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Autore: Diana Abigail    13/12/2009    4 recensioni
Qui ti lascio il mio cuore che ti è appartenuto. Qui ti lascio la mia anima silenziosa, affinché tu possa comprendermi fino in fondo, come sempre hai desiderato. Qui ti lascio il mio amore che mai ti ho espresso fino in fondo ma che sempre è vissuto in me. Ti amo.
Seconda classificata al contest "Rain" dell'EFP forum.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda classificata al contest "Rain..." indetto da Mayumi_san nell'EFP forum

Silent Love


Me ne stavo seduto alla finestra a guardare il panorama davanti a me.
Pioveva, come sempre in quel periodo, ma stranamente la cosa non mi disturbava, anzi, mi sentivo vicino al lutto del cielo.
Ero solo in quella stanza, solo e lontano dal resto del mondo. Aprii leggermente la finestra e sentii lo scrosciare della pioggia contro il tetto. Era qualcosa di...
magico.
Forse era la tristezza per lei, o forse quella sensazione di solitudine, ma volevo piangere. Non era uno di quei pianti legati alla voglia di spaccare il mondo. No, non ero arrabbiato, ero solo triste.
Appoggiai la testa contro il muro e chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare da quel suono che da piccolo mi stimolava la diuresi.
Sei il solito deficiente, come puoi scherzare sempre?
Già. Anche lei me lo diceva che non ero una persona seria. Anche in rima.
E di solito scaturiva un mio sorriso, o un bacio per il suo broncio. O uno schiaffo affettuoso da parte sua.
Poi le sentii. Leggere, silenziose, salate. Scendevano lente, senza fretta, come la mia speranza.
Mi unii al pianto del cielo. Lui piangeva la perdita dell'estate, del caldo, delle foglie e si preparava all'inverno, agli alberi spogli e alla mancanza di colori.
Io piangevo la sua perdita. I colori, il caldo, l'amore che si era portata via, scomparendo per sempre.
Niente è per sempre.
E anche io mi preparavo all'inverno. I colori dell'autunno mi stringevano e uccidevano piano piano.
Mi sentivo come un guscio vuoto, nonostante fosse passato troppo dalla sua... scomparsa.
Strinsi gli occhi e mi uscii un singhiozzo. O uno spasmo.
Mi tornarono in mente tutti i suoi particolari. Le gote arrossate, i capelli dorati, il profumo della sua pelle. Fragola di bosco.
Mi racchiusi su me stesso, cercando di comprimermi, sperando servisse ad alleviare quel dolore maledetto.
Niente da fare.
Diedi un pugno contro la finestra e la costrinsi a chiudersi.
Maledetta.
Nascosi il viso nelle mie braccia incrociate. Avevo il viso umido, come se la pioggia mi avesse contagiato.
Lei amava la pioggia. Così come l'autunno in generale.
Lei, lei, lei. Non riuscivo a pensare ad altro, in quel periodo. I suoi occhi, la bocca, la forma del suo corpo, il timbro della sua voce quando mi diceva “ti amo”.
Decisi di andarla a trovare, magari mi avrebbe ascoltato, magari no.
Mi vestii, senza badare granché a ciò che indossavo. Non erano certo i vestiti che mi avrebbero riavvicinato a lei.
Uscii di casa e presi l'ombrello. Sembravo un ragazzo qualsiasi che camminava in una grande metropoli.
Ma non ero un ragazzo qualsiasi.
Camminavo a testa bassa, avevo paura che qualcuno potesse vedermi gli occhi lucidi e le occhiaie, evidente segno di un pianto.
Arrivare da lei non era semplice, ma non volevo prendere un bus o un taxi. Avrei camminato, sotto la pioggia, al freddo, solo per lei.
Mi beccai degli insulti da alcune persone che colpii per sbaglio, continuavo a tenere lo sguardo verso il marciapiede.
Diedi un'occhiata alle vetrine: incredibile, esponevano già i decori natalizi.
Superai la parte della città trafficata e svoltai in una stradina deserta che, in ogni caso, mi avrebbe portato verso di lei.
Poi pensai che era da parecchio che non andavo a trovarla.
Sentivo freddo, ma non era una sensazione spiacevole. No, quel giorno sembrava che la pioggia facesse parte di me.
Sembrava fosse dentro di me, insieme a piastrine e globuli rossi, pronta ad uscire da tutt'altra parte, dove avrebbe potuto mimetizzarsi. Come lacrime.
Non ero un ragazzo profondo o poetico, ma lei era in grado di farmi di tutto, volontariamente o involontariamente che fosse.
Costeggiai le colline e mi fermai a fissare da lontano la sua dimora così
fredda. Era ancora lontana, ma la tristezza mi invadeva da capo a piedi.


Ero un tipo piuttosto silenzioso, lei una ragazza sveglia e intelligente, con tanta voglia di parlare.
Devi parlarmi, altrimenti non capirò mai cosa si cela lì dentro” mi diceva appena poteva.
Oh, credimi, qui dentro non c'è niente di così segreto e importante” le rispondevo, ogni volta.
E puntualmente mi fissava, intensamente, poi spariva.


La pioggia si fece fitta e cercai di entrare in sintonia con lei. Il rumore, l'odore, il sapore.
Era così semplice capire con un minimo di concentrazione.
Rimasi sorpreso delle sensazioni che tutto ciò mi infondeva. Era spettacolare come una cosa così comune come la pioggia potesse legarmi così a lei. Non avevo mai capito il suo amore per l'acqua.


Togli l'ombrello e stai sotto la pioggia. Dai!” mi diceva, provando a togliermi l'ombrello.
Ma smettila, rischi di prenderti una polmonite” le rispondevo, cercando di coprirla.
Se non rischi non provi emozioni, o sbaglio? Smettila di fare l'adulto responsabile e chiudi l'ombrello” diceva, tenendo le mani sui fianchi.
E io non lo facevo.


Pochi passi. Mancava poco e l'avrei rivista.
In genere non facevo mai quello che lei mi diceva di fare. Non lo facevo di proposito, ogni volta che mi proponeva qualcosa mi sembrava stupido o infantile.
Alla fine ero io quello stupido e infantile. Lei cercava solo di farmi entrare nel suo mondo.
Ma nonostante tutto lei c'era sempre. Soprattutto se avevo bisogno di parlare con qualcuno.
Peperina.
Aveva un milione di soprannomi, il mio preferito era quello che le diede il professore di Geografia: peperina.
Era perfetto per lei. Anche se non esisteva come parola effettiva, il significato era esatto. Sembrava davvero sotto l'effetto del peperoncino. A volte parlava a raffica, a volte non stava ferma un attimo, ma in ogni caso sapeva quando doveva farsi da parte.
Era vita, era speranza. Ed era la mia vita e la mia speranza.
Arrivai di fronte all'enorme cancello grigio. Era davvero tutto imponente, lì intorno.
Ricordai che lei amava stare all'aperto quando pioveva. Leggeva, dormicchiava, fissava l'orizzonte. Tutto, stando nella sua enorme giacca felpata.

Non ho freddo” ripeteva sempre, anche se tremava.
Ghiaccio.
Mi chiesi se provasse freddo, in quel momento.
Non lo saprai mai.
Varcai la soglia del grande cancello e mi diressi verso di lei. Mi bastò poco per incrociarla da lontano.
L'enorme giardino la circondava. Camminai sul sentiero. La ghiaia faceva rumore sotto le mie scarpe da ginnastica.
Disturbo della quiete pubblica!
Avanzai e la vidi quasi perfettamente: sorridente, come sempre.
Non riuscii ad avvicinarmi subito. Scoppiai in un pianto sincero, sofferto e sentito. Sapevo che poteva vedermi, lo sentivo, ma non mi importò e piansi.
Piansi sotto la pioggia, pensando alla mia amata che avrebbe dato qualsiasi cosa per poter piangere con me. Ma le era stato vietato. Il suo tempo era passato.
Chiusi l'ombrello e camminai verso di lei.
Ad ogni passo corrispondeva un pezzo di cuore in frantumi. Non ero mai tornato a trovarla.
Mi inginocchiai sporcandomi i pantaloni beige. Ero lì per lei e volevo sentirmi vicino a lei.
L'acqua mi aveva inzuppato in poco tempo, facendomi tremare dal freddo, facendomi rimpiangere il suo freddo.
Le accarezzai il volto sorridente che intravedevo tra le lacrime: era così bella.


Dimmi che mi vuoi bene” mi chiedeva.
Non dovrebbe essere una cosa spontanea?” le chiedevo.
Lei annuiva, tristemente, poi si impuntava.

Ma non me lo dici mai. D'accordo, me lo dimostri, ma mi piacerebbe sentirmelo dire” mi rispondeva, un po' capricciosa.
Te lo dirò quando perderai la speranza” le rispondevo, cattivo.
Allora non lo sentirò mai”


Non dovevi lasciarmi. Non posso credere di essere qui, ad implorarti di tornare da me, inzuppato d'acqua e infangato. Dimmi se questo non è amore” dissi, ad alta voce.
Guardai il suo volto: sorrideva ancora.
Chiusi gli occhi e sospirai, senza smettere di piangere.
Ero lì, da lei, ma lei non mi rispondeva. Non poteva rispondermi.
Toccai la lapide grigia di fronte a me e mi sentii morire dentro. Non riuscivo a farmene una ragione.


Non so perché, ma ho spesso la sensazione che morirò giovane” mi diceva, uscendosene all'improvviso.
Non dire cazzate, sono cose che succedono agli estranei” le rispondevo, ingenuamente.
Certo, ma quando gli estranei non sono estranei? Quando è un parente o un amico? Partiamo tutti dal presupposto che le disgrazie accadano solo alle persone delle notizie dei tg, ma i familiari di quelle vittime non erano estranei” mi diceva, ammutolendomi.


Lo sapevi, lo avevi sempre saputo. Perché non sei riuscita ad evitarlo?” dissi, stringendo i denti. Il cimitero era deserto. Nessuno andava dai propri cari se pioveva. Me la immaginai mentre mi accarezzava dolcemente e mi diceva che tutto andava bene.
Niente andava bene.
Mi alzai in piedi e, lentamente, protesi il volto verso il cielo e allargai le braccia. Rimasi così, sperando che in quella pioggia ci fosse anche un po' di lei.
Passò del tempo, impossibile da quantificare, ma non sentii nulla se non l'acqua in se.
Cerca lo spirito, cerca la poesia. Ma non sentivo nulla.
Le mie lacrime non mi avevano abbandonato, ma si erano confuse con le
sue: un miscuglio di tristezza sostava sul mio volto.

Sei contenta? Avrei diecimila cose da raccontarti proprio ora che non posso. Sai cosa ti direi? Che mi sento solo e che ti amo. Che mi manchi e che è tutto noioso qui senza di te. Odio ricevere messaggi sul cellulare perché so che non saranno mai i tuoi. Odio le persone che mi fanno domande perché non sei tu a farmele. Ti racconterei di come passo i pomeriggi a piangere perché tu non ci sei. E ti direi che mi sento un emerito coglione perché non ti ho mai dimostrato cosa fossi esattamente tu per me. Eri la mia migliore amica, la mia compagna di scuola, la mia ragazza e l'unica di cui mi sia mai innamorato. E vorrei gridarlo, vorrei arrivare fino a te e dirtelo guardandoti negli occhi. Ma non posso, non potrò mai e sto morendo lentamente. Non ci sei più, da troppo tempo, ma non riesco a farmene una ragione. Mi sembra sbagliato essere qui se tu non ci sei, così penso che se non puoi tornare da me, forse sono io a doverti raggiungere. È così? Devo morire per poterti dire che ti amo?” dissi, rivolto verso il cielo.
La pioggia iniziò ad essere insopportabile.
Il cielo era disperato, arrabbiato e innamorato. Io ero il cielo. Noi eravamo di nuovo insieme.


Ti voglio bene” mi diceva, dopo avermi baciato.
Anche io” le rispondevo, sorridente.
Anche io, anche io, anche io. Troppo facile così. Sono sempre io ad espormi” diceva, polemica.
E se ti dicessi che non ti voglio bene?” le chiedevo.
Non smetterei di volertene” mi rispondeva decisa, tagliente.
E allora la baciavo, dolcemente, come fosse un dono prezioso, un oggetto troppo fragile per poter essere maneggiato con noncuranza.

E se ti dicessi che ti amo?” le chiedevo, guardandola divertito.
Ti risponderei: anche io”

Mi abbassai sulle ginocchia e guardai la foto bagnata. Era protetta da quel piccolo vetro ovale, troppo piccolo per contenerla.
Non te lo meritavi. Non me lo meritavo neanche io. Vorrei... Vorrei averti qui con me” dissi, rivolto alla foto.
Abbassai lo sguardo verso le date e mi fermai.
Era passato un anno.
Confuso controllai la data nel mio cellulare che confermò.
Un anno.
Ripensai all'accaduto e mi parve
impossibile. Non poteva essere passato tanto. Non me ne ero accorto.
Un anno senza di lei era equivalso ad un lungo giorno di lutto. E avevo perso tempo. Perso nei ricordi, nelle fotografie, nelle speranze, nei pianti e nel picchiare uno stupido sacco pieno di sabbia.
Era passato un anno dall'ultima volta che l'avevo vista. Dall'ultima volta che mi disse che mi amava, dall'ultima volta che glielo dissi io.
Dalla sua ultima alba, dalla sua ultima giornata, dal suo ultimo acquazzone.
Era volata in cielo senza preoccuparsi di me.
Brava.
Mi alzai in piedi e rivolsi lo sguardo lontano.
Mi staccai dalla vita terrena e mi persi. Mi persi in un altro mondo, in uno in cui lei era con me.


Vai...”
Non senza di te”
Ci rivedremo, presto o tardi che sia. Sono qui, ti aspetto. Ci volesse anche tutta la vita. La tua vita”
Giuramelo”
Giuro”
Ti amo”
Anche io”

Aprii gli occhi. Ricordo o sogno che fosse, non mi importava.
Dovevo andare. Via.
Baciai simbolicamente la sua foto e le voltai le spalle, andando verso l'uscita.
Avevo lasciato l'ombrello sulla sua tomba, non mi serviva più.
Non dovevo più proteggermi dalla pioggia. Non dovevo più proteggermi da lei.
Sarei andato avanti. Senza di lei.
Lei era il passato. Ero pronto per il futuro.
Lei era parte di me. Ma io ero appena rinato.
Rinato con l'attesa di tornare da lei, ma senza fretta.
Rinato con la speranza di ritrovare un amore. Pronto per viverne un altro.


Qui ti lascio il mio cuore che ti è appartenuto. Qui ti lascio la mia anima silenziosa, affinché tu possa comprendermi fino in fondo, come sempre hai desiderato. Qui ti lascio il mio amore che mai ti ho espresso fino in fondo ma che sempre è vissuto in me.

Ti amo.

Ehy...! Ho appena avuto i risultati del contest e sono al settimo cielo per questo secondo posto *___* sono davvero legata a questa fanfiction, non tanto per la storia, ma per come l'ho scritta. Ero lì, ero il personaggio, ero la ragazza. E' stato bellissimo impersonificarsi così tanto. Ma d'altronde la pioggia l'ho sempre sentita un po' parte di me. Spero apprezzerete anche voi =) magari un commentino... ^^

Contest: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8833910&p=7

Erika <3

   
 
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