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Autore: tanechka    07/12/2009    7 recensioni
“Dove la porto, signorina?”
“Su una stella.”
“Questo non è proprio possibile.”
Silenzio.
“Beh, allora portami a casa.”
Stronzo. Finisce sempre così.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forse non era stato il vestito, il problema. Si era rimirata allo specchio per quindici volte, più o meno, prima di calzare le splendide scarpine nere con il fiocco sulla punta e uscire di casa. La sua pelle era pallida, ma si era strofinata le mani sulle guance prima di indossare il vestito rosso, dal tessuto morbido e che scendeva dolcemente sul suo corpo, e ravvivarsi i capelli straordinariamente lunghi sulle spalle. Si era truccata appena, e i suoi occhi malinconici esprimevano tutta la gioia del mondo.

No, non era stato quello, il problema. Forse erano una serie di pensieri, situazioni, vite precedenti ad essere il problema, il marcio che le ardeva in fondo allo stomaco e contaminava tutto il resto. Il respiro della sua mente era viziato, il cuore batteva a un ritmo scarno, senza passione, senza volontà.

Aveva visto due volte il “Titanic”. L’aveva tanto colpita la scena della distruzione della nave almeno quanto l’aveva fatta ridere il rapporto venutosi a creare tra i due protagonisti. Lei credeva nell’amore, ma in un amore diverso da quello che ostentavano tanto solennemente in due ore e mezza di pellicola. E adesso, aspettava che quell’amore in cui tanto credeva passasse a prenderla con il suo motorino, i suoi capelli scompigliati, il suo sorriso riluttante. Lo aspettava contemplando la propria immagine riflessa nello specchio, gli occhi grandi, l’espressione imbronciata, la curva morbida del mento, la gola snella, le labbra imbronciate e lievemente pitturate di rosso.

Era tutto ciò che poteva offrirgli.

 


Non era stata una cattiva serata. Avevano mangiato una pizza, bevuto un po’ di birra, e d’improvviso lui aveva cominciato a sorriderle emozionandola come un mattino d’inverno senza più nuvole. Lui, cui in realtà non importava nulla di lei.

E la poveretta, si era conciata così bene per lui, assicurandosi che il vestito stringesse bene sui seni fragili, che lui la osservasse mentre contemplava il proprio bicchiere pieno, con un’aria assorta e misteriosa al contempo, si era assicurata di avere i denti puliti dopo aver mangiato, che le ciglia fossero ben arcuate e che i capelli scendessero morbidi sulle spalle e le coprissero metà schiena.

E lui?

A lui non importava niente. Niente.

Lei non chiedeva qualcosa simile a ciò che aveva visto nel “Titanic”. L’avevano tanto fatta ridere, Jack e Rose, che le pareva davvero improbabile desiderare un amore simile, una distruzione insieme, abbracciati nel proprio buio.

Lei desiderava solo che lui colmasse il vuoto e l’assenza che aveva dentro, e che ogni giorno si allargava e la mangiava senza guardarla, senza toccarla, senza chiederle il permesso.

 


Non avrebbe pianto.

Non davanti a lui.

 


Avrebbe tentato, però.

Avrebbe giocato l’ultima carta.

 


Lui non avrebbe dovuto fare niente. Era impeccabile, con i capelli spettinati e il maglione grigio chiaro, brillo per quella birra, sorridente. Non l’aveva toccata, non aveva provato a baciarla, non le aveva detto parole scortesi.


Avrebbe dovuto approfittarne, far di lei ciò che voleva. Fare l’amore con lei fino a consumarla, fino a non lasciare più niente di lei a quel mondo di schifo, a quella fottuta gente egoista.

Ma lui faceva parte di quella schiera di eletti.

O più semplicemente, non gl’importava nulla di lei e l’aveva usata solo per trascorrere una bella serata.

 


Era un insensibile, più semplicemente.

Ma non aveva colpa.

 


“Allora dove la porto, signorina?” Scherzoso.

Scherzoso, nulla più.

Eppure lei l’aveva scrutato con i suoi occhi luminosi.

“Su una stella.” Rispose con convinzione, con un lieve sorriso sulle labbra.

Sorrise anche lui al sentire una simile assurdità. La solita ragazzina romantica, pensò divertito.

“Questo non è proprio possibile.” Le tese il casco con gentilezza. “Avanti, sali.”

Silenzio.

“Beh, allora portami a casa.” Asciutta, dura.

Stronzo. Finisce sempre così.

 


Amore mio, imparerai che nella realtà il principe è bello

Ma è uno stronzo

La principessa può anche essere bella, ma non sarà sempre il suo apparire a salvarla dalla solitudine

Il principe, nella realtà

Ha un’altra

Che non è la strega cattiva, Biancaneve o Cenerentola

Ma una misera sciacquetta tra le tante

Con la quale però è in crisi

E ha preferito te, per una sera

Ringrazia, amore mio, di non esserti data a lui questa notte

Perché lui non ti amerà domattina

Non ti penserà

Non ti guarderà.

 


Quando scese dalla moto e gli tese il casco, sentì le lacrime scivolarle lungo il viso. Era una cosa che odiava, piangere davanti agli altri senza un singhiozzo, un sospiro lieve. Semplicemente, rilassava i muscoli facciali e lasciava che tutto ciò che provava corresse giù per la pelle arrossata a causa di una generosa mano che l’aveva poderosamente strofinata.

Pensò con tristezza alla propria pelle così costretta ad arrossarsi. Pensò con tristezza alle belle scarpe, al bel vestito, a quel vuoto che non era stato colmato.

Lui, dal canto suo, rideva.

“Non è che adesso ti tagli le vene, eh?”

 


Forse era stato lui il problema. Questo, il giovanotto col maglione grigio e il motorino non l’avrebbe saputo mai.

Sta di fatto che la ritrovarono in un lago di sangue, con ancora indosso il vestito e le scarpe della sera prima, e la pelle ormai completamente bianca.

Aveva lasciato scritto con mano tremante su un bigliettino macchiato, ritrovato accanto ai suoi piedini freddi:

 


Era una sfida? Chissà.

Beh, non mi sono tagliata le vene per te. L’ho fatto semplicemente perché mi sono rotta di vivere in questa pelle, in questo senso. Non m’importa di te. Non mi è mai importato.

Solo… la prossima ragazza che fai sedere dietro di te su quella moto, portala davvero su una stella, stronzo.

  
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