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Autore: miseichan    09/12/2009    15 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
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3 bacio

 

 

*

 

Davide

 

Aprii la porta di casa con un gesto stanco e stavo per entrare quando fui fermato da un grido imperioso che mi ordinava di non farlo. Ancora fermo sull’uscio, con un piede a mezz’aria, lanciai un’occhiata furente al mio amico Andrea sdraiato sul divano. Lui alzò gli occhi al cielo e in risposta mi rivolse un ghigno compiaciuto:

- Prenditela con tuo fratello: ha appena finito di passare la cera e non credo sarebbe soddisfatto di vedere le tue luride impronte sul pavimento. E’ uscito di testa, Davide… più di quanto già non lo fosse-

Non potei che trovarmi d’accordo con lui, Maurizio non era mai stato tanto normale: quale ventiduenne di sesso maschile si comporta come una perfetta donnina di casa? E non aveva neanche la scusante dell’omosessualità! Sia io che Andrea lo avevamo sospettato, ma ce ne eravamo accertati: era etero, un etero che adorava fare la massaia, ma pur sempre etero… e poi era il mio gemellino preferito! La voce di mio fratello mi giunse dalla cucina, in un grido che rivelava un misto di sollievo e preoccupazione:

- Davide, sei tornato! Scusa ora vengo, aspetta ancora un attimo! Non muoverti!-

Maurizio arrivò di corsa e mi mise sotto gli occhi due coperture per i piedi: delle sottospecie di pantofole, erano di pile e di un verde sgargiante, quasi fosforescente. Lo guardai in faccia cercando di capire a che livello di pazzia potesse essere arrivato ma mi scontrai violentemente con il suo sorriso a trentadue denti.

- Fai sul serio?-

Glielo avevo chiesto a denti stretti, cercando di mantenermi dall’aggredirlo come invece si sarebbe meritato; Maurizio mi guardò: era serio ma ancora sorridente e dopo un istante annuì convinto.

Sconsolato arretrai di un passo per poggiarmi alla ringhiera di ferro con le spalle, velocemente tolsi le scarpette Nike nuove nuove e presi con brutalità le cose pelose che Muzi mi porgeva. Le misi ai piedi per quanto il tutto mi sembrasse un affronto alla mia già scarsa dignità e quindi, scansato con fare irritato mio fratello, mi diressi insofferente verso Andrea.

Ignorando il fatto che spintonandolo lo avevo quasi fatto cadere dal divano  gli strappai di mano il telecomando senza alcuna delicatezza e iniziai a fare uno zapping furioso: non era una cosa sensata ma il cambiare repentinamente canale, quasi senza aver nemmeno identificato il programma, aveva per me un che di rilassante.

Non mi sfuggì l’occhiata che i due si scambiarono, carica di complicità e sostegno. Mi sfuggiva qualcosa e me ne stavo rendendo conto: ora il dilemma era se mi andava o meno di esserne messo a parte. Non avrei saputo dirlo e in ogni caso non volevo pensarci, così controvoglia sbottai irritato:

- Avete qualche problema? Dubbi, perplessità?!-

Andrea al mio fianco tossì, camuffando quella che poteva benissimo essere una risata e mormorò a mezza voce: - Sì: puzzi maledettamente! Quanto hai corso? Una doccia no, eh?-

Non mi degnai di rispondergli e anzi come gesto di rivalsa puramente infantile alzai il braccio sinistro per avvolgere le sue spalle: sentii chiaramente come iniziò a boccheggiare cercando di prendere aria, respirando però unicamente dalla bocca e quella consapevolezza mi divertì forse più del dovuto.

Andrea era un vecchio amico di famiglia, quel tipo di persona che puoi affermare tranquillamente di conoscere come le tue tasche. Mi aveva sempre ricordato un cucciolo, non in senso cattivo, assolutamente! Era il mio migliore amico ma era come un cucciolo: quelli iperattivi che vogliono sempre giocare, che rompono i coglioni anche senza rendersene conto perché è nella loro natura, anche quelli però che in qualunque situazione sono sempre al tuo fianco, che non ti abbandonerebbero mai. Ecco: lui era il mio cucciolo! E ne andavo fiero.

Con la coda dell’occhio osservavo Maurizio che si tormentava le mani seduto sulla poltrona lì vicino: aveva accavallato le gambe e muoveva con fare nervoso il piede destro, agitandolo senza sosta. 

- Sto cucinando sai? Qualcosa di spettacolare, vedrai!-

Era stato proprio lui a parlare, mormorando quelle poche parole a mezza voce: era tremendamente a disagio eppure continuava a sfuggirmene il motivo. Risposi con un piccolissimo cenno del capo, quasi impercettibile, del tutto indifferente. Andrea mi allontanò, lanciandomi uno sguardo disgustato e poi fece segno a Maurizio di proseguire il discorso: lui mimò il gesto di aspettare con la mano e quindi, preso un bel respiro, continuò:

- Ricordi stasera che succede? Davide? Te ne sei dimenticato vero?-

Nell’ultima domanda la sua voce aveva raggiunto lo sconforto più totale, l’idea di rispondergli però non mi sfiorò neanche per un attimo. Muzi dovette intuirlo perché senza aspettare ancora andò avanti:

- Ci deve pur essere un motivo se sto preparando l’arrosto non trovi? Vengono quelle due ragazze a cena-

All’ultima frase il mio dito si bloccò e la tv rimase sintonizzata su rai due: stavano trasmettendo un cartone animato, Tom e Jerry. Rimasi per qualche minuto in silenzio, cercando di concentrarmi sulla coda del gatto grigio ma proprio non mi riusciva di respirare normalmente; Maurizio, spaventato dalla mia calma apparente e giustamente intimorito dalla mia possibile reazione, con ottimi riflessi scattò in piedi e si avviò verso la cucina.  - Te l’avevo detto che sarebbero venute, non fare quella faccia! Sono due belle ragazze, non sei contento? Inizialmente non erano sicure ma quando hanno saputo che eravamo gemelli quasi facevano i salti dalla gioia...-

Si interruppe avvertendo la mia presenza alle spalle, trasalì e voltatosi di colpo mi fissò negli occhi supplice:

- Davide, per favore. Che ti costa? Una cena, solo una cena. Ti prego-

Il sorriso era scomparso dal suo volto lasciando il posto ad un espressione a metà fra la sofferenza e l’esasperazione. Annuii forzatamente e mi avviai verso il bagno, trascinando i piedi e borbottando fra me e me.

Non mi ero mai sentito così abbattuto: neanche la perpetua allegria di Andrea riusciva più a tirarmi su di morale. Non potevo andare avanti così: rischiavo di arrivare a prendere in considerazione il suicidio.

Ed era prematuro, poco ma sicuro.

 

 

*

 

Ilaria

 

Veronica aumentò il passo per raggiungermi.

Il ticchettio dei suoi tacchi sull’asfalto mi avvertiva di quanto si stesse avvicinando, così quando mi prese di slancio a braccetto riuscii a non perdere l’equilibrio. Lei si poggiò a me di peso, tenendo la testa sulla mia spalla  - Sai, non credevo che ce l’avresti fatta: soprattutto verso la fine ho temuto il peggio e invece sei stata bravissima! Voglio sperare che tutte le lacrime fossero unicamente per il povero Leo-

La guardai con un’aria che doveva essere offesa, aggrottando poi le sopracciglia risposi:

- Certo che sì! Per chi altri potevano essere?-

Lei allora scoppiò a ridere e mi scoccò un bacio sulla guancia. Se anche sospettava che le avessi mentito non lo diede a vedere, cambiando invece discorso e rivolgendomi un enorme sorriso:

- Ti va un gelato?-

Istintivamente mi strinsi di più nella giacca, rabbrividendo per un fremito improvviso. Non ebbi però il coraggio di rifiutare, non ora che per l’ennesima volta mi aveva dimostrato quanto fosse unica: annuii e sempre a braccetto ci avviammo nel vicolo a destra, verso la nostra gelateria preferita. Era poco frequentata a causa della posizione nascosta: occupava un piccolissimo spazio fra un’autofficina in disuso ed una scuola di ballo per anziani, faceva però il migliore gelato artigianale della zona, cremoso e dolce al punto giusto.

Quando entrammo era completamente deserta e il signore dietro il bancone sgranò gli occhi vedendoci: come dargli torto? Prendemmo due coni dopo aver approfittato in maniera quasi scandalosa della pazienza del signore: avevamo impiegato poco meno di mezz’ora per sceglierne i gusti, cambiando idea un’infinità di volte.

Fra risa convulse e battiti di denti tornammo infine alle nostre macchine: prima di salutare Veronica guardai di sfuggita il conta gradi sul cruscotto. Sbattei le palpebre per accertarmi di non essermi sbagliata: undici.

- Siamo due pazze! Ti rendi conto?! Tu che mi offri un gelato quando ci sono solo undici gradi e io che accetto anche! Come si fa?-

Vero sorrise con le labbra livide per il freddo, abbracciandomi per dimostrarmi la sua riconoscenza, quindi, dati due frettolosi baci sulle guance scappò via, salutandomi un’ultima volta con la mano. Nel tragitto verso casa tenni la musica a palla: avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse. Qualunque cosa che mi aiutasse ad arrivare al letto e possibilmente anche ad addormentarmi prima che potessi sprofondare ancora nei ricordi. Perché sapevo benissimo cosa cercavo di evitare. Ero perfettamente cosciente di quale baratro si stava per aprire sotto di me. La colpa era tutta del gelato. Di riflesso quindi la colpa era anche di Vero. Impegnata in queste riflessioni folli raggiunsi la porta di casa ma non appena mi fui chiusa la porta alle spalle ed ebbi posato la chiavi sul comodino, sprofondai…

 

- Allora? Lo vuoi o no questo gelato?-

Era stato Davide a chiedermelo, con un tono che voleva essere esasperato senza però buoni risultati.

Lo guardai di rimando, tormentandomi le mani. Poi abbassai lo sguardo, messa in difficoltà.

- Non lo so-

Lui sbuffò divertito e con due dita mi sollevò il mento. Incatenò il mio sguardo nei suoi occhioni indagatori:

- E come mai non lo sai?-

Sorrisi indecisa. Imbarazzata ancor di più per via di quegli smeraldi che mi fissavano.

- Perché fa freddo-

Lui si illuminò. Sembrava quasi sollevato da quella risposta, svagato per la situazione.

- Solo per questo? Ti scaldo io piccola. Ti tengo stretta per tutto il tempo che vuoi…-

Gli diedi uno schiaffetto sulla spalla e lui rise. Poi mi guardò con aria interrogativa, aspettando che decidessi: alla fine annuii e con un gesto veloce afferrai la banconota che mi porgeva.

- Va bene: lo prendo. Ma vado sola, tu aspettami qui-

Mi incamminai verso la gelateria dall’altro lato della strada con ancora la voce di lui nelle orecchie:

- Non mi muoverò per nulla al mondo-

Scossi la testa, chiudendo gli occhi: com’era esagerato! Esageratamente dolce…

Quando uscii con il cono in mano lo vidi ancora nello stesso identico posto: cercava me con lo sguardo.

Non appena mi intravide fra la folla aprì le braccia per chiamarmi a sé, non me lo feci ripetere due volte e mi tuffai contro il suo petto. Mi osservava, con quei suoi occhioni verdi… e poi di colpo vi  si accese una scintilla. Era uno sguardo che ormai avevo imparato a riconoscere: uno sguardo che preannunciava una sua idea.

Un’ idea che sapeva bene mi avrebbe messa in imbarazzo.

Lo guardai di sottecchi e a mezza voce gli chiesi che avesse. Lui mi fissò ancora un po’, poi sussurrò:

- Sei sporca di gelato…-

Avevo già mosso la mano per prendere un fazzolettino nella borsa, quando lui mi fermò. Si avvicinò di più e sorridendo con aria furba concluse la frase:

 - …ci penso io-

Non ebbi il tempo di capire cosa aveva intenzione di fare.

Mi attirò a sé e con la lingua iniziò a percorrere il contorno della mia bocca. Cercai di allontanarmi  ma lui era irremovibile e continuò finché non mi lasciai andare a quell’ultimo bacio. Quando mi fui arresa Davide ridacchiò e iniziò a succhiarmi dolcemente il labbro inferiore.

Spensierati come non mai. Divertiti da quel nuovo gioco, da quel nuovo bacio… da quel vortice confuso in cui si fondevano e mischiavano nutella, nocciola e stracciatella.

 

Sussultai sentendo qualcuno che mi abbracciava da dietro. Mi voltai di scatto, ritrovandomi faccia a faccia con il mio fratellone.

- Mirko!-

Lo avevo gridato, portandomi una mano al petto e cercando di riprendermi dalla paura. Lui sorrise e mi prese per mano, trascinandomi di peso mi portò in cucina, facendomi sedere al tavolo. Non accese la luce, prendendo semplicemente posto di fronte a me e cominciando a studiare la mia espressione sovrappensiero.

Odiavo quando mi scrutava in quel modo: mi inquietava terribilmente, così con voce neutrale domandai la prima cosa che mi venne in mente, sperando di distrarlo:

- Come mai non sei a letto? Domani non lavori?-

Lui scosse la testa e subito dopo mosse il capo verso di me, indicandomi biasimevole:

- Sei rimasta immobile in soggiorno per più di sette minuti, lo sai?-

Non mi lasciò rispondere e continuò, sempre guardandomi torvo ed accigliato:

- Si può sapere che ti prende? Credevo avessimo superato questa fase circa un mese fa… Ci sei ricaduta? Cioè pensavo andasse meglio e ora ti ritrovo di nuovo, sprofondata, come dici tu?-

Cercai di fermarlo: non volevo che si preoccupasse per me ed era vero, l’avevo superata quella fase.

Ma ora… come glielo spiegavo? Non poteva capire. Gli volevo un mondo di bene e lui nemmeno immaginava come gli fossi riconoscente per tutto l’appoggio che mi aveva dato e che continuava sempre a darmi.

C’era anche stato un periodo in cui avevo avuto un’incredibile voglia di fargli leggere i miei diari, per permettergli di capire cosa stessi passando, così da farmi comprendere appieno. Era stato durante il mio periodo più nero: quando ero convinta che lui fosse l’unico di cui mi potessi fidare e che non mi avrebbe tradita in un secondo tempo. Alla fine però non l’avevo fatto: erano troppo personali e non potevo certo stare alle sue spalle chiudendogli gli occhi quando arrivava ad una parte che non poteva leggere, o meglio che non volevo leggesse.

Erano miei. Solo miei… troppo privati e riservati, anche per il mio fratellone.

Interpretando erroneamente il mio silenzio Mirko tentò un altro approccio:

- Sai, lui sta mille volte peggio di te. Sembra abbia un aspetto orribile: che a mala pena viva un continuo dormiveglia e…-

Non lo feci concludere: non provavo alcuna pietà, solo rabbia ed un pizzico di soddisfazione.

- E tu come le sai queste cose?-

Ignorai il fatto che fosse impallidito di colpo: che si stesse inventando o meno tutto, non volevo sentire una parola di più! Per me lui era morto…

Mi alzai infuriata e mi fiondai in camera, seguita a ruota da mio fratello. Lo sentii balbettare dietro di me ma non mi preoccupai di capire cosa cercasse di dire:

- Se lo merita. Merita di passare tutto quello che sta soffrendo! Brutto bastardo figlio di… !-

Il resto della frase fu censurato a Mirko, rimasto chiuso fuori: il rumore violento della porta sbattutagli in faccia doveva aver coperto le mia parole ma non credo gli fosse difficile immaginarne il seguito.

 

*

 

   
 
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