Hatred
Only
a dirty liar...
“If you hate a person, you hate something
in him that is a part of yourself.”
Herman Hesse – Demian
Il rhum brucia
con sadica lentezza la tua gola, mentre in un’ultima sorsata svuoti il bicchiere
in cui puoi ancora sentire distintamente risuonare il ghiaccio. Ti sarà stato
portato si e no due minuti fa, un tempo sufficiente per scolarlo e permettere
all’alcool di soffocare i fastidiosi pensieri che si insinuano nella mente,
innocentemente magari, ma con la più che chiara intenzione di fartela esplodere
nella nota finale di un concerto che hai odiato fin
dall’inizio.
Hai degli
impegni per la serata, un incontro programmato da molto, eppure trovi il tempo
per gingillarti osservando il bicchiere vuoto, i riflessi della luce tersa della
taverna che danno nuova vita a quel vetro, rendendolo particolare, quasi unico.
Provi una malsana soddisfazione ad essere l’unico a poter osservare quello
spettacolo, o forse è semplicemente l’annebbiamento dell’alcool che ti impedisce
di pensare seguendo un filo logico lontanamente coerente mentre pieghi le tue
labbra in un superficiale sorriso.
Forse è
proprio quando cogli l’ennesimo colore irradiato dal vetro che ti illudi anche
solo per un attimo di aver dimenticato i pensieri che infierivano nella tua
testa fino a poco prima, ma basta una semplice sfumatura d’azzurro, e l’alcool,
fino a poco prima tuo alleato, sembra rivoltarsi improvvisamente contro di te,
lasciando i ricordi liberi di scorrere come la goccia d’acqua che percorre ad
una velocità che pare irreale la liscia superficie trasparente del bicchiere che
stringi fra le mani. E i suoi occhi ti compaiono davanti, in un immagine
difficile da cancellare, così vera che ti pare veramente di averlo lì seduto al
tuo fianco, così reale da farti provare indistintamente quell’odio viscerale che
ti attorciglia le budella.
“-Capo, dove
sta andando?- è atona con un retrogusto pungente la voce di Penguin mentre ti
rivolge quella domanda, come se inconsapevolmente sapesse già la risposta, o
almeno sapesse che non avrebbe ricevuto una risposta come è logico
aspettarsi.
-Da quando hai
il dovere di ficcare il naso nelle faccende che riguardano il tuo capitano?- e
il sorriso che piega sarcasticamente le tue labbra, non è meno vile della
domanda con cui fuggi le risposte.
È il vento
freddo a parlare per entrambi in quel momento, bruciando pungente sul viso,
graffiando con forza inaudita la poca pelle rimasta scoperta dai vostri vestiti
invernali.
I tuoi occhi
sono carichi di tutta l’autorità che ti concede il tuo ruolo, eppure riesce
ancora a stupirti Penguin, con la semplicità con cui riesce a sostenere ogni tuo
singolo sguardo. Forse per abitudine, o forse per un intrinseca forza che si è
creata in quella convivenza così duratura, ma ancora ti rifiuti di ammettere che
i tuoi compagni sono capaci di comprendere anche il più piccolo dei tuoi
silenzi.
-Lo detesta.-
è un’affermazione semplice, una rassegnata constatazione, eppure non sei
riuscito ad evitare di sentire il tono quasi nervoso con cui è stata
pronunciata.
-Lo so.- e in
quel momento non servono altre parole, ma solo il suono dei piedi che si
trascinano uno dietro l’altro verso le luci notturne
dell’isola.”
L’immagine
scompare, nell’esatto momento in cui quell’unica goccia d’acqua si frantuma sul
bancone, insinuandosi nelle fratture di quel legno così vecchio da sembrare
marcio. Le risate, le conversazioni chiassose della taverna tornano ad
esploderti nelle orecchie, come se fino a quel momento fossi stato altrove, e
non immerso in quel mare di alcool annebbiato da una forte coltre di
tabacco.
Forse è
proprio colpa di quella nebbia, e non certamente della vista che inizia a
traballare, se non lo senti arrivare, se non distingui l’innato odore
aristocratico che si porta dietro, quella dannata puzza di ricco che non l’ha
abbandonato nemmeno diventato pirata. Lo vedi riflesso in quel bicchiere, che
ancora ti ostini a tenere alzato in un brindisi fermo nel tempo, mentre si
sistema con falsa eleganza i risvolti della camicia.
Ti viene
istintivamente da ridere a quella visione, e non ti preoccupi nemmeno ti avere
un po’ di riserbo, ti limiti a boccheggiare quella risata nell’aria con voce
roca e impastata dall’alcool. Sei quasi felice quando lo vedi assumere un
broncio scocciato alla tua reazione, come se si fosse aspettato un abbraccio
caloroso al posto di quel gesto più che naturale, ovviamente per quanto possa
essere naturale la reazione di una persona che cammina in equilibrio sull’orlo
dell’ubriachezza, e poi lo sai perfettamente anche tu sei ben lontano
dall’essere considerato una persona ordinaria.
-Posso
offrirle qualcosa, altezza?- lo dici sarcastico, puntandogli contro il bicchiere
ancora stretto fra le dita come per enfatizzare le tue parole, e lui in tutta
risposta si limita a sospirare, proprio come una madre amorevole che apre la
porta di casa a suo figlio ricoperto di fango.
-Sai bene che
non sono qui per bere Law.- e lui è serio a differenza tua, mortalmente serio e
mortalmente noioso come ogni volta.
Adora dare ai
vostri incontri una parvenza di normalità, lo sai bene, sai perfettamente come
il biondo cerchi continuamente di nascondere la sua vita dietro i canoni di
bella apparenza della società, eppure al tempo stesso è un pirata, proprio una
bella contraddizione. Eppure non ti importa, anzi forse è proprio quello che ti
affascina di lui, quella sua costante ambiguità, quel suo essere totalmente
diverso da come dovrebbe essere.
Lo segui con
lo sguardo mentre si siede al tuo fianco continuando a parlarti, mentre accende
nervosamente una sigaretta, e solo quando espira quella dannata boccata di fumo
ti rendi conto che questa volta non è l’alcool a mostrartelo, che è lì
veramente, frustrato e nervoso come ogni volta.
Non passa
molto prima di vederlo voltarsi verso di te e guardarti con gli stessi occhi che
avrebbe un animale chiuso in gabbia. Ti strappa di mano il bicchiere,
costringendoti forse a porgergli più attenzione di quanta gli stai già
dedicando, ma lo sai che è sempre stato un tipo piuttosto
pretenzioso.
-E ascoltami
quando ti parlo, maledizione!- la vedi bene la rabbia racchiusa in quella
prigione di cristallo, ami essere guardato così perché sono le uniche occasioni
in cui non sei l’unico a provare qualcosa di negativo, qualcosa di sbagliato in
quel rapporto.
Sorridi
guardandolo, indeciso forse se
tornare a ridergli ancora una volta in faccia, ma sai che probabilmente ti
ritroveresti con la faccia sanguinante quella volta e perciò lo eviti,
limitandoti a quel sorriso, un sorriso che l’altro ti strapperebbe volentieri
via a suon di calci.
-Sono tutto
orecchi principino.- e la sente anche lui l’ironia che tinteggia quelle parole,
enfatizzata ancora di più dall’alcool che ti scorre nelle vene, quella sera
deciso più che mai ad accompagnarti alla tua tomba prima del
previsto.
Ancora una
volta osservi quelle labbra muoversi, nella totale incapacità di percepire i
suoni che emettono, anche perché le parole che vengono pronunciate in quel
momento non ti interessano minimamente. Una moglie che rimprovera il marito, non
trovi paragone migliore capace di cogliere quello che il biondo rappresenta in
quel momento, una noiosa, puntigliosa e fastidiosissima moglie, peccato non
fosse nei suoi piani essere sposato, non ancora almeno.
Ma lui sembra
accorgersi della tua temporanea disattenzione, e frustrato come solo lui sa
essere si limita a colpire il bancone, lasciando tintinnare sopra del denaro, e
in un calcolo fin troppo rapido per uno nelle tue condizioni ti rendi conto che
ha lasciato anche più del necessario.
Trovi
stranamente interessante fissare la moneta mentre volteggia oscillando in cerchi
quasi perfetti, e ne faresti volentieri la tua principale attività per tutto il
resto della serata, peccato che il tuo compagno non sia affatto d’accordo e
decide di trascinarti fuori dal locale, in un impeto di rozza pirateria che
difficilmente può appartenergli veramente. Ti limiti a sorridere e lasciarti
trascinare dai sentimenti negativi che guidano i gesti del cuoco, sentimenti di
cui sei profondamente compiaciuto, come un bravo papà che vede crescere i suoi
figli, o come ti dice la voce più sincera che ti frulla nella testa in quel
momento, come un normale essere umano che si sente sollevato a non essere
l’unico in difetto in quella storia.
Quando
finalmente siete fuori senti l’aria invernale pungerti nuovamente la pelle,
bruciarla con quel suo freddo così tipico da essere ormai una tradizione. Lui si
limita a lasciarti barcollare, mentre si allontana giusto il necessario per
appostarsi proprio di fronte a te.
-Quanto hai
bevuto?- e più che una domanda ti sembra una inquisizione in piena regola, al
biondo manca solo il costume adatto.
-Che cazzo hai
Trafalgar?- forse è proprio in quel momento che senti l’odio pungerti
precocemente la lingua, affogato nel retrogusto alcolico che ti impregna la
bocca.
Te lo stai
domandando, come un ago che si insinua sotto la pelle, ti chiedi perché sei
ancora lì ad ascoltarlo, perché nonostante l’odio che ti avvelena l’animo sei
ancora lì in piedi a guardalo dritto negli occhi, perché nonostante tutto a quei
dannati incontri ci vai tutte le volte, perché a lui importa qualcosa di quello
che provi come dice quella voce con l’amaro retrogusto di sincerità che ti
rifiuti di ascoltare.
Ormai la sua
voce è diventata un brusio indistinto fra le domande che ti affollano la mente,
ma resta sempre la più acuta e fastidiosa, ed è in quel momento che decidi di
non volerla sopportare ancora per molto. Poi probabilmente darai la colpa
all’alcool, ma lì in quel momento l’unica cosa che riesci a fare e afferrarlo
per un polso e bloccarlo contro il muro della taverna. E non le ascolti le sue
proteste, ti limiti a mettere la parola fine a quel dannato rumore sigillandogli
le labbra, baciandolo con una foga che non dovrebbe appartenerti, con un bisogno
che stona in quei sentimenti che sanno di acido.
Lo senti
mentre tenta inutilmente di ribellarsi, mentre cerca di scacciarti con l’unica
mano libera, come se si fosse dimenticato che il suo punto di forza sono le
gambe e che sono libere come non lo sono mai state in quel momento, o forse
perché è talmente furioso da non ragionare normalmente, ma nemmeno per un attimo
ti passa per la mente che alla fin fine stai facendo proprio quello che voleva,
e quella lotta non è altro che il vano tentativo di dimostrare ad entrambi il
contrario, che quello che sta succedendo non lo volete affatto, il giusto
necessario per avere la parvenza di qualcosa di lontanamente
ortodosso.
Abbandoni le
sue labbra per recuperare il respiro, mentre senti indistintamente il dolce
sapore di tabacco sulla punta della lingua, e lo detesti, perché tra voi non può
esserci niente di dolce, perché è terribilmente disgustoso quello che ti si
agita dentro ogni volta che lo vedi. Forse è per questo che gli strappi parte
della sua elegante camicia, quel tanto che basta per liberare la spalla, e prima
ancora che le sue proteste giungano alle tue orecchie affondi i denti nella sua
carne.
Ed è buono,
buono come non lo è mai stato l’amaro sapore di sangue che senti fra le labbra,
e la sua voce non ti è mai piaciuta così tanto, mentre si lamenta sofferente,
mentre ti insulta in tutti modi che conosce. Imprecazioni, insulti, non chiedi
altro da lui, vuoi vedere anche i suoi sentimenti negativi, e li vuoi vedere
tutti davanti ai tuoi occhi.
Eppure quella
sembra essere la sera dei cambiamenti, perché il biondo ti stupisce mentre fra
le imprecazioni si afferra saldamente alle tue spalle, come a cercare un
appiglio, un aiuto nel suo stesso carnefice. Il suo sguardo si fissa su di te e
senza bisogno di parlare capisci già come finirà quella nottata, esattamente
come l’avevate programmata.
Torni a
baciarlo, sfiorando il suo collo con piccoli morsi, ma lo senti mormorare
qualcosa nel tuo orecchio, e non hai bisogno nemmeno di sentirlo sai già cosa ti
ha chiesto. Una stanza, non è certo nelle corde di sua altezza scopare in mezzo
alla strada, come se una sudicia camera d’albergo e un letto facessero poi tanta
differenza, ma come ogni volta lo asseconderai, perché del resto puoi
schifartene quanto vuoi, sai perfettamente che in quelle notti l’unica cosa che
vuoi è il corpo di quel dannato cuoco.
È in quel
momento che decidi di fregartene dell’odio, di ignorare la rabbia, il disprezzo,
e per una volta dai ascolto all’istinto, certo sei ubriaco e questa sarà
un’ottima scusa per il giorno dopo, ma quella sera lui e il piacere che può
darti sono le uniche cose che vuoi.
“-Capitano,
cosa ne pensa lei dell’amore?- te lo domanda innocentemente Casquette, con
quell’atteggiamento limpido che lo contraddistingue.
Ti ritrovi
spiazzato da quel quesito, non tanto perché per un uomo per di più pirata è
quasi assurdo fermarsi a riflettere sull’amore, ma proprio perché ti ritrovi
nell’incapacità di dargli una qualunque risposta.
-Ecco... è mai
stato innamorato capo?- riprende il discorso il tuo subordinato dopo un tuo
ostinato silenzio verso la domanda precedente.
-No.- rispondi
automaticamente, più per riflesso che per attenta
riflessione.
Non ci hai
pensato per niente, ti sei limitato a dischiudere le labbra e far uscire il
primo suono di passaggio.
Vedi l’altro
tornare a guardare il cielo limpido, con una strana vena malinconica nello
sguardo, delusione forse, ma del resto doveva capire fin dall’inizio che aveva
scelto la persona sbagliata per intraprendere una simile
discussione.
Scendi con
grazia dalla balaustra su cui stavi seduto, e lo sorpassi per raggiungere la tua
cabina. Eppure dopo pochi passi ti fermi, come colto da un pensiero
improvviso.
-L’amore è
disonesto Casquette, non aspettarti mai la sincerità quando si parla di un
simile sentimento.- e forse parli più a te stesso che a lui in quel momento, ma
non puoi fare a meno di andartene comunque con una smorfia in viso che
assomiglia, seppur lontanamente, ad un sorriso
malriuscito.”
Ti svegli alle
prime luci dell’alba, in quello che ti appare qualcosa di lontanamente simile ad
un letto, coperto sporadicamente da lenzuola che forse un tempo erano pulite e
con un mal di testa che sembra volerti strappare via pezzo per pezzo il
cervello. Non sai per quale masochistico istinto lo fai, ma ti alzi lentamente a
sedere cercando di focalizzare la stanza alla meno peggio.
Ti ci vuole un
po’ per svegliarti del tutto, e appena il mal di testa riesce a farsi
sopportabile vieni colpito subito dall’odore di tabacco che aleggia nella
stanza. È un calcolo molto rapido quello che fai, eri ubriaco e probabilmente un
certo biondo è venuto a cercarti, niente di nuovo, il solito incontro che ti
lascia solo, in una stanza d’albergo, a bearti degli ultimi residui del tuo
compagno nel pizzicante odore di sigaretta.
Inizi a
ricordare la serata precedente, ricordi sporadici, incapaci di mostrarti tutto
il racconto nella sua complessità, ma c’è una cosa che proprio non riesci a
levarti dalla testa, e già senti montare la rabbia al solo pensiero. Il biondo,
continui a rivederlo, continui a sentire la sua voce, a sentire il suo
dannatissimo calore, e l’odore che permane nella stanza sembra più che
intenzionato a sfondarti le narici, e le odi quelle sensazioni, quelle immagini
dalla prima all’ultima.
Detesti tutto
questo, sentimenti piacevoli, in una relazione fondata sull’odio non dovrebbero
esserci cose simili, non dovresti nemmeno andarci a letto in effetti, eppure lo
fai.
Hai sempre
pensato che fosse un innato sadismo a spingerti verso di lui, la voglia di farlo
soffrire, del resto avevi i tuoi buoni motivi per destarlo all’inizio di tutta
questa storia, mentre ora stai seduto su un letto, con un mal di testa
lancinante, a fremere dalla rabbia perché la sera precedente l’hai passata fin
troppo bene.
Ti alzi in
fretta, forse fin troppo perché senti distintamente la tua testa gridare per
protesta, ma la ignori afferrando i tuoi vestiti sparsi per la stanza, con la
voglia di andartene da lì il prima possibile. Ma mentre tra la confusione
generale, creata sia dall’ambiente che dai duri effetti del post sbronza, un
particolare oggetto attira la tua attenzione.
Sul comodino
c’è una sigaretta, posata con fin troppa accortezza a fianco ad un fiammifero
per essere stata lasciata lì per caso. Un gesto privo di senso ai tuoi occhi,
che motivo avrebbe quell’idiota di un biondo per lasciare una stupida
paglia?
“-Non toccare
le mie sigarette Trafalgar!- il tono è irritato lo senti distintamente, e
detesti quella voce acuta che usa quando è arrabbiato.
-Non ti facevo
così tirchio principino.- lo sospiri mentre appoggi a terra il pacchetto di
sigarette.
Cos’avranno di
così importante quelle stupide stecche non l’hai mai
capito.
E soprattutto
perché lui può godersi una rilassante fumata post sesso e tu no? È
ingiusto.
-Quelle
sigarette sono il mio profumo personale Law, ne avrai una solo quando sarai
disposto a sopportare il mio odore tutto il giorno.- ed è tremendamente serio
mentre lo dice, nonostante il ragionamento di per sé sia piuttosto
ridicolo.
Sai anche
perché ti dice quelle parole, perché anche lui è perfettamente consapevole che
la vostra relazione non ha niente al di fuori di una paradossale attrazione
sadica per te e masochista per lui. Perché nessuno sano di mente avrebbe il
coraggio di intraprendere quel genere di rapporto con una persona che
odia.”
Il sapore del
tabacco è quasi soffice in bocca, mentre il suo profumo ti pizzica con aspra
dolcezza le narici. Non pensavi che fumare una sigaretta potesse essere così
rilassante.
Pensavi
sarebbe stata una di quelle esperienze da non ripetere, ed eri pronto a gettare
quella cicca non appena assaporata una prima boccata, e invece sei lì a
stringerla fra i denti gustandoti ogni singolo dettaglio, perché ora sei sicuro
che li ricorderai.
Non sai cosa
puoi aver detto la sera prima, non sai cosa ha spinto il biondo a lasciarti
quell’unica sigaretta, e forse in fondo nemmeno ti interessa, perché quel sapore
non è amaro come ti aspettavi, non è acido, è inaspettatamente
dolce.
Forse è in
quel momento che ti rendi conto, che non è quel sapore che detesti, non quel
profumo, e non quella voce, non è lui. Sei tu.
Quella rabbia
insensata la provi tu, sei tu ad arrabbiarti perché tra quelle labbra senti
qualcosa di dolce, e sei tu ad arrabbiarti perché quella è l’ultima persona con
cui vorresti provare sentimenti simili.
Lo odi, ma in
verità odi te stesso per quello che provi, perché odiarlo è l’unico modo per non
ammettere quello che in fondo già sai, ma ti rifiuti di
ammettere.
Del resto
l’amore non è altro che uno sporco bugiardo, non è forse vero
Sanji?
End ~
Note
d’autrice:
Per
prima cosa ho una dedica da fare e nessuno al mondo potrà
fermarmi.
Questa
one-shot l’ho scritta per Slits la mia socia, un piccolo regalino diciamo, visto
che al suo compleanno non ho potuto farle niente in un certo senso con
tantissimo ritardo questo potrebbe considerarsi qualcosa di molto simile ad un
regalo. Ti voglio un gran bene socia, questo è il mio grazie per tutto l’aiuto e
il sostegno che mi dai ogni volta, e perché senza di te la Law/Sanji non farebbe
palpitare il mio cuoricino perverso come fa al momento! Grazie di tutto
davvero!
Tornando
a noi, considero questo storia una sorta di esperimento, ho voluto per una volta
affidarmi alle sensazioni e non alla logica, quindi spero che questo non faccia
risultare il tutto un grande disastro, senza contare che è la prima volta che
uso la seconda persona (che adoro) in una storia così lunga, quindi davvero
spero non sia un’enorme schifezza!
Come
sempre Seiko accetta tutto letture, commenti, critiche e gli insulti, perché
nessuno mi insulta?!
Scherzi
a parte grazie a tutti quelli che mi seguono, anche chi mi segue nonostante i
miei gusti assurdi per le coppie, grazie a tutti davvero!
P.s.
Socia I love you! (but in a totally manly way! Like Turk&J.D.
dear!)