi, e lui dovette fingere di non capirli, proprio come gli altri, mentre in realtà li aveva tradotti alla prima occhiata.

- Quando il Dio sorgerà e spanderà i suoi raggi sugli uomini, nessuno più sentirà freddo o paura e tutto sarà gioia...-  disse a voce alta traducendo una fila di geroglifici.

-Sembra una canzone- pensò sorridendo. Non sapeva perché, ma ripensò al film che aveva visto poco prima. Aveva capito poco della trama, ma quello che era subito stato chiaro, era che l'uomo ucciso doveva essere l'amante della donna bionda, e che quindi era stato un omicidio a sfondo passionale. Prese un'altra sigaretta e l'accese.

 - Chissà se anche loro sono stati scoperti a causa di una carezza...- pensò Lucas amaramente. Una carezza. Tutto era cominciato per una carezza più marcata delle altre. Le aveva stretto un braccio con una mano, che fece scivolare verso il polso. La sua carezza era rimasta impressa in quella dannata vernice nera con la quale quelle maledette serve le decoravano tutto il corpo, per ordine di quel maledetto faraone. Diede un pugno sul tavolo involontariamente, quei ricordi erano così vividi così vicini a lui che sembravano storia di ieri, e non di molti secoli prima.

- Finirò con l'impazzire.-  disse a se stesso, tentando di riconcentrarsi sul papiro. Ma ormai era impossibile, aveva riaperto quel pozzo di ricordi, e fin quando non li avrebbe ripassati uno ad uno non sarebbe tornati nell'inferno da cui venivano. Si alzò dalla sedia e andò alla piccola finestra della studio. Stava albeggiando, il cielo aveva sfumature biancastre, mentre ricacciava l'oscurità a ovest, da dove era venuta. Si appoggiò con una spalla al muro, e cominciò a ricordare.....

 

/-------------/

 

Tebe si estendeva davanti i suoi occhi, il grande fiume Nilo scorreva tranquillo nel suo letto, il sole era al crepuscolo e la notte avanzava lentamente. Sentì dei passi felpati alle sue spalle, sapeva chi era. Si voltò piano... era lei, che gli si mostrava come una visione. I suoi sacerdoti corsero a richiudere la grande porta, e si preparavano a fare la guardia, mentre i due amanti di ritrovavano. Quando furono uno di fronte all'altra, lei gli passò una mano sugli occhi, era il suo gesto. Le mani dell'uomo si spostarono sul viso di lei, ma senza toccarla, doveva stare attento. La baciò. Ma mentre la baciava, dimenticò tutto e le strinse il braccio accarezzandola. I suoi sacerdoti stavano ancora chiudendo la porta, quando qualcuno da fuori lo impedì spingendola in dentro. Era il faraone. I sacerdoti si impaurirono e cominciarono a prostrarsi. Il re li guardò corrugando la fronte.

- Cosa ci fate voi qui?-  tuonò, e avanzò senza attendere risposta.

I sacerdoti chiusero finalmente la porta. I due amanti sentirono la sua voce.

- Il faraone! -  disse l'uomo sottovoce.

- Nasconditi presto.-  gli disse la donna. Lui si nascose dietro i tendaggi, mentre lei prendeva posto accanto alla grande statua della dea gatta Bastet. Picchiettava le dita sulla testa della gatta, quando il faraone la raggiunse. Aveva il terrore che il suo amante, e lei stessa, venissero scoperto. Il faraone la scrutò attentamente, come se volesse scovare la traccia del tradimento. Quelli che aveva trovato davanti alla porta, erano i sacerdoti di Imhotep, il suo sacerdote. Trovò quella traccia sul braccio sinistro della sua favorita, Anck su namun. - Chi ti ha toccata?-  gridò il re indicando il suo braccio. Allora anche lei si guardò il braccio, e vide la striscia nera della vernice che la mano di Imhotep le aveva lasciato. Guardò il faraone negli occhi, mentre con la mano destra cercava il pugnale nascosto dietro Bastet. Poi gli occhi della donna si spostarono sulla figura che si stagliava alle spalle di Seti. Il faraone allora si voltò, non riusciva a credere ai suoi occhi. Imhotep gli sfilò la spada dal fodero, senza che il faraone facesse qualcosa, tanto era lo sgomento.

 - Imhotep! Il mio sacerdote!-  Mentre il re diceva questo, Anck su namun sferrava il primo fendente alle sue spalle. Gettò un urlo lancinante, i due amanti si guardarono, allora anche Imhotep colpì con tutta la forza che aveva. Colpirono tre quattro cinque sei volte.... i sacerdoti da più lontano assistevano a tutto, consci di quello che stava succedendo. Nonostante tutto, Imhotep era lucido, sapeva perfettamente che quell'assassinio proclamava a gran voce la sua condanna a morte, ma almeno si era vendicato, per colpa di quel despota non poteva amare la sua donna come qualsiasi altro uomo. Purtroppo per loro, qualcuno aveva visto tutto, poiché le guardie reali piombarono sul luogo del delitto con una tempestività incredibile. I due amanti erano ancora occupati a finire l'ormai deposto regnante, quando si accorsero degli ordini furiosi degli uomini del faraone che ordinavano agli spaventati sacerdoti di aprire immediatamente la porta.

 - Scappa, salvati!-  gli disse la donna. Lui rispose che mai l'avrebbe lasciata.

-  Solo tu puoi resuscitarmi!-  Alcuni sacerdoti li raggiunsero, ed afferrarono Imhotep per portarlo via.

- Lasciatemi, allontanatevi da me! -  comandò l'uomo. Ma i suoi sacerdoti non obbedirono, e lo trascinarono via.

- Tu vivrai ancora! Tu vivrai ancora!-  le urlò Imhotep mentre lo portavano via. Le guardie riuscirono ad entrare, e trovarono il faraone morto, ai piedi di Anck su namun. Lei li guardò sprezzante.

- Il mio corpo non è più il suo tempio!-  urlò contro i soldati, prima di pugnalarsi al ventre.

Imhotep vide il suo amore morire da dietro i tendaggi che lo nascondevano dalla vista delle guardie. Riuscì a scappare protetto dai suoi sacerdoti, pensando solo a come doveva agire. La notte seguente, con i suoi fedeli sacerdoti, si intrufolò nella cripta dove era stato deposto il corpo della sua amata, e correndo come un pazzo, frustando selvaggiamente i suoi cavalli, attraversò quella parte di deserto che lo separava da Hamunaptra, la terribile Hamunaptra. Distese il povero corpo del suo amore sull'altare, i suoi seguaci si disposero in cerchio attorno ad esso, ed iniziarono a cantilenare una sommessa e sinistra litania, un incomprensibile vortice di formule e sortilegi, mentre Imhotep apriva il temibile Libro dei Morti. Un'ombra nera si levò allora dalla pozza d'acqua dietro le spalle dei suoi seguaci, e planando sulle loro teste, riprese posto nel giovane corpo di Anck su namun. Era la sua anima, richiamata dal suo amante tramite arcaiche formule magiche. Il corpo della donna venne preso da forti convulsioni, spalancò gli occhi e cercò di respirare, ma ciò non era possibile, non prima di avergli sacrificato una vita, affinché lei potesse prenderne gli organi vitali. Imhotep sapeva che era una crudeltà, strappare la vita ad un creatura per ridarla ad un altra, ma era folle di dolore, e avrebbe fatto qualunque cosa per riavere la sua donna, qualunque cosa. Dopo sarebbero fuggiti lontani, non sapeva dove, forse avrebbero lasciato il loro Egitto. Certamente non potevano restare a Tebe, e in nessun'altra città del regno, ma questo poco importava all'innamorato Imhotep, l'unica cosa che gli premeva, era di far rivivere la sua amata, tutti la credevano morta e nessuno si sarebbe preoccupato più di tanto quando avrebbero scoperto che il suo corpo era stato trafugato, sarebbe stata libera. LIBERA. Il faraone era morto, e suo figlio non aveva mai avuto tanta simpatia per Imhotep, non l'avrebbero  cercato se non si fosse presentato davanti al nuovo faraone, era libero da ogni vincolo. LIBERO. Ma tutti i suoi progetti andarono in fumo, quando inaspettatamente le guardie reali irruppero all'interno della cripta, dove Imhotep e i suoi erano ancora occupati nel rituale. Era stato seguito, a palazzo sapevano che era stato lui ad uccidere il faraone, insieme alla sua amata. Se prima pensava che le guardie, a palazzo, erano state attirate dalle urla del re, ora era certo che qualcuno li aveva visti, e che quindi la sua morte era stata solo rimandata. L'anima di Anck su namun uscì dal suo corpo e si rituffò in quell'acqua nera e spessa, sotto gli occhi costernati di Imhotep. Ci fu un processo sommario, lì ad Hamunaptra, i suoi sacerdoti furono condannati ad essere mummificati vivi, vale a dire dovettero subire i vari processi mentre erano ancora in vita. Mentre a lui, al Gran Sacerdote Imhotep, rispettato e temuto, il mago il medico il consigliere per eccellenza del faraone, venne condannato ad una punizione simile a quella dei suoi seguaci, ma molto più spietata. Non solo su condannato ad essere sepolto vivo, ma fu maledetto,  in vita e in morte. Gli fu tagliata la lingua, bendato come una mummia, ma senza togliergli gli organi come avevano fatto per i suoi fedelissimi. Mentre lo bendavano, Imhotep non riusciva più a pensare, tra il dolore fisico e quello mentale. Sentiva il sangue che si raccoglieva in bocca, mentre i suoi aguzzini continuavano ad avvolgerlo in strettissime bende. Pianse. Bagnò con le lacrime della disperazione le bende che gli coprirono gli occhi. Si sentì sollevare di peso e deposto in quel sarcofago che sarebbe stata la sua tomba eterna. Insieme a lui, gettarono nel sarcofago una miriade di scarabei carnivori, che lo avrebbero torturato all'infinito, protraendo la sua agonia fino all'impensabile. Richiusero il sarcofago e lo calarono sotto terra, ai piedi della grande statua del dio Anubi, e lo ricoprirono di terra, mentre lui dall'interno del suo sepolcro continuava a dimenarsi nel vano tentativo di liberarsi. La sua fu una lenta e orrenda agonia, tra i morsi di quei maledetti insetti e l'aria che pian piano iniziava a mancare, ma che sinistramente continua ad alimentare la sua vita. Faceva parte della punizione, quell'aria che non finiva mai, in assenza di ossigeno sarebbe morto nel giro di pochi minuti, ma non era questo lo scopo. Doveva morire sì, ma lentamente. Gli dei gli erano contro, lo avevano abbandonato al suo destino, quei dei che per tutta la vita aveva amato e servito. Riuscì a liberarsi dalle bende e iniziò a spingere e prendere a pugni il coperchio del sarcofago, ma non si sollevava. Graffiò rabbiosamente quella maledetta prigione, lasciando dei segni profondissimi, come se le sue dita fossero di fuoco, e forse lo erano, era pur sempre un DANNATO. Sentì la fine avvicinarsi, il battito del cuore diminuì, non sentiva neanche più i morsi dei famelici compagni di morte, la sua agonia era alla fine, dopo chissà quanti giorni. Ma prima di spirare, lasciò un messaggio: - La morte è soltanto il principio- , un messaggio terribilmente profetico, e nessuno, di quelli che lo lessero in tempi molto più recenti, immaginavano fino a che punto. Il suo cuore cessò di battere, i suoi polmoni non si riempirono più, morì nel più atroce dei modi, giurando di vendicarsi, se mai fosse tornato in vita. Gli scarabei continuarono a nutrirsi del suo corpo per molto tempo, fino a quando anche essi non perirono, prime vittime forse della sua vendetta.

/-------------/

 

Tutta questa immane tragedia, Lucas la riviveva nei suoi incubi, la sentiva adosso, sentiva i morsi degli scarabei, la difficoltà nel respirare, la follia di sentirsi in trappola senza via d'uscita, il dolore per la fine della sua amata, la rabbia e la sete di vendetta, quale uomo, avendo un'altra possibilià, non si sarebbe vendicato? Nessuno. Quando i ricordi si dissolsero nella nebbia mattutina, l'orologio segnava le sette. Aveva trascorso oltre due ore a pensare, a ricordare a soffrire. La sigaretta che aveva tra le dita si era consumata fino al filtro, e la cenere era caduta per terra. Si odiava in quel momento, non doveva permettere a quel passato così lontano di prendere il sopravvento, perchè non sapeva che conseguenze avrebbe avuto su di lui, e su gli altri. Perchè ogni volta sentiva il desiderio di vendetta assalirlo, e questo lo preoccupava. Sopratutto perchè quella notte, il sogno era troppo reale.

- Non può essere.. ti prego Dio no...-  mormorò continuando a fissare un punto indefinito oltre la finestra. Il telefono squillò all'improvviso, facendolo sobbalzare tanto da fargli sbattere i denti.

- Al diavolo chiunque sia!-  urlò indispettito.

- Pronto.-  rispose senza interrogazione. Sentì un fruscio, e una voce lontana che mormorava qualcosa di incomprensibile.

- Chi è? Rispondete!-  ma per risposta ricevette un altro fruscio anomalo. Spazientito, riattaccò mormorando come poco lusinghiere all'autore dello scherzo. Poi riflettè, magari era qualcuno che tentava di chiamare da lontano, forse era Andrew dal Cairo, pensò. Dopo qualche minuto, il telefono squillò di nuovo, ma questa volta lasciò che rispondesse la segreteria per lui. -Risponde la segreteria telefonica di Lucas Barrymore, in questo momento non sono in casa, lasciate un messaggio e sarete richiamati a più presto, grazie.- e seguì il classico segnale acustico.

- Ehi Lucas, sono Andrew, sei già uscito? Strano, da te sono ancora le sette del mattino, dovevo parlarti di una questione abbastanza importante, ho impiegato mezz'ora per prendere la linea. Ok, appena trovi questo messaggio chiamami, mi trovi tutto il giorno qui in studio, oppure stasera a casa, i numeri li hai...-  Lucas si precipitò ad alzare la cornetta.

- Andrew sono in casa, non riattaccare.- 

- Finalmente! Avevo perso le speranze, vecchio delinquente!-  Lucas ridacchiò, Andrew aveva il potere di divertirlo sempre, forse per il suo modo impertinente di parlare, o per il suo accento anglo-arabo che aveva acquisito dopo vent'anni vissuti al Cairo.

-  Scusami, ero di là e non ho sentito il telefono squillare...-  Era falso.

- Ok, non preoccuparti. Volevo dirti che tra breve avrai un bel grattacapo.-  sentenziò Andrew in tono drammatico.

Lucas corrugò la fronte. - E sarebbe?-  chiese dubbioso.

Andrew si schiarì la voce. - Lucas, per telefono non credo sia la soluzione migliore. Avrei pensato che magari tu potessi raggiungermi qui, tra qualche giorno.- 

Lucas rifletté per un po’. - Andrew mi spiace, ma sono pieno di lavoro qui, sarebbe più facile se fossi tu a tornare a Londra.- 

- Va bene, vorrà dire che sarò lì tra una settimana al massimo.-  concluse Andrew, come se non aspettasse altro che un invito.

Si salutarono e riattaccarono. Solo dopo aver riattaccato, Lucas si ricordò di non avergli chiesto se prima era lui al telefono, poi pensò che era lui certamente, aveva detto che era più di mezz'ora che tentava di prendere la linea. Guardò l'orologio appeso alla parete, segnava le sette e venti. Sgranò gli occhi, era tardissimo. Mise a bollire l'acqua per il caffé e andò a fare una doccia. Non pensava più al sogno, sopratutto perchè non era un evento isolato, ultimamente gli era capitato più volte di sognare quella storia. Prese un caffé, si vestì e uscì correndo, mancavano dieci minuti alle otto, odiava arrivare in ritardo, era segno di indolenza, pensava. Salì in macchina, mise in moto e partì velocemente, il museo non era troppo lontano da casa sua, stava per cominciare un'altra giornata come tante, un'altra giornata da passare tra scartoffie e papiri, una giornata normale e abituale, o almeno così credeva.

 

/---------/

 

- La morte... è soltanto il principio...-  sussurrò al telefono.

-  Chi è? Rispondete!-  inveì l'altro interlocutore.

Allora lui ripeté la frase, consapevole che non lo avrebbe capito. Il suo interlocutore riattaccò con veemenza, mentre lui ripose la cornetta lentamente, come se fosse un rituale. Rise, e il suono cupo della sua risata riecheggiò nell'ampia stanza buia.

- Ci incontreremo presto, non dubitare, abbiamo qualcosa in comune. Siamo uniti anche se divisi.- 

Si voltò e vi avviò verso la porta, prese l'impermeabile nero dalla sedia e aprì la porta...senza toccarla.

 

 

 

 N.d.A: Ovviamente ero e sono pazza dell’attore che fa Imhotep XD!! Che omo O__o!!!

 

 

   
 
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