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Autore: Meiko    04/10/2003    13 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lasciò che il vento passasse scostante tra i capelli, mentre teneva tra le mani il libro di cuoio, tastandone la copertina, soffermandosi sopratutto sulla cornice fatta di foglioline secche, il loro contato ruvido tra le dita le procurava una piacevole sensazione, come l’odore dell’erba umida, segno che aveva piovuto da poco.
Il vento passò ancora, e questa volta le procurò un brivido di freddo, avvertendo una brezza birichina che s’insinuava nelle pieghe del cappotto lungo, in pelle e dentro imbottito di pelo, che evidenziava la figura snella.
Chiuse un attimo gli occhi, per poi riaprirli.
Li chiuse ancora, e li riaprì.
Ancora una volta, e ancora.
Alla fine, stanca di quell’insulso giochetto, sbuffò, mettendo una ciocca di capelli lunghi e capricciosi dietro l’orecchio.
Tastò ancora quel libro, per poi aprirlo, lasciando che le pagine si sfogliassero da sole, mosse al minimo alito di vento, come se questo stesse leggendo quel libro.
Quel libro…apparentemente vuoto.
Tastò una delle pagine gialle, che profumavano di vecchio, e sorrise, mentre continuava a tastarlo, tenendo lo sguardo basso, per poi chiudere gli occhi, ed alzare lo sguardo verso il cielo.
Il sole la colpì in faccia, scaldando le gelate gote pallide, mentre i capelli giocosi solleticavano il suo collo.
Lentamente, allungò il braccio alla sua sinistra, afferrando il bastone appoggiato li vicino, e si alzò in piedi, sistemando meccanicamente il libro dentro la sacca, mettendola poi dietro la spalla, e dopo un attimo d’incertezza, cominciò a camminare verso destra, il vento ora la prendeva in faccia, raffreddandolo, le guance assunsero tinte porpora.
Camminò a lungo, il bastone ticchettava sull’asfalto grigio, come il ticchettare di un orologio, a volte il ticchettio sfumava in qualcosa di secco e fragile che si rompeva, come carta vecchia, come vetro.
Foglie secche.
Le piaceva bloccarle, per poi raccoglierle, tastandole con saggezza, avvertendo il contatto ruvido e secco tra le dita morbide e delicate, per poi lasciarle volare via, ad una folata di vento.
Oggi, però, andava di fretta, e preferì rinunciare al suo passatempo, tenendo gli occhi chiusi, ascoltando i bisbigli del vento, che l’accompagnavano nel suo silenzioso andare.
Ad un tratto, il tacito chiacchiericcio del vento venne interrotto da delle grida, come di comandi, mentre si udivano dei rimbombi, degl’echi sfuocati di rumori metallici.
La ragazza girò il capo in direzione dei suoni, le lunghe e affilate sopracciglia si corrucciavano in un’espressione turbata ed incuriosita.
Afferrò qualcosa sotto il cappotto, tastandolo, per poi tirarlo fuori.
Era un grosso orologio da taschino, le lancette grosse e ben fatte, sotto il vetrino apribile.
La ragazza lo aprì delicatamente, appoggiando le dita, sorridendo.
Erano solo le sei. Casa distava solo cinque minuti da li.
Richiuse con uno scatto veloce il panciuto orologio, nascondendolo dentro la tasca del cappotto, per poi riprendere a camminare in direzione del campetto, il bastone davanti a lei ticchettava aritmicamente, come per dare il tempo alla melodia del vento e delle foglie, che turbinavano accanto alla figura, a volte mostrandole il cammino, a volte nascondendoglielo, a volte limitandosi a spostarsi, in un gioco di fruscii, che ogni volta lei amava ascoltare, accompagnata dal suo rispettoso silenzio.
A mano a mano che si avvicinava, le grida si fecero sempre più forti, i rombi e gli echi si trasformavano in rumori a tratti secchi, a volte nelle sue orecchie risuonava il rumore metallico che sentiva prima.
Mentre si avvicinava all’origine dei rumori, i suoi passi si facevano sempre più incerti, mentre il ticchettare del bastone rallentava, fino a fermarsi, un rumore metallico e una vibrazione del bastone la fermarono.
Un ostacolo.
Lentamente, la ragazza allungò una mano, e avverti il freddo di una maglia metallica, alta. Una rete.
L’anello all’anulare destro fece un tintinnio leggero, mentre si udiva un gran vociare oltre la rete. -Passa!-
-Forza!-
sentì chiaramente un rumore particolare, e la sua mente si sforzò di ricordare l’oggetto coincidente con quel rumore.
Sentì ancora quel vociare, e poi un sordo rombo, che la fece sussultare, avvertendo uno spostamento d’aria improvviso, bloccato all’ultimo momento.
-Bel tiro Tsubasa!-
-Bella la tua parata, Genzo!-

Avvertì un altro spostamento d’aria, e poi sorrise, schioccando le dita.
Un pallone da calcio!
Era davanti ad un campo di calcio.
Di colpo, un sottile velo di nostalgia disturbò il filo dei suoi pensieri, e sulle sue sottili labbra comparve un sorriso malinconico e, al tempo stesso, divertito.
Lentamente, piena di curiosità e voglia di scoprire, la ragazza percorse il perimetro della rete, facendo tintinnare il suo dito contro le reti metalliche, mentre il bastone ticchettava ogni tanto, tanto per farle capire che era ancora sull’asfalto grigio del parco.
Lentamente, le sue mani tastarono una specie di porticina, ma aspetto ancora un po’ ad entrare, avvertendo altre grida.
-TIRA!-
-Para questa, Genzo!-
sentì un rimbombo violento, e in quell’istante entrò dentro il campo, intimidita, ascoltando attenta e guardinga I vari rumori.
Sentì una specie di stoppo, seguito da un di rimbalzo, se non capì male, alcune grida si fecero assordanti.
-EHI, ATTENTA!-
la ragazza restò ancora un momento ferma, per poi avvertire un imminente spostamento, chinandosi giusto in tempo.
Il pallone andò a sbattere contro la rete dietro di lei, mentre i ragazzi spaventati guardavano stupiti la scena, stupendosi della prontezza di riflessi di quella ragazza, che ora si rimetteva in piedi, pulendosi un attimo le maniche della giacca.
-Ehi, stai bene?-
avvertì una voce femminile, e sorrise, per poi cominciare a tastare il terreno, preoccupata.
-Stai cercando qualcosa?-
-Il…il mio bastone…-
Sanae la guardò stupita, accorgendosi che il bastone era poco distante da li.
Un bastone con una fascia giallo fosforescente quasi alla fine.
Sanae lo raccolse, porgendolo alla ragazza fino a farglielo toccare con le dita, e lei sorrise, rialzandosi in piedi, afferrandolo con entrambe le mani, tastandolo e accarezzandolo.
-Grazie…-
-Figurati. Io mi chiamo Sanae Nakazawa-
-Piacere. Il mio nome è Yuko Makoto-
la ragazza allungò una mano verso Sanae, che dopo un attimo d’incertezza gliela strinse, sorridendo intimidita, mentre l’altra ragazza continuava a sorridere, mostrando I suoi occhi socchiusi.
Le iridi dovevano essere di un bel verde smeraldo, ma adesso erano solo un verde pallido, coperte da un velo.
Il velo…
-Ehi, Sanae!-
la ragazza si voltò, accorgendosi dei ragazzi che si avvicinavano.
Yuko restò in silenzio, mentre avvertiva qualcuno arrivare, dovevano essere una decina e abbastanza ben fatti, a giudicare dalla pesantezza dei loro passi.
La ragazza aprì gli occhi, ma ciò che vide fu solo la più totale oscurità.
No…adesso vedeva delle sagome, come avvolte da un’aura luminosa, mentre sotto di loro il terreno assumeva l’aspetto farinoso della terra secca, poche macchie di verde la costeggiavano, ma questo doveva essere solo ai lati dal campo.
Dai rumori di un pallone soffocato, doveva esserci una bella erbetta in campo.
Il flusso dei suoi pensieri s’interruppe, avvertendo una voce che a gran voce parlava con Sanae.
-E chi è questa bella ragazza, Sanae?-
la manager si voltò verso Bruce, che ammirava la figura silenziosa e sorridente di Sakura, che si limitava a tenere tra le mani il bastone.
-Questa è Yuko, l’ ho appena conosciuta-
-Molto lieta-
Le sue orecchie captavano ogni movimento di quei corpi, in poco tempo aveva già individuato il corpo da cui proveniva la voce.
Non era troppo muscoloso, era di stazza normale, anche se era leggermente più alto di lei, come Sanae.
A giudicare dai passi e il modo di parlare di Sanae…
-Sanae, sei per caso la manager della squadra?-
la ragazza la guardò stupita.
-Come hai fatto?-
Yuko si limitò a sorridere, battendo il bastone sul terreno, giudicando la durezza, per poi guardarsi intorno, ascoltando i respiri ansanti dei ragazzi, che chiacchieravano tra loro.
Yuko girò il volto da più parti, ascoltando in silenzio le varie voci che si mescolavano, insieme, sfumature e impostazioni si intercedevano uno sopra l’altro.
Una voce, in particolare, la colpiva più di tutte: era ben impostata, un po’ più bassa delle altre, e aveva una sfumatura di sicurezza e orgoglio.
Cercò di calcolare la distanza fra lei e quel giocatore, ma si limitò a battere ancora il bastone, che alzò un pochino di terra, sporcando la punta, mentre Sanae le si avvicinava di nuovo.
-Scusami, Yuko, ma che ci fai qua?-
la ragazza sorrise, l’atteggiamento curioso e schietto di quella ragazza le faceva ricordare lei, quando ancora poteva contare su tutti e cinque i sensi.
-…diciamo…che mi hanno spinto i ricordi fino a qua…-
Sanae la guardò incuriosita, ma si limitò a fare spallucce, trovandosi totalmente spiazzata di fronte a quel sorriso dolce e calmo, fissandola meglio.
Era davvero una bella ragazza, i capelli leggermente ondulati scivolavano dolci lungo le spalle, e assumevano ogni tanto le sfumature dell’oro, il castano era così chiaro da essere quasi confuso con il biondo, un colore assai raro da trovare in una testa.
Gli occhi erano brillanti ,e nonostante quel velo che li rendeva più pallidi e opachi, mantenevano sempre una lucidità stupenda.
Senza il velo, dovevano assumere i colori degli smeraldi più preziosi.
Era un po’ minuta, il fisico asciutto coperto da quel cappotto di pelle imbottito di pelliccia, che la rendeva ancora più piccola, superava a malapena la spalla di Sanae, e portava sulla spalla una sacca blu scuro con vetrini colorati, la gonna alle ginocchia era di un bel color nocciola, le calze nere fasciavano gambe lunghe e magre, gli stivaletti neri completavano l’abbigliamento.
Sanae ammirò soprattutto i lineamenti del viso di Yuko, che sorrideva, per poi allungare una mano verso Sanae, non vista dagl’altri giocatori.
- Sanae, mi accompagni a sedere?-
la ragazza, dopo ancora un attimo d’incertezza, annuì, sorridendo e prendendo con forza ma senza stringere la mano di Yuko, che sentì di colpo avvolgere da un calore a lei sconosciuto, e che trovava piacevole.
Avvertì il terreno farsi prima erboso, poi farsi duro, i piccoli tacchi degli stivali neri ticchettavano sull’asfalto.
Sanae si fermò un istante, voltandosi verso Yuko, che aspettava silenziosa.
Di colpo, la manager si trovò totalmente impacciata, e senza rendersene conto arrossì, fissando la figura silenziosa e tranquilla di Yuko, che senza chiederle niente, lasciò che il bastone oscillasse, fino a che non colpì il primo di una lunga serie di scalini.
Yuko sorrise con ancora più tranquillità, voltandosi verso Sanae, che la guardava stupita. La ragazza allungò una mano verso la manager, e sorrise tranquilla.
-Mi serve qualcuno che mi accompagni-
Sanae sorrise, cominciando ad affezionarsi a quella ragazza, che tranquilla e candida si lasciò guidare, fino al decimo scalino, dove si fermò, doveva esserci la prima fila degli spalti di quel piccolo campo da calcio.
Yuko si sedette tranquilla al primo posto, mentre Sanae tornava indietro, voltandosi un attimo a guardare ansiosa quella figura, che si limitò a farle un cenno del capo.
-Vai. Adesso ci penso io-
e mentre la manager, leggermente più sollevata, tornava al suo compito di controllare quelle bestie, Yuko cominciò a studiare i vari rumori che avvertiva,mentre davanti alle palpebre semi aperte parevano disegnarsi immagini sfuocate, che lentamente prendevano movimento.
Una in particolare, che sembrava non mollare mai al pallone, al massimo passandola un compagno che lo seguiva.
Avvertì uno schiocco, seguito da una specie di borbottare, che poteva essere paragonato ad un ronzio forte.
Doveva aver tirato, e doveva aver tirato un bolide!
Di colpo, il ronzio s’interruppe, seguito da un frusciare dell’erba del campo.
Yuko riaprì gli occhi chiusi, stupendosi del fatto che ora sentiva solo i complimenti verso quel portiere, mentre il pallone con un tonfo tornava tra i piedi di un altro giocatore.
Niente male il portiere!
Avrebbe voluto poterlo vedere.
Aprire gli occhi e…
Si limitò a sorridere triste, ricominciando un attimo quel giochetto che aveva cominciato sulla panchina del parco.
Aprì gli occhi, e li richiuse.
Li aprì ancora, e li richiuse.
Ancora, e ancora una volta li chiuse.
Ripeté più volte quel gesto, fino a stufarsi, e afferrare la sacca che aveva appoggiato li vicino, insieme al suo bastone.
Con tutta la delicatezza che le lunghe e magre dita possedevano, Yuko tirò fuori quel libro, tastando contenta le foglie secche appiccicate alla copertina di cuoio, per fortuna non si erano rovinate.
Studiò attenta con il tatto le piccoline stradine fatte di spago, che decoravano in motivi fantasiosi attorno alle foglioline appiccicate.
Sorrise, aprendo la copertina, lasciando che la brezza furfante del vento rapisse con se il dolce frusciare di alberi lontani e lo sfogliare di pagine giallognole, come un lettore assetato di curiosità, intento a sfogliare e leggere veloce intere pagine, per poi, lentamente, fermarsi.
Yuko tastò la pagina, sorrise, mormorando tra le labbra ciò che apparentemente era niente sul foglio.

-…We were strangers, starting out on a journey
Never dreaming, what we'd have to go through
Now here we are, I'm suddenly standing
At the beginning with you
No one told me, I was going to find you
Unexpected, what you did to my heart
When I lost hope
You were there to remind me
This is the start…-

Sorrise, mentre la sua mente traduceva silenziosa quelle parole, il sorriso non lasciava le sue labbra, dipingendo il suo viso, di una serenità a chiunque sconosciuta, segreta, che solo lei conosceva.
Lentamente, la sua mente continuava a setacciare la pagina vuota, le dita tastavano veloci, mentre teneva gli occhi chiusi, immergendosi nella lettura di quella che poteva sembrare una semplice lettura, ma che per lei faceva parte di un ricordo.
Un ricordo dolce, tenero.
Ad un tratto, un’altra sferzata di vento, e lei lasciava che le pagine si sfogliassero, avanti e indietro, controllate da mani invisibili, che sapienti decidevano la pagina che doveva scegliere.
Quel vento era così birichino…come un bimbo, che gioca con la palla, o si diverte a saltare la corda, cantando una filastrocca allegra e divertente, fermandosi ogni tanto per prendere fiato, o per sorridere a qualcuno che forse non l’avrebbe mai visto.
Le pagine si fermarono, il dito sfiorò una pagina, liscia, leggermente ruvida, che profumava.
Yuko cercò di recuperare i ricordi, mentre le sue sopracciglia si aggrottavano, leggendo con le dita quelle parole…

“E adesso andate via voglio restare solo
Con la malinconia volare nel suo cielo
Non chiesi mai chi eri perché scegliesti me
Me che fino a ieri credevo fossi un re”

Chiuse il libro con un tonfo veloce e guizzante, mentre le dita stringevano con forza il libro, come se cercassero di chiuderlo ancora di più, di schiacciarlo sotto la loro poca forza.
Sakura scosse la testa, un capello indispettito le accarezzò la fronte, finendo sopra un suo occhio.
Lentamente, la serenità di lei prese il posto dell’inquietitudine che l’aveva afferrata, mentre una mano si allungava timidamente verso il bastone.
Lentamente, con ticchetti ben scanditi, la ragazza scese le scale, contandole a memoria, per poi tastare qualcosa di duro e freddo al suo fianco.
Avvertiva ancora quelle grida, ma era come se tutto si fosse sfuocato, anche se lentamente tornava alla sua normalità.
-Yuko?-
la ragazza si voltò, ormai il timbro di voce di Sanae si era ben memorizzato nella sua memoria di ferro.
-Sanae, io sarei un po’ stanca, vorrei andare a casa a riposare-
-Aspetta! Almeno ti presento i ragazzi! Stanno per uscire dagli spogliatoi davanti a te-
Yuko aguzzò l’udito, e udì confuso tra gli schiamazzi di tutte quelle persone, l scrosciare delle docce.
Lei sorrise dolce e tranquilla, mentre Sanae le si metteva affianco, mettendole una mano sulla spalla.
-Mi dispiace, ma su serio, sono molto stanca. Ti ringrazio, ma mia madre sarà preoccupata. Che ore sono?-
-Le sei-
-Visto? Devo assolutamente tornare a casa…-
la ragazza fece per voltarsi, quando avvertì qualcosa di caldo e duro ma al tempo steso soffice che si cozzava contro di lei, facendole perdere l’equilibrio.
Stava per cadere a terra, quando sentì due braccia forti e robuste prenderla per la vita sottile, un respiro caldo e un odore leggermente aspro invadevano la sua faccia e il suo naso, imprimendosi in mente come un chiodo contro un muro.
Genzo aveva appena fatto in tempo ad afferrare quella ragazza, stupendosi di quanto fosse leggera e minuta, il suo viso leggermente nascosto da alcune onde castano-biondo, gli occhi chiusi.
Yuko arrossì, avvertendo il calore di un maschio che, gentilmente la rialzava da terra.
-Tutto ok?-
la ragazza si riprese dal torpore di quel corpo, una ventata gelida passò su di lei, ed annuì con forza, allontanandosi di qualche passo dal ragazzo che l’aveva tirata su, per poi abbassarsi a terra, tastando il terreno.
-Ehi ma cosa…-
-Il mio bastone…Sanae!-
la ragazza chiamava la ragazza, mentre imbarazzatissima tastava il terreno per trovare il bastone.
Genzo si guardò intorno, trovandolo dietro di lui, e offrendolo alla ragazza, che però…
Sembrava…non vederlo…
Il portiere rimase abbastanza sconcertato della verità, mentre la ragazza, ad un certo punto, incontrava la durezza del suo bastone, unita al calore e alla durezza di dita forti, che l’aiutarono ad rialzarsi in piedi.
-G-Grazie…-
era arrossita, il porpora dell’imbarazzo colorava quelle guance candide come alabastro.
I due restarono fermi, Genzo la osservava stupito, mentre lei si stringeva convulsamente il bastone ed un libro tra le mani.
-Ehi, Genzo! Chi è questo schianto?-
il tono scherzoso di un ragazzo fece rinsavire l’imbarazzata Yuko, che sorrise a Genzo, mostrando le iridi verdi velate al portiere, sorridendo serena.
-Grazie ancora-
lentamente, la ragazza cominciò a picchiettare il bastone davanti a se, cercando la strada libera, mentre il portiere la seguiva con lo sguardo, la figura avvolta da un’aura di serenità e silenzio.

Yuko aprì con un silenzioso scatto la porta di casa, facendo ticchettare con forza per due volte il bastone sul pavimento in marmo, attendendo in silenzio una risposta, mentre dietro di se chiudeva la porta, mantenendo quel sorriso dolce.
Ad u tratto, udì un tintinnio, seguito da un abbaiare festoso, un corpo peloso si fermò davanti a lei, e un naso umido si sfregò control e sue pallide e magre mani, mentre lei sorrideva, aprendo gli occhi gioiosa.
-Inuki! Piccolo, anch’io sono contenta di rivederti!-
la ragazza s’inginocchiò ad accarezzare per un attimo il capo del Border Collie, per poi con uno sbuffo di stanchezza tastare il muro accanto a se, raggiungendo gli attaccapanni in legno, e appendere il cappotto, mostrando la magra figura nascosta in un maglietta a maniche lunghe, color nocciola, che sottolineava la figura magra e il seno ben fatto.
Silenziosamente, la ragazza si tolse gli stivaletti, mentre il cane attendeva impaziente l’arrivo della sua padroncina.
La ragazza gli sorrise, per poi tastare i mobili della nuova casa, ancora non si era abituata al nuovo arredamento, e se non ci fosse Inuki, spesso e volentieri si sarebbe persa in quella nuova casa.
Aprì il grande armadio nero, le sue dita scorrevano tra vari pulsanti, fino a raggiungere uno cubico e abbastanza grosso, spingendolo.
Avvertì il piccolo schiocco dell’impianto che si accendeva, e rapidamente la mano sinistra setacciò i tasti, cercando la valvola del volume, che la ragazza abbassò velocemente.
Come al solito Neko si era dimenticata di abbassare il volume, appena finiva di ascoltare la musica, con le cuffie.
Con un gesto sicuro, la ragazza premette il pulsante, il ronzio leggero del lettore cd la fece sorridere, mentre passava con un tocco di piuma cd , assicurandosi di metterlo bene, per poi mettere la canzone numero 3, allontanandosi dall’impianto per sentirlo meglio.
Partì subito il sottofondo di un pianoforte, poi una voce in inglese cominciò a cantare, facendo nascere sul viso di Sakura un sorriso dolcissimo, mentre il cane si metteva accanto a lei, strofinandosi un attimo tra le gambe della padrona, che lo accarezzò gentilmente.
-Ma sei un cane o un gatto? Ho capito, cucciolone…-
la ragazza tornò a tastare il muro, raggiungendo così un lungo bancone, percorrendo il perimetro, raggiungendo degli armadietti, aprendone uno, tastando le varie scatole, fino a raggiungere quella che cercava, un profumo di grano tostato la fece sorridere.
-Inuki, AL VOLO!-
lanciò d’improvviso un grosso e tondo biscotto, che con un balzo il cane afferrò, mentre lei avvertiva la presa del cane, sorridendo soddisfatta.
-Bravo!-
rise, per poi addentare allegra un altro biscotto, e tornare in salotto, afferrando di nuovo il suo strano libro, sedendosi sul grande comodo divano rosso, stendendovi sopra.
Ad un tratto, la porta di casa si aprì dopo un tintinnio, e la ragazza sorrise, riconoscendo due voci che parlavano fra loro, allegre e vivaci.
-Bentornate!-
-Yuko! Finalmente a casa! Dove sei stata per tutto il giorno?-
la brezza fredda che entrò in casa portò con se un profumo dolce e forte, che Yuko annusò allegra, avvertendo poi un corpicino freddo che l’abbracciava.
-Ciao Neko!-
-Ciao sorellona!-
la ragazza toccò con le mani calde le gote rosse e fredde della sorella, per poi lasciarla andare via, la madre delicatamente le tolse il cappotto, per poi avvicinarsi alla figlia, baciandole la fronte.
-Com’è andata, piccina?-
-Bene mamma…-
la ragazza sorrise contenta, avvertendo una mano calda accarezzarle la fronte, per poi seguire la donna con l’udito nei suoi spostamenti.
Neko si avvicinò alla sorella, e la guardò attenta, per poi girarsi verso la madre.
-Mamma, ma la signora Dijuju ha sbagliato!-
la donna si fece gelida, mentre riponeva silenziosa.
La ragazza sbuffò, mentre accarezzava il capo di Inuki, che per tutto il tempo era rimasto steso al suo fianco.
Yuko si fece pensierosa, mentre una mano accarezzava la testolina di Neko, che le si strusciava proprio come un gatto.
-Cos’ha detto la vicina?-
-Niente che t’interessi!-
la voce della donna era ansiosa e infastidita, ma Neko sussurrò qualcosa alla ragazza, che sorrise triste, continuando ad accarezzare la testa della piccola, che ora scendeva dal divano, prendendo e accarezzando Inuki.
-Mamma, potevi dirmelo che la nostra vicina ha parlato male di me, guarda che non mi offendo-
-Ma mi offendo io! Come si permette! Mia figlia è una ragazza come tutti gli altri, e lo dimostrerò!-
la ragazza scosse la testa, alcuni capelli accarezzarono il viso ben fatto.
-Mamma, perché ti ostini con questa tua assurda idea?-
-Perché tu sei una ragazza normale!-
il tono convinto e leggermente piegato della donna mise un silenzio di tomba intorno alla stanza, persino Neko aveva smesso di canticchiare.
Yuko scosse la testa, alzandosi in piedi.
-Mamma, tu lo sai meglio di me che non è così…-
-Lo so, ma cerca di capire…-
la donna si avvicinò alla ragazza, prendendola per le spalle, mentre questa restava in silenzio ad ascoltare.
-Io non voglio che tu venga trattata diversamente degl’altri ragazzi. Tu non sei anticcapata-
-Mamma, sai cosa significa la parola “handicap”? Vuol dire che si ha un problema, e io c’è l’ ho-
-Lo so, ma…-
-Mamma…la parola andicappato serve ad indicare quel tipo di persona che ha una disfunzione, anche se da un po’ di tempo la gente la usa in tono offensivo…
Anche se cercassi di negarlo, mamma, sai meglio di me quanto io sia anormale…-
-Tu non sei anormale-
-SONO CIECA, DANNAZIONE, PERCHE’ NON VUOI CAPIRLO!!-
il grido della ragazza fece sussultare la donna e Neko, che aveva chiamato a se Inuki.
Lentamente, la ragazza si calmò, e sorrise triste alla mamma.
-Io posso anche seguire il tuo progetto e illudermi con finte speranze, ma nulla della mia situazione cambierà, mamma. Sappilo-
Così dicendo, Yuko salì alla sua stanza, seguita da Inuki, mentre la donna la fissava triste e preoccupata.

Lo stradone grigio che portava verso la scuola nelle prime ore dell’alba era totalmente deserto, un forte contrasto rispetto a quando le porte si aprivano per far entrare o uscire i ragazzi dall’istituto.
In quei momenti, quando la nebbiolina che di solito offuscava leggermente la vista a chiunque (per il massimo i netturbini e i padroni con i loro cani)passasse di li.
Lui ogni mattina faceva quel tragitto, risvegliandosi dal torpore di un sonno abbastanza agitato, i muscoli che lentamente cominciavano a scaldarsi ed a risvegliarsi, il freddo della mattina di solito era la loro cura migliore, quando si trattava di riuscire a cominciare bene la giornata.
Il vento era così debole che quasi non esisteva, ma il freddo era forte, e i netturbini che toglievano cartacce e cicche dalle radice degli alberi di quel viale indossavano un maglione abbastanza pesante.
Lui, invece, indossava solo una tuta rossa, al massimo sotto una maglietta in cotone, che fasciava le potenti e lunghe gambe e il fisico ben fatto, come scolpito nel marmo dopo anni di allenamenti e sudore.
La visiera del berretto rosso copriva i suoi occhi lucenti, ardenti come tizzoni ancora accesi, si poteva al massimo sentire l’affanno del suo respiro, i suoi passi erano silenziosi.
Genzo alzò solo per un momenti lo sguardo, la nebbiolina lentamente si andava a dissipare.
Continuò ancora con quel ritmo, scandito da i battiti del suo cuore e dal ticchettare dello swatch che si portava al polso sinistro, ben nascosto dalla manica stretta della tuta, che ne faceva distinguere i contorni.
All’incrocio delle vie, prima dell’edificio davanti a se, girò, cambiando strada, il viale alberato continuava a costeggiare la strada e i marciapiedi, alla sinistra di quest’ultimi i vari muri delle case dal tipico stile occidentale, anche se ogni tanto si poteva vedere qualche bel esempio di casa giapponese, con un giardino e un piccolo laghetto, dove tranquilli sguazzavano pesci rossi, alcuni di questi macchiati di nero e bianco, ravvivando il grigiore dell’acqua; un bel giardino con l’erba bassa e qualche cespuglio, e in un angolo, i vari bonsai dalle foglioline piccole e verdissime, brillanti di rugiada mattutina.
Lentamente, rallentando l’andatura e alzando lo sguardo, Genzo raggiunse tranquillo la grande villa Wakabayashi.
Sua madre aveva sempre ammirato le case occidentali, e la villa ne era un esempio concreto, in alcuni punti si poteva benissimo distinguere un gusto gotico, mentre in altri la casa assumeva canoni più moderni.
Il grande giardino possedeva un campo da calcio, dove lui e il suo tutore, un tempo, si allenavano abitualmente.
In quel momento, mentre superava il grande cancello, i cui disegni in ferro battuto mettevano abbastanza in soggezione chiunque si sarebbe fermato ad ammirare quella casa, notò la presenza di una villa più modesta rispetto alla sua ma altrettanto ben fatta, i cancelli di questa, invece, possedevano linee più dolci, l’aspetto sereno e accogliente era il contrario da un certo punto di vista della villa di Genzo, che si fermò a fissar ancora quella villa, per poi entrare in casa, sbuffando come un toro per la corsa in quella mattina d’Ottobre.
Nello stesso momento, Yuko usciva da casa, chiudendosi la porta con un leggero click, tenendo saldamente con una mano la sacca e il bastone, per poi girarsi in direzione del cancello, cominciando a ticchettare il pavimento, raggiungendo così le scale, mentre un altro ticchettare, più dinamico e vario accompagnavano i suoi passi incerti.
-Allora, Inuki, pronto per la nostra passeggiata?-
il cane abbaiò con forza, grattando le unghie sul cancello, producendo un fastidioso stridio che accapponò la pelle di Yuko, che ridacchiò.
-D’accordo, ma smettila. Lo sai che non lo sopporto quel rumore!-
il cane smise di graffiare, e guaì, scatenando l’ilarità di Yuko, che ridendo aprì il cancello, lasciando correre via il cane, il ticchettare delle sue unghie si allontanava, per poi tornare dalla padrona, che sorridendo divertita chiudeva il cancello, tastando un attimo alla ricerca della chiave, per poi allungare il suo bastone, e iniziare a ticchettare, mentre Inuki le tornava accanto per l’ennesima volta.
-Bene, dove andiamo?-
Inuki si guardò intorno, guardando il grande stradone con i suoi occhi castani, per poi rivelarsi verso destra, ed abbaiare alla sua padrona, che sorrise.
-Bene, allora al parco!-

Il vento passò con uno sbuffo scocciato, come di un uomo che s’annoiava, uno sbuffo freddo, che fece intirizzire Yuko, che si sistemò meglio la sciarpa beige attorno al collo, continuando a passeggiare, il bastone ticchettava aritmicamente, mentre Inuki andava qua e la come un cuccioletto curioso.
La ragazza sorrise affettuosa, mentre ricordava i primi tempi con Inuki: era sempre stato un cuccioletto buonissimo, e col tempo questa sua caratteristica non era cambiata, così come non era cambiata la sua ansia verso la padrona.
Perché, si ,in fondo quel cane si mostrava molto ansioso nei confronti di Yuko, fin da quando da ragazzina cominciava ad avere le prime difficoltà di vista.
Era un perfetto cane per ciechi, il migliore, e nutriva nei confronti della ragazza un’amore e un affetto davvero esasperanti.
Quando erano a casa era raro che lui non le stesse accanto, al massimo lo si poteva vedere insieme a Neko, ma per la maggior parte del tempo era sempre sdraiato ai piedi della padroncina, che non mancava di coccolarlo e viziarlo un pochino.
Lei non era nata cieca, questo suo piccolo problema era dovuto ad una malattia dell’occhio, la cataratta: un velo che passava sopra gli occhi...
Una malattia che però, ormai, allo stadio di Yuko, era impossibile da curare.
Insomma, era destinata a restare i quella condizione per tutta la vita.
Ma la madre sembrava non capire questo concetto, certe volte la donna si comportava come una bimba capricciosa, e molto spesso Yuko si dimostrava la più matura fra le due.
E forse…anche la più fredda e cinica.
“-SONO CIECA, E BASTA!-”
lei se lo ripeteva spesso, quel motivetto, quasi a volersi scoraggiare, e la madre non poteva fare altro che sbuffare ed abbracciarla, senza però aspettarsi nessuna lacrima dalla figlia.
Piangere non sarebbe servito a nulla, se non a rompere il già delicato equilibrio di Yuko.
Perché Yuko appariva sempre molto sicura di se, ma lo psicologo aveva scoperto una grave crisi, causata dalla sua cecità.
“-E’ come avvolta da una barriera di vetro sottile, quasi come una bolla di sapone. Se la bolla si spacca, temo che la ragazza non reggerà l’urto-”
insomma, era soggetta anche ad attacchi di schizofrenia.
Fantastico!
La ragazza sbuffò, alzando la testa verso il cielo, il vento muoveva ed accarezzava sensuale i suoi lunghi capelli, baciandole il viso come un’amante dolce e silenzioso, che al massimo sussurrava parole dolci cariche di affetto.
Lentamente, la ragazza riabbassò la testa, avvertendo qualcosa di freddo e bagnato sfregarle sulla mano libera, l’altra teneva il bastone appoggiato.
-Si, Inuki, scusami, ero in pensiero. Andiamo avanti-
il ticchettare del suo bastone tornò a farsi udire nel silenzio di quel parco, mentre il flusso dei suoi pensieri diventava una specie di grande fiume, una sorta di Danubio fatto di parole, immagini e ricordi.
La madre era andata come una pazza in giro per il mondo, alla ricerca di un miracolo che permettesse alla figlia di riacquistare il senso della vista, ma tutti i medici avevano scosso la testa, convinti, ripetendo sempre la solita tiritera.
“-Mi dispiace, ma non c’è la minima possibilità. E’ comunque è un’operazione difficile, potrebbero sorgere complicazioni-”
in parole povere, no .
Yuko sbuffò ancora, lo buffo sembrava ripetersi nel vento, mentre le foglie turbinavano affianco a lei ,accompagnandola nel suo passaggio silenzioso, il ticchettare del bastone e quello delle unghie di Inuki erano le uniche cose che turbavano l’atmosfera pacifica che si era andata a creare.
Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti, Italia.
E infine tornate di nuovo in Giappone.
Per cosa? Per un pugno di polvere, per una speranza impossibile da realizzarsi.
Ma la madre di Yuko era conosciuta oltre per la sua abilità di stilista, anche per la sua terribile testardaggine.
Si…sua madre era una famosa stilista.
Myzuka Tashi, una delle più grandi stiliste.
I suoi capi erano molto conosciuti per la loro comodità ed originalità, un taglio che poteva cambiare con un solo bottone o cerniera spostati.
Di colpo, un abito da sera poteva tranquillamente diventare un vestito comodo, adatto per qualche scampagnata.
E sua figlia era il suo modello preferito, il corpo magro e ben fatto che funzionava da canone.
Un esempio perfetto di bellezza.
I suoi lineamenti la facevano quasi sembrare europea, ma lei amava sempre affermare il suo sangue giapponese.
Suo padre, Takeru Makoto, era un famoso industriale, purtroppo morto per gravi problemi cardiaci, che si erano riscontrati nella piccola Neko.
Neko…un amore di ragazzina.
Allegra, vivace, che sprizzava energia da tutti i pori come un cucciolo di gatto, ma anche silenziosa e tranquilla come un elegante persiano.
I suoi capelli erano di un bel colore ramato, e come la sorella possedeva due splendidi occhi verdissimi, l’orgoglio delle due ragazze.
Beh…forse quelle di Yuko erano un po’ più chiare, e le pupille erano grigio scuro…
Ma non per questo erano meno luminose di quelle della sorella.
Anzi.
Yuko, in quell’istante, aprì gli occhi al cielo grigio, le iridi verdi erano velate come da un sottile velo bianco, che le rendeva più pallide, il nero della pupilla si era sfumato in un grigio fumo.
Eppure…niente era più brillante di vita di quegl’occhi, che lentamente si richiusero, le ciglia lunghe e nere coprivano gelose quegl’occhi, che rare occasioni si mostravano in tutto la loro lucentezza a qualcuno.
La ragazza tornò a camminare, fischiando verso il cane, che obbediente tornò da lei.
-Inuki, accompagnami a sedere-
il cane obbedì ciecamente, e dopo essersi fatto mettere il guinzaglio, accompagnò la padroncina ad una panchina verde.
La ragazza,dopo averla tastata, si sedette con un sospiro di sollievo, accavallando le gambe, fasciate da dei jeans neri che mostravano la loro magrezza, il cappotto nascondeva il seno ben fatto della ragazza, che dopo un attimo in silenzio cominciò a coccolare il cane, sussurrando parole dolci, per poi frugare nel suo zaino, tirando distrattamente fuori un foulard, che di colpo venne portato via da uno spiffero ladruncolo.
-Inuki!-
il cane ubbidì, inseguendo il foulard, mentre la ragazza si metteva in piedi, afferrando di fretta le sue cose, inseguendo con passo accelerato il cane, che però si era allontanato troppo.
Nel frattempo, Genzo si stava affrettando a raggiunger e il campo dove si doveva incontrare con gli altri ragazzi per allenarsi.
Quel giorno la nazionale giapponese si era riunita, e lui non si poteva permettere ritardi, era il loro portiere.
Ad un tratto, qualcosa di violaceo e dorato passò davanti a se, e il ragazzo afferrò al volo.
Un foulard.
Viola, leggero, arabescato di oro, con gli angoli fatti a spruzzi celesti e verdi.
Di colpo, avvertì una presenza avvicinarsi, e osservò stupito un cane che, pian piano, si fermò davanti a lui, sedendosi, puntandosi la, a fissarlo con quei grandi occhi coloro nocciola.
-Inuki! Dove sei?-
Genzo alzò lo sguardo, e sentì un ticchettio accelerato, mentre il cane abbaiava più di una volta verso la figura, che sorridendo si avvicinò.
-Hai trovato il foulard? Cos…-
Yuko si trovò a colpire con una mano qualcosa di duro ma al tempo stesso morbido, come un tessuto, e caldo.
-Mi dispiace! Mi scusi tanto!-
la ragazza scosse la testa, arrossendo, per poi chinarsi verso il cane, accarezzandolo affettuosa.
-Inuki, potevi avvertirmi che c’era una persona-
-E’ tuo il foulard?-
la ragazza socchiuse gli occhi, per poi sorridere dolce e serena, ed alzarsi in piedi, sistemandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli, allungando la mano verso il ragazzo, che lentamente le restituì il foulard.
Lei alzò lo sguardo, i suoi occhi socchiusi mostrarono due iridi verdi velate, e a sua voce era calda e dolce come il fuoco di un caminetto.
-Ti ringrazio…-
Genzo la fissò attento, studiando il viso delicato dai lineamenti dolci e tipicamente occidentali.
I suoi capelli era come un mare castano, le cui onde assumevano sfumature di oro.
La sua figura magra e ben fatta era nascosta da un giubbotto imbottito di pelliccia bianca, fatto di pelle lavorata, con i jeans neri e gli stivaletti neri. Una sciarpa attorno al collo.
Il ragazzo restò per qualche secondo imbambolato, per poi calare il berretto sugl’occhi.
-Scusa, ma devo andare…-
-Non ci siamo già incontrati…o meglio, scontrati?-
Genzo alzò stupito lo sguardo verso quella creatura, che sorrise, mentre il cane le restava seduto al suo fianco, fissando curioso e tranquillo il ragazzo con i suoi caldi occhi nocciola.
-Beh…forse…-
-Ma si, al campo…immagino che tu stia andando li, e sembra che tu vada di fretta…-
la ragazza si scostò, aprendo il passaggio al ragazzo, che la fissò stupito, mentre lei gli sorrideva tranquilla, niente sembrava turbar e il suo viso pallido, le gote leggermente arrossate per il freddo.
Il portiere non poté fare a meno di ammirare quel sorriso, per poi brontolare qualcosa, scatenando una risata silenziosa di Yuko, che ascoltò i passi di scarpine chiodate allontanarsi, rivolgendosi poi al cane, mettendogli il guinzaglio.
-Forza Inuki, andiamo…-
il cane obbedì, cominciando a percorrere, affiancato dalla padrona, il viale dove si stava dirigendo Genzo.

*

Il vociare la spinse a fermarsi, Inuki si voltò a guardarla, incuriosito dall’atteggiamento improvvisamente timido della ragazza, che si sfregò le mani fredde, mettendole poi sul viso per scaldarlo, soffiando poi sulle lunghe dita leggermente arrossate, il vapore dello sbuffo si perse per qualche istante nell’aria, svanendo, portato via da una brezza birichina.
Lentamente, la ragazza si calmò, avvertendo ancora il vociare, mentre insieme alle grida si mescolavano rumori e stoppate, come qualcosa in movimento che si bloccava.
Sorrise, riconoscendo il rumore di un pallone da calcio.
Da anni aveva imparato a riconoscere quel rumore, era come un ricordo che tornava raramente alla memoria, ma che per lei era fonte di sorrisi malinconici e divertiti.
Accompagnata da Inuki, Yuko tastò la rete, raggiungendo il cancello alto e stretto, aprendolo con un cigolio fastidioso, segno che nessuno oliava più quei cardini.
Richiuse la porta, e tastò la rete, percorrendone il perimetro, a proteggerla da possibili pallonate in faccia Inuki, che manteneva all’erta, avvertendo un possibile imminente pericolo.
La ragazza sorrise, accarezzando per un attimo il pelo di Inuki, per poi riconoscere una voce, e dei passi affettati che la raggiungevano.
-Yuko!-
-Sanae! La tua voce squillante la si potrei riconoscere tra migliaia di persone!-
la ragazza arrossì contenta, abbassandosi verso il cane, accarezzandolo affettuosa.
-Che meraviglia! Che bello!-
-Ti piace? Si chiama Inuki E’ un bel cane, vero?-
-Si, è stupendo. Vieni, ti faccio conoscere le altre-
la ragazza obbedì, prendendo la mano di Sanae, che la trascinava via, l’allegria di quella ragazza le ricordava tantissimo Neko.
-Ehi! Yoshiko! Yayoi!-
le due si voltarono verso Sanae, che trascinava con se una impacciata ragazza, che si sistemò un po’ i capelli arruffati, inchinandosi in segno di saluto, un cane dal manto color miele seduto al suo fianco.
-Ragazze, questa è Yuko, è una mia carissima amica-
-Molto lieta-
-Piacere nostro!-
la ragazza restò affascinata dal tono dolce di una voce, mentre l’altra aveva un timbro molto più simile a Sanae, che in quel momento tornò a concentrarsi sul campo.
Yuko restò in silenzio, concentrandosi a mantenere la sua attenzione sul pallone, che rotolava via seguendo uno schema di passaggi abbastanza difficile e impegnativo, i due che seguivano la sfera a scacchi dovevano essere molto affiatati.
Uno di loro due, in particolare, sembrava destare un ricordo di Yuko, che però tornò a concentrarsi sul pallone.
Un passaggio lungo.
Sentì del terreno sfregarsi, poi partì un rombo che la spiazzò, una specie di bolide attraversava adesso il campo, raggiungendo con uno schizzo la rete.
Di colpo, sentì uno “stop” forte e risuonante, due braccia forti dovevano aver afferrato quel pallone.
-Caspita…hai visto, Inuki?-
il cane guaì in affermazione alla domanda di Yuko, che poi tornò ad ascoltare i rumori del campo, le braccia dovevano aver deviato il tiro, forse era troppo potente persino per…
-E tu dovresti essere il grande SGGK? Non sei nemmeno riuscito a trattenere un mio tiro-
-Certo, ma solo perché il tuo tiro mi ha lasciato spiazzato. Questa volta l’ho paro sul serio!-
SGGK…
Genzo Wakabayashi.
Il suo nome risuonò nella mente di Yuko come un campanellino d’aria, mentre Sanae le si avvicinava, preoccupata.
-Yuko, tutto ok?-
-Sanae, per caso c’è Genzo Wakabayashi?-
-Si…è in porta…d’altronde, lui è il portiere titolare della nazionale giapponese-
la nazionale giapponese.
-Ehi, Sanae!-
la ragazza si voltò verso Tsubasa, che l’aveva chiamata a gran voce, allontanandosi da Yuko, che rimaneva in silenzio, per poi voltarsi verso Inuki.
-Piccolo, hai sentito?-
-?-
-Proprio come hai vecchi tempi…-
Yuko si abbassò, accarezzando dolce e sorridendo al cane, che sfregò il muso umido contro la guancia pallida della ragazza.
-Yuko Makoto…-
lei sorrise, quella voce era inconfondibile, le ricordava tanto una carezza sul viso.
-Taro…-
il ragazzo la guardò stranito, per poi avvicinarsi a lei, e lei si limitò a sfiorargli il volto con una mano.
Sorrise, malinconica, triste…
-Non sei cambiato affatto…hai lo stesso sorriso…-
il ragazzo l’abbracciò affettuoso, lei sorrideva contenta, lasciando poi il ragazzo, che si abbassò ad accarezzare il cane.
-Ehila, Inuki, ti sei fatto ancora più grande! Ancora un po’ e quando mi salterai addosso mi ritroverò gambe all’aria-
uno spiffero allegro raggiunse la mente in quel momento sgombra di Genzo, che udì un eco di acqua zampillante, fresca.
Allegra.
Una risata allegra.
Lei rideva, allegra, le iridi socchiuse, le ciglia che come una rete di maglie sottili coprivano le iridi lucenti, una mano che copriva il sorriso allegro e la risata felice, mentre Taro rideva con quella ragazza.
Non seppe mai cosa gli venne in quel momento, ma qualunque cosa fosse stato, l’ha smosso fin nel profondo.
Di colpo, avvertì una leggera rabbia invaderlo nella mente, mentre vedeva due chiacchierare come vecchi amici, lei con quel sorriso così dolce e caldo, lui che ogni tanto le passava una mano sulla guancia, aumentando la rabbia e il fastidio di Genzo.
Poi, i due si avvicinarono al gruppo, la ragazza si teneva per il braccio di Taro, che la presentò a tutti.
-Ragazzi, questa è Yuko Makoto, una mia vecchia e carissima amica-
-Salve, spero che qualcuno si ricordi di me…-
tutti la guardarono, poi Tsubasa si avvicinò.
-Certo, tu sei quella dell’altro giorno!-
-E tu sei…-
-Mi chiamo Tsubasa Ozora. Molto lieto di conoscerti-
il ragazzo allungò una mano, e Yuko dopo un attimo d’incertezza allungò la mano, incrociando poi la sua.
Non la vedeva.
Però lei sorrise, arrossendo imbarazzata, e sorridendo.
-Piacere-
lentamente, la ragazza si avvicinò a Tsubasa, e con una punta d’incertezza, scoprì nelle palpebre socchiuse i suoi occhi verdi pallidi, mentre una mano accarezzava la fronte del ragazzo, sotto lo sguardo curioso degl’altri.
La sua mano passò sugl’occhi del ragazzo, attraversando le valli delle guance, tornando un attimo sugli altipiani della fronte, passando veloce sulle foreste di capelli neri, accarezzando con un dito la montagna del naso, fermandosi sulla collina del mento, per poi sorridere.
-…immagino…che tu sia davvero un ragazzo fortunato…-
la ragazza si allontanò, lasciando la frase in sospeso, per un attimo a Sanae sembrò che la frase si riferisse a lei.
Tsubasa, dopo un attimo d’incertezza, arrossì, mettendosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
-Beh, non mi posso lamentare!-
subito tornò veloce il gran vociare, uno ad uno i ragazzi si presentavano, e la ragazza passava la mano sui loro visi, memorizzando il timbro di voce e le facce, che nell’oscurità della cecità prendevano forma, come schizzi di disegni.
Si soffermò sopratutto su Kojiro, inarcando le sopracciglia.
-…hai…hai un bel viso!-
la ragazza sorrise allegra, mentre esplorava per un ultima volta il viso abbronzato del calciatore, che si limitò a fare un sorrisetto divertito e orgoglioso, che non passò inosservato al tatto attento della ragazza, che sorrise divertita.
-E sei anche un presuntuoso-
tutti scoppiarono a ridere a quell’affermazione, alcuni dei ragazzi le facevano i complimenti.
-Ehi, Kojiro, a quanto pare la ragazzina è molto sveglia!-
-Già! Ha gia capito che razza di tipo sei!-
tra le risate generali sbucò la figura di Genzo, che si avvicinò alla ragazza, che sorrise contenta.
-E così…ci rivediamo…-
il ragazzo si limitò a mettersi a posto il berretto, mentre Taro lo presentava.
Quando la ragazza allungò una mano, qualcosa in Genzo scattò, facendolo scansare al contatto, quasi la mano di Yuko fosse fatta di fuoco.
Si maledisse, ma in qualche modo la ragazza faceva in lui uno strano effetto: la…intimidiva, quelle iridi così chiare…gli sembrava quasi scavassero dentro di lui…anche se quelle iridi non vedevano altro che oscurità…
E quel sorriso…così dolce e tranquillo…era così misterioso…
Yuko sorrise, tranquilla, l’atteggiamento distaccato del portiere sembrava non averle sortito alcun effetto.
A parte…interesse…
-Basta! Torniamo in campo! Abbiamo perso gia troppo tempo!-
la voce severa del portiere nascose l’imbarazzo che portava, il rossore leggero sulle guance era ben nascosto dalla visiera del berretto rosso.
Yuko sorrise, scuotendo il capo a Taro, che tornò in campo, mentre la ragazza si avvicinava a Sanae, che le prese la mano.
-Quella….quella frase…-
-?Si…Tsubasa è davvero fortunato…-
Sana arrossì di botto, e con una carezza Yuko lo scoprì, sorridendo affettuosa, per poi sedersi nella panchina, Inuki le si era messo accanto.
Si concentrò, avvertendo il rumore del pallone tra l’erba, concentrandosi sulla a, utilizzando il suo senso più affinato.
L’udito.
In quegl’anni aveva imparato a cavarsela senza la vista, sviluppando un udito molto affinato, e una capacità di memoria straordinaria, che insieme al tatto le davano la possibilità di cavarsela sempre in ogni situazione.
Si ricordò di quella volta che, da piccola, per sbaglio si perse per una galleria.
Utilizzò il suo udito per trovare l’origine di una sorgente, e con essa l’uscita.
La madre era rimasta abbastanza spaventata dall’accaduto, e aveva pregato alla figlia di stare più attenta e di evitare strade pericolose se non era in compagnia anche solo di Inuki, che in quel momento era sdraiato tranquillo a terra.
-Sai….Inuki…-
il cane alzò lo sguardo alla padroncina, che sorrideva divertita.
-…credo…credo che presto sarà primavera…-
il cane si limitò a guaire, lasciandosi accarezzare dalla padrona, che teneva lo sguardo fisso davanti a se, un’immagine schizzata di un berretto rosso ai suoi occhi, ascoltando poi distratta il rumore di un rombo, e concentrarsi di nuovo sul pallone.

“-E cosi…c’incontriamo di nuovo…-“
le parole risuonavano nella sua mente come echi di cori dolci e sereni, come gocce d’acqua che cadevano in un piccolo lago, procurando rumori cristallini e silenziosi, calmando il suo nervosismo.
In qualche modo, Kojiro era riuscito a scampare alla sua furia omicida.
Le gocce calde della doccia distendevano i muscoli tesi e innervositi, la potenza di quei tiri si faceva sentire sulle braccia.
Però, a forza di testardaggine, aveva ormai capito il trucco, ed ora era più forte che mai.
Però…
Però quegl’occhi verdi non lo mollavano un secondo.
Fissandolo socchiusi, nascosti da una leggera trama di ciglia nere e lunghe, coperti dal velo pallido della cecità.
E quel sorriso…
Così misterioso….dolce e sereno…ma al tempo stesso…divertito, nascosto….quasi trattenesse, imprigionasse parole sussurrate…
Quella mano gli aveva fatto paura, quella ragazza gli aveva fatto paura.
Non sapeva perché, ma in qualche modo si sentiva a disagio.
Forse per il fatto che era ceca.
No, non era quello, anche se in parte lo era.
Era il suo modo di mostrare gli occhi la gente.
Come due gioielli preziosi, erano sempre in uno stato di visibilità- non visibilità, che li rendeva rari, preziosi.
Preziosi.
Genzo aprì gli occhi, e chiuse la doccia, avvolgendo la vita con un’ asciugamano bianco, lasciando che una fitta rete di gocce d’acqua imprigionasse il torace muscoloso e il ventre piatto, gli addominali erano ancora tesi, e formavano pieghe leggere e sexy.
I capelli neri brizzolati erano ancora fradici, e il ragazzo ci passò opra le mani, asciugandoli rozzamente, quasi cercando di fargli prendere una forma, completando l’asciugatura con un altro asciugamano bianco, ritirandosi nella stanza.
Tutto di quella stanza aveva un vigore e mostrava l’orgoglio tipico del portiere e la virilità maschile: dall’armadio e la scrivania con un tagli grosso e vagamente gotico, al letto ampio dalle lenzuola bianche e il copriletto arabescato di rosso e oro, alla tappezzeria damascata, colori caldi sembravano infuocare quella stanza.
Su alcune mensole giornali, foto, maglie e coppe vinte nei suoi anni di carriera, una carriera iniziata da giovane, durata nel tempo.
Fotografie, ritagli di giornale e altro che lo ritraevano in varie pose di bloccaggio della palla.
Si soffermò a guardarne qualcuna, un sorriso di orgoglio e soddisfazione dipinse le sue labbra, mentre si ammirava che festeggiava con i suoi compagni, reggendo tra le varie mani la coppa. Anche quell’anno sarebbe stato così.
E per questo si dava da fare, mostrando il meglio della sua forma fisica e onorando il suo soprannome di SGGK.
Indossò dei jeans e una felpa nera, che metteva in risalto il torace scolpito, sembrava fatto di marmo, la pelle assumeva una tinta abbronzata, i suoi occhi coperti dal suo inseparabile cappellino rosso, mentre si affrettava a scendere le scale, i suoi passi erano silenziosi come quelli di un gatto.
In qualche modo, voleva scappare da quella casa.
Non che gli piacesse, anzi.
Ma…quegl’occhi verdi gli davano una sensazione strana, mai provata, e in qualche modo il portiere cercava di scacciarla.
Uscì, chiudendo dietro di se, il cancello dalle forme grandi e anche minacciose, il ferro battuto era costellato di ombre e parti scure che lo rendevano in qualche modo ancora più minaccioso, facendo scatenare un risolino divertito sul volto di Genzo.
Si fermò un attimo, fissando stupito la villa davanti a se, più modesta, ma altrettanto bella, il cancello di questa era ricco di giochi di chiaroscuro.
Sugli scalini in marmo, sdraiato, un cane dal pelo color ambra e melassa, e una ragazza che, sorridendo, sussurrava qualcosa nel vento, tenendo gli occhi chiusi, passando il dito tra le pagine di quel libro che, agl’occhi del portiere, era vuoto, senza immagini o scritte.
Il cane, di colpo, alzò il capo, fissando il portiere con quei suoi occhi nocciola, che rivelavano una grande intelligenza e calma interiore.
La ragazza si fermò nella “lettura” del libro, e alzò lo sguardo, socchiudendo gli occhi e guardando davanti a se.
-Inuki, c’è qualcuno?-
Racchiusi in trame nere, due smeraldi pallidi si mostravano a occhi curiosi e incerti.
Genzo scostò lo sguardo, ogni volta che guardava quegl’occhi si sentiva tutto rivoltare dentro.
Lentamente, Yuko si alzò in piedi, accortasi che Inuki si era avvicinato al cancello, le sue unghie graffiavano sul metallo, procurando quel rumore stridulo e fastidioso che ogni volta accapponava la pelle di Yuko, che si alzò in piedi e si avvicinò al cane, sorridendo divertita.
-Smettila! Quando imparerai che quel rumore mi da fastidio…-
la ragazza alzò il volto, gli occhi chiusi che si aprirono lievemente, quei smeraldi che luccicavano.
Genzo restò a fissare quello sguardo, bloccato, il respiro a tratti trattenuto.
Gemme preziose che si rivelavano, stelle nascoste dalle trame delle nubi nere della notte.
Yuko alzò lo sguardo, e quasi per sesto senso, riconobbe la imponente figura di Genzo, che si stagliava di fronte a se.
-Buonasera Genzo-
la sua voce era calma e tranquilla, segno che non si accorgeva dell’imbarazzo e dell’inquietitudine che procurava al portiere.
O se l’aveva notata…faceva finta d’ignorarla.
Lui si limitò a calcare il berretto, quando avvertì una mano allungarsi, e si scostò rapido, mentre Yuko schioccava le dita.
-Peccato! C’è l’avevo quasi fatta! Ma prima o poi riuscirò a vedere il tuo viso…-
Genzo la guardò stupita, mentre lei sorrideva contenta, sfiorando con un dito la visiera del berretto rosso.
-Per ora mi accontento del berretto…-
sorrise, un sorriso così dolce e calmo che per un istante il mondo al di fuori di lei e Genzo sembrava essere diventato solo uno scarabocchio su un foglio da disegno.
Genzo, dopo un attimo, abbassò lo sguardo, allontanandosi da quella figura che sorrideva, le mani pallide dalle lunghe dita erano appoggiate al freddo metallo della cancellata, i capelli lunghi ondosi assumevano le sfumature di un biondo pallido, il cielo sopra di loro lentamente si rannuvolava, mentre la ragazza alzò la testa, quasi per vedere le nuvole grigie che, portate da un violento vento, correvano impazzite.
-Credo che pioverà…Inuki, è meglio rientrare…-
il cane obbedì, mentre lei alzava il viso, avvertendo il respiro di Genzo che, anche se impercettibile, lo sentiva benissimo.
-A presto, Wakabayashi…è stato bello rivederti-
una sferzata alzò di colpo i capelli di Yuko, creando tsunami che accarezzavano delicati, a volte però violenti e rabbiosi, quel viso così sereno, gli occhi socchiusi rivelavano due iridi verdi.
Lentamente, la ragazza si voltò, e percorse gli scalini con una punta d’incertezza, fermandosi solo a riprendere il libro che prima stava tastando, decorate di foglie rosse e marroni, come un fuoco buono, che bruciava silenzioso sulla copertina di cuoio.
Con un “click” sussurrato, la ragazza aprì la porta, e la richiuse dietro di se, lasciando Genzo che, silenzioso, aveva osservato la figura magra e ben fatta di quella ragazza.
Piccola…strega…
Genzo si calcò meglio il berretto, nascondendo un leggero rossore, partendo a correre, allontanandosi.

  
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