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Autore: Youko    15/12/2009    4 recensioni
Yohei arrestò il motorino accostando il mezzo al marciapiede in cemento che separava la strada dalla spiaggia, aspirò a pieni polmoni l’aria carica di salsedine poi decise, abbassò il cavalletto e tirò fuori la catena. Infilò le mani in tasca osservando le onde scure gonfiarsi e infrangersi sul bagnasciuga.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hisashi Mitsui, Yohei Mito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL MARE D'INVERNO Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di T. Inoue; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

Il mare d’inverno

Yohei arrestò il motorino accostando il mezzo al marciapiede in cemento che separava la strada dalla spiaggia, aspirò a pieni polmoni l’aria carica di salsedine poi decise, abbassò il cavalletto e tirò fuori la catena.
Infilò le mani in tasca osservando le onde scure gonfiarsi e infrangersi sul bagnasciuga.

Aveva sempre amato il mare in qualsiasi stagione, con qualsiasi clima e in qualsiasi forma ma d’inverno … era differente, era come se potesse averlo tutto per se, come se in qualche modo parlasse soltanto per lui.
Cosa gli dicesse non gli era chiaro, eppure, in qualche modo, sperava che un giorno o l’altro lo avrebbe compreso.

Si avviò alle scale di pietra e cemento che lo avrebbero condotto direttamente alla spiaggia, le scese con calma beandosi della vista desolata e vuota.
Lasciò che i piedi e le scarpe da ginnastica affondassero nei granelli di sabbia e il rumore della risacca gli riempisse le orecchie, poi si avviò a camminare affondando nella chiara distesa.
Avrebbe fatto meno fatica avvicinandosi al bagnasciuga ma data l’ira con cui le onde si infrangevano quel giorno sarebbe ritornato a caso zuppo e viste le temperature poco miti preferì evitare e faticare un
po’ camminando.
Procedette a lungo in solitudine, solo lui e il gigante d’acqua a fargli compagnia a volte lo faceva, non era raro per lui ritrovarsi a passeggiare sulla spiaggia.
Storse un attimo la bocca constatando che in lontananza vi era una figura seduta a terra in attenta contemplazione del muro azzurro e bianco che si  alzava, ergendosi maestoso, prima di abbattersi con forza e violenza. Poco male si disse avrebbe superato la figura solitaria e si sarebbe trovato un posticino isolato dove sedersi a svuotare la mente.

Diminuendo la distanza fra se e lo sconosciuto si accorse che non era un pescatore data l’assenza di una qualsiasi canna da pesca, meglio pensò sarebbe andato via presto e gli avrebbe lasciato il suo piccolo angolo di paradiso in terra tutto per se.
Più si avvicinava più coglieva nuovi particolari della figura seduta nella sabbia, era un ragazzo, capelli corti neri, piuttosto alto dedusse dalla lunghezza delle gambe.
Avrebbe fatto un giro largo per tenersi a distanza non aveva voglia di chiacchierare con nessuno anche se, rifletté, quello era venuto lì voleva dire che anche  lui sentiva il bisogno di rimanersene in pace per conto suo.

Procedendo si ritrovò a fissare lo sconosciuto e pian piano si rese conto che tale non rimase a lungo, a pochi metri da lui si arrestò – Mitsui? – chiamò ottenendo di farlo voltare – non posso crederci sei proprio Hisashi Mitsui- iniziò ad avvicinarsi e dal suo sguardo dubbioso pensò che non lo avesse riconosciuto, e perché mai avrebbe dovuto? Si domandò dandosi del cretino, lui era sempre stato un semplice spettatore delle partite dello Shohoku era normale che il senpai non lo ricordasse.
– Mito- esordì invece il tiratore da tre punti alzandosi in piedi e pulendosi i jeans dalla sabbia umida appiccicataglisi addosso
– eh già – fece Yohei arrestandosi a pochi passi da lui – che ci fai da queste parti? Ormai sei diventato un famoso giocatore di basket di Tokyo come mai qui a Kanegawa?- domandò sorridendo, Hisashi ricambiò incrociando le braccia – che vuoi ogni tanto noi stelle del firmamento vi degniamo della nostra presenza – rispose restando al gioco.

Mito osservò il suo ex compagno di scuola, era quasi un anno ormai che Mitsui si era trasferito nella grande metropoli, dopo il diploma come era nei suoi propositi aveva cercato un ingaggio per continuare in quello sport che tanto amava. Era stato fortunato e una squadra di Tokyo lo aveva preso, anche se di serie c era certo che prima o poi il talento del cestista gli avrebbe spalancato ben altre porte.  

– No è che in realtà che tu ci creda o no sono in ritiro con la squadra – svelò l’arcano mistero
– a Kanegawa?- domandò dubbioso
– proprio così – confermò, Yohei non poté fare a meno di ammirare il giacchetto con tanto di logo della suddetta squadra stampato a grandi lettere sulla schiena
– e come mai sei qui? – domandò ancora osservandolo riprendere il suo posto nella sabbia
– mi mancava questa vista – ammise sinceramente lanciando uno sguardo affettuoso a quella porzione di oceano
– cos’è la baia di Tokyo fa così schifo?- chiese sarcastico sedendosi a sua volta
- l’hai proprio detto, non è per niente paragonabile a questo posto – Mito soppesò le sue parole lasciando che il suo sguardo si perdesse fra le onde
- lo Shohoku come và? Quella testa matta del tuo amico è ancora in squadra? Si azzuffa ancora con chiunque gli capiti a tiro? – s’informò Hisashi,  Yohei alzò le mani in un gesto di resa per tutte quelle domande
– si Hana è sempre il solito è migliorato tanto però e assistere agli allenamenti non è più così divertente combina sempre meno guai e fa meno figuracce – ammise facendo scoppiare a ridere l’altro
– tu invece? il professionismo com’è? -  Hisashi alzò le spalle prima di arcuare le labbra in un sorriso furbo
– un gioco da ragazzi per uno come me – ammise candidamente e senza alcuna modestia
– chissà perché mi aspettavo una risposta simile. Piuttosto – lo bloccò prima di scatenare una sua rispostaccia – come mai sei qui? Non dovresti essere con la squadra?-
- il coach sa che i miei sono qui, così anche se non mi ha concesso di andare a dormire a casa mi ha dato il pomeriggio libero per andare a trovarli -  
- ho capito, ti ha lasciato qualche ora di libertà ma conoscendoti preferisce tenerti al guinzaglio un tipo in gamba direi – Hisashi gli piantò un pugno sulla spalla
– ehi ragazzino non allargarti troppo con le battute ricordati che sono un tuo senpai e potrei anche decidere di pestarti – Yohei scoppiò a ridere a quella sua uscita
– l’unico che rischia qui sei tu Mitsui – Hisashi lo fissò accigliato un secondo prima di sgranare gli occhi – se ti riferisce a quel giorno in palestra è stata solo fortuna la tua -  
- si certo come no è meglio che continui a giocare a basket, come teppista fai davvero pena – lo canzonò apertamente
– primo ero appena stato dimesso dall’ospedale, secondo qualche giorno prima Myagi mi aveva dato una sonora testata facendomi saltare un altro dente, terzo non so se ti rammenti che quando sei arrivato con quel trio di deficienti non erano in gran forma ci avevano pensato Rukawa e Sakuragi a darmi un paio di colpi ben assestati. Perciò non prenderti meriti che non sono tuoi – si difese piccato ottenendo che Mito scoppiasse nuovamente a ridere
– appunto Mitsui a pugni fai veramente schifo -  
- ah sei fortunato che ho promesso di non fare mai più a botte -  
- eh già proprio fortunato – rincarò la dose Mito.
Hisashi scoppiò a ridere contagiato dal ragazzo più giovane, quelli per lui erano giorni ormai lontani, un’altra vita che voleva dimenticare – certo che ero davvero idiota a quel tempo – sussurrò con  una certa amarezza nella voce
– che vuoi farci, a volte capita – Mito raggiunse il suo scopo con quell’ultima battuta, scacciare la tristezza e il rimpianto dal suo sguardo. Rimasero in silenzio a lungo fissando il gigante d’acqua urlare la sua rabbia
– sai a Tokyo mi mancava davvero questa vista – ammise il cecchino ottenendo l’attenzione del giovane teppista – ci sono andato un paio di volte alla baia, ma non era la stessa cosa, è strano vero? -  
- forse è semplice nostalgia di casa –fece tranquillo l’altro senza nessuna presa in giro
– non lo so forse è per quello. E dire che a me il mare mette anche una certa … paura – disse ridacchiando
– parlo come una ragazzina mi sono davvero rammollito -  
- il mare mette soggezione e paura a un sacco di gente, ma non in quanto tale bensì per quello che rappresenta -  Hisashi guardò Yohei che teneva le braccia poggiate alle ginocchia – che vuoi dire?- domandò incuriosito  
- rappresenta l’ignoto – spiegò la sua teoria Yohei –  finché ti trovi sulla riva sei tranquillo e non hai nessun problema, ma se ti spingi a largo, molto a largo, tanto da non riuscire a vedere più la spiaggia ecco che subentra il panico. Non sai cosa c’è sotto, non sai cosa può arrivare davanti a te, sei in mezzo a una distesa di blu, se alzi gli occhi al cielo incontri altro blu, ovunque guardi è solo un grande e immenso tappeto azzurro e tu sei proprio nel mezzo. In un attimo la calma piatta, la monotona tranquillità si trasforma, muta, lasciando il posto alla furia. È come la vita, in fondo non sai cosa ti aspetta, sei un punto in mezzo al mare degli eventi e basta poco perche la tranquillità venga sconvolta. Per questo il mare fa tanta paura, inconsciamente o meno ci rendiamo conto che non siamo padroni della nostra vita. – Hisashi rimase in silenzio riflettendo su quelle parole a lungo    
- accidenti – esordì – e io che credevo di essere l’unico a pensarla così  – ammise con un sorriso – in un certo senso sapere che la pensi così anche tu mi conforta – stese le gambe e affondò le mani nella sabbia dietro di se – sai quel giorno in palestra, ho pensato che tu fossi come il mare – rivelò con un sorriso
– eri un tipino dall’aria apparentemente calma e innocua eppure avevi quello sguardo che mi metteva a disagio – disse sinceramente continuando a fissare la distesa d’acqua – quando hai osato sfidarmi ho pensato “ questo pivello lo smonto in tre secondi” e invece me le hai suonate di santa ragione – si lasciò andare a una risatina beffarda nei propri confronti – avevi una freddezza nello sguardo, un controllo totale delle emozioni, non riuscivo a colpirti e quell’unico pugno che ho messo a segno … sei stato tu a permettermelo di dartelo. Poi mi hai gridato in faccia di lasciar stare i tuoi amici, c’era rabbia e furia. Se ci ripenso ora di fronte a questo mare in tempesta, non posso fare altro che paragonarvi. Calmi e placidi un istante prima furiosi e implacabili l’attimo dopo – rimase in silenzio perdendosi nell’oceano mentre Yohei rimaneva a soppesare le sue frasi – sto facendo un sacco di discorsi strani oggi – disse ancora Hisashi imponendo la sua voce sul rombo delle onde – sono proprio diventato sentimentale come una femminuccia, che schifo – sputò con rabbia.  
- Non credo che i sentimenti abbiano un sesso sai?- aprì bocca Yo, al sopracciglio alzato di Mitsui spiegò con un sorriso –  che siamo donne o uomini indipendentemente dal nostro sesso, proviamo ogni tipo di emozione possibile e inimmaginabile. È il mondo in cui viviamo, la società che c’impone determinate concezioni  e che ci dice quale significato attribuire alla parola specifica corrispondente questo o quel sentimento e ad etichettarlo come “opportuno” o meno per noi. Ti faccio un esempio - disse ancora notando la sua faccia perplessa e confusa – alla parola famiglia automaticamente noi riportiamo l’idea di serenità, felicità, calore, protezione, un punto saldo, fermo  e via dicendo, insomma tutte quelle belle immagini che ci propinano i tabelloni pubblicitari, la televisione ma anche quello che ci trasmettono i nostri avi da generazioni in generazioni. Eppure l’idea che io posso avere di “famiglia” non per forza corrisponde a quella di un altro, in parte dipende dalle singole esperienze. Non esiste solo la famiglia ideale bella e accogliente, ci sono anche le famiglie che non sanno come tenersi in piedi, da cui vuoi scappare, che ti stanno strette o peggio ancora le vivi come prigioni che di affettuoso non hanno proprio niente, è una parola complessa , perciò figuriamoci quelle che descrivono un sentimento. Eppure la società ci dice che un uomo non deve provare dolore e quindi non può permettersi di piangere, che una donna non deve essere forte ma debole, se con questo s’intende vederla indifesa , dipendente e incapace di reagire, un uomo non deve dimostrarsi romantico. Ma come in realtà intendo io una parola non è lo stesso di come l’intendi tu.
I sentimenti sono pieni di sfumature e sfaccettature, sono mondi pieni di varie realtà, come si può catalogarli e restringerli in una singola parola? Come si può dire a una persona tu puoi provare e sentire questo ma non quello? Ci sono tanti tipi di amore, così come esistono tanti tipi di dolore e ugualmente la felicità non è sempre la stessa  -  si bloccò osservando il viso accigliato di Hisashi e Yohei scoppiò a ridere imbarazzato
– scusa credo di essermi lasciato trasportare – Mitsui si alzò in piedi stiracchiando le braccia
– ho sempre detto che eri un tipo troppo posato e riflessivo per essere amico di Sakuragi ma non avrei mai pensato  che fossi un tipo così filosofico – disse scrollandosi la sabbia dagli abiti
- non sono così in genere, è questo posto -  
- come? -  
- dicevo che si è fatto tardi – disse Mito alzandosi a sua volta.

Si avviarono all’uscita camminando uno di fianco all’altro – pensi di riuscire a fare un salto allo Shohoku? – gli domandò non sapendo che impegni avesse o quanto si trattenesse in città
– sicuro che passo devo andare a salutare il mister gliel’ho promesso e poi il mio attuale coach era un suo giocatore una volta, quindi vuole venire anche lui -  rivelò con un sorriso allegro. Tornare allo Shohoku non vedeva l’ora – vai a casa ora? – s’informò ancora
– eh già mi staranno aspettando da un pezzo – ridacchiò osservando l’ora
– se vuoi ho il motorino ti do uno strappo -  si offrì Yohei
– no grazie preferisco andare a piedi – declinò l’invito. Una volta saliti per le poche scale e giunti sul marciapiede il cecchino si congedò salutando e promettendo di farsi vedere presto in palestra.

Mito slacciò la catena osservando la schiena dell’altro allontanarsi poco per volta.
Un anno … era passato quasi un anno dall’ultima volta che l’aveva visto, si poggiò sul sellino fissando le onde che ancora si abbattevano sulla spiaggia.
“Ti ricordo l’oceano ma oltre a una flebile traccia nel nome, non ho proprio niente in comune con lui” voltò il capo per seguire fino all’ultimo la figura del giocatore. Un anno si disse ancora, ormai si era quasi rassegnato a non rivederlo più eppure quel giorno, chissà per quale scherzo del destino,l’aveva incontrato di nuovo. Ricordava bene il loro primo incontro in palestra, in qualche modo aveva provato ammirazione per Mitsui, il dolore per non poter più calcare il lucido parquet, vedere i propri sogni andare in frantumi, la disperazione che aveva letto nei suoi occhi l’avevano colpito profondamente. Lui non avrebbe mai provato una passione simile e poi la forza che aveva sentito nella sua voce rotta dal pianto, il suo desiderio bruciante di non arrendersi e tornare a fare quello che amava di più nella vita. Hisashi aveva avuto un coraggio, una tenacia invidiabili  “ sei tu che possiedi la forza della marea, la furia della tempesta e la calma della bonaccia. Sei tu il mare Hisashi non io” ma non era quel giorno che si era innamorato di lui si ricordò distinguendo appena la sua figura ormai troppo lontana.
Era la prima partita a cui il giocatore aveva partecipato, i capelli tagliati corti, il viso pulito senza più alcuna traccia di sangue, il sorriso furbo e sicuro. Era tornato ad essere l’atleta di un tempo quello che aveva conquistato il titolo di miglior giocatore. Per lui che osservava la partita dagli spalti era solo un tipo troppo sicuro del proprio talento ed era curioso di vederlo all’opera niente di più e poi in un attimo era cambiato tutto.
Il cuore di Yohei si era fermato, i suoi occhi si erano dilatati e l’aveva visto, sulla linea da tre punti, la sua casa, si era sollevato in aria, aveva allungato le mani e la palla aveva descritto un linea perfetta e dolce.
L’eleganza del corpo, la fluidità dei movimenti, la naturalezza dei gesti e il canestro preciso e perfetto.
Si era detto che era stata l’emozione di un momento, che l’altro aveva talento e stoffa innegabile a cui non poteva rimanere indifferente, ma quando si era sollevato in aria una seconda volta aveva pensato che fosse bello come un angelo e il suo cuore era impazzito.
Era lì che Yohei Mito se n’era innamorato, sulla linea da tre punti, aveva visto per la prima volta un angelo aggraziato staccarsi da terra, rimanere sospeso, mentre le dita lunghe e affusolate lasciavano libera la sfera arancione e il polso si fletteva dolcemente per accompagnarne la scia. Un angelo caduto dal cielo, che si era ritrovato nel fango e aveva irrimediabilmente sporcato le ali candide col rosso sangue e il nero del rancore, quello stesso angelo aveva lavato via ogni traccia della sua colpa su quella linea, ritornando candido e immacolato, perfetto e letale compiendo un miracolo dopo l’altro anche quando ormai si pensava che non potesse più farne.

Si portò una mano alla fronte ridacchiando piano della sua idiozia lo aveva amato per un anno in silenzio, non era più solo per Hanamichi che andava ogni giorno in palestra, non era per ridere delle brutte figure dell’amico. Era per poter vedere il suo splendido e dannato angelo, sollevarsi da terra e compiere un canestro perfetto.
Era così stupido che se doveva accompagnare Hana in palestra prendeva una palla e provava un canestro da tre punti e solo per potersi trovare nel punto esatto che calpestava Mitsui.  
Così maledettamente stupido che si era sentito spaccare in due, aveva udito il cuore andare in mille pezzi all’idea di non poterlo più vedere ogni giorno.

Per quasi un anno aveva continuato a immaginarlo su quella linea da tre punti incapace di dimenticarlo e ora quel giorno, il destino, il fato o un dio ingiusto aveva riaperto la ferita del suo animo facendoglielo rincontrare lì, su quella spiaggia, l’unico luogo in cui riuscisse a non pensare a lui per qualche ora.
Bastava che si concentrasse sulla brezza che gli colpiva il viso, nel rumore della risacca che gli invadeva le orecchie, all’odore di salsedine che lo investiva, si riempiva lo sguardo delle onde incessanti e riusciva a svuotare la mente e non pensare a niente e nulla, nemmeno a lui.
Al suo magnifico e terribile angelo.
Ora neanche quel luogo lo avrebbe potuto aiutare.

Per un anno lo aveva osservato da lontano celando e nascondendo ciò che provava, per un altro anno si era disperato di non poterlo neanche più ammirare in silenzio, angosciandosi di fronte l’evidenza di averlo perso per sempre, imponendosi di dimenticarlo.
Per mesi si era ripetuto che sarebbe stato inutile rivelargli cosa provasse e ora se lo ritrovava lì quando ormai si era rassegnato a scrutare i giornali sportivi, sperando di trovare un trafiletto che parlasse di lui, che gli portasse sue notizie.
Ora lo vedeva scomparire di nuovo davanti ai suoi occhi cosa avrebbe dovuto fare? Corrergli dietro, fermarlo e dirgli tutta la verità?
Non poteva farlo Yohei Mito lo sapeva fin troppo bene.
Mitsui lo avrebbe guardato non capendo, poi avrebbe riso di lui e quando si sarebbe reso conto finalmente che non lo stava prendendo in giro, che non era uno scherzo, gli avrebbe riversato addosso tutto il suo disgusto, per essere quello che era, per quello che provava, quello che sentiva, perché il suo cuore batteva e viveva solo quando lo vedeva.
E Yohei si sarebbe spezzato per sempre, sarebbe crollato in frantumi.
“ Sono solo un vigliacco” si disse fissando la strada ormai vuota. Inserì la chiave nel quadro, tolse il cavalletto e si immise sulla strada andando nel senso opposto.   

Quel giorno il mare gli aveva parlato e per la prima volta Yohei aveva compreso le sue parole, ma avrebbe tanto voluto che non accadesse, perché le parole che gli aveva portato lo stavano facendo sanguinare.           
                                                     
  
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