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Autore: Astrid    07/12/2009    3 recensioni
“Chi non ha mai visto in una stanza buia
Filtrare la luce del giorno
-Levandosi da un corpo adorato
Per accostare le tende
Con gli occhi sfiniti e pesti-
Non può capire quel che cerco di dire,
Quanto lungo fosse l'ultimo bacio, quanto lento
Quanto caldo il suo indugio.”

(Oscar Wilde)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy | Coppie: Lucius/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuore di Tenebra

 

 

 
Chi non ha mai visto in una stanza buia
Filtrare la luce del giorno
-Levandosi da un corpo adorato
Per accostare le tende
Con gli occhi sfiniti e pesti-
Non può capire quel che cerco di dire,
Quanto lungo fosse l'ultimo bacio, quanto lento
Quanto caldo il suo indugio.

 

 

 

 

Guardando oltre le ampie finestre del maniero poteva ricordare come tutto ebbe inizio.

Gli occhi scuri come un profondo oblio riflettevano la languida malinconia d’un’amante. Li chiuse più volte, lentamente, lasciando che le lunghe ciglia nere le sfiorassero le gode diafane.

Si vedeva immersa nella penombra di una stanza all’interno dei sotterranei di Hogwarts, ove un ritratto celava la sala comune Slytherin e, salendo le scale, dietro quest’ala del castello si sviluppavano i dormitori maschili e femminili degli appartenenti alla casata.

-Lo sai che è proibito, vero, Bella?- le aveva mormorato un paio di belle labbra piegate in un ghigno che già nascondeva un’ombra di perversione.

-Lo dici a tutte le donne che entrano qui dentro per caso, Malfoy?- replicò un sorriso monello.

-Sai che mi piace variare di volta in volta.- risposte il ragazzo alto, dai fluenti capelli di platino che a malapena sfioravano le spalle. La fissava con occhi d’argento, tremanti come specchi d’acqua carezzati dal vento.

La ragazza – molti l’avrebbero chiamata giovane donna! – non aveva più di quindici anni, ma si divertiva ad ostentarne molti di più; eppure i suoi occhi tremavano allo stesso ritmo di quelli dell’altro, e le labbra piene, rosse, emanavano il fresco profumo della giovinezza.

Lucius Malfoy le si avvicinò per strapparle un gemito con un bacio. Avvolse le dita lunghe e nervose nei riccioli ribelli, avvolgendo poi la nuca con una mano per permettere alle labbra di lambire quella pelle nivea in una serie di carezze infinite lungo la mandibola, le guance, il collo.

Il rumore dei passi d’altro canto ispirava alla giovane Purosangue una strana eccitante agitazione. Avvertiva come un pericolo incombente il sopraggiungere della sorella Narcissa – lei sarebbe potuta entrare da un momento all’altro, macchiandosi gli occhi di quella visione. Eppure non c’era preoccupazione in questo pensiero. Nel suo immaginario avvertiva il senso del sublime avvilupparla allo stesso ritmo di quei languidi baci: più la situazione la spaventava, più se ne sentiva attratta; allora, ogni volta che questo pensiero tornava ad eccitarle la mente, le piccole dita bianche come fantasmi si muovevano sul corpo di lui, lambendo ogni centimetro della sua pelle, strappando stoffa, gettandola agli angoli della stanza, spingendo quegli addominali perfetti e asciutti contro il morbido materasso per poi tornare ad impossessarsi dei suoi punti più sensibili, colta da un appetito tutto nuovo. Scorreva, mantenendosi comodamente sopra di lui come in sella al più fiero dei destrieri, carezzando guance e sfiorando capelli; baciava tempie, occhi, collo; mentre le dita dell’altro si appropriavano dei suoi punti più proibiti, carezzando, annegando al suo interno, rubandole continuamente piccole grida di gioia dal retrogusto d’un dolore. Le strappò via la camicetta, ma quando fu il momento di lasciare che si liberasse della gonna fu costretto a vederla alzarsi in piedi, di fronte al letto. La osservò privarsi dell’indumento, dovette raggiungerla in piedi quando gli occhi si accorsero di non poter più trattenere il desiderio dietro il riflesso di un’immagine. Mentre le mani, di nuovo, la percorrevano tutta, ella si sentì come febbricitante, e allo stesso ritmo lo divorava con labbra e con dita, avvampando di un bollore che le rendeva le gambe simili a gelatina, preda d’una sorta di inconsistente debolezza. Come durante la più intensa delle febbri, si rese conto di non essere in grado di restare in piedi – o meglio: di avere tutta l’impressione di non poterlo fare più tanto a lungo. Tremava convulsamente per un desiderio che follemente si era impossessato del suo corpo: sentiva sempre più le ginocchia in procinto di spezzarsi, ed ebbe la fulgida convinzione, per un istante,  di stare dissolvendosi.

Lucius Malfoy le divorò gli occhi in uno sguardo; notando le sue labbra tremare le baciò mordendole.

-Bellatrix… non sarà la prima volta!- la punzecchiò beffardo in un sussurro roco che la fece rabbrividire di oscuro piacere.

Ella rise, cristallina: e la sua voce sicura risuonò riempiendo la stanza come di musica.

-Sai benissimo che lo è, Lucius.- ghignò, spingendolo di nuovo verso le lenzuola in un impulso d’odio per i propri tremori.

Ma non smetteva di fissarlo attraverso quegli occhi scuri ed eternamente maliziosi. I più credevano che fosse stata lei ad iniziare i giovani rampolli di Hogwarts ad una vita di piaceri edonistici! Era qualcosa che le si poteva leggere nel languore dello sguardo, quell’abisso di voluttà che nascondeva un cuore di tenebra. I suoi capricci, che andavano e venivano continuamente tormentando chiunque ricusasse d’assecondarla, non erano poi certo un indizio contrastante l’opinione comune: e del resto ella sembrava vestire così a proprio agio quei panni, che spessissime volte finiva col credere alle proprie recite lei stessa.

Tuttavia aveva scoperto nel promesso sposo di sua sorella un confidente straordinario. Una mente brillante, un demonio creativo, un cuore di tenebra altrettanto profonda: ella aveva imparato per la prima volta a conoscere l’amicizia tra un uomo e una donna.

Cosa era andato storto in quella sacra unione lontana dal peccato? Forse gli impeti passionali della giovinezza l’avevano plasmata a proprio piacere, e le voluttà che stavano avvenendo in quella stanza ne erano il risultato.

Raggiunto nuovamente il letto e privato anche l’altro degli ultimi indumenti, si sentì sovrastare accerchiando con le gambe i suoi fianchi.

-Amo la sincerità. È molto meno ingenua di una menzogna.-

-Che vuoi dire?- domandò, mordendosi le labbra nell’avvertire la mano del Purosangue scorrere lungo il suo addome sempre più in basso.

-Voglio dire…- sussurrò, fra un gemito della ragazza -…che ci sono state molte persone che hanno preteso di mentirmi, ingenuamente, su una cosa del genere.- disse, avvicinando poi le labbra al suo orecchio, -Ma il sangue è difficile da nascondere…-

La fece rabbrividire, un attimo prima di penetrarla sostituendosi alle proprie dita. Ella avvampava insieme del piacere delle parole pericolose e del dolore di un’esperienza nuova che, allo stesso modo, non avrebbe potuto attrarla di più.

Gli occhi le si colmarono, fra una patina lucida, dell’immensità del sublime: tremendo, maestoso, dirompente; accecante nel suo picco di dolore e nel suo abisso di piacere che sentiva di non poter contenere dentro di sé. Sarebbe esplosa.

Esplose, in una smania di gemiti che giunsero l’uno dopo l’altro, dapprima dettati dal dolore e poi, con la calma d’un flusso e riflusso d’onde impetuose, completamente abbandonati al piacere.

Serrò gli occhi in un orgasmo.

 

Che cosa poteva vedere ora che, a distanza di un ventennio, li riapriva dopo le stesse circostanze?

Il paesaggio era forse mutato. C’era dell’altro? Lei era mutata. Le sue gambe non avevano tremato così intensamente quando il desiderio del corpo dell’altro l’aveva presa; le sue mani si erano mosse con ben più esperti movimenti; non allo stesso modo il dolore abbagliante s’era fuso con il piacere profondo.

Eppure i sussurri oscuri ancora l’avevano fatta rabbrividire, e gli occhi di tenebra ancora si erano specchiati nei suoi occhi di tenebra, e si era sentita a casa, per un lungo istante, quando in quelle lenzuola scarlatte ancora sentiva di poter restare a cullarsi nel proprio peccato. Era, tutto sommato, una colpa che le appariva sempre fresca e nuova. E del resto abbandonarsi alle voluttà del piacere col proprio cognato era cosa ben diversa che sperimentare la trasgressione con il promesso sposo della propria sorella.

Osservò la superficie liscia dell’uscio chiuso, e poi il corpo del proprio amante che la guardava mentre terminava di abbottonare la camicia, lo spirito ancora vibrante del recente piacere.

Neanche questa volta Narcissa aveva aperto la porta della stanza.

  
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