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Autore: _Mary    07/12/2009    5 recensioni
La Signora Grassa è il ritratto-custode della torre di Grifondoro. Cosa avrà da raccontare a Demelza Robins, l'inviata de 'Il Cavillo' che la deve intervistare?
~ Storia che ha partecipato a 'The Biography Contest', indetto da willHole, Zalk909192 e ottantanove
Genere: Generale, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Puzzle'
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DISCLAIMER: I personaggi di questa FanFiction appartengono a JK Rowling, che ne detiene i diritti. La storia non ha scopo di lucro.

 

Intervista alla Signora Grassa

Capitolo uno

Prova… Demelza Robins, inviata speciale de “Il Cavillo”, intervista alla Signora Grassa…

Sorrisi soddisfatta. La Penna Prendiappunti era partita e mi avrebbe evitato di scrivere a mano.

“Cominci male, ragazza.”

La voce stizzita dell’occupante del quadro di fronte al quale ero seduta mi fece alzare gli occhi dal blocco degli appunti. La Signora Grassa sedeva su un’elegante poltrona, impettita, uno sguardo fiero negli occhi castani.

“Ti piacerebbe se ti chiamassero ‘Demelza Grassa’? Immagino di no, quindi non tollero che tu lo faccia.”

La signora Grassa si rassettò le pieghe della sua lunga gonna rosa, con aria dignitosamente offesa.

“Emh… mi scusi… non sapevo che…”

Mi bloccai. A quanto ne sapevo, generazioni di studenti l’avevano chiamata ‘Signora Grassa’.

Come se mi avesse letto nel pensiero, l’intervistata aggiunse:

“E’ naturale che a qualche invidioso venga in mente di affibbiare ridicoli nomignoli! Ciò non toglie che sarebbe carino non offendere le persone a cui sono stati dati!”

 “Allora… La chiamerò solo Signora, va bene?” chiesi, esitante. L’ultima cosa che volevo era avere a che fare con un quadro offeso.

La Signora Grassa (la Penna Prendiappunti scrisse soltanto ‘la Signora’) annuì, un po’ più calma.

“Come Le ho spiegato, sono qui perché noi della redazione de ‘Il Cavillo’ abbiamo pensato che Lei sarebbe il nostro testimone ideale per la rubrica ‘Testimoni’. Sappiamo che avrebbe molte cose da raccontare sulla Sua esistenza, e vorremmo chiederLe di parlacene” dissi, ripetendo parola per parola quello che avevo scritto nella lettera in cui annunciavo la mia intervista.

La Signora Grassa agitò la piccola mano con aria elegante.

“Ma certo, ricordo benissimo perché sei qui, ragazza mia. Piuttosto, smettila di darmi del lei, mi ricordo perfettamente di te, dalla tua prima sera al tuo esame M.A.G.O….  Non c’è bisogno che usi queste gentilezze…”

Le sorrisi, e mi preparai a rivolgerle la prima domanda.

“Bene, Signora” la penna si preparò a scrivere.

“Dunque, per cominciare, vorrei sapere di quando è stata… sei stata dipinta. In che epoca, almeno” dissi, correggendo il lei nella mia domanda.

Sono sicura che i ritratti non arrossiscano, ma in quel momento la Signora mi sembrò molto a disagio.  Si agitò sulla poltrona spostando lo sguardo qua e là, come cercando una via di fuga, ma dopo qualche istante si ricompose e mi lanciò un’occhiata offesa.

“Stai chiedendo a una signora la sua età, Demelza? Non sai che è maleducazione? E, oh!, non oso pensare come tutti sparlerebbero di me se si scoprisse quanti anni ho! Oh, santo cielo!” gemette, teatrale.

La Signora afferrò bruscamente un ventaglio che era posato su un mobile accanto a lei, e cominciò a farsi aria ostentatamente.

“Non posso assolutamente rispondere a questa domanda, mia cara! Tu chiedi a una signora la sua età, che maleducazione!” ripeté, sventolandosi sempre più freneticamente.

“L’avevo avvisata che durante l’intervista avrei chiesto di tutta la Sua vita…” le ricordai.

La Signora sembrava sulle spine. Era evidente che non vedeva l’ora di parlare un po’ di sé, ma a quanto pareva era restia a svelare dettagli di quel tipo.

“Stia tranquilla, cercherò di essere più vaga possibile riguardo questo particolare nel mio articolo…” le dissi, cercando di rassicurarla.

“Oh, in tal caso…”

La Signora smise di sventolarsi, decisamente più tranquilla. Posò nuovamente il ventaglio sul mobile, e fece per aggiustarsi una ciocca di capelli… per poi ricordarsi che non ne aveva bisogno, dato che era un ritratto e, come tale, non era mai spettinata. Poi, notando solo in quel momento il modo in cui mi ero rivolta a lei, mi lanciò un’occhiata di rimprovero.

“Ti ho già detto di non darmi del lei, Demelza” mi disse.

Io alzai le spalle. Era più forte di me dare del lei alle persone che intervistavo, non potevo farci niente.

“Come puoi immaginare, non sono sempre stata in questo castello” cominciò, facendomi ben capire che stava facendo un enorme sforzo rivelandomi la sua età.

“Sono stata dipinta per essere esposta in un salotto, nel…”

Si bloccò, lanciandomi un’occhiata indagatrice.

“Hai detto che sorvolerai su questo particolare” mi ricordò.

Le sorrisi. Non avevo detto proprio quello, ma supponevo che la sua età precisa non avesse molta importanza ai fini dell’intervista. Dopotutto, mi interessavano principalmente i suoi anni a Hogwarts.

“In tal caso… Sono stata dipinta intornoallametàdellOttocento” disse, così velocemente che dovetti chiederle di ripetere.

“Ho detto intorno alla metà dell’ Ottocento” ripeté, sibilando scocciata.

“Non so neanche come si chiamasse l’artista, ma ricordo che i miei proprietari, i signori Paciock, furono davvero soddisfatti dell’opera” disse, guardando irritata una piega stropicciata della sua gonna.

“Era esposta nel salotto della famiglia di Neville?” chiesi, stupita. Ricordavo quel ragazzo impacciato che, a quanto ne sapevo, dopo la scuola aveva preso il posto di insegnante di Erbologia.

“Oh sì, mia cara. E non darmi del lei, santo cielo, mi fai sentire vecchia! Dicevo… Ah, sì, ero appesa proprio sopra il camino, e il signor Paciock di allora, il signor Arthur Paciock per l’esattezza, si complimentò con l’artista. Credo che il ragazzo avesse voluto raffigurare la nonna del signor Arthur… ma non so molto di lei, tranne che il nipote le era davvero affezionato. Infatti, fece sempre in modo che io, in qualità di suo ricordo, restassi in buono stato, e mi espose nientemeno che in salotto. Sai, cara, ne ero l’unica occupante” mi disse, orgogliosa.

La Signora si accomodò meglio sulla poltrona. Dopo le reticenze iniziali era partita a ruota libera.

“E non è poco ricevere certe attenzioni, sai? Oh sì, in quel periodo venni trattata proprio bene. Mi ricordo che la mia cornice veniva regolarmente lucidata, e mi si portava molto rispetto… Non come qui, dove tutti mi chiamano ‘Signora Grassa’” disse, stizzita.

“Del resto, quando si ha a che fare con ragazzini viziati… Comunque, stavo dicendo che ero esposta nel salotto. Bene, per i primi tempi rimasi lì, ma a parte spiar… cioè, partecipare agli eventi della famiglia che si svolgevano in quella stanza” si corresse frettolosamente “non c’era molto altro da fare. Così, dopo circa un mese, scoprii che potevo far visita agli altri quadri presenti nella casa. Oh cielo, mia cara, sai come lo scoprii? Non puoi immaginare lo spavento che provai vedendo che un brutto ceffo era apparso dal nulla nel mio spazio, porgendomi i suoi omaggi! Mio Dio, non lo dimenticherò mai! Dicevo…” continuò, l’orrore simulato poco prima completamente svanito “da quel momento seppi che potevo far visita agli altri ritratti, e cominciai a girare per il palazzo. Forse non lo sai, ma molti sono stati trasferiti qui a Hogwarts.

Il palazzo in cui i signori Paciock abitavano era davvero enorme, mia cara, non posso neanche descrivertelo. Naturalmente non era come Hogwarts, sia chiaro, ma era una gran bella casa, piena di ritratti di altre epoche” mi disse, agitando il ventaglio.

“Ti dicevo che giravo per il palazzo… molto presto cominciarono a rispettarmi tutti. Divenni ‘la Signora’, e feci ottime conoscenze: il Visconte a Cavallo, la Strega Saggia, il Mago Barbuto… Fondammo anche un circolo: il Circolo dei Ritratti Signorili. Ci riunivamo ogni giovedì alle cinque per parlare e giocare a carte… Una vera delizia. Oh, naturalmente, del Circolo non faceva parte il Conte Decapitato!” disse, con aria offesa al solo ricordo.

“Mi parli di lui” la invitai. La mia penna si muoveva frenetica da una parte all’altra del foglio… in effetti, la Signora (o Signora Grassa, come dir si voglia) non aveva smesso di cicalare un secondo!

“Oh mia cara, era un individuo senza cuore! Noi del circolo lo chiamavamo in quel modo perché, nonostante avesse la testa saldamente attaccata al collo, al vero conte non era andata altrettanto bene…  Dicevo, ricordo con chiarezza che un giorno stavo passando attraverso il suo ritratto (stavo andando a prendere il tè delle cinque da Bessie la Bisbetica), circa cinque anni dopo il mio arrivo a casa Paciock… quando quel villano mi bloccò con la sua spada”  mimò il gesto del suo aggressore brandendo il grosso ventaglio e puntandomelo contro “dicendomi che non avrebbe tollerato una nuova intrusione nel ‘suo territorio’ (sì, perché come ti ho già spiegato, giravo spesso per il castello), e giunse persino ad insultarmi, quel mascalzone! Mi chiamò…”

Ma a queste parole la mia interlocutrice si bloccò, fissando il vuoto. Di nuovo, dovetti ricordarmi che i ritratti non arrossiscono, perché mi sembrò che la Signora Grassa avesse assunto una decisa sfumatura rosso pomodoro.

“Sì?” le dissi, sperando di non sembrarle troppo poco delicata.

Vecchia gallina” borbottò, senza guardarmi in faccia.

Dovetti trattenere un ghigno all’idea dell’espressione che quella raffinata signora potesse aver rivolto al suo aggressore!

Temetti di aver urtato la sensibilità della mia interlocutrice, ma quella non sembrò accorgersi di niente. Poi, all’improvvisò, sollevò nuovamente la testa lanciandomi un’occhiata ostile.

“Non lo scriverai sul tuo giornale, non è vero?” mi chiese, con fare vagamente minaccioso, mentre faceva sbattere il suo ventaglio contro il mobile.

“Penso che non sia importante, se questo… emh… incontro non ha avuto conseguenze” le risposi, sempre trattenendomi dal ridacchiare.

Lei parve rifletterci un po’ sopra, prima di aggiungere:

“Beh, una conseguenza l’ha avuta. Fu in quel momento che conobbi Vi.”

 “Vi … sarebbe Violet? La strega avvizzita ritratta nella Sala dei Trofei?” chiesi, ricordandomi della strega vestita di nero che avevo visto tante volte spettegolare animatamente insieme alla Signora Grassa.

“Proprio lei” confermò la Signora, annuendo.

“Era esposta nell’ingresso, e, a quanto ne so, era lì da un bel pezzo” disse. Non potei non notare una certa soddisfazione nel suo tono di voce, forse perché mi aveva chiaramente fatto capire che, come ritratto, non era poi tanto vecchia.

“Anche lei si stava recando al tè di Bessie, e prese le mie difese contro quel bruto. Non ci crederai, ma lo mise a tacere! In seguito, ovviamente, divenimmo inseparabili” mi spiegò, accomodandosi meglio sulla poltrona.

Annuii. Non mi era difficile immaginare quella coppia così strana che si aggirava per il vecchio palazzo dei Paciock: una strega grassa infilata in un vestito rosa accompagnata dalla magrissima e cadente Violet.

“Fu circa quattro anni dopo quell’episodio che avvenne il furto” continuò l’intervistata, rabbuiandosi.

“Il furto?” le chiesi, sinceramente curiosa: non mi aspettavo proprio che la vita di quella signora pettegola potesse assumere una sfumatura di giallo e di mistero.

“Proprio così, mia cara. Ci fu un furto, e il prosciutto raffigurato nel quadro della Cuoca in cucina non venne mai ritrovato” mi disse, con aria misteriosa.

Le mie idee confuse su un intrigo grandioso si sgonfiarono tutte insieme: c’era stato il furto di un prosciutto raffigurato in un quadro, nient’altro.

“Io e Vi ci incaricammo delle indagini” continuò, orgogliosa.

Non riuscii a trattenere un’occhiata incredula: non ce le vedevo proprio lei e ‘Vi’ nei panni di detective.

“Oh, sì, mia cara, e ci divertimmo un mondo ad interrogare tutti quanti. Ma, sfortunatamente, non riuscimmo ad incastrare il colpevole. Anche se io nutro tutt’ora dei sospetti sul Naufrago Affamato… Sai, mia cara, i furti tra noi ritratti non sono così rari: a lungo andare, la vita di quadri annoia. Naturalmente, cercavamo sempre di non far sapere niente ai nostri proprietari: mio Dio, quale disonore se si fosse saputo che un ritratto di casa Paciock era stato sorpreso a rubare! Se avveniva qualcosa del genere, io e Vi eravamo subito sulla scena del reato: il Giudice Linus e la Guardia Severa, che prima del nostro arrivo si erano sempre occupati delle indagini, non sembravano mai felici di vederci lì… chissà come mai” rifletté.

A me non sembrava molto difficile immaginare il motivo: l’entrata in scena di due pettegole come la Signora Grassa e Violet quando si cercava di salvaguardare l’onore dei Paciock non poteva certo essere accolta con benevolenza.

 “Potrei sapere qualcosa di più sul tempo che passò a casa Paciock?” le chiesi, dato che la Signora sembrava persa nei propri pensieri.

L’intervistata sussultò, poi si schiarì la voce.

“Beh, per altri dieci anni, io e Vi continuammo a occuparci di furti e sparizioni. I nostri proprietari erano molto contenti della cosa (quando se ne accorgevano ovviamente) perché, se riuscivamo a trovare l’oggetto scomparso, potevano evitarsi di restaurare i quadri, e quindi non spendevano Galeoni. Beh, i colpevoli dei furti erano davvero furbi, e io e Vi non riuscimmo a trovare la refurtiva che in un paio di occasioni. Ma, ad un certo punto, il Giudice Linus intervenne e ci impedì di continuare ad occuparci delle indagini, ci credi? Oh, che persona meschina! Suppongo che sia avvenuto perché io e Vi avevamo sospettato di lui per il furto del pettine della Giovane Vanitosa… che uomo prepotente!” esclamò teatralmente.

Io pensavo che fosse più probabile che, dopo tanti anni passati a sopportare le due eccentriche signore, il povero Giudice si fosse stufato della loro interferenza nelle indagini, ma non dissi niente.

La Signora Grassa tacque, cercando di ricordare altri eventi significativi della suo passato soggiorno a casa Paciock.

“Non accadde molto altro nei trent’anni successivi…” disse, dopo aver riflettuto per un po’.

“Nei trent’anni successivi? Ma in trent’anni possono avvenire un’infinità di cose!” le dissi, sorpresa. Come faceva a saltare una parte così lunga della sua esistenza?!

Mi lanciò uno sguardo che non mi piacque per niente: sembrava compatirmi.

“Mia cara, cosa credi che possa raccontarti? Se non l’hai notato, ho già raccontato in due parole vent’anni della mia esistenza… Secondo te, cosa possono fare decine di ritratti rinchiusi in una casa signorile?” mi disse, con aria di superiorità.

Dato che non rispondevo, assunse un’aria scocciata.

“Pensaci: eravamo tutti elegantemente vestiti, non potevamo certo andare a giocare a Quidditch, non credi? Tutti i ritratti di casa Paciock rappresentavano signori, dame d’altri tempi… e, fortunatamente, non mancavano i quadri in cui erano raffigurate sale da ballo. Quindi, quasi ogni sera, andavamo a ballare” concluse.

“No, aspetti… per  i successivi trent’anni della Sua vita non ha fatto altro che ballare?” chiesi, incredula: come aveva potuto sopravvivere in una noia simile?

“E giocare a carte, durante le riunioni del circolo” puntualizzò, annuendo energicamente.

“Entrambe occupazioni signorili, non trovi? Del resto, in quei ritratti era raffigurata la créme della società magica inglese da tempi antichissimi… cosa ti aspettavi che facessimo, ragazza mia?”

Ero scioccata. Ringraziai il Cielo di non essere nata ritratto: non avrei potuto sopportare cinquant’anni  complessivi di ‘occupazioni signorili’. Era evidente, però, che la Signora Grassa non la pensasse come me.

“Mia cara, non hai idea di che anni furono! Conducevo la vita di società a quell’epoca, e devo dire che, anche se era stato privato a noi signore il piacere di andare a fare compere in qualche boutique (purtroppo, non erano state dipinte da nessuna parte), non mi annoiai mai!” disse, giuliva.

“Oh, dimenticavo: fu durante uno di quegli anni che conobbi il Giovane Tobias” mi disse, pettegola.

 “Il… Giovane Tobias?” chiesi, cercando di ricordare un quadro di Hogwarts con questo nome: dopotutto, la Signora aveva detto che molti ritratti erano stati trasferiti nella scuola.

“Non mi sembra di averne mai sentito parlare qui a Hogwarts.”

“Oh, cara, certo che no! E’ rimasto a casa Paciock. Sai, è un ragazzo davvero gentile, e suppongo che stia molto a cuore ai suoi attuali proprietari. Con questo non voglio dire che fui mandata via perché i Paciock non tenevano a me, sia chiaro!” disse, scioccata di fronte alla possibilità che mi facessi un’idea del genere su di lei.

“Ero il loro quadro più bello. Ma stavo dicendo, il giovane Tobias era così ingenuo… Era un cacciatore: aveva i capelli biondi e gli occhi castani, e portava sempre con sé un arco con le frecce. Era davvero simpatico, e in breve tempo tra noi sbocciò un’intensa amicizia… a tal punto che, dopo un po’, giunse a chiedermi di sposarlo!” trillò, sperando evidentemente di impressionarmi.

Le lanciai un’occhiata scettica: non ce lo vedevo proprio un giovane affascinante e gentile che faceva la corte alla Signora Grassa.

Probabilmente la Signora si sarebbe aspettata un’altra reazione da parte mia, perché, indignata, mi disse:

“Cosa c’è, non lo credi? Beh, signorina, tra i ritratti avviene spesso che qualcuno giovane e affascinante si innamori di una più… ecco, diversa da lui. L’età che dimostriamo non è quella effettiva, quindi noi ritratti siamo in genere molto più sensibili di altri umani alla bellezza interiore! E se non ci credi è un problema tuo!” strillò, ferita nell’orgoglio.

Capii di essere stata poco delicata, e di aver ferito l’amor proprio di quella signora d’altri tempi.

“Non volevo dire questo! Cioè, non era il Suo aspetto esteriore che…” cercai di scusarmi. In effetti, non era stato tanto il ‘fattore età’ a preoccuparmi, ma piuttosto il ‘fattore carattere’: non capivo proprio come il Giovane Tobias, impavido, simpatico, attraente e, speravo, intelligente potesse essersi invaghito di quella pettegola.

La Signora sembrò non avermi sentita, perché continuò imperterrita.

“Sissignora, Tobias si innamorò di me… naturalmente, gli spiegai che stava facendo una sciocchezza, e decidemmo di lasciar crescere il nostro amore l’uno lontano dall’altra.”

La lasciai parlare, sperando di poter concludere al più presto quella improbabile parentesi rosa.

La Signora posò il suo nobile sguardo su di me.

“Vedo che non fai più la superiore, signorina” disse acida.

“E… ricorda altro del tuo soggiorno a casa Paciock?” chiesi, decisa a proseguire.

Lei sembrò non gradire la mia mancanza di attenzione alle sue pene d’amore, ma proseguì.

“Piccola scettica, io mi ricordo tutta la mia vita. Mi ricordo persino che avevi una cotta per il famoso Harry Potter al suo sesto anno, sai?” chiese, con un ghigno.

Avvampai. In effetti, ai miei tempi mi ero presa una bella cotta per Harry Potter, ma era davvero ignobile che la Signora Grassa usasse quell’argomento per ricattarmi: erano passati anni!

“Non so di cosa stia parlando” le risposi, con finta indifferenza.

“Oh, mia cara” notai che dagli appellativi ‘piccola scettica’, ‘signorina’ e simili era tornata al vezzeggiativo “io lo so perfettamente, invece!” disse, con un sorriso di soddisfazione sul volto rotondo.

“Stavamo parlando di casa Paciock” tagliai corto.

“Non accadde niente che potrebbe interessarti, frivola come sei” mi disse, acida.

Ah, io ero frivola?

“A parte balli e feste, non accadde nient’altro degno di nota. I signori Paciock, come ti ho già detto, tenevano molto a me, e quando quel moccioso di Jason Paciock decise che sarebbe stato molto divertente schizzarmi addosso un secchio di vernice blu” la Signora fremette di indignazione al ricordo “i miei proprietari mi fecero persino restaurare. Sono stati dei begli anni.”

Attesi che continuasse, ma la Signora Grassa aveva smesso di badare a me per guardare un punto imprecisato sopra la mia testa con aria sognante.

“Ma… se tutto andava così bene, perché non è rimasta con loro?” chiesi, curiosa.

La Signora, distolta bruscamente dai propri pensieri, sospirò.

“Fu a causa di Rosalie Paciock. Era una ragazzina impacciata e distratta come il suo pro-pro-pronipote, Neville” disse, con una sfumatura di rabbia a stento repressa nella voce.

“Piccola stupida! Non era capace neanche di far stare in piedi il suo calderone, come si suol dire. Così, i genitori pensarono che offrirmi in dono alla sua scuola l’avrebbe di certo aiutata a non essere bocciata in tutte le materie” spiegò amaramente.

“Accadde più o meno quando avevo cinquant’anni… quindi, agli inizi del Novecento, quando il mio primo proprietario, Arthur Paciock, se ne era già andato da un pezzo” aggiunse.

Annuii comprensiva.

“Quindi, fu trasferita…”

“A Hogwarts, mia cara. A Hogwarts.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera!

Posto questa fanfic a questa tarda ora, sperando che ci sia qualcuno disposto a leggerla!

Nel secondo ed ultimo capitolo posterò i giudizi di willHole e ottantanove, i giudici del 'The Biography Contest'.

Una recensione mi renderebbe molto felice - anche se dovesse dirmi che avrei fatto meglio a darmi all'ippica, piuttosto che scrivere una cosa del genere.

A presto!

   
 
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