Premessa
Di nuovo, come già in Pirro
e Corpi di Polinice, sono riportate
di seguito due versioni: la prima è quella in lingua originale, con doverose
note linguistiche in calce, mentre la seconda presenta il testo quasi
interamente tradotto, salvo alcune particolari espressioni idiomatiche che si è
ritenuto preferibile mantenere.
La necessità della seconda è qui quasi fondamentale,
rispetto alle due fan fiction precedenti. Soprattutto per la presenza di un
idioma, il tibetano, di (quasi) impossibile lettura naturale e immediata.
La traduzione (se
vogliamo. Ma forse bisognerebbe pensarci un po’, a cosa vuol dire tradurre. Se esiste davvero una traduzione possibile) è, di conseguenza, fondamentale
per capire le battute e i dialoghi. Tuttavia, pur con la consapevolezza dello
scoglio linguistico, ho deciso (e non per sfoggio) di mantenere l’impianto
duplice di presentazione e la versione in
lingua.
Motivo? Il filo di fondo che collega tutte queste Variazioni,
di cui Odisseo (sono tornata anche al
titolo singolo; occhieggiando a Pirro) costituisce la terza espressione.
L’incomunicabilità: che qui,
paradossalmente, è quasi rovesciata e ridotta al lumicino. Pur esprimendosi in
due lingua diverse (profondamente
diverse) Mur e Kanon si capiscono. Riescono a capirsi. Il messaggio, i giochi
di significato sottesi alle parole, passa
nonostante i due idiomi. E da parte di entrambi c’è la volontà di capirsi, di
aprirsi, se vogliamo, ad una sorta di dialogo.
Perché Mur e Kanon. Non sono un accostamento tradizionale. Però. Però sono persuasa
che abbiano, in fondo, compiuto un cammino simile: quello, appunto, di Odisseo. E Kanon, più grande, più tormentato, in un certo senso, se ne
accorge e lo fa presente al compagno, con una leggerezza che nasconde tanta
malinconia e rimpianti. In fondo, entrambi, sono partiti da un punto (Atene. Ma
non la città, non il tempio. Atene con tutto quello che rappresenta: la scelta
di vita, le certezze, le illusioni, i pericoli, le speranze, le delusioni e i
tradimenti) per tornare, cambiati, mutati, consapevoli,
al medesimo punto. Mur si autoesilia alla morte di Micene; Kanon è esiliato
alla morte di Micene. Entrambi ricercano un loro equilibrio, in seguito a
quell’avvenimento. Sbagliano, tentennato, si intestardiscono. Entrambi viaggiano; e anche se sono convinti
delle loro azioni, anche se sono persuasi della correttezza delle loro scelte, soffrono. E alla fine, mutati, ma in
fondo ancora uguali a se stessi, alla loro necessità di un equilibrio, di un
posto, tornano.
Da qui, il titolo (oltre al significato sotteso, certo. Al
gioco di rimandi su cui la fan fiction poggia): Odisseo. Certo, è l’eroe del viaggio, la figura della
peregrinazione continua alla ricerca di qualcosa. Ma il nome Odisseo deriva dal verbo greco odyssomai, e significa colui che soffre. A questo punto, è
chiaro il duplice significato.
Di nuovo, infine, ribadisco qui, personalmente, sono
convinta della ricchezza e bellezza della nostra lingua italiana, e che per
prima rifuggo la citazione linguistica fine a se stessa, per puro scopo di
erudizione o (peggio) di ostentazione.
[#3 Variazione]
ODISSEO
Portandoti dietro te
stesso hai finito col
viaggiare proprio con
quell'individuo dal quale volevi fuggire.
(Socrate, in Platone)
“Conosci Odisseo?”
“Bu chig?”
“O aner”
“Nga shes-gi-yö”. Il khata (elegante) scivola lungo il braccio. Kanon ha le mani (irriverenti) dietro la testa e gli occhi
(rilassati?) indugiano. “Ke-chen-po re-pe?
“Nai”. Il meltemi sbuffa; troppa ginestra e sale.
“Sai cos’ha fatto?”
“Nga-tso
ta-kor che pa-re”. Mur sorride – insicuro;
la mano sfiora la piega della shuba e
stringe sgrana il trengwa. Distratto. E Kanon increspa un sorriso e
respira la notte limpida. Mur è inquieto.
Mur è molto inquieto. Sun emoi.
E aspetta; e quando Mur aspetta così – Kanon lo ricorda – significa zhed snang. Perché Mur detesta non comprendere; e – Kanon lo sa – adesso non riesce a capire.
“Dikaion”. L’emeria ha un buon sapore. “ Ma è anche tornato”
“Dhri-gi-re”. La spalle (incerte) si stringono; e Kanon gusta (con l’elettricità e il caldo) gli
occhi – aperti – indugiare scivolare nelle ombre (irriverenti). “Nga-tso tshur log pa pa-re. Tang yang?
Nga-tso dhro-ua pa-re”
“Mi piace”
“Olysseo?”
“Ochì”. Kanon sorride; e la
testa va su e giù. “Mur”. Si ferma; l’indice picchietta – divertito – un gradino. “Ma è la stessa cosa”
Mur stinge preme le labbra. C’è qualcosa.
Qualcosa che vuole ignorare. Perché
Kanon lo guarda; ed è serio. Anche se
i gradini sono scomodi e duri; anche con la clamide
gonfia e una mano irriverente nei
capelli. Kanon è serio shi-tha.
“Ka-re se-na?”
Kanon alza le spalle; gli occhi che ammiccano e quel sorriso serio (maledetto). “Non è difficile”.
“Kanon”
Kanon si alza. Una conchiglia nella mano (tranquilla) e la curiosità –
forte (fa male) – di scoprire. Perché Mur deve comprendere; perché deve realizzare,
“Olysseo”. Mur esita; la mano
scivola sulla lana grezza. “Ha-ko song”
La testa (consapevole) scrolla
un cenno.
“Nga myed pa pa-re”. La
voce (era sicura) sussurra e trema. “Nga nye pa-re”
“Ara?”
Kanon aspetta. “Ara, Mur?”. Nel
silenzio (ispirato) le braccia
tendono e invitano e la voce sorridente
è un sussurro. “Ara? Ara Mur?”
“Nga rang rang” Mur
sfiora il trengwa al polso (un ricordo). “Epanerchomai”
Il viaggio perfetto è circolare. La gioia
della partenza; la gioia del ritorni.
(Dino Basili)
Note linguistiche
- Bu chig?: l’uomo?
- O aner: l’eroe.
- Nga shes-gi-yö: lo
conosco.
- Ke-chen-po re-pe?: è importante
- Nai: sì.
- Nga-tso
ta-kor che pa-re: ha viaggiato, nel senso di chi continua a
spostarsi.
- Sun
emoi: con me.
- Zhed snang: timore.
- Dikaion: giusto,
letteralmente, è giusto.
- Emeria: tranquillità.
- Dhri-gi-re: va bene.
- Nga-tso tshur log pa
pa-re. Tang yang? Nga-tso dhro-ua
pa-re: lui è tornato, senza sfumatura definitiva. E allora?
Era andato [via], con, al contrario del verbo precedente, una nota di
assolutezza.
- Ka-re se-na?: perché?
- Shi-ta: molto in tibetano, e
grammaticalmente va posposto all’aggettivo cui si riferisce.
- Ha-ko song: ho compreso.
- Nga myed pa pa-re : ho
riconosciuto.
- Nga nye pa-re: ho ritrovato.
- Ara: cosa, cioè come esclamazione
interrogativa generica.
- Nga rang rang: me stesso.
- Epanerchomai: sono tornato,
nel senso andare di nuovo,
ovvero di voltarsi e tornare
indietro. In greco antico, questo verbo era sovente utilizzato in un
contesto che necessitasse di esprimere un reinserimento negli schemi, una ricollocazione
Note etnologiche
- Odisseo,
o Olysseo secondo la variante eolica più antica e diffusa in tutto il
bacino mediterraneo, è il famoso eroe protagonista del poema epico Odissea. La storia è nota: dopo
aver partecipato con l’esercito acheo all’assedio di Ilio durato dieci
anni, si vede sottrarre per ulteriori dieci anni il ritorno nell’amata
Itaca a causa dell’ira di Posidone da lui offeso. In sintesi, il mito di
Odisseo è la fiaba dell’eroe viaggiatore che conosce e fa nuove
esperienze, acquistando conoscenza da queste e dal dolore sopportato.
- La
khata è la tipica sciarpa
cerimoniale di seta utilizzata in Tibet anche come dono e simboleggia la
purezza, la buona volontà, la compassione e il buon augurio. Solitamente è
di colore bianco, ad indicare la purezza del donatore, ma non è raro
trovarne anche in altri colori, soprattutto il giallo oro.
- Il
meltemi è il nome del tipico
vento greco, caldo e saturo di elettricità, che per tutta la stagione
estiva soffia dal mare sulle isole e sulla terraferma, almeno nelle zone
più vicine alle coste come Atene.
- La
shuba è la veste tradizionale
tibetana, con maniche lunghe quasi fino a terra. Solitamente di lana di
pecore, ma anche di cotone e altre fibre naturali e tinta di rosso, viene
fermata in vita da una cintura e arrotolata in modo tale da non toccare
terra e da formare una grande tasca sul petto, in cui riporre piccoli
oggetti di uso quotidiano.
- Trengwa
è il nome tibetano dell’ aksamala, il tipico rosario buddista di 108 grani
o di multipli di nove, è sovente utilizzato per dharani, mantra o altre
formule e cerimonie religiose.
SECONDA VERSIONE
“Conosci Odisseo?”
“L’uomo?”
“L’eroe”
“Lo conosco”. Il khata (elegante) scivola lungo il braccio. Kanon ha le mani (irriverenti) dietro la testa e gli occhi
(rilassati?) indugiano. “È importante?”
“Nai”. Il meltemi sbuffa; troppa ginestra e sale.
“Sai cos’ha fatto?”
“Ha viaggiato”.
Mur sorride – insicuro; la mano
sfiora la piega della shuba e stringe
sgrana il trengwa. Distratto. E Kanon increspa un sorriso e
respira la notte limpida. Mur è inquieto.
Mur è molto inquieto. Sun emoi.
E aspetta; e quando Mur aspetta così – Kanon lo ricorda – significa zhed snang. Perché Mur detesta non comprendere; e – Kanon lo sa – adesso non riesce a capire.
“Dikaion”. L’emeria ha un ha un buon sapore. “ Ma è anche tornato”
“Dhri-gi-re”. La spalle (incerte) si stringono; e Kanon gusta (con l’elettricità e il caldo) gli
occhi – aperti – indugiare scivolare nelle ombre (irriverenti). “È tornato. E allora? Era andato via”
“Mi piace”
“Olysseo?”
“Ochì”. Kanon sorride; e la
testa va su e giù. “Mur”. Si ferma; l’indice picchietta – divertito – un gradino. “Ma è la stessa cosa”
Mur stinge preme le labbra. C’è qualcosa.
Qualcosa che vuole ignorare. Perché
Kanon lo guarda; ed è serio. Anche se
i gradini sono scomodi e duri; anche con la clamide
gonfia e una mano irriverente nei
capelli. Kanon è serio shi-tha.
“Ka-re se-na?”
Kanon alza le spalle; gli occhi che ammiccano e quel sorriso serio (maledetto). “Non è difficile”.
“Kanon”
Kanon si alza. Una conchiglia nella mano (tranquilla) e la curiosità –
forte (fa male) – di scoprire. Perché Mur deve comprendere; perché deve realizzare,
“Olysseo”. Mur esita; la mano
scivola sulla lana grezza. “Ho capito”
La testa (consapevole) scrolla
un cenno.
“Ho riconosciuto”. La voce (era
sicura) sussurra e trema. “Ho ritrovato”
“Ara?”
Kanon aspetta. “Ara, Mur?”. Nel
silenzio (ispirato) le braccia
tendono e invitano e la voce sorridente
è un sussurro. “Ara? Ara Mur?”
“Me stesso” Mur sfiora
il trengwa al polso (un ricordo). “Epanerchomai”
Il viaggio perfetto è circolare. La gioia
della partenza; la gioia del ritorni.
(Dino Basili)
[Definendo]
Due storie in due giorni in due fandom diversi: un record, per me.
Ieri, la mia prima fan fiction in Detective Conan; oggi ritorno al mio vecchio primo amore: Saint Seiya. Mi ruzzolavano in testa da
un po’, queste storie; e riposavano e si riscrivevano e avanzavano e si
disfavano sullo schermo del computer. Adesso, le ho concluse.
Una specie di regalo
di Natale; soprattutto perché, in effetti, non ho idea adesso di quando
potrò ripubblicare qualcosa. Molto probabilmente, non prima di fine Febbraio.
Comunque.
Sono giunta, in modo del tutto insperato e sorprendente, per
me, alla terza Variazione. E ho concluso qualsiasi esame inerente l’ambito
greco. Di conseguenza, non dico c’erto che questi quadretti sia di necessità
destinati ad esaurirsi, tuttavia non sono sicura di un possibile slittamento d’ispirazione.
Devo confessare che mi sono divertita molto a scrivere Odisseo. Soprattutto, vista la coppia
scelta, mi sono divertita a rovesciare le parti. Insomma: di solito la persona
che comprende e mira a lasciare un
qualche insegnamento è Mur, con la sua pacatezza e la sua riflessività. E Kanon
è il personaggio tormentato, perseguitato dai sensi di colpa e dal rimorso per
eccellenza.
Ecco. Ho mescolato un po’ le carte in tavola. Kanon è sereno, ha accettato la sua condizione
di sospensione, ha realizzato
l’equilibrio precario fatto di rimorso e riscatto che gli è proprio; e
riconosce in un ragazzino (c’è una
bella differenza d’età, va ricordato: otto anni) la sua stessa situazione. E
assieme, realizza che Mur, quella situazione, quella scelta, non l’ha mai
veramente affrontata. Non si è mai realmente chiesto cosa abbia fatto. Non voglio dire che abbia agito avventatamente
(Mur avventato non riesco proprio a immaginarlo); ma è giovane, è inesperto, e in una scelta importate può non aver colto esattamente
quello che ha comportato, quello che lo ha fatto crescere. Kanon sì; anche
perché il percorso è affine.
Quando preparavo l’esame e la traduzione sull’Odissea mi sono chiesta: a chi
assomiglia, Odisseo? Kanon. L’accostamento è quasi banale. Il cavaliere che ha cambiato, che ha viaggiato. Il cavaliere che si fa beffa degli dei, che gioca con
Posidone, che ne provoca l’ira; il cavaliere astuto; il cavaliere che ritorna.
Paradossalmente, però, Kanon non mi soddisfava. Non riuscivo
a immaginare un dialogo in cui dovesse esser lui a riflettere sul suo legame
con Odisseo. Kanon ha scelto sempre con piena consapevolezza, anche
nell’errore. Quindi: chi altri può essere Odisseo? Chi se ne è andato ed è
tornato? Chi ha sofferto, questa separazione. Mur. Mur si è affacciato senza
soluzione di continuità. E il legame e le implicazioni razionali (seguite dopo,
per una volta) sono ormai chiare.
Infine, di seguito, sono presenti i
ringraziamenti a quanti hanno commentato Pirro,
ma esprimo la mia gratitudine anche a chi ha semplicemente letto.
Gufo_Tave: ti ringrazio molto per le tue
parole. In effetti, l’aspetto delle due versioni è qualcosa su cui mi hanno
spinto a riflettere e che ho ponderato molto. E, come dici tu, purtroppo, non
sono ancora riuscita a trovare un’alternativa per superare lo scoglio
linguistico (e questa volta è davvero grande. Non tutti conosco il greco;
figuriamoci il tibetano^^).
Per quanto concerne Saori. Sono pienamente d’accordo con te:
Saori e Atena sono la medesima sostanza, sono integrate, fuse l’una all’altra,
esistono l’una in funzione dell’altra. Dicendo che è la donna a parlare, e non
la dea, non volevo mettere in discussione questa realtà, ma sottolineare che le
considerazioni prodotte sono frutto dell’apporto emotivo di Saori come entità reale del XX secolo. La dea ha in sé una
carica atemporale; Saori vi integra la sua percezione moderna del mondo, il suo approccio alla quotidianità umana che
Atena, per quanto favorevole agli uomini, per quanto abbia condiviso la propria
essenza con le sue reincarnazioni, non può conoscere per il semplice essere
dea. Non è assolutamente la verità; solo il mio personale modo di intendere la reincarnazione di Atena. Opinabilissimo.
Assolutamente.
Iomy: per prima cosa, grazie. Per aver
recensito. E poi sì, io sono anche la scribacchina di Arms. Di battaglie e di memorie (che concluderò, a puro titolo
informativo. Presto o tardi concluderò. Anche perché, di recente, l’ho ripresa
in modo, con un nuovo cavaliere pubblicato e uno in via di sviluppo^^) e, come
hai giustamente notato tu, anche lì gioco con le lingue straniere. E hai colto
appieno il mio umile intento: far
riflettere sulla difficoltà di comunicare (o la non difficoltà. Come in
questa terza variazione). E sono contenta che, nonostante l’ostacolo linguistico,
tu apprezzi la prima versione. Davvero. Grazie infinite.
Whity: carissima, come vedi, non mi sono
fermata. E mi sono avventurata in un vero campo minato linguistico: addirittura
il tibetano. Comunque, sono onorata (e imbarazzata) di quello che mi scrivi. Il
tuo non è un commento; è una critica
(nel senso buono, ovviamente). Un darmi conferma che, pur nelle mie limitate
capacità (e no, lo sai, non lo dico per falsa modestia), quello che vorrei
trasmettere può arrivare. Arriva.
Ti ringrazio davvero. Infinitamente. Anche per la
meravigliosa recensione che mi hai fatto.
Lete89: Ma petit. Dirti grazie è poco. Dirti che hai compreso tutto (anche
quello che non si può capire in senso
assoluto: perdona o no?) è scontato. Ne abbiamo discusso; e ne discuteremmo
ancora per ore. Sì, comunque. Raccontino psicologico (le scene d’azione, lo
sai, non sono il mio forte) triste(per l’ironia, lo sai, ho due attori di
prim’ordine che non aspettano altro che lanciarsi frecciatine e stoccate
pungenti). Una, come dici giustamente tu, nuova declinazione di questo tema
dell’incomunicabilità. In effetti, l’ostacolo non è linguistico, ma proprio
psicologico. E, lo immaginavo che, per te, Aiolia non avrebbe perdonato. Però, in fondo, l’immagine che mi
restituisci di Leo che accetta e permette
anche senza perdonare, perché la comprensione non basta (forse non subito) a
cancellare la scissione interiore la adoro. E mi piace di più del punto da cui
io ero partita; e cui, decisa, non penso
di tornare. Non in modo assoluto. Ti abbraccio.