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Autore: Juu_Nana    13/12/2009    3 recensioni
Un bimbo solo, rabbioso e con cicatrici ancora brucianti.
Costretto ad entrare in mondo palpitante di regole, buone maniere e finti sorrisi.
La certezza che la vita schifosa che ha sempre vissuto non cambierà di una virgola.
Ma forse non è esattamente così
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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First Step


- Ragazzi, questo è il vostro nuovo compagno. È un po’ spaesato, mi aspetto che lo accogliate e lo aiutiate ad ambientarsi -

È un uomo maturo che parla, sarà più vicino ai 60 che ai 50, i capelli sono già striati di bianco.
Veste in giacca e cravatta, e porta gli occhiali...
E tiene la sua mano, già macchiata qua e là dall’età, posata sulla mia spalla come se niente fosse, mi tiene vicino a sé come se volesse quasi incoraggiarmi, con un fare che si avvicina molto al paterno.
Dio, quanto vorrei mordergliela.
Mi fa schifo lui, mi fa schifo questo posto e mi fanno schifo tutti questi ragazzi che mi fissano come se fossi un nuovo pezzo raro da collezione!
Vorrei schiaffare via quel maledetto arto, buttarmi in mezzo alla strada e mettermi a correre fino a non vedere più quel cancello e anche allora continuare ad andare avanti finché le gambe non inizino a farmi male e non riesca più a respirare.

Ma che senso avrebbe?
Me ne resto immobile come una statua, fisso con rabbiosa rassegnazione il pavimento di moquette, mentre quel tale di cui non ricordo il nome fa una tiritera lunghissima su di me, su cosa dovranno fare nei miei riguardi e bla, bla, bla...
Afferro solo l’ultima parte del discorso.
- D’ora in avanti il suo nome sarà Mello -
Geniale...
Il mio “nome” lo ha detto alla fine, sto vecchio...
Un nome senza senso, per di più.
- Vieni, ti faccio vedere la tua stanza -

Prendiamo a camminare, mentre la piccola folla di spettatori si apre in due ali per lasciarci passare.
I più si disperdono pochi secondi dopo che li ho superati, i pochi che restano mi guardano alcuni con aria penosa e dispiaciuta, altri ghignano in modo poco rassicurante.
Anzi, quasi quasi mi è sembrato di sentire delle nocche scroccare.
Pazienza, sopravvivrò...
Non sarebbe la prima volta che vengo pestato da qualcuno, anzi... sono magro come un acciuga, non esattamente altissimo e non ho un filo di muscoli, di motivi per prendermi di mira i miei coetanei ne hanno sempre trovato a decine.
Tsk...

Mi chiedo ancora di preciso perché ho dovuto cambiare orfanotrofio.
Ormai ero lì da 7 anni, da quando i miei hanno avuto la brillante idea di farsi ammazzare quando ero a casa e così sono rimasto da solo, senza un mezzo parente che potesse degnarsi di crescermi...
Mi hanno sbattuto in uno schifoso orfanotrofio da quattro soldi dove i ragazzi più grandi si divertivano come dei matti a umiliarmi, a picchiarmi e a trattarmi come se fossi il più miserabile essere che cammina su due gambe.
Basta davvero un dettaglio che salta all’occhio e tutti ti si accaniscono contro usandolo come scusa.
Non è colpa mia se i miei erano biondi e avevano gli occhi azzurri, non è colpa mia se ho ereditato da loro questi dannatissimi tratti somatici sommati a un viso affilato che ricorda quello di una ragazza!
Ma tanto a loro che gliene frega? Mi vedono diverso e allora giù cazzotti.
Non mi illudo più di tanto che qui la storia sarà diversa.
Anzi, quasi sicuramente non lo sarà.
No, sarà uguale e basta.

- Eccoci qua, Mello. Qui si cena alle 7 in punto, non dimenticarti. Se fai tardi non potrò farci niente e ti toccherà saltare il pasto -
Alle sette di sera... ma dove siamo, in un convento?
Al diavolo, mi adatterò.    
Tanto...
- Allora ci vediamo dopo, ora riposati e rilassati -
Prima di uscire mi da la chiave della stanza, raccomandandomi di usarla, se dovessi uscire.
Poi la porta si chiude e quel vecchio così untuosamente gentile sparisce, finalmente.

Lo so comunque che fa solo finta di essere gentile, di me non gliene fregherà di più di quel ragnetto insignificante acquattato in quell’angolo.
Lo fanno tutti...
Di me non gliene frega niente a nessuno.
Ma chi se ne importa?
Sono sempre stato solo, starci per tutto il resto della vita non sarà tanto problematico.
Tanto gli amici sono solo buoni a romperti le palle per qualsiasi scemata, poi quella volta che hai davvero bisogno di loro ti voltano le spalle e se ne sbattono altamente dei tuoi problemi, quindi chi ne vuole, di cose così inutili...?
Disfo in pochi minuti il mio zainetto nero in cui non tenevo che due o tre cambi d’abito, un paio di libri, una foto dei miei con me da piccolo e un rosario di metallo che però mi sta decisamente troppo grande.
Credo che un tempo fosse stato di mio padre, ma non ne sono affatto sicuro.
So solo che è sempre stato mio, ormai ci sono in un certo senso affezionato.
Lo metterò quando sarò più grande.
Prima metto alla meglio i vestiti nell’armadio che c’è lì, poi ficco i libri in un cassetto del comodino posto accanto al letto, e afferro il pomello per chiuderlo, ma la mia mano esita.
Devo lasciare al chiuso anche la foto?
Mi volto indeciso verso il letto dove ho lasciato la cornice di legno rosso decorata con intagliature scure dove è imprigionata una foto lucida di un uomo alto, con la pelle chiara, i capelli color biondo miele, gli occhi blu e un sorriso gentile, ma allo stesso tempo deciso e uno sguardo freddo e fiero.
Stringeva i fianchi di una donna non molto più bassa di lui, non molto formosa, con lunghi capelli biondi che semi coprivano le mani del compagno e nonostante in quell’immagine avesse gli occhi chiusi in un’espressione serena, sapevo che i suoi occhi erano chiari, chiarissimi, come i miei.
Era uno dei pochissimi ricordi sbiaditi che ancora avevo di lei: quell’azzurro che si avvicinava al bianco, così delicato eppure stranamente forte e caldo.
Mia mamma nella foto teneva un fagottino azzurro da cui spuntava il visino paffutello di un bimbo addormentato, con già una chioma di capelli color del grano.

Io.

Decido di tenerla fuori.
Così chiudo con un unico gesto il cassetto e poso con cura la fotografia sul comodino stesso, fissandola poi con sguardo indecifrabile per qualche secondo prima di buttarmi a peso morto nel letto immacolato, a faccia in giù, senza nemmeno levarmi le scarpe.
Che ci sono venuto a fare in questo istituto?
Qui è tutto pulito, in ordine...
Mi sento tremendamente fuori posto.
Sposto lateralmente la testa, in modo da avere la guancia sul cuscino.
Che faccio  fino all’ora di cena?
Mi tiro su di malavoglia, sentendo il bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Mi accorgo che in camera ho pure una finestra.
Mi ci dirigo, ma mi accorgo che è troppo in alta per poter guardare fuori.
Così mi isso sulle punte, mi aggrappo al piccolo balconcino interno e mi metto a spiare fuori.
C’è un giardino...
Ci sono alberi, tanti alberi, il terreno è tutto tappezzato di foglie.
Il sole è ancora abbastanza alto e ci sono degli altri bambini fuori, potrei anche uscire.
Tanto che ho da fare...?
Così prendo la chiave che avevo lasciato sul comodino, rimetto il giubbotto, chiudo la zip, chiudo la porta, esco.
Percorro corridoi vuoti, cercando di ricordare da quale parte è l’uscita.
Dovrò imparare in fretta, se voglio adattarmi.
La strada è tutta in salita e sarà dura, oh, se sarà dura.
Spero almeno che il cibo qui sia meglio rispetto all’altro orfanotrofio, altrimenti sì che c’è da deprimersi.
Individuo il portone da cui sono entrato poco fa.
Mi ci avvicino, lo varco, sono fuori.
È un po’ fresco, ma non è spiacevole.
Mi metto a passeggiare per il prato spogliato dall’autunno, così, tanto per passeggiare, mentre scorgo con la coda dell’occhio alcuni degli altri ospiti che mi fissano.

È iniziata una vita nuova...
Stanze linde, niente chiasso, ritmi da ospizio.
Non è proprio il mio ideale di vita, ma è sopportabile e di sicuro più piacevole di mendicare per strada.
Dopotutto mi so adattare, mi so adattare sempre.
Mi sono abituato alla vita da orfano, mi sono abituato a un edificio grigio, sporco che puzzava di formaggio, saprò abituarmi tranquillamente anche a questo ospedale.
Credo...

È pensando a quanto faccia schifo la mia vita che ho scorto, rannicchiato in un angolo e con un aggeggio mezzo distrutto in mano quei capelli rossi, quegli occhiali da aviatore, quel motivo a righe sulla maglietta.
E quegli occhi verdi, brillanti e profondi, che si sollevano e mi fissano per non so quale ragione, enigmatici, impenetrabili.
    
Mi sono inchiodato sul posto.
Abbiamo continuato a fissarci dritti negli occhi, senza che nessuno dei due si decidesse ad abbassarli per primo. Il vento ha iniziato a soffiare in quel momento, molto coreograficamente.

È stato un istante.
Un unico, breve istante.
Ma ho capito subito che alla fine qui non sarà poi così male.


****


Gente, oggi è il compleanno di Mello, come la maggior parte di voi sapranno, questo è il mio piccolo tributo.  All'inizio era un progetto iniziato con Umpa_lumpa (qualcuno di voi ricorda il suo "Pitagora"?), di cui ho aggiustato la fine perchè suonasse come una One-Shot.
Ah, io ho la mia personalissima versione del primo incontro tra Mello e Matt (se ho intenzione di scriverci una nuova fanfic? Assolutamente sì XD), più recente di questa che può essere facilmente interpretata male, soprattutto da chi mastica yaoi abitudinariamente. Preciso che non rientra minimamente nelle mie intenzioni scrivere mai una storia d'amore tra questi due personaggi U_U


  
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