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Autore: tanechka    15/12/2009    1 recensioni
Ora, più di prima. Più di prima.
Li sento combattere.
Sento il fragore delle loro armi, l’odore della polvere da sparo, penetrante, intenso, doloroso. Sento le urla di rabbia impotente di chi non può intervenire in difesa dei propri amici, dei propri parenti.
Ma più di ogni altra cosa, il suono lievemente impercettibile che copre qualsiasi altro rumore possibile è quello del tuo respiro durante il sonno.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Li sento combattere.

Sento il fragore delle loro armi, l’odore della polvere da sparo, penetrante, intenso, doloroso. Sento le urla di rabbia impotente di chi non può intervenire in difesa dei propri amici, dei propri parenti.

Ma più di ogni altra cosa, il suono lievemente impercettibile che copre qualsiasi altro rumore possibile è quello del tuo respiro durante il sonno.

Loro combattono sempre. Dal di fuori cammini e parli come se fossi una ragazza normale, con i propri sogni, i propri grilli per la testa, i propri lievi sorrisi, la vergogna e il rossore in presenza di estranei, l’esuberanza e la disponibilità in presenza di amici, ma in realtà dentro di te non va proprio così.

A volte i combattimenti si placano, per qualche istante, qualche ora; allora accendono fuochi per bruciare i corpi, il sangue, per bruciare la tua speranza, farla a pezzi e contaminarla con il loro odio, il loro disincanto.

E fuori, all’esterno, la tua pelle continua a tremare sotto quei vestiti troppo larghi dietro i quali ti nascondi. Tremi e fingi, sorridi, levi il viso, spalanchi gli occhi, e dietro quelle ciglia profonde, nell’assenza scolorita delle tue iridi, posso vedere il sangue macchiare le pareti della tua anima, posso sentire le urla strazianti di coloro che cadono sotto i colpi scanditi con precisione disarmante.

Ti stanno uccidendo i sogni. Quei magri, stupidi, inutili sogni che ti spingono ad alzarti la mattina, tremante di freddo, circondata dal buio, pesta, sola, assonnata, con gli occhi gonfi di sonno e socchiusi. Che bella sensazione.

Mirare, puntare. Guardala dritta negli occhi, mentre aspetti che il tremito si plachi. Lascia che il sudore scivoli lentamente, delicatamente, sulla sua pelle sbiancata dalla paura. Non sorriderle, o spererà ancora.

Socchiude leggermente le labbra, non si muove. Eppure ha una sua bellezza, una sua grazia, nello starti davanti spogliata di qualsiasi dignità.

Aggiusta meglio la mira, e ogni tuo movimento è un suo battito lieve di ciglia. Quelle ciglia profonde che non riesce ad amare, guarda come proteggono la pupilla dilatata, color del nulla, color del mare, color del fango, color del dolore.

E questo ti perseguita. Io non vivo per questo, io non vivo per questo, io non vivo per questo, continui a ripetere ossessivamente, come un mantra. Senti la diversità del tuo animo, in un mondo di stereotipi e superficie, che ti brucia, ti marchia a fondo, ti ossessiona ogni giorno della tua vita. Eppure, devi.

Devi mangiare la pasta parlare alla gente dare l’interrogazione di greco piangere urlare arrabbiarti ridere scrivere per ore consegnare il foglio protocollo sorridere fare una carezza annuire con foga gesticolare dormire ascoltare la musica camminare per ore sotto il sole senza smettere di parlare

 


E tu, quando torni in te stessa?

Il silenzio.

 


Per cosa vivo, allora?

 


Li sento combattere, incessantemente. Vedo alcuni di loro intingere le dita nel sangue e passarle delicatamente sulle pareti di ciò che hai dentro.

 


Perché non sono come gli altri?

 


Nel tuo sonno cercano di essere più blandi. A volte capita che siano più delicati, meno violenti e sanguinari, e ti lascino sola per qualche momento di oblio.

 


È meglio non essere come gli altri. È come se tu vivessi fuori dalla superficie delle cose, capisci? Come se tu potessi uscire a respirare mentre gli altri annegano, con i polmoni pieni d’acqua, verso le loro vite a senso unico, verso le loro ipocrisie, le loro mediocrità, i loro atroci pranzi domenicali, le loro giacche e cravatte, i loro sorrisi falsi.

Tu no.

Tu camminerai per sempre, per sempre giovane, a piedi nudi con un vestito indosso attraverso un campo di fiori illuminato dalla luce del giorno. Il sole ti schiarirà i capelli e abbronzerà la pelle, ti farà spuntare qualche lentiggine sul naso e sulle guance, le tue braccia e il tuo corpo si assottiglieranno lentamente, senza fretta alcuna.

Camminerai per sempre, senza dolore, senza paura, senza timori di incedere troppo violentemente o troppo piano.

E l’unico rumore che sarà appena appena udibile sarà il fremito, lo spasimo finale esalato dalle ultime agonie, dagli ultimi corpi che si lasciano scivolare senza più vita lungo la parete insudiciata dalla ruggine. L’unica minima percezione nella luce dorata del sole, nel vivo colore dei fiori, nel lieve sorriso che increspa le tue labbra, nei morbidi capelli che ti scivolano lungo le spalle, nei tuoi occhi pieni di orrore.

 





Chiedo scusa. Ancora una volta non so come classificarla. Chiedo scusa anche per il fatto che sia un po’ troppo ‘cruda’ rispetto a ciò che scrivo solitamente.

Ad ispirarmi è stata ‘Zombie’ dei The Cranberries. Quella, e una serie di cose che capitano, a volte. È solo che sempre di più, ogni giorno che passa, mi sfugge la finalità di quest’esistenza. Non l’utilità, perché in fondo qualcosa si salva, basta avere occhi per guardarlo e volontà per tenerselo stretto e non lasciarlo andare via. Non capisco perché viviamo, e il vuoto che mi circonda - le mode, i fidanzati, i voti a scuola, i motorini, i vestiti, i capelli perfetti, i fisici scolpiti - ogni giorno di più mi estranea completamente dal resto e mi fa chiudere sempre di più, mirare ad altri orizzonti.

Scusate l’esagerazione. E, ancora una volta, grazie a chi legge.

tanechka

  
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