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Autore: ballerinaclassica    12/12/2009    3 recensioni
Lui non stava correndo da Arthur, lui stava solo andando lì a prendersi il suo regalo di Natale. Insomma, gli spettava di diritto in quanto ex-fratello-minore-che-aveva-saggiamente-scelto-di-abbandonarlo-e-tirare-avanti-da-solo.
France/Uk ♥
Us/Uk ♥
Genere: Romantico, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alfred non aveva mai tenuto qualcuno così in considerazione; solo se stesso, se stesso e poi sì, ancora se stesso. Alfred guardava solo ogni tanto in direzione di qualcun altro, la solita persona, ne era ossessionato da sempre. Arthur era un misto di isterismo, sarcasmo e di meraviglioso isolamento che non aveva bisogno di inutili legami e di conseguenza non ne pagava le spese. Arthur sorrideva alle persone in modo pacato e controllato, non era mai veramente sincero né troppo propenso a farlo. Da quel che Alfred ricordava, Arthur aveva sempre finto coi suoi sorrisi, in un modo o nell'altro.
Talvolta celava un po' della sua malinconia, talvolta un po' del suo rancore. Quando Arthur sorrideva col cuore – e lo faceva veramente – invece sembrava emanare una specie di carica di luce. Alfred non era tipo da ammetterlo, lui era luminoso e limpido come un eroe, ma faceva fatica a non notarlo. Gli occhi di Arthur sembravano diventare trasparenti da rendere possibile leggergli fin dentro il cuore, le gote si arrossavano leggermente; Arthur mostrava una fila di denti bianchi e dritti che terminava con due fossette sulle guance.
Alfred si passò una mano sul viso. Stava diventando davvero stupido come Arthur sosteneva da secoli.
Teneva quell'hamburger in mano da almeno un'ora e ancora non l'aveva finito. Stava diventando anche vecchio come lui probabilmente, se dimenticava una cosa importante come mangiare.
Kirkland, il maggiore tra i baluardi che aveva dovuto oltrepassare per avere la sua Indipendenza. Gli era sembrato grande e poi piccolo, adesso Arthur oscillava. Gran parte delle Nazioni temeva quel sorriso, la metà di esse, probabilmente, era passate o era tutt'ora dei suoi domini. Alfred però poteva vedere un sacco di incrinature nell'espressione di Arthur, anche in quella che poteva sembrare più cristallina: c'erano il dolore, il rimpianto, il rancore, il rimorso. Erano tutte emozioni negative, non si stupiva più di tanto, ormai, quando l'inglese gli parlava di magia nera come se si fosse trattato del tempo.
Arthur ubriaco, poi, era qualcuno che davvero non avrebbe mai voluto conoscere. A parte il fatto che – diamine – temeva gli saltasse addosso da un momento all'altro con intenti tutt'altro che affettuosi. A volte pensava volesse solo abbracciarlo e magari infilagli le mani dove non dovevano essere infilate; altre temeva davvero per la propria incolumità: Arthur blaterava qualcosa riguardo alle grandi Nazioni, al potere, poi nel discorso – e non si sapeva come – ci infilava sempre i fratelli e l'Indipendenza e alla fine sventolava il suo Scotch, agitando la bottiglia con particolare enfasi proprio nei pressi della testa di Alfred.
Arthur ubriaco non era una bella visione. E caricarselo in spalla e portarlo a casa non era affatto una bella esperienza.
Alfred si alzò, un po' di salsa gli era finita sui pantaloni macchiandoli di rosso. Ma tanto il ketchup gli piaceva, sarebbe bastato leccarli mentre nessuno guardava. O più semplicemente mentre era Arthur a non guardare: quando si trattava di buone maniere e di ex-fratelli che andavano alla bene e meglio contro ogni forma di galateo, Arthur andava in escandescenza e diventava una sorta di pericolo mortale. Alfred giurava anche di aver anche visto del fumo che gli usciva orecchie, una volta.
Alfred percorse metà del corridoio ridacchiando tra sé, pensare ad Arthur inserito nelle situazioni più ridicole era davvero esilarante. Non sembrò nemmeno far caso agli addobbi appesi alle pareti, a Toris che reggeva la scala di Feliks e che indugiava un po' troppo con gli occhi sotto la sua gonnellina. Ludwig, con una ghirlanda in testa e Feliciano appeso a un braccio, pensò che evidentemente era troppo preso da se stesso per badarci.
Continuò a camminare e ridere, nella mente ancora la faccia di Arthur che urlava qualcosa come “ti sembrano degli abiti adatti ad un summit quelli?! Fila subito a cambiarti, idiot!” e cominciava a pestare i piedi per terra quando lui invece si rifiutava categoricamente di ascoltarlo.
«Alfred!»
Si fermò di scatto, tornò indietro di qualche passo, fino ad trovarsi davanti a un altro corridoio – quando lo avevano messo lì? Sulla cartina degli Stati Uniti mica c'era.
«Alfred! Ti sto chiamando e tu nemmeno te ne sei accorto!»
Alfred pensò che – davvero – qualcuno lassù voleva proprio che Arthur lo picchiasse, perché non era possibile pensare alla sua faccia incazzata e poi trovarsela davanti nell'attimo successivo. Non gli ci volle molto a mettersi a ridere – e diamine, Arthur sembrò inviperirsi ancora di più.
«Cosa diavolo hai da ridere così?!»
Cercò di fermarsi, quantomeno di non guardarlo o fargli capire che non era per lui. Sapeva bene che Arthur diventava incline alle ubriacature esattamente a causa di quei momenti che c'erano tra loro, eppure la sua faccia, la fronte aggrottata e le sopracciglia ridicole erano davvero troppo per lui.
«AH! Arthur! Te l'assicuro... Non è colpa tua!»
Arthur non gli sembrava troppo propenso a voler sentire spiegazioni. Alfred notò solo uno scatto delle spalle e poi del resto del corpo e Arthur che si allontanava coi pugni serrati e la testa bassa. Credette, poi, di aver davvero sentito un “fuck you” mormorato in fondo al corridoio – ma non ne era troppo sicuro. Oppure cercava di negarlo.
Solo in quel momento Alfred riuscì a calmarsi, a raddrizzarsi gli occhiali e a regolarizzare il respiro. Arthur si era arrabbiato con lui tante di quelle volte, questa non era nemmeno tra le peggiori. Solo che gli dispiaceva vederlo nervoso anche a Natale – chissà che voleva, poi, magari gli avrebbe dato un regalo, magari era quell'alieno che desiderava da tanto tempo. Però ora che ci pensava, Arthur non era di certo abbastanza “cool” da regalare un alieno; e poi credeva ancora nelle fate, Arthur era così vecchio dentro che era già tanto se non gli aveva regalato un bel maglioncino con le renne e in più la dentiera in omaggio.
Alfred pensò per un attimo di seguire Arthur, forse poteva rimediare. Ma dovette ricredersi appena un paio di secondi dopo: Arthur si sarebbe aspettato delle scuse – Arthur si aspettava sempre delle scuse – lui non gliele avrebbe date. Allora avrebbero litigato, Arthur avrebbe detto che lui era un ingrato, che era un bambino, un incapace, magari avrebbe anche osato insinuare che era peggio di Francis e via dicendo.
Alfred tornò sui propri passi, in fondo il corridoio nel quale Arthur era sparito sulla cartina degli Stati Uniti nemmeno c'era.


Alfred passò metà della giornata a fissare come tutti si dessero da fare per abbellire la sala conferenze. Ognuno s'impegnava con qualcosa: Yao con la sua China Town, Romano con lo stomaco di Antonio, Tino lamentava l'assenza di una sauna, Roderich accordava un pianoforte mentre Gilbert veniva atterrito da una padella volante. Alfred pensò che probabilmente tutti quanti avevano solo bisogno di una bella vacanza, magari in America, dalle sue parti.
Continuò a vagare per un po', il suo albero di Natale avrebbe stupido tutti, già ne era sicuro. Sarebbe stato alto più di venti metri, avrebbe illuminato l'intera sala e magari sarebbero usciti dei fuochi d'artificio dalla punta. Chiunque sarebbe impallidito e ad Arthur sarebbero venuto i capelli bianchi – a meno che non li avesse già – e poi avrebbe nascosto il suo brutto e banale alberello inglese. Alfred rise ancora, la sua idea era davvero geniale, tanto da darsi una bella pacca sulla spalla.
Salvo imprevisti, Alfred sarebbe rimasto lì a ridere di loro ancora per molto, se solo non avesse visto la cosa che più di ogni altra lo aveva infastidito da quando era una Colonia alta poco più di qualche filo d'erba.
Arthur, lui lo sapeva bene, proprio non ce la faceva a sopportare la sua solitudine. L'aveva sempre ostentata e protetta e forse se ne sentiva un po' succube. Arthur non riusciva a fare a meno di oltrepassare l'oceano e correre da lui, ad abbracciarlo, a baciarlo, ad insegnargli tutto, a ricevere i suoi complimenti – quasi sicuramente gli unici – quando si trattava di cucina. Per Arthur, Alfred era un po' una ragione di vita, un po' una bombola ad ossigeno: ne aveva bisogno per andare avanti, aveva bisogno di prendere fiato prima di tornare in Europa e trattenere il respiro.
Poi però le visite erano diventate sempre di più, l'attenzione maggiore, Alfred ne sentiva finanche il fiato sul collo.
Da quando aveva chiesto l'Indipendenza, invece, Arthur aveva gradatamente preso le distanze da lui, fino a scomparire quasi del tutto. Arthur, Alfred lo sapeva bene, era rimasto scottato dal loro legame: il primo e più profondo mai avuto, intenso e indispensabile, gli si era rivoltato contro, meschino e ingrato come se si fosse trattato di una Nazione qualunque e non di un fratello.
Arthur non riusciva a starsene buono sulla sua isola. Arthur aveva bisogno di qualcuno. Alfred detestava il fatto che quel qualcuno fosse proprio Francis. Lui lo sapeva, ma evidentemente Arthur era troppo stupido per accorgersene. Francis era la Nazione dell'amore, no? Caldo e passionale, probabilmente questo avrebbe fatto bruciare ancora di più il cuore di Arthur. Era un appiglio subdolo, che poteva benissimo frantumarsi e lasciarlo cadere in ogni momento.
Alfred sentì qualcuno tirare la manica della sua giacca, nella mente aveva ancora l'immagine di Francis e Arthur troppo vicini.
«Peter-»
Il sorriso di Peter era davvero diverso da quello di Arthur. Mille volte più sincero, ma non riusciva comunque ad eguagliarlo.
Quando Alfred tornò a posare gli occhi nel punto in cui, fino a qualche secondo prima, Francis stava parlando con Arthur, loro erano scomparsi. Non gli interessava davvero sapere cosa si stessero dicendo, la sua voglia – che non era curiosità vera e propria – stava semplicemente nel bisogno di disturbarli e, se possibile, separarli. Arthur gli stava troppo vicino, Francis era rinomato per il non saper sempre tenere le mani a posto.
«Alfred! Ho portato un sacco di decorazioni, guarda! Così le altre Nazioni potranno considerarmi finalmente uno di loro! Alfred? Alfred, ci sei?»
Alfred si guardò attorno di nuovo, non c'era traccia di quei due e in più Peter stava continuando a scuoterlo.
«Cosa? Ah, sì, sono davvero belle!»
Scappò via, proprio non ci teneva a lasciare Arthur a quel francese dalla lingua lunga – in tutti i sensi – e ovviamente giustificava la sua ansia ripetendo a mente che no, lui non stava correndo da Arthur, lui stava solo andando lì a prendersi il suo regalo di Natale. Insomma, gli spettava di diritto in quanto ex-fratello-minore-che-aveva-saggiamente-scelto-di-abbandonarlo-e-tirare-avanti-da-solo. Un concetto un po' contorto, forse, ma tremendamente efficace.
«Ma- Alfred! Non le hai nemmeno guardate!»
Sentì Peter urlargli dietro qualcos'altro, forse che sarebbe andato a cercarlo e che gli avrebbe lo stesso chiesto di aiutarlo. Alfred fece un cenno col braccio e imboccò un corridoio a caso: non ne valeva la pena di mettersi a pensare da che lato fossero le stanze di Francis e di Arthur. Per quanto fosse dura ad ammetterlo, il suo senso dell'orientamento faceva veramente ed infinitamente schifo. Su questo non ci pioveva così come sul fatto che, quando nei meeting si parlava di Etiopia, dell'Estremo Oriente o di qualunque altro posto, lui doveva infilare i gomiti nelle costole di chi gli stava più vicino – probabilmente Toris, al quale capitavano sempre le peggiori sfortune – e chiedergli di indicare suddetti luoghi sull'inseparabile cartina americana per poi fargli giurare che nessuno avrebbe saputo niente della sua svista.
«Carriedo, Williams, Honda, Braginski, Zwingli, Vargas, Wang, Kirkland, Galante, Edelstein-»
Alfred effettuò una frenata che gli fece quasi perdere gli occhiali. Dietro-front e poi corse sui propri passi fino a tornare di nuovo davanti la stanza di Arthur.
Diamine – se erano davvero lì non ci teneva proprio a disturbarli. Arthur era una sorta di enorme stupido e ipocrita se davvero faceva leva sul suo peggior nemico pur di non sentirsi solo. Francis era soltanto uno schifoso approfittatore. Alfred gli avrebbe staccato la barba, i capelli e magari anche qualcos'altro se solo avesse osato allungare le mani sul suo Arthur. Cioé, non su Arthur, ma sul suo regalo.
Sì, sul suo regalo.
«Arthur! Arthur, apri immediatamente!»
Voleva almeno concedergli il tempo di rivestirsi, se davvero stavano facendo quello che Alfred pensavano stessero facendo. Ma aveva davvero così poca fiducia in Arthur? Lo stesso Arthur che sembrava ben lontano dal volere qualunque tipo di contatto umano?
Alfred si rispose da solo e aprì la porta. Insomma, Arthur non era tipo da bondage e vestiti in lattice, né Francis aveva avuto abbastanza tempo per tirar fuori dalle mutande corde e manette e legarlo al letto.
Quello che Alfred vide fu solo una scenetta da film francese di terza categoria, tanto squallida da fargli ribollire il sangue nelle vene. Bastava aggiungerci lo sfondo degli Champs Elyseés – la bottiglia di vino rosso c'era già – e il gioco era fatto. Lui detestava Parigi, non era affatto una città alla pari di New York o di Miami. E la Tour Eiffel che c'era a Las Vegas era mille volte meglio. Tutto era successo un po' troppo in fretta però, Arthur aveva solo avuto il tempo di voltarsi grazie al preavviso del suo urlo. E la mano di Francis era ancora oscenamente posizionata sul suo fondo-schiena. Alfred non voleva minimamente immaginare che cosa si sarebbe trovato davanti qualora avesse - sciaguratamente – ritardato anche solo di cinque minuti. Il fatto che Peter fosse così semplice da ignorare era stata una benedizione per lui – e forse anche per Arthur.
«Alfred- Cazzo, Alfred, ma non ti hanno insegnato a bussare?!»
Arthur scosse la testa, la sua affermazione aveva implicato una sua mancanza nell'educazione della Colonia.
Alfred rimase imbambolato sull'uscio ancora per un po'. Arthur si era fiondato dalla parte opposta della stanza, per stare il più lontano possibile da qualunque altra forma di vita presente lì in quel momento. Francis rideva e sembrava una specie di sacco di sabbia perfetto da prendere a pugni, una sorta di calamita per le nocche delle mani di Alfred.
Borbottò qualcosa, forse delle scuse, Arthur non seppe mai cosa realmente fossero, ma a lui sembravano semplicemente insulti uno di fila all'altro. Sperava che, per lo meno, fossero diretti a Francis e non a lui. Alfred chiuse e aprì la bocca più volte, cercando di articolare un discorso sensato – glielo rimproveravano un po' tutti, di essere un po' tonto. Arthur evidentemente aveva fatto un po' troppo in fretta i calcoli. Appena qualche ora prima Alfred rideva di lui, non gli ci volle molto a fare due più due e a interpretare erroneamente il suo arrivo.
«Senti, piccolo irriconoscente che non sei altro, non hai proprio il diritto di ridere di me quando ti pare e di giudicarmi. Quindi se sei qui per-»
«Angleterre
Alfred vide il dito di Arthur puntato al proprio petto, l'inglese rabbioso che gli si avvicinava piano, mentre scandiva ogni parola – quell' “irriconoscente” con particolare enfasi, e poi la mano di Francis che si stringeva delicatamente sul suo posto. Arthur si fermò per un attimo e parve pensare, con le labbra dischiuse e l'espressione vacua di chi non sapeva nemmeno che piega avessero preso le sue azioni.
«Non credi che dovremmo tornare nella Sala Conferenze? Ci staranno aspettando.»
«Sì, hai perfettamente ragione, Francis.»
Alfred si sentì escluso – e dio solo sapeva quanto lui odiasse quella situazione. Alfred viveva solo per urlare al mondo intero “ehi, qui c'è l'America! Qui ci sono io! Seguitemi! Guardatemi! Sono il più forte, il più bravo!”. Adesso nessuno lo prendeva in considerazione; Alfred provò per un attimo la stessa sensazione che doveva provare chi veniva messo da parte da secoli, qualcuno come Matthew. Tra lui e Matthew c'era una differenza fondamentale, però. Alfred proprio non riusciva a sopportare l'essere messo da parte, Matthew si limitava ad abbracciare Kumakichi... O Kumajiro... Quello stupido orso, insomma, e a sussurrare un “io sono Canada...” senza allegarci scenate di altro tipo.
Sentirsi ignorato proprio da Arthur, proprio dalla persona cui voleva dimostrare sempre la sua bravura e la sua grandezza, gli faceva male più o meno all'altezza del petto, sulla sinistra. Lì dentro ci sentiva una specie di vuoto incolmabile, come se Arthur avesse infilato una mano nel suo torace e gli avesse strappato via il cuore. Sì beh, forse era un pensiero un po' scoccio da fare e più adatto a uno come Francis che a lui, però il paragone riusciva a rendere perfettamente l'idea, almeno secondo la sua opinione.
Alfred rimase in silenzio nella stanza. Non si stupì nemmeno che Arthur gli avesse concesso di restare lì da solo.
Alfred aveva come compagnia solo quella triste consapevolezza di non essere più il centro delle attenzioni di Arthur; questo lo faceva stare molto male. E dire che a lui il Natale piaceva e ora non aveva nemmeno avuto il suo regalo.

Appena un paio di giorni dopo l'entusiasmo di Alfred si era spento. Gli addobbi natalizi non gli erano mai sembrati così inutili, l'allegria di Peter, di Feliciano, di Antonio tanto inopportuna. Arthur aveva continuato ad evitarlo, a vedere Francis sempre più spesso. Alfred rimproverava sempre a quei due “vecchi” di litigare troppo, ora invece non sopportava il fatto che non lo facessero più, che Francis gli rivolgesse dei sorrisi eloquenti e che Arthur sembrasse ricambiarli in maniera del tutto inaspettata.
Entrambi non facevano altro che ingannarsi a vicenda ed essere così egoisti da non accorgersi nemmeno di lui.
Alfred sospirò e morse un'altra volta il suo hamburger. Erano quasi la sua consolazione: gli hamburger, sapeva, non l'avrebbero mai abbandonato. Erano una specie di costante nella sua vita, c'erano dal giorno del distacco dell'America dall'Inghilterra – e non era forse quello il giorno della sua vera nascita? - fino ad allora. Arrivò alla conclusione che gli hamburger erano la spalla su cui piangere anche nei momenti peggiori e che doveva seriamente farsi vedere da uno psicologo, perché se i sorrisi tra Francis e Arthur avevano quelle conseguenze, allora sarebbe stato meglio curarsi o rifugiarsi dall'altra parte del mondo. Ma lui era una Nazione, come cavolo ci arrivava dall'altra parte del mondo?
«Che palle.»
Hamburger in mano e faccia da cane bastonato. Quando Arthur vide Alfred, inizialmente non seppe se se la passasse bene oppure no. Quando Alfred alzò la testa, però, capì molte cose.
«Alfred?»
Alfred guardò Arthur. Si erano evitati per tutto il tempo e di certo non si aspettava che l'inglese decidesse di punto in bianco di rivolgergli la parola così, senza nemmeno concedergli qualche minuto necessario ad un'adeguata preparazione psicologica. Arthur aveva l'aria un po' sbattuta. Alfred cercò di trattenersi dal rabbrividire – come faceva una persona sana di mente ad andare a letto con Francis?
Probabilmente Arthur doveva avere qualche rotella fuori posto, aveva ragione a ripeterglielo ogni volta che s'incontravano.
«Alfred -non so davvero da dove cominciare.»
Se erano delle scuse, Alfred non se le aspettava.
«Il fatto è che tu non ti sei mai comportato nel modo in cui avresti dovuto comportarti.»
Ecco, infatti non erano delle scuse.
Alfred masticò il suo hamburger e poi guardò Arthur. Non era molto carino da dire, indubbiamente. Arthur non era stato affatto gentile negli ultimi tempi, probabilmente il clima natalizio doveva fargli un po' male al cuore. Arthur, si disse Alfred, passava ogni Natale da solo, forse stare in mezzo a tutta quella gente proprio in quel determinato periodo dell'anno suscitava in lui una qualche specie di reazione allergica. La medicina era Francis per caso? Rabbrividì di nuovo.
«Io non credo proprio che-»
«Aspetta, fammi finire.»
Alfred sbuffò e tornò a mangiare. La reputava in modo la soluzione migliore: subire passivamente le ire di Arthur, magari senza ascoltare e con un bell'hamburger in mano, e poi andare via a fare qualcosa di più divertente. Tipo provare a infastidire Ivan.
«Noi ci conosciamo da secoli. Diamine, ci conosciamo da quando eri piccolo così! Io non lo so perché le cose sono cambiate, visto che non è stata una mia scelta, però so che non abbiamo interrotto niente, non trovi? Voglio dire, tu non sei diventato un gentleman come mi aspettavo, sei grasso, stupido e maleducato. Però, capisci, io... In fondo, noi... Cioé, quello che voglio dire è che-»
«Che?»
«Che-»
«Che?!»
«Cazzo, Alfred! Ti ho detto di non interrompermi!»
Alfred riprese a mangiare, se proprio voleva che non interrompesse quel continuo ed insensato “blablabla” insopportabile, allora non l'avrebbe fatto.
Arthur sembrò riordinare per un attimo le idee. E nel frattempo la Sala delle Conferenze si era svuotata, nessuno amava assistere ai loro litigi. Tanto sapevano tutti che sarebbero terminati con Alfred che rideva vittorioso e con Arthur che lasciava a grandi passi la stanza, con la voglia di scoppiare a piangere, ma una quantità abissale di orgoglio e self-control britannico che glielo impedivano.
«Quello che voglio dire è che – non interrompermi e non metterti a ridere – in fondo, un pochino, io, ma proprio poco eh, sono quasi lontanamente fiero di te, capisci? E... Mi fa male, molto poco male però, se tu ti comporti come uno schifoso e viscido ragazzino ingrato.»
Probabilmente avrebbe potuto risparmiarsi l'ultima parte del discorso, ma Alfred si sentì comunque toccato – da qualche parte, dentro – dalle parole di Arthur. Le aveva pronunciate un po' a fatica, poi era diventato così rosso e aveva avuto una specie di crisi respiratoria che gli aveva impedito di alzare la testa. E poi quello stupido inglese non era affatto il tipo da manifestazioni d'affetto, smancerie o qualunque cosa implicasse i suoi sentimenti, per lui quello era stato un grande passo. Un po' come lo era stata a suo tempo l'Intesa Cordiale.
Alfred posò il suo hamburger sulla lunga tavola della Sala, adesso piuttosto affollata e ricoperta da fasci di vischio e nastri dorati.
«Arthur io-»
«Se devi dire qualcosa di stupido, ti prego, non farlo.»
«No, è che-»
Alfred lo guardò a lungo. Arthur era sempre stato il suo modello in fondo. Alfred aveva vissuto sempre e solo per dimostrargli quanto sapesse essere bravo, quanto riuscisse ad essere forte. Arthur era sempre lì, dietro di lui, e sembrava sorridere compiaciuto. L'America invece doveva stare un passo più il là rispetto a tutto il resto del mondo, era quasi una sua necessità, voleva essere guardato con la stessa stima nascosta che Arthur aveva impressa negli occhi.
«Non è una cosa stupida, credo.»
«Allora puoi dirla, forse.»
In quel momento, poi, proprio ora che Arthur gliel'aveva detto con tanta fatica e sincerità, quella stima – e l'orgoglio anche – sembrava crescere in maniera spropositata. Diventata alta come la Statua della Libertà e luminosa come Los Angeles a notte fonda.
«Se solo tu non fossi così vecchio-»
«Forse all'antica.»
«Sì. Se solo tu non fossi così all'antica e così insopportabile e meticoloso, magari ti accorgeresti che-»
«Ehi, aspetta. Alfred, sei tu quello troppo preso da se stesso per accorgersi degli altri!»
Alfred sorrise. In fondo lui e Arthur erano sempre stato quello, no? Non era competitività in sé, si trattava più che altro di un punzecchiarsi a vicenda.reciproco. Il vero intento però non era infastidire l'altro, quanto pretendere la sua attenzione su di sé. “Ehi, America, ti stai dimenticando di me?” “Ehi, Inghilterra, hai visto quanto sono diventato bravo?”.
«Perché sorridi? Stai ridendo ancora di me?»
«Eh? Cosa -cazzo- no!»
«Bene.»
Alfred posò una mano sulla sua spalla, facendola scorrere dietro la schiena, sentendo le scapole di Arthur muoversi sotto la pelle e i suoi muscoli irrigidirsi. Era sicuro che con Francis non fosse così in imbarazzo, ma non voleva assolutamente pensare a quell'assurda piaga francese proprio in quel momento. L'altra mano era fissa sul collo di Arthur, si muoveva su e giù segnando il percorso mandibola-clavicola-mandibola. Lo sentì deglutire e sorrise. Arthur voleva essere un gradino al di sopra di tutti, ma quando entravano in gioco i sentimenti preferiva nascondersi sotto le scale.
Alfred mosse un altro passo in avanti. Arthur se ne accorse: erano così vicini che Alfred avrebbe potuto facilmente notare che lui stava trattenendo il respiro. In fondo era il momento che aspettava da sempre, no? Quello in cui il suo fratellino capiva che un oceano non bastava affatto ad allontanarli, che il loro legame sarebbe andato oltre qualunque ostacolo: montagne, acqua ed ogni altra cosa si infilasse prepotentemente tra loro due.
Alfred era così vicino che Arthur poteva giurare di non aver mai analizzato così a fondo tutti i particolari della sua orrenda giacca marrone.
«Angleterre! Ecco dove ti eri cacciato, mon rossignol
Francis sembrò essere spuntato dal nulla – solo lui poteva riuscirci in un momento come quello. Analizzò la situazione, muovendo su e giù un sopracciglio e scuotendo la testa. Sembrava rassegnato.
Alfred, invece, sembrava decisamente infuriato.
Arthur non ci aveva capito molto, aveva passato metà del tempo a cercare di pensare qualcosa di sensato, che avesse un filo logico.
«Pardon, Alfred, temo di doverti rubare Arthùr per un po'.»
Odiava quelle consonanti strascicate, i suoni aspri ed eleganti e la faccia di Francis. L'avrebbe volentieri presa a pugni.
Arthur guardò Alfred e scosse la testa. Alfred sembrò alterarsi e andò via – non ci teneva lui ad essere messo in secondo piano. Non ci teneva proprio ad essere superato da un francese. Arthur non doveva prenderlo in giro, non aveva proprio il diritto di giocare con lui. Alfred superò un paio di corridoi, di porte chiuse, di Nazioni che litigavo e altre che si rincorrevano, gli anche sembrato di aver visto Natalia nascosta dietro un angolo a parlare con un coltello molto affilato.
Non ce la faceva ad essere realmente arrabbiato con Arthur, non in quel momento almeno. Se era vera anche solo la metà delle cose che gli aveva detto, allora lui credeva altrettanto chiaramente che no – almeno non quel giorno, dopo quello che era successo e quello che stava per succedere – Arthur non sarebbe andato da Francis a farsi consolare o qualunque altra cosa loro due facessero – Alfred non ci teneva proprio a saperlo, sentiva una specie di moto di gelosia che lo faceva rabbrividire e che lo costringeva fermo contro il muro. Non gli avrebbe ceduto la persona più importante della sua vita, la stessa che secoli prima chiamava “fratello”.
Alfred tornò nella sua stanza. L'indomani aveva intensione di andare a cercare di nuovo Arthur, in fondo non aveva ancora avuto il suo regalo di Natale.


Aveva passato almeno metà della notte a lavorarci, si era ritrovato più volte l'indice ed il pollice della mano sinistra incollati tra loro, ma non aveva ceduto. La confezione a stelle e strisce forse avrebbe potuto risparmiarsela o almeno sostituirla con un motivo più simile alla Union Jack, ma lui le cose voleva proprio farle per bene. Tutto doveva essere perfetto. Prese in mano il pacchetto e se lo rigirò tra le dita vagamente appiccicose. Era venuto proprio bene, era venuto proprio come sarebbe piaciuto a lui. Un giorno o l'altro, pensò Alfred, avrebbe dovuto farsi dei regali da solo per soddisfare il suo ego smisurato.
Sistemò il regalo nella tasca interna della giacca – sarebbe stato imbarazzante incontrare qualcuno come Gilbert e dover subire domande inopportune sul destinatario di quel pensiero. Alfred strinse la stoffa contro il petto e affrontò il corridoio semi-deserto, se non fosse stato per la presenza di Yao e di un panda gigante che stranamente aveva la stessa altezza e la stessa stazza di Ivan. Scosse le spalle e continuò a camminare fino alla stanza “Bonnefoy”. Posò l'orecchio contro il legno scuro e aspettò.
Forse non era carino origliare, forse Arthur avrebbe potuto arrabbiarsi – magari anche Francis, ma sul francese poteva comunque alzare le mani, quindi poco importava.
«Si può sapere che diamine stai facendo?»
Alfred rabbrividì e si congelò in quella posizione, piegato contro la porta e con le mani vicine all'orecchio. Si vergognò come un ladro quando Arthur lo fissò. Le braccia incrociate al petto, un piede che sbatteva ritmicamente sul pavimento e un'espressione che non prometteva nulla di buono. Alfred ripeté a mente quali fossero i suoi ultimi desideri prima di morire
«Non è come sembra! Lo giuro!»
Esattamente come quando Arthur lo beccava con le mani sugli scones ancora caldi.
«Ah. E com'è invece? Saresti così gentile da spiegarmelo?»
«Ecco, vedi, io ti stavo cercando.»
«In camera di Francis.»
«Sì. Magari eri qui...»
«Perché proprio in camera di Francis?»
«Ecco – voi due ultimamente sembrate così... Intimi
Arthur roteò gli occhi, Alfred a volte era così stupido e cieco.
Si avvicinò a lui e lo allontanò dalla porta, trascinandolo per un polso in un punto abbastanza lontano dalla stanza di quella stupida rana.
«Che fai?»
«Sei proprio un idiota, Alfred.»
«... Per quale motivo?!»
Arthur si fermò e lo lasciò andare. Alfred si massaggiò il polso; evidentemente l'inglese era così nervoso da non essersi reso contro di aver interrotto il flusso del suo sangue .
«Io e Francis non siamo insieme. Noi facciamo solo-»
«Non voglio saperlo! Non dirmelo!»
Arthur lo guardo, inizialmente stranito. Da come Alfred aveva reagito ci mancavano solo i palmi delle mani premuti sulle orecchie ed un insopportabile “lalalalala, non ti ascolto, lalalalala” in sottofondo. Evidentemente non sopportava Francis – e non era l'unico al mondo, anche lui la maggior parte delle volte non riusciva a soffrire quei suoi modi e il suo vestire pacchiano. Al tutto poi ci si aggiungevano le guerre, gli attriti, la vicinanza che rendeva difficile ogni tipo di convivenza. Quella striscia di mare non bastava a dividerli, Arthur avrebbe voluto separarsi dall'Europa ancora un po' e magari avvicinarsi il più possibile all'America.
«D'accordo! Va bene! Non te lo dico!»
Arthur sbuffò, chissà cosa mai pensasse Alfred. Ma sapeva bene che, anche nella peggiore delle ipotesi, non aveva del tutto torto.
«Senti-»
«Cosa?»
Alfred si infilò una mano nella giacca. Arthur per un attimo pensò che quella situazione non prometteva nulla di buono. Lui era abituato a Francis, che in un momento del genere avrebbe benissimo potuto tirar fuori un frustino, un paio di manette o addirittura un vibratore.
«Vorrei che questa la tenessi tu.»
Arthur guardò Alfred negli occhi, prima di prendere in mano il pacchetto incartato in maniera un po' disordinata. Tanto non ci riusciva a fissarlo troppo a lungo; dietro gli occhiali o meno che fossero, gli occhi di Alfred sembravano leggergli dentro e allo stesso tempo comunicargli qualcosa in ogni momento. Li aveva sempre amati, i suoi occhi. Limpidi, cristallini, in grado di lasciar cogliere e di vedere anche le emozioni più nascoste e celate.
Arthur ridacchiò nel guardare la confezione. Le strisce rosse e bianche, le stelline appiccicate alla rinfusa su un pezzo di sfondo di carta blu.
«Che cos'è?»
«Aprilo.»
Arthur passò quasi un minuto in silenzio, sentendo soltanto il rumore del respiro di Alfred. Gli sembrava un po' teso ed agitato, il che era tremendamente strano, visto che di solito Alfred era così pienamente, insopportabilmente sicuro di sé.
«Ma-»
«È una foto.»
«Sì, lo so che è una foto.»
Arthur passò le dita sul vetro e poi sulla cornice: Alfred sorrideva e gli stringeva la mano. Era più basso di almeno un metro, la faccia e l'espressione però non erano cambiate affatto. Arthur, invece, era passato sotto una qualche specie di metamorfosi. Non che fosse invecchiato di molto, semplicemente si vedeva diverso dentro. Il suo sorriso era rilassato, poteva addirittura definirlo sincero, era rivolto all'obiettivo, ma nasceva grazie al piccolo Alfred che se ne stava accanto a lui, coi capelli spettinati e gli occhioni fissi sulla macchina fotografica.
«Intendevo- Io credevo di averla persa.»
«Diciamo che l'avevo presa in prestito.»
Alfred sorrise e si avvicinò ad Arthur, posando le mani sulle sue, cercando di fargli capire che non si era rotto niente. Alfred aveva semplicemente scelto di crescere da sé, anche solo per il gusto di fare capire ad Arthur che lui poteva benissimo farcela da solo, che poteva mandare avanti una Nazione con le sue forze. Arthur capiva bene che ci era riuscito egregiamente.
«Mi piace. È una foto molto bella... E importante.»
«Lo so, per questo ci tenevo tanto a restituirtela.»
Dannazione, Alfred non poteva stargli così vicino proprio quando Francis avrebbe potuto decidere di passare di lì da un momento all'altro. Del resto non sarebbe comunque stata una scusa valida ad ucciderlo: in fondo in quella zona non c'era forse la sua stanza?
Arthur maledì il filo dei suoi pensieri, che proprio quando Alfred sembrava aver prosciugato l'oceano di distanza tra loro, si concentrava su qualcosa di negativo come quella stupida, stupidissima rana.
«Che fai?»
«Non posso?»
Il respiro caldo di Alfred, la sua mano piazzata dietro la nuca. Per una volta Arthur maledì il suo essere isola, che gli impediva di fuggire nel territorio più vicino. Scappare a nuoto avrebbe avuto degli effetti devastanti. Rimase immobile, Alfred sempre più vicino. Si sbagliava o questa volta era lui che andava a cercarlo in Inghilterra?
«Suppongo di sì, Alfred.»
Una specie di capriola nel petto.
Alfred chiuse gli occhi. Per Arthur quello fu un po' un piacere – era sicuro di essere così rosso e di avere un'espressione che rasentava il ridicolo – un po' una maledizione – a lui quegli occhi piacevano dannatamente tanto. Cercò di fare altrettanto, di rilassarsi, di cancellare Francis, il mare, il passato e ogni altra cosa. Di smettere di rimuginare su tutto per un po', dato che non gli faceva mai bene.
Pensò solo che probabilmente il Natale d'ora in poi gli sarebbe piaciuto un po' di più.
Lui aveva passato il Natale da solo per secoli, ad aspettarlo.
























Salve a tutti. e_e
Questa specie di cosa che si auto-definisce "FanFiction" per un'eccessiva dose di vanità l'ho scritta perché mi andava. e_e
E niente, ringrazio la mia adorata Claire (Little adorable Bro ♥) e la zia Talia, che con suo Contest-non-Contest mi ha dato l'idea per scrivere qualcosa sul Natale.

E poi... Salve a tutti di nuovo. e_e

Fanfiction ~ libera la tua immaginazione

   
 
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