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Autore: WrongHysteria    06/12/2009    1 recensioni
Essere sognatori non sempre è un pregio... perché ci sono gli incubi. E spesso sono senza uscita.
Genere: Generale, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1:
Pioggia

Alexandra Koening camminava per strada decisa, sotto la pioggia battente. La custodia del basso, vuota, le rimbalzava sulle spalle ad ogni passo. Aveva preferito lasciarlo nel garage dove lei e la sua band provavano, poiché pensava non fosse una buona idea portarlo per tre chilometri sotto la pioggia. Sarebbe andata a prenderlo la mattina seguente.
Tirò il cappuccio nero ancor di più sugli occhi, tanto che scorgere la strada era un'impresa. Odiava la pioggia, l'odore che lasciava sull'asfalto e soprattutto quelle immense pozzanghere nel vialetto di casa sua, impossibili da evitare.
I suoi anfibi erano lucidi e freddi. Nonostante fosse solo ottobre, sembrava d'essere già in inverno inoltrato: mancava solo una bella nevicata, di quelle che fanno chiudere le scuole.
Alex sorrise. Questo le sarebbe piaciuto davvero. Era già  stanca di andarci e si vedeva anche dal suo rendimento scolastico: in meno di un mese, dodici note e tre insufficienze. Quella più bassa? Matematica, ovviamente.
La ragazza si guardò intorno. Un paio d'isolati e sarebbe arrivata. Si strinse nella felpa, battendo i denti. Forse era ora di tirare fuori dall'armadio il caro, vecchio giubbotto di pelle. Le due o tre persone per strada indossavano già un giaccone pesante tipico del periodo natalizio e stivali imbottiti a prova di bufera. Lei, pantaloncini neri e calze a rete. Si sentiva scrutata. Come se fosse stata lei l'anormale per quel viale!
...effettivamente lo era.
Cercò di non guardare male tutti coloro che passando le gettavano un'occhiata perplessa o sospettosa. “Si facessero i cazzi loro!” pensò, infastidita.
Finalmente svoltò a destra: la sua via, come sempre deserta, era più che mai allagata. La stretta stradina di ciottoli era quasi invisibile sotto dieci centimetri d'acqua piovana e solo qualche coraggioso sasso, insieme a piccoli ciuffi d'erba, spuntava orgoglioso da quel lago.
Alex sospirò. Addio, anfibi semi asciutti.
Tentò di attraversare il lago saltellando sui sassi, ma era tempo perso. Neanche due passi ed era già zuppa, perciò lasciò perdere e camminò tranquillamente fino al cancello.
Si tastò le tasche. Dov'erano le chiavi?
Niente, non c'erano da nessuna parte. Le trovò dieci minuti dopo, nella custodia del basso. Salì le scale con calma, ridendo al rumore dei suoi anfibi bagnati sul pavimento, ed aprì gocciolante la porta di casa. Di fronte a lei, ad aspettarla senza alcuna pietà, c'era lo specchio. La ragazza accese la luce, rassegnata, e si guardò.
Sembrava una via di mezzo tra un gatto affogato e una steppa tinta di nero.
I suoi capelli, lisci e neri come l'inchiostro, ricadevano sul capo ingarbugliati e scomposti, a volte con angoli buffi. Gli occhi iniettati di sangue, segno della sua famigerata insonnia, esprimevano una stanchezza infinita e un disperato bisogno di riposare; il trucco colato la faceva somigliare ad un panda poco cresciuto. I suoi abiti lasciavano una scia d'acqua da ogni parte, come la custodia del basso ora lanciata in un angolo. Una pozza si stava lentamente formando sotto di lei.
Tolse gli anfibi come meglio poteva, in bilico ora su una gamba, ora sull'altra, e li appoggiò di fianco al termosifone. Poi, camminando in punta di piedi, si avviò verso il bagno.  Non appena sentì lo scroscio dell'acqua calda provò un grande sollievo. Rabbrividendo, si tolse gli abiti bagnati e si infilò nella doccia, chiudendo gli occhi, rilassata.
Pochi minuti dopo lo scroscio era svanito e lei gironzolava per il bagno, avvolta da un asciugamano di spugna blu e con i capelli che le ricadevano indomati sulle spalle. Con un panno liberò lo specchio dal vapore per studiare i propri tratti. Aveva sempre pensato d'essere una bella ragazza, con quegli occhi nocciola in grado di diventare verdi al sole, le ciglia lunghe, le labbra piene che ogni spocchiosa top model tentava d'imitare con il botulino. Aveva quindici anni e ne dimostrava diciotto. Ed ora, in quello specchio c'era solo l'ombra stanca e sfinita del suo bel viso.
Prese la spazzola dalla mensola e tentò di dare forma ai suoi poveri capelli. In un quarto d'ora districò tutti i nodi che c'erano; poi li asciugò con il phon e passò velocemente la piastra, rendendoli lisci e lucidi com'era giusto che fosse.
Entrò in camera sua ancora avvolta nell'asciugamano. Non aveva voglia di vestirsi: nel buio, indossò le prime cose che le capitarono tra le mani, ovvero i suoi morbidi pantaloni della tuta e una maglietta larghissima dei Nirvana. Poi accese la luce, guardando orgogliosa la sua camera. L'aveva appena sistemata come più piaceva a lei. Le pareti bianche erano ormai totalmente ricoperte da poster di ogni genere: Marilyn Manson, Slipknot, Korn, e persino Homer Simpson esclamava “D'oh!” dal suo posto accanto alla scrivania.
I mobili erano pochi e funzionali: sulla sinistra il letto, con da un lato lo specchio e, sotto, la libreria bassa e larga; dall'altro, l'amplificatore. Di fronte alla porta invece c'era proprio la scrivania, sotto la finestra laccata di nero. Era ingombra di oggetti: libri, CD, disegni e braccialetti borchiati ovunque. Sul pavimento giacevano mucchi di cavi annodati da chissà quanto tempo. La parete a destra era invisibile: ben tre armadi e qualche mensola la occupavano per intero. Alex si mosse verso il suo orgoglio: cinque mensole totalmente occupate da CD. Saranno stati qualche centinaio. La ragazza approfittava di qualunque momento libero per aggiungere pezzi alla sua collezione, soprattutto dischi rari, scovati nei mercatini e pagati cinque dollari ai venditori, incuranti del loro valore. Sfiorò il suo preferito: il primo album dei Nirvana. Lo estrasse dal suo posto e lo aprì. Kurt Cobain restituì il suo sguardo ammirato con un'occhiata vagamente malinconica.
Alex tolse il cd dalla custodia e lo inserì nello stereo, sulla libreria, cercando il pezzo che voleva sentire. Poi si sdraiò sul copriletto viola, abbracciando il cuscino a forma di stella regalatole dalla sua migliore amica, mentre le prime note di School uscivano dalle casse per entrarle nel cuore. Chiuse gli occhi e si addormentò.
Fu un sonno breve e senza sogni, presto interrotto da Steven, il suo adorabile fratello maggiore.
 << Alexandra? La cena è pronta. Mamma e papà non ci sono, ho cucinato io, come al solito. Non mi dispiacerebbe una mano in cucina, sai? >> La voce calma e pacata del fratellone la irritava. << Oh, taci, Steve! Perché mi hai svegliata? No, non voglio saperlo. Vattene, lasciami dormire! >> esclamò Alex, aprendo appena gli occhi. Il viso gentile del fratello era a pochi centimetri da lei, i grandi occhi verdi la osservavano. Sbuffò e si voltò dall'altra parte.
Steven sospirò, prima di ritrarsi e chiudere piano la porta bianca. Quando Alex faceva così, non c'era niente che potesse cambiare la situazione. Tanto valeva lasciarla in pace.
Scese le scale con passo leggero, aiutato dalle pantofole scozzesi regalatogli dai genitori, ed andò in cucina, sedendosi al tavolo. Rassegnato, attaccò a mangiare il suo piatto di pasta da solo. Aveva diciassette anni e seguiva gli ordini e le richieste di sua sorella più come uno schiavetto che come un parente. A volte si sentiva come se fosse stato il fratello minore, o addirittura il cucciolo di casa. Si impegnava molto in tutto ciò che faceva e questo lo rendeva adorabile agli occhi dei genitori. Studente modello, bravissimo calciatore, ottimo cuoco, persino nella musica che ascoltava si distingueva dagli altri: rap sì, ma di classe. Quello serio, non con le rime sole-cuore-amore, ma con significati profondi.
Era un bravo ragazzo, Steven, nonostante i capelli lunghi e scuri sempre sciolti sulle spalle ed i jeans larghi, con  le felpe ancora più grandi, che lo rendevano poco affidabile agli occhi dei professori. La sorella non apprezzava mai nulla di ciò che lui faceva e lo trattava come un pezzente. Forse si sentiva superiore a lui. Aveva quell'alone, intorno a sé, che impediva al fratello di avvicinarsi. A lui, e alla maggior parte del genere umano. Uno scudo impenetrabile, ecco cos'era.
I pensieri del ragazzo furono all'improvviso interrotti dallo squillo del telefono in corridoio. Si alzò, ingoiò in fretta il boccone e corse a rispondere. << Ciao! >>
 << Come sapevi che ero io? >> chiese perplessa la voce femminile all'altro capo del telefono.
 << Non so chi sei, è il mio modo di aprire una conversazione >> disse lui. Il numero di telefono non appariva sul display. << Ah! >> la voce rise. << Sono Sarah. Alex non risponde al cellulare. Sai dov'è? >>
Sarah. Ma certo. La migliore amica di Alex.
 << Sì, è di sopra che dorme. Te la sveglio? >>
 << No, non serve. Dille solo che domani salto la scuola. Ciao! >> la conversazione si chiuse.
Steve deglutì, pensando a Sarah. Si era abituato alla sua presenza vagante per casa già da quando lei e Alex andavano in prima media insieme. L'aveva vista crescere, farsi sempre più bella. Ma ormai, la riteneva come una seconda sorella.
 Scrisse un biglietto per la sorella, quella vera, e lo ripose accanto al cordless; poi tornò in cucina. Il freddo piatto rosso di sugo non aveva più l'aria invitante di prima. Lo sollevò per riporlo nel lavandino, insieme all'altro intatto. Entrò in camera sua passando per il soggiorno, in cerca del libro che stava leggendo: 1984 di Orwell. Già, Steven era anche un colto lettore.
Seduto in poltrona, con le luci soffuse, aprì il volume e si preparò a trascorrere una lunga notte con quella sola compagnia.
Al piano di sopra, Alex si stava giusto svegliando. Assonnata, lanciò un'occhiata all'orologio a forma di pipistrello sulla parete. L'aveva scovato in un mercatino fantastico, insieme a un CD introvabile dei Distillers. Il suo unico difetto era che ogni tanto si bloccava, perciò la ragazza non sapeva mai realmente che ore fossero. Non le importava. Approssimativamente, dovevano essere le dieci. I suoi genitori, due infermieri, sarebbero rientrati di lì ad un paio d'ore.
Si sollevò dai guanciali, sbadigliando. Lo stereo stava ancora suonando i suoi Nirvana, ma il suo adorato fratellone doveva aver abbassato il volume al minimo. Alex spense il lettore, infastidita, ed uscì dalla porta. Voleva telefonare a Sarah e mettersi d'accordo per le prove del giorno dopo. Lei avrebbe avvisato Karen e Candice, rispettivamente la batterista e la cantante, presentatasi da poco. Alex ci teneva ad avere una band tutta al femminile. Lo trovava una specie di carattere distintivo. E quando Candice, un'amica di Sarah, si era proposta, l'avevano subito accolta con gioia. La sua voce in grado di raggiungere note incredibili era perfetta per il loro sound.
Purtroppo aveva poco tempo per le prove, essendo al terzo anno di scuola. Sarah non aveva di questi problemi: era stata bocciata per via della sua condotta. Quest'anno di certo le cose non miglioravano; si assentava per la maggior parte del tempo.
Alex scosse la testa come una vecchia nonna quando vide il biglietto accanto al telefono, con l'aggraziata scrittura di Steven. “Da Sarah: salto scuola domani”.
Di nuovo?, si chiese. Iniziava ad esagerare, ma chi era lei per farle una predica?
Alzò la cornetta e compose a memoria il numero della sua amica. Nemmeno lei sarebbe andata a scuola il giorno dopo: forse le prove del gruppo potevano farle la mattina stessa.
   
 
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