Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Wren    18/12/2009    12 recensioni
Una notte fredda, in cui si sente il Natale che s'avvicina, Fay alza gli occhi al cielo stellato e fa un incontro bizzarro che movimenterà la sua vita.
[scandalosamente AU e KuroFay]
Genere: Romantico, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Grazie a tutti, lettori vecchi e nuovi, per essere qui! Specialmente però a chi segue da.. ehr... ANNI questa storia e ancora non mi ha impiccata! XD
Devo confessare di provare un certo gusto malato nel sentirmi punzecchiare da chi segue questa storia con "Ma quando continui Kuro-stellina???"... Giuro però che non mi lascerò tentare dal lasciare la storia incompiuta solo perchè mi diverte essere punzecchiata a riguardo! XD

Beh... che dire... auguro a tutti un BUONISSIMO STELLATISSIMO NATALE pieno d'amore, di risate e di quanto più buono, puro, genuino è rimasto di questa festa! Per me parte di questo sentire natalizio sono le storie... spero che questa vi faccia da regalo gradito!




Capitolo 6


C’era una volta una stella che cadde dal cielo senza più sapere come tornare a casa.
La terra era fredda ed inospitale, il vento gli soffiava violento sul viso, togliendogli persino il desiderio di piangere. Rimase per molto tempo nel luogo dove era caduto, ma ben presto i morsi della fame e della sete si fecero sentire e lui comprese che se non si fosse deciso ad alzarsi, sarebbe di certo morto.
Si trascinò a fatica lungo un sentiero, le gambe gli dolevano molto perché stando lassù in cielo non le aveva mai dovute usare. La stanchezza gli gravava pesante sulle spalle, quando infine vide una casetta di legno storta con una luce calda di fuoco che si spandeva da una finestrella.
Tremante di freddo e paura, bussò alla porta e una vecchina venne ad aprirgli.
“Entra, ti stavo aspettando.”
Un pasto caldo e un letto invitante erano pronti per lui.
“Come potevi saperlo?” si stupì la stella.
“Sono una veggente, ho sognato il tuo arrivo,” gli rispose lei con un sorriso gentile.
La stella si saziò e si scaldò davanti al fuocherello scoppiettante del camino. Dopo tanta sofferenza, finalmente cominciava a sentirsi meglio.
“Grazie. Mi chiamo Kohaku,” disse alla veggente coricandosi nel letto, con gli occhi che ormai si chiudevano per il sonno.
“Lo sapevo, ma ti ringrazio di avermelo detto,” rispose dolcemente la vecchina, rimboccandogli le coperte.
Kohaku dormì un sonno profondo e senza sogni e la mattina fu pronto per rimettersi in viaggio.
“Voglio dirti un’ultima cosa,” lo trattenne la veggente, che lui era già sulla soglia. “Ti insegnerò l’unico modo che esiste perché una stella caduta possa tornare in cielo.”
Detto ciò, la veggente prese la mano di Kohaku e chiuse gli occhi.
“Non esiste niente di più forte del potere di una stella che realizza i desideri, c’è soltanto una cosa che quella magia non può fare. Se alla mezzanotte di Natale tu brillerai al tuo massimo fulgore, allora potrai realizzare il tuo stesso desiderio e tornare a casa. Ora vai, non è destino che tu attenda quel giorno qui con me, c’è ancora qualcosa che devi fare.”
Kohaku ringraziò la veggente che tanto era stata gentile con lui e si incamminò lungo il sentiero. Era già troppo lontano per sentire la vecchina aggiungere altre parole con aria triste. “Però il tuo desiderio potrebbe cambiare, prima di allora.”
Kohaku intanto era già lontano. Dove avrebbe atteso la notte di Natale? Non sapeva dove andare, ma la vecchina gli aveva assicurato che ci fosse ancora qualcosa in serbo per lui, quindi non si scoraggiò e continuò a camminare.
La strada attraversava un bosco e ci giunse proprio quando la notte aveva cominciato di nuovo a calare. Il bosco aveva un’aria ostile e per quanto Kohaku guardasse in alto, le fronde erano così fitte che non riusciva a trovare il conforto dei suoi fratelli e sorelle dalla volta celeste. Corvi neri e minacciosi cominciarono a volargli attorno, come se volessero punirlo della sua intrusione in quel luogo. Alla stella venne da piangere, perché non sapeva cosa fare e il coraggio cominciò ancora una volta a venirgli meno.
I corvi strillarono, ma invece di attaccarlo, scomparvero.
Quando Kohaku alzò gli occhi, c’era un uomo davanti a lui, che con un bastone aveva scacciato quei lugubri uccellacci.
“Grazie,” gli disse con un sorriso, e inconsciamente prese a brillare.
L’uomo lo fissò sorpreso e fece per andarsene senza dir nulla.
“Aspetta! Lascia che faccia qualcosa per ringraziarti!” e la stella prese a corrergli dietro.
“Sei strano, sei sicuramente un’allucinazione, non parlarmi,” lo scacciò con aria scorbutica lui.
“Non sono un’allucinazione, sono una stella e se mi lasci stare con te fino al giorno di Natale, quando sarò tornato a casa, realizzerò un tuo desidero per ringraziarti di avermi salvato!”
L’uomo non sembrava credere alle sue parole, ma lasciò che Kohaku venisse con lui. La casa dell’uomo era grande ed accogliente e alla stella fu offerta addirittura un’intera stanza dove alloggiare.
“Mi chiamo Shuichiro, sono un guardaboschi. Sto sempre fuori tutto il giorno, quindi non c’è problema che tu stia qui.”
Kohaku sentì che il suo corpo si riempiva di calore come nemmeno il fuocherello della veggente aveva fatto.
I giorni trascorsero tranquilli. Dapprima Kohaku restava a casa, si occupava delle faccende più semplici, perché una stella non conosce molte cose dell’economia domestica, imparò a cucinare e ogni sera Shuichiro tornava a casa con un pasto caldo e un sorriso ad aspettarlo. Sempre più spesso, il guardaboschi cominciò a tornare a casa anche durante il giorno. A volte Kohaku lo seguiva nei suoi giri per il bosco. A volte la sera, si addormentavano seduti davanti al fuoco, insieme.
Il tempo trascorreva rapidamente e Natale giunse del tutto inaspettato. Kohaku capì che se avesse realizzato il suo desiderio di tornare in cielo, non avrebbe più rivisto Shuichiro. Si rese conto di non volerlo, si accorse che il suo desiderio era cambiato. Capì che non desiderava altro che stare con Shuichiro per sempre.
La sera di Natale aspettò che lui tornasse dal bosco per dirglielo. Il cuore gli batteva così tanto che pensava gli sarebbe scappato dal petto. Shuichiro però tardava e la notte cominciava ad avanzare, il momento di esprimere il suo desiderio era sempre più vicino. Impaziente, Kohaku corse nel bosco alla ricerca dell’uomo. Lo chiamò a lungo, ma solo il fruscio delle foglie gli rispondeva. Corse su e giù tra gli alberi finché la vista di qualcosa di terribile non arrestò la sua ricerca.
Shuichiro era a terra, non si muoveva.
Kohaku gli corse accanto e, come una pugnalata al cuore, capì che era morto.
La mezzanotte scese sul bosco, Kohaku si gettò su di lui e pianse, pianse così forte da dilaniare l’anima del bosco. Non c’era più né cielo, né terra, né calore, solo il corpo freddo tra le sue braccia. Brillò con tutte le sue forze e disse: “Voglio che Shuichiro torni in vita! E’ questo il mio desiderio!”
Perché anche il cielo che aveva tanto desiderato era vuoto e freddo senza Shuichiro. Ma Shuichiro non si mosse, perché l’unica cosa che nessun potere né desiderio al mondo può disfare è la morte.
“Se non può più tornare,” pianse Kohaku. “Almeno desidero che possiamo restare insieme per sempre!”
La sua luce di stella avvolse entrambi con un’intensità da fare invidia alla quella del sole e quando si dissolse, al loro posto c’era una roccia dalle sembianze di due figure abbracciate.
E’ ancora lì nel bosco. Se la si guarda con attenzione, la si può vedere brillare.


*

Una persona può spendere tutta la sua vita nello stesso posto e finisce comunque per ignorare certi luoghi, seppur vicini. Una strada, un isolato, un centro commerciale, un parco… Per un motivo o per l’altro, c’è sempre qualche zona d’ombra nella conoscenza che la gente ha del luogo dove vive e, proprio per la sua vicinanza, quando lo si scopre, finisce sempre col causare un certo sgomento. Da dove diavolo è sbucato fuori questo posto, proprio sotto al nostro naso?!
Fay si sentì così, mettendo piede nella scala E.
Il complesso residenziale dove abitava era formato da cinque palazzine che sorgevano ai margini di un ampio e signorile giardino circolare, disposte in modo tale che, unendole con una serie di linee immaginarie, avrebbero dato vita ad un pentacolo. La scala C, dove viveva Fay, era la più vicina all’ingresso, mentre la E era la più lontana.
“Quella maledetta strega ci ha truffati!” si lamentò Kurogane, facendo il suo ingresso nell’atrio a passo di marcia, per nulla toccato dalla peculiarità del momento.
“Che buffo!” esclamò Fay, sorpreso, senza dar retta ai borbottii dell’altro. “Sembra uguale a dove abitiamo noi, ma la scala è a sinistra invece che a destra!”
“Non mi interessa, andiamo a cercare questo tizio e facciamogli sputare il rospo!” proseguì battagliero Kurogane, dirigendosi verso l’ascensore e piazzandocisi davanti a braccia incrociate.
Fay sospirò sonoramente e affiancò il ragazzo-stella, premendo il pulsante di chiamata dell’ascensore dato che il suo ospite astrale non sembrava essersi ancora abituato al semplice funzionamento di tecnologie basilari come ascensori e forni a microonde. “Dovresti provare a rilassarti, Kuro-stellina!”
“Col cavolo, voglio capire qualcosa di questa roba!” sbraitò l’altro, brandendo il libro illustrato.
L’ascensore annunciò la sua presenza con un elegante arpeggio e Kurogane ci entrò dentro pestando i piedi e facendolo tremare. Fay lo seguì e premette il pulsante dell’ultimo piano.
Dopo essersi assicurata il suo compenso, Yuuko aveva rivelato loro che il misterioso autore abitava proprio nel loro stesso complesso residenziale. Kurogane e Kimihiro non l’avevano presa molto bene, ma Fay era troppo abituato ai giochetti della portinaia per stupirsene ancora. Era un vantaggio, almeno poteva godersi l’esilarante spettacolo di Kuro-stellina incavolato. Gli lanciò un’occhiata dallo specchio dell’ascensore, se lo guardò ben bene, mentre lui continuava a fissare con aria truce il libro che si rigirava tra le mani. Le porte dell’ascensore parvero aprirsi troppo presto. Kurogane era animato da un’impazienza incontenibile, marciò fuori e si inoltrò nel corridoio, guardandosi attorno, come se pretendesse che la porta giusta si arrendesse al suo sguardo micidiale e si aprisse da sola. Fay lo superò ridacchiando e suonò al campanello col nome che Yuuko gli aveva indicato. Sentì il ragazzo stella che lo raggiungeva e gli incombeva dietro le spalle, mentre la porta si apriva su una stanza buia.
“Sì?” domandò l’uomo che si affacciò sulla soglia. Era un bel ragazzo, con gli occhi di un insolito viola e i capelli neri con riflessi dello stesso colore. Sorrideva come se li stesse aspettando e fosse anche sorpreso che ci avessero messo tanto ad arrivare. Non aveva nulla di strano in sè, ma qualcosa in lui sembrava fuori posto, irreale e trasmise a Fay una sensazione di inquietudine.
“Buongiorno,” lo salutò allegramente, nonostante tutto. “Ci chiedevamo, se non fosse di troppo disturbo per lei…”
“Oi! Taglia corto e chiedigli del libro!” lo interruppe Kurogane.
“Kuro-stellina, ti prego…” cercò di zittirlo Fay, sorridendo a più non posso all’uomo oltre la porta.
“Ehi, tu!” lo ignorò il ragazzo stella, imperterrito, sbandierando il libro illustrato. “Hai scritto tu questo?”
Il sorriso si pietrificò sul viso di Fay. Non credeva molto a quella possibilità, ma se volevano avere informazioni, quello non era assolutamente un modo intelligente di ottenerle.
L’uomo li fissò in silenzio, col suo sorriso misterioso, per nulla turbato dalla scena che aveva davanti. Poi si fece da parte e spalancò loro la porta.
“Prego, entrate.”

*

“E’ insolito che degli adulti si interessino al mio libro,” esordì Kujaku, facendogli accomodare nel suo salotto. Come l’ingresso, tutta la casa era immersa nella penombra.
Prima che Kurogane potesse gettarsi in altri strafalcioni diplomatici, Fay prese le redini della conversazione.
“Stiamo facendo una ricerca sulle leggende che riguardano le stelle cadenti,” spiegò affabilmente. “Ci chiedevamo se potesse rivelarci quali siano le sue fonti, se ne ha avute… Ci scusi l’intrusione, probabilmente il suo è un racconto interamente di fantasia…”
Fay ne era certo, aveva passato tutta la notte a convincersene. Era impossibile che avessero trovato così facilmente informazioni su come rimandare Kuro-stellina a casa…
Kujaku lo osservò a lungo, poi prese a valutare Kurogane con lo sguardo.
“Ve lo dirò, perché penso proprio che voi due mi crederete.”
Kujaku si alzò e li lasciò nel salotto da soli, per sparire in una stanza. Kurogane sembrava a disagio da quel comportamento, si stava visibilmente innervosendo, se non era ancora saltato su con qualche protesta era evidentemente solo perché gli interessava l’argomento discusso. Questo e il modo di continuare a sospendere le parole di Kujaku avevano aumentato considerevolmente il senso di inquietudine di Fay. Quando il padrone di casa tornò, aveva in mano una foto.
“Vi presento la veggente del mio libro,” disse, porgendo a Fay l’immagine. “Mia nonna.”
La foto ritraeva un donnino esile e piccino, con i suoi folti capelli bianchi acconciati morbidamente in una crocchia. Indossava un vecchio abito tradizionale e sorrideva in maniera dolce e triste. La foto era stata scattata in un bosco, c’erano molti alberi, e proprio accanto alla donna…
“Questa è…?” domandò Fay senza riuscire a nascondere la sorpresa. Kurogane, gli tolse impaziente la foto dalle mani e anche lui sgranò gli occhi stupito.
“Kohaku e Shuichiro? Sì… Lei mi ha sempre detto che erano loro.”
“Ma allora la storia è vera…?” Fay non riusciva a capacitarsene, continuando a fissare la strana roccia che richiamava la figura di due persone abbracciate, proprio dietro la donna della foto.
“Chi può dirlo? Mia nonna si è occupata per tutto il resto della sua vita di quel bosco e di quella roccia, ma io non ero ancora nato ai tempi di questa storia e non si può negare che sia alquanto incredibile…” rispose Kujaku, anche se dalla sua espressione sembrava evidente che lui ci credesse eccome. “Stelle cadenti… ridicolo vero?”
Lo sguardo che rivolse loro per poco non li fece cadere dal divano. Kurogane si riprese per primo e ripartì subito all’attacco.
“Se la storia è vera, che diavolo significa brillare al massimo fulgore? E funziona davvero la storia del desiderio alla mezzanotte di Natale?”
“Vedo che prendete la vostra ricerca molto sul serio…” rise Kujaku. “Mia nonna mi ha sempre detto che quello è l’unico modo per una stella di tornare in cielo, ma che cosa significhi di preciso non lo so. Penso che una stella dovrebbe saperlo da sola cosa significhi brillare al massimo fulgore… Non trovate?”
Fay non si sentiva tranquillo. Kujaku alludeva un po’ troppo. Si ricordò di come certi umani volessero divorare il cuore delle stelle cadute per ottenere chissà quali miracolosi poteri e Fay cominciava a sospettare che quell’uomo sapesse precisamente con chi stesse parlando e non vedeva l’ora di andarsene da quel posto e da quella conversazione. Kurogane stava già per lamentarsi rumorosamente del fatto che lui non ne sapeva un bel niente di quelle cose e dovette ancora una volta fermarlo.
“Beh, l’abbiamo disturbata anche troppo con le nostre chiacchiere! Grazie della disponibilità e arrivederci!” Prima che potesse protestare, Fay trascinò Kuro-stellina fuori da quella casa ombrosa e non si sentì tranquillo finché le porte dell’ascensore non si furono chiuse.
“Che accidenti ti ha presto?” brontolò Kurogane, divincolandosi dalla sua presa. “Stavo raccogliendo informazioni, io!”
“Ma Kuro-glitter, il signor Kujaku ha detto che non sapeva altro!” si giustificò Fay con aria innocente. Era inutile preoccupare anche Kuro-stellina coi suoi sospetti.
“Bah! Almeno non è stato del tutto inutile. Almeno ora so che c’è un modo per tornare a casa mia.”
Fay si sforzò di sorridere, ma non si azzardò a parlare. Non ce l’avrebbe fatta a rispondere con la sua solita aria allegra a quell’affermazione.

*

Per tutto quel giorno e quello successivo, Kurogane meditò con grande impegno sul recondito e misterioso significato dei concetti di “brillare” e “massimo fulgore”. Kimihiro lo invitò anche a consultare dei grossi libroni che lui chiamava vocabolari e enciclopedie e che spiegavano, a detta del bambino, il significato di tutte le cose. Non fu molto utile e la sua fede nella prodigiosità di questi volumi sfumò immediatamente. Fu così impegnato che per un po’ manco si accorse che anche Fay sembrava molto impegnato in qualcosa.
“Si può sapere che diavolo stai facendo?” proruppe dunque Kurogane il terzo giorno, turbando la quiete dello studio di Fay.
Lui non alzò nemmeno lo sguardo dal suo tavolo di disegno.
“Scusa, Kuro-edelweiss, ti senti ignorato? Povero me, sono così impegnato che sto trascurando la mia stellina preferita~”
Kurogane si avvicinò all’altro e sbirciò quello che stava facendo l’idiota. Su un grande foglio di carta diviso in riquadri di diverse grandezze c’erano disegnate delle persone, e tra di loro stavano sospese delle parole scritte con quell’alfabeto che aveva cominciato ad imparare.
“Che roba è?” domandò incuriosito.
“E’ un fumetto, Kuro-shine!” gli rispose Fay, questa volta alzando lo sguardo su di lui. “E’ una storia raccontata per immagini. Quello che i personaggi dicono è dentro a queste nuvolette, vedi?”
Kurogane, gli scocciava ammetterlo, ma era affascinato da quella novità.
“E questo l’hai fatto tu?”
Fay sembrò illuminarsi. “Sì! E’ il mio lavoro! Fino ad ora avevo solo aiutato un fumettista molto più bravo di me, ma proprio in questi giorni mi hanno proposto di disegnarne uno tutto mio e…” Si interruppe e arrossì. Kurogane inarcò un sopracciglio. “Scusa, probabilmente non ti interessano queste cose, vero Kuro-stellina?”
Si scrollò le spalle e fece per tornare chino sul suo lavoro, ma Kurogane gli afferrò di scatto un braccio.
“Mi interessa.”
Dal modo in cui Fay gli sorrise, Kurogane si accorse che parte del suo interesse era anche dovuto all’espressione raggiante sul suo volto.

*

Ad un certo punto della sua lunga e appassionata spiegazione, Fay si era accorto di quanto fosse tardi e che la consegna era fissata entro quella stessa sera, quindi aveva piazzato Kurogane davanti alla sua collezione di fumetti, dicendogli di servirsi pure, ma di fare attenzione a non rovinarli, per poi sparire di nuovo nello studio e chiudere la porta, stavolta.
Kurogane aveva osservato con una certa curiosa soggezione quei volumetti colorati disposti in ordine perfetto, a differenza di quasi qualsiasi altra cosa in quella casa, e intuì subito quanto l’umano dovesse tenere a quei cosi. Con attenzione, nemmeno stesse maneggiando una statuina di cristallo, tirò fuori un fumetto bello corposo e provò a sfogliarlo. Parlava di guerrieri e di combattimenti e ci si trovò subito immerso, cominciando a leggere quello che riusciva a capire e bevendo letteralmente le immagini. Finito un volumetto, ne prese un altro, e poi un altro ancora e così via, finché non ebbe finito tutto quello, un fumetto poliziesco sovrannaturale, lasciato a metà una storia eccessivamente melensa che si svolgeva in uno di quegli edifici spaventosi di cui gli aveva parlato Kimihiro chiamati scuole e rimasto molto scocciato nello scoprire che almeno tre di quelle raccolte non avevano una conclusione. Stava quasi per andare da Fay a lamentarsene, quando, forte del suo recente allenamento di lettura, notò il nome dell’umano su un fumetto dalla copertina di un bel verde scuro che si intitolava Il damigello. Soppesò a lungo il volumetto tra le mani. Sulla copertina c’era un bellissimo disegno e Kurogane notò che il modo di disegnare era molto simile a quello di Fay, ma non del tutto. L’idiota gli aveva fatto vedere alcuni dei suoi disegni e, probabilmente perché erano i primi che avesse visto o chissà perché altro, nessun altro tratto gli era piaciuto come il suo. Sfogliando e leggendo il primo numero e poi il secondo e così via, Kurogane si accorse di riuscire a notare perfettamente dove il tratto di Fay si facesse più marcato nelle pagine, in quali scene ci avesse messo più del suo. Gli sembrava lampante, risaltavano ai suoi occhi in maniera del tutto speciale. Poi, all’altezza del sesto volumetto…

“Rikuo, as-aspetta!” Kazahaya era premuto contro la parete dal corpo ben più imponente dell’altro.
“Ho aspettato anche troppo…” rispose Rikuo, chinandosi verso l’altro con uno sguardo da predatore. “Non hai idea di che tentazione sia vederti ogni giorno in queste tue vesti da damigello…”
“Ma noi non… non possiamo…” e nonostante le sue parole, Kazahaya protese il viso verso quello dell’altro, arrossendo.
“Penso che sia ora di tacere…” e con impeto Rikuo colmò la distanza tra loro e baciò Kazahaya con intensa passione.


Kurogane chiuse il volumetto di colpo, sentendosi all’improvviso molto, ma molto strano.
Ecco.
Questo lo turbava tantissimo.
Aveva letto di tutto, aveva capito praticamente tutto quello che le storie raccontate in quei fumetti avevano da offrirgli, ma questo… Questo lo metteva in uno stato di agitazione tale da non capire più niente. Si sentì avvampare, sentì un gran caldo sul viso e nello stesso tempo un brivido gli percorse la schiena, lo stomaco fece un’insolita capriola e il cuore gli batteva nelle orecchie.
Pensò a Fay.
Perché diavolo gli veniva in mente l’idiota proprio in quel momento?! Aveva già abbastanza grane per la testa!
Forse era perché quelle pagine erano state disegnate da lui? Turbato com’era, non ci aveva neanche fatto caso. Aprì di nuovo la pagina e diede un’occhiata al disegno. L’immagine dei due personaggi che si baciavano a quel modo lo scosse esattamente come la prima volta, ma riuscì a notare che sì, il disegno sembrava avere in sé la mano di Fay. Improvvisamente il fatto che l’idiota umano fosse in qualche modo collegato all’immagine peggiorò drasticamente la sua condizione. Richiuse rapidamente il volumetto, lo rimise dove l’aveva preso e si allontanò dagli scaffali.
Dannazione! Un’altra di quelle stupide dannate malattie umane! E stavolta era la peggiore di tutte! Forse sarebbe addirittura morto! Aspettò qualche istante e, quando vide che non moriva, un pochino si tranquillizzò.
Non è che non sapesse cosa fosse un bacio o che non ne conoscesse le meccaniche. Il fatto era che, standosene lassù nel cielo, era praticamente impossibile arrivare a toccare un’altra stella, figurarsi a baciarla. Quindi le stelle non si baciavano mai. Certo, da lassù spesso si intravedevano coppiette inebriate dal romanticismo che si scambiavano baci sulla terra, ma a Kurogane non era mai interessato, perciò di solito si voltava dall’altra parte, vagamente offeso che gli umani prendessero la sua luce come invito a fare certe assurdità.
Si riavvicinò allo scaffale, tirò fuori lo stesso volumetto e lo riaprì alla pagina incriminata. Lo richiuse, lo appoggiò sul tavolo e cominciò a fissarlo in cagnesco.
-DLIN DLON- il campanello dell’ingresso lo salvò dalla follia.
Kurogane lanciò un’occhiata alla porta dello studio di Fay e vide che non ne proveniva alcun movimento, come se non l’avesse nemmeno sentita la porta.
-DLIN DLON- insistette.
Cercando di convincersi che non si stava facendo comandare anche da uno stupido campanello, marciò verso la porta e l’aprì.
“UNA TRAGEDIA!” lo investì Kimihiro aggrappandosi alla sua gamba.
Kurogane lo fissò dall’alto strabuzzando gli occhi.
“Mamma e papà vogliono che vada con loro a fare spese per Natale! Sarà orribile, saranno imbarazzanti come al solito, sempre a fare i piccioncini! E finirò sicuramente schiacciato nella ressa!” pianse disperato il bambino.
Kurogane non capiva di preciso cosa lo sconfortasse tanto, ma sembrava davvero devastato, perciò non gli chiede ulteriori spiegazioni.
“Quindi, purtroppo, oggi non posso proprio aiutarti a capire come si fa a brillare al massimo fulgore, mi dispiace! Buona fortuna! Se tornerò sano e salvo, magari possiamo pensarci stasera…” e con un’ultimo melodrammatico singhiozzo, Kimihiro sparì nel corridoio per raggiungere i suoi genitori che già aspettavano l’ascensore.
Kurogane, non appena si riprese dalla marea di parole che il bambino gli aveva riversato addosso, si rese conto che quel giorno era stato così preso dalla novità dei fumetti da essersi completamente dimenticato di tutta la faccenda del tornare in cielo la notte di Natale, eccetera eccetera…
Sbatté la porta, tornò in soggiorno dove il libro illustrato giaceva dimenticato dal giorno prima e lo aprì, determinato a scioglierne i misteri senza più indugi. Rilesse per la nauseante ennesima volta un paio di pagine a caso, poi chiuse il libro con rabbia e lo schiaffò sul tavolo. La carta stampata ce l’aveva evidentemente con lui e quella consapevolezza era frustrante.
Con un grugnito si lasciò andare sul divano e chiuse gli occhi per concentrarsi, riuscendo solo a seguire stralci ritorti di pensieri che mescolavano i fumetti che aveva letto, Fay, la storia del libro, Fay, il fatto che avesse fame e quel dannato bacio.
“Waah~ Beato te che puoi schiacciare un pisolino!”
Kurogane aprì gli occhi e si ritrovò Fay curvo verso di lui al di là del divano.
“Pisolino un corno! Sto ragionando!” gli rispose stizzito, cercando di scacciarlo con una mano.
“Certo, certo, Kuro-stellina! Scusa se ho disturbato il tuo ragionamento…” rise Fay schivando la traiettoria del colpo. “Continua pure a ragionare quanto vuoi, io devo correre a portare al signor Kakei le mie tavole!”
“Hai finito?” Kurogane cercò di non mostrarsi troppo interessato.
“Sì! Non credevo che ce l’avrei fatta, ma sì!” sospirò felice, mettendosi battendosi una mano sul petto.
Kurogane stava per chiedergli di mostrargliele, ma Fay mandò a monte ogni suo pensiero, chinandosi di scatto per depositargli un bacio sulla fronte. Scattò indietro subito e già spariva nell’ingresso e verso la porta.
“Torno presto! Ciao ciao, Kuro-pan-di-stelle!”
Kurogane si riprese molto, molto tempo dopo che la porta si fu richiusa.

*

Per quanto fosse avvilente da ammettere, senza l’umano e il bambino attorno, Kurogane finiva per annoiarsi piuttosto in fretta. Il libro continuava a non volergli comunicare qualche informazione risolutiva circa il suo problema e più lo sfogliava, più la storia lo irritava. Gironzolò per la casa come un animale in gabbia per un po’, regalando al Damigello un’occhiataccia ogni volta ci passava davanti. Esplorò la cucina e trovò almeno cinque diversi pacchetti di cose che gli diedero il voltastomaco solo a guardarle, tre che lo disgustarono quando le ebbe assaggiate e un paio che gli piacquero abbastanza da finire le confezioni. Sazio, ma ancora irrequieto, vagabondò fino al salotto e il silenzio era così silenzioso da sembrare assordante. Si sfregò la fronte con le dita con insistenza e comprese che tra quelle quattro mura non avrebbe ottenuto un bel niente. Aveva bisogno di rinfrescarsi le idee. Così raccattò il libro dall’ultimo posto dove l’aveva malamente abbandonato, recuperò il proprio cappotto da sotto una sedia e uscì di casa. Chiuse la porta con la chiave, come gli aveva insegnato Kimihiro e si avviò per le scale (non prendeva l’ascensore da solo, gliel’avevano proibito. Tsk! Come se lui fosse stato un poppante incapace! Non lo usava solo perché era una diavoleria umana e non si fidava di quella specie di scatola gigante che andava su e giù per il palazzo, ecco tutto).
Fuori c’era molta luce, nonostante la coperta sfilacciata di nuvole bianche che nascondeva il cielo. Faceva un gran freddo, ma Kurogane si era reso conto di sopportarlo piuttosto bene. Così come si era accorto di essersi abituato alla luce del sole e a dormire di notte piuttosto in fretta. E nonostante il suo intento fosse quello di maledire la contagiosità degli esseri umani, non trovava in sé nessun vero astio nei confronti della vita che conduceva in quel luogo. Scosse la testa e preferì non pensarci.
Al centro del giardino c’era una piazzola con delle panchine e lì Kurogane finì per dirigersi. Ragionare al freddo avrebbe fatto bene alla sua testa, decise e si sedette guardando il libro con aria convincente.
“Wah! Anche tu sei un fan di quel libro, signore tutto nero?”
Kurogane saltò letteralmente dalla panchina per la sorpresa, quando una ragazzina gli si catapultò accanto. Aveva i capelli castani corti, occhi grandi dello stesso colore e un orsacchiotto in braccio. E continuava a fissarlo entusiasticamente, le luccicavano letteralmente gli occhi.
“Cosa?” disse lui brusco, mantenendosi a debita distanza.
“Quel libro!” rispose lei, continuando ad investirlo col suo esuberante buonumore. “L’ho letto anche io, lo adoro! E’ la prima volta che incontro un altro appassionato!”
Kurogane spostò lo sguardo dalla ragazzina al libro tra le sue mani diverse volte, prima di afferrare a cosa stesse alludendo. “Col cavolo! Non mi piace per niente questo libro!”
Lei parve interdetta. “E allora come mai te lo porti in giro?”
“Perché mi serve!” rispose lui, incrociando le braccia al petto. “Mi serve capire cosa diavolo vuol dire brillare al massimo fulgore!” A quel punto la mente di Kurogane venne attraversata da un pensiero geniale. “Ehi, ragazzina… tu lo sai cosa vuol dire?”
“Ma certo!” esclamò lei, con un grande sorriso. “E’ semplicissimo!”
Kurogane sentì un fremito di sorpresa attraversargli il corpo. “E quindi?”
“Vuol dire che la stella si deve illuminare di tutta la luce che possiede!” fu la pronta risposta.
“…” Kurogane sapeva che non si sarebbe dovuto illudere. “E come si fa?”
“Non lo so! Una stella penso che lo sappia da sola come ci si illumina!”
E mentre la ragazzina continuava a sorridere felice ed ignara, Kurogane sentì un altro duro colpo ledere la sua forza di volontà. Perché mai quegli stupidi umani erano convinti che lui dovesse sapere da solo come fare?!
Non ricordi più perché brillano le stelle, Kurogane, gli aveva detto quella spostata di Tomoyo. Tsk! Kurogane era certo che chiunque dei suoi fratelli e sorelle lassù avrebbe avuto le sue stesse difficoltà a brillare sulla terra, figurarsi al massimo fulgore poi!
“Perché non ti piace?” gli domandò la ragazzina, scuotendolo dai suoi pensieri.
“E’ una storia stupida,” rispose senza pensarci.
“Perché è stupida?” la ragazzina sembrava curiosa e stranita all’idea che qualcuno la pensasse in maniera così diversa da lei.
“Perché…” Kurogane non ci si era soffermato a ragionarci più di tanto. “Perché la stella non è tornata a casa sua, anche se sapeva come fare.”
“Ma era per amore!” si infiammò subito la ragazzina. “Kohaku ha capito che voleva stare con Shuichiro per sempre, perché è il desiderio di ogni persona innamorata!”
“…però alla fine il tizio è morto, non poteva stare con lui per sempre. Non sopporto chi rinuncia alla propria vita in quel modo!” Kurogane si accorse di essersi incupito con quel discorso.
“…forse hai ragione, un pochino… Sono sicura che Shuichiro avrebbe preferito che Kohaku continuasse a vivere…” pensò lei ad alta voce.
“Appunto! E’ una decisione assurda!” concordò Kurogane, sempre più preso dalla sua posizione.
“Però…” aggiunse la ragazzina. “Penso che sia triste e straziante stare da soli in un mondo dove la persona amata non c’è…”
Kurogane lasciò che le parole affondassero nella sua coscienza in silenzio, e alla fine si ritrovò a voler cambiare discorso. “…e poi è stupido, perché quel tizio, la stella non lo conosceva per niente! Come cavolo ha fatto a decidere di rinunciare alla sua casa per lui in pochi giorni?”
“Secondo me non serve sempre conoscere una persona da tanto tempo per capire che ci piace…”
La ragazzina distolse lo sguardo e il suo sorriso si fece pensieroso, come se con la mente avesse appena viaggiato verso qualcosa di remoto dentro di lei. “Magari ci piace il modo in cui questa persona ci guarda, ci piace per qualcosa che ha fatto, o perché ci ha colpito il modo in cui l’abbiamo incontrata… Però se ci si pensa bene, non c’è davvero un motivo per cui ci piaccia.”
Tornò a rivolgersi a Kurogane con un sorriso ancora più grande. “Ci piace perché ci piace!”
Kurogane la fissò per un po’, soppesando le sue parole e rendendosi conto di quanto peggiorassero quella stramba nuova malattia umana che l’aveva preso quel giorno. Tutto quello che riuscì ad elaborare fu un, “bah!” piuttosto scocciato. E probabilmente quella sensazione punzecchiante sulle guance era per la temperatura che continuava a calare, nient’altro.
La ragazzina ridacchiò. “Secondo me non ti è piaciuto perché finisce male!” e continuò a ridere. Kurogane brontolò un verso incomprensibile che poteva essere sia un assenso che un “me ne infischio”.
“Io mi chiamo Hinata, e tu?” se ne uscì lei in mezzo alle risa.
“Kurogane…” borbottò lui.
“Beh, non preoccuparti Kurogane! Non tutte le storie finiscono male!” e saltò via dalla panchina, correndo via verso qualsiasi cosa stesse facendo prima di fermarsi a parlare con lui.
Kurogane, soprappensiero, si sfregò la fronte con le dita. Dalle nuvole gonfie cominciò a cadere la prima neve.

*

L’adrenalina dell’ultimo momento scrosciava ancora nel corpo di Fay. Era riuscito a portare al signor Kakei le tavole del suo fumetto appena in tempo, avevano lavorato come matti per fare le ultime correzioni insieme e Kakei aveva trovato solo di sfuggita l’occasione di rammaricarsi che i due protagonisti non fossero canon e di cercare di convincerlo ad aggiungere qualche scena più romantica e ammiccante tra di loro. Quando Saiga era arrivato a prendere le pagine del fumetto da portare all’Editore (e a prendersi Kakei per portarlo in qualche luogo appartato), il lavoro era appena concluso, Fay cercò anzi di intrattenere l’uomo con qualche chiacchiera senza capo né coda per avere la certezza che tutto l’inchiostro fosse perfettamente asciutto. Non aveva alzato la testa dal tavolo di lavoro per tutto quel tempo e solo ora si accorgeva di quanto avesse il collo indolenzito. Saiga, con Kakei a braccetto, gli aveva offerto un passaggio, ma lui aveva rifiutato, tanto la fermata della metro non era poi così lontana. L’emozione di aver appena consegnato il suo primo fumetto originale alle stampe continuò a ronzargli nelle orecchie fino in strada. Lì lo accolsero il buio, il freddo e così tanta neve da affondarci fino ai polpacci. Sollevando il colletto del suo giaccone per ripararsi meglio, si avviò per la strada deserta. Con quel freddo e tutta la neve che gelava l’asfalto, nessuno aveva il coraggio di avventurarsi fuori. Fay affrettò il passo, ansioso di raggiungere la fermata e poi la sua casa.
Tutto solo, con le energie che cominciavano a sfumare, tornò inevitabilmente a pensare a Kuro-stellina, impulso che era riuscito a tenere lontano mentre lavorava.
Almeno ora so che c’è un modo per tornare a casa mia.
Quelle parole lo tormentavano come una vespa particolarmente insistente e maligna. Preferiva non pensarci per evitare di doverne fronteggiare le conclusioni, ma il pensiero che Kurogane se ne sarebbe andato e che non l’avrebbe più rivisto gli chiudeva lo stomaco e gli faceva venir voglia di vomitare. Il suo desiderio di baciarlo, poi, anche quello non faceva che peggiorare. Oggi, quando si era mostrato così interessato al suo lavoro, avrebbe voluto saltargli al collo e al diavolo le conseguenze. Era così contento, che gli aveva dato quel bacio sulla fronte, scappando via prima di constatare le reazioni di Kurogane. Aveva fatto tutto il viaggio d’andata ad oscillare tra l’euforia e la depressione e temeva che prima ancora di vederlo andarsene per sempre, sarebbe comunque impazzito. Il suo sospiro si condensò in un ricciolo di vapore bianco.
Raggiunse la fermata della metro col passo più svelto che gli riuscì di sostenere in mezzo a tutta quella neve, ma dai suoi pensieri proprio non riusciva a sfuggire. Almeno finché non si ritrovò davanti all’ingresso sbarrato da un’inferriata.

*

Dopo la nevicata, il cielo si era aperto di nuovo sul mondo, offrendo a Kurogane un’ottima visuale del posto dove non riusciva a tornare. Era rimasto per un’esagerazione di tempo ad occhieggiare dalla finestra dell’appartamento le stelle che sorgevano nel cielo sempre più scuro e lo spicchio di luna che sembrava ridere della sua condizione. Ah, ma gliel’avrebbe fatta pagare a Tomoyo, non appena fosse tornato. Perché intendeva tornare. Senz’ombra di dubbio. Se si sentiva confuso sulla questione, era solo perché aveva sicuramente preso quella fastidiosa malattia che lo faceva sentire strano e pensare a cose ancora più strane. Non c’entrava di certo il discorso che aveva fatto con la stramba ragazzina. E non voleva dire niente il fatto che tutto quel parlare non faceva che fargli venire in mente Fay.
Kurogane voleva tornare a casa.
Mentre se lo ripeteva, gli venne in mente che a casa, nemmeno Fay ci era ancora tornato. Aveva imparato che l’umano tornava tardi quando andava al lavoro, ma secondo quel coso tondo segna-tempo che stava appeso al muro cominciava a farsi un po’ troppo tardi.
Il campanello d’ingresso ruppe il silenzio.
Kurogane si precipitò ad aprire la porta, convincendosi di essere arrabbiato, non sollevato, dimenticandosi che se fosse stato Fay, avrebbe potuto aprire la porta da solo.
Infatti c’era Kimihiro sulla soglia.
“Ancora non ci credo, ma sono vivo!” si lamentò il bambino invadendo l’ingresso. “Allora, sei riuscito a brillare, signor stella?”
“No,” brontolò Kurogane.
Il bambino inclinò la testa e lo studiò. “Ti ha per caso punto qualcosa?”
“Eh?” Kurogane non capiva che diavolo c’entrasse.
“Continui a sfregarti la fronte,” gli spiegò Kimihiro, indicandolo. “Ti ha toccato qualcosa di strano lì?”
“No che non mi ha…” Kurogane pensò alla bocca di Fay, come gli era capitato spesso, quel giorno. Gli venne in mente la forma che prendeva mentre parlava, rideva, sorrideva e mentre pronunciava tutte quelle assurde storpiature del suo nome. Si ricordò della sensazione sconcertante delle sue labbra sulla sua fronte.
“NON MI HA TOCCATO PROPRIO NIENTE!” strillò, arrossendo e fregandosi la fronte con ancor più energia.
Il bambino lasciò perdere e cambiò discorso. “Sai cosa pensavo, signor stella? Mentre ero in giro con la mamma e il papà pensavo che è una fortuna che il Natale venga solo una volta all’anno. Allora mi è venuto in mente! Il Natale viene tutti gli anni, anche se non ce la fai a capire come brillare adesso, puoi sempre aspettare il prossimo anno o quello dopo, non devi avere fretta!” Dal tono, il bambino sembrava tenerci particolarmente a quell’eventualità.
Kurogane non rispose. In effetti non l’aveva considerato. Non è che avesse qualche limite di tempo. La cosa parve quietare un pochino l’agitazione che gli stringeva il petto. Con quel pensiero, guadagnava tempo. Tempo per cosa, non lo sapeva, ma al momento si sentiva ancora troppo confuso per ragionarci lucidamente.
Kimihiro preferì non insistere oltre e prese a guardarsi attorno. “Dov’è il signor Fay?”
“E’ ancora al lavoro,” gli rispose Kurogane con un’alzata di spalle, sperando che si notasse quanto poco fosse preoccupato.
Il bambino sgranò gli occhi.
“Ma la metro a quest’ora è chiusa!” si allarmò.
Kurogane drizzò le spalle e aggrottò le sopracciglia. Kimihiro si ficcò una manina in tasca e ne tirò fuori il cellulare. Pigiò qualche tasto e si mise l’apparecchio all’orecchio. Da un’altra stanza della casa si alzò una musichetta allegra. Il bambino chiuse la telefonata con un gemito di delusione.
“Ha lasciato il cellulare a casa… Sarà dovuto tornare a piedi… Ma c’è un mucchio di neve ed è tardi e…”
Kimihiro non finì il suo elenco perché Kurogane era scattato verso la porta, afferrando il cappotto al volo.
“Dove vai?” gli chiese sorpreso il bambino.
“A cercare quell’idiota!”
E se questa volta suonò visibilmente preoccupato, non gli importò per niente.

*

Kurogane non aveva pensato quando si era gettato per le strade della città. Cominciò a pensare quando si rese conto di non avere la più pallida idea di dove stesse andando.
Quell’idiota, quel dannato idiota!
Kurogane tirò un pugno ad un muro e si fermò per osservare lo spazio che lo circondava. Dov’era quell’umano imbecille? Come faceva a trovarlo in quel mondo a lui così estraneo? Se solo avesse potuto cercarlo dall’alto del cielo, l’avrebbe trovato subito, avrebbe individuato quella testa bionda tra tutti i miliardi di esseri umani che abitavano quel pianeta, ne era sicuro. Ma se fosse stato in cielo non sarebbe potuto andare a prenderlo, sarebbe stato troppo lontano per gridargli quanto fosse stupido ad andarsene in giro con quel freddo e quel buio, troppo distante per dargli un pugno sulla testa, non avrebbe mai potuto afferrarlo e trascinarlo fino a casa. In cielo non avrebbe più potuto toccarlo o essere toccato da lui. L’avrebbe seguito con lo sguardo, irraggiungibile. E poi, forse, qualche volta, lui avrebbe alzato lo sguardo verso la volta stellata e l’avrebbe chiamato “Kuro-stellina” e Kurogane avrebbe potuto rivedere, anche se solo come un guizzo lontano, l’azzurro profondo dei suoi occhi.
Il freddo della notte non era niente in confronto al gelo che quel pensiero gli mise nel cuore.
“Problemi?”
Kurogane scattò sulla difensiva e si guardò attorno. La strada era deserta.
“Che c’è, Kurogane? Non riconosci più la voce di un vecchio amico?” rise ancora la voce senza corpo.
Kurogane riconobbe quel tono canzonatorio e guardò in alto.
“Fuuma?! Come diavolo..?!”
“Sono o non sono la stella più vicina alla terra? Anche se penso che solo tu sia in grado di sentire la mia voce…” rise lui, solo un puntino luminoso ai suoi occhi. “Ti seguo da un po’ di tempo, sai? Ti vedo in difficoltà, serve una mano?”
Il primo istinto di Kurogane fu quello di mandarlo al diavolo. Fuuma aveva una personalità particolarmente goliardica, non gli andava di farsi prendere in giro da lui. Non gli venne nemmeno in mente di chiedere se sapesse come fare a tornare a casa. Poi un sentimento più urgente e intenso si fece largo con prepotenza.
“Sto cercando un umano!”
“Quel biondino a cui stai sempre appiccicato? Lasciami dare un’occhiata…” La voce di Fuuma suonava divertita e Kurogane non fece fatica ad immaginarsi quella sua faccia di bronzo tutta soddisfatta mentre si prendeva gioco di lui. “Eccolo lì!”
“Dove?” lo incalzò immediatamente Kurogane, dimenticandosi di protestare per quel star sempre appiccicato.
“Esprimi un desiderio, Kuro-stellina! Potrei essere generoso ed esaudirti!” rise la stella.
“Fuuma, ti giuro che se non me lo dici immediatamente io-!!!”
“Ah ah ah, tranquillo, non ti agitare! Seguire le tue avventure terrestri è troppo uno spasso! Ora apri bene le orecchie e segui le mie indicazioni…”

*

D’accordo, forse tornare a casa a piedi non era stata un’idea brillante. Fay si fermò all’ennesimo incrocio che non gli ricordava nulla e imboccò una strada a caso. D’altra parte che cosa poteva fare? Rimpianse per la centesima volta di aver rifiutato il passaggio che gli aveva offerto il signor Saiga e altrettanto si maledisse per essere uscito con la testa così presa dal suo fumetto da lasciare il cellulare a casa.
Continuando a camminare si sarebbe scaldato, si disse, e avrebbe di certo trovato un punto di riferimento conosciuto che lo indirizzasse verso casa. Accidenti! Avrebbe dovuto imparare la strada anche a piedi, non affidarsi soltanto alla comodità dei trasporti pubblici!
Invece di scaldarsi, notò, si stava stancando e basta, mentre il gelo gli trafiggeva le braccia e le gambe e cominciava ad insinuarsi lungo la schiena. Le labbra e il naso erano pezzi di ghiaccio, ormai.
Avrebbe potuto suonare a qualche portone… Però che si aspettava? A quell’ora l’avrebbero preso per un malintenzionato qualsiasi, non si sarebbero fidati di certo, quindi abbandonò l’idea prima ancora di tentarla.
Una fustigata di vento lo sgonfiò di tutto il coraggio che gli restava. Si cercò un porticato riparato e si sedette tutto rannicchiato per riposarsi un pochino. Il cielo era terso, le stelle si vedevano con una nitidezza ammirevole. Però l’unica stella che avrebbe voluto vedere in quel momento, non l’avrebbe trovata lassù.
“Kuro-stellina…” mormorò, sorridendo della propria stupidità. “Vienimi a prendere…”
“Certo che ti vengo a prendere, idiota! Se aspetto che te la cavi da solo, finisce che te ne resti qui tutta la notte!”
Fay abbassò lo sguardo, incredulo.
Kurogane.
Kurogane era lì, appoggiato all’ingresso del porticato, con un fiatone come se avesse corso a perdifiato.
Fay si alzò in piedi.
Per un attimo rimasero a fissarsi senza dire altro. Poi Fay si mosse verso di lui e Kurogane trovò perfettamente naturale assecondare quel movimento. Si ritrovarono stretti l’uno all’altro, come se non ci fosse stato nulla di più naturale in quel momento.
“Sei un idiota, lo sai, vero?” gli disse Kurogane, il suo tono burbero smorzato dal modo in cui lo teneva abbracciato.
“Non essere crudele, Kuro-zodiaco! Mi sono perso ed ero stanchissimo! Le gambe non mi reggevano più!” si lamentò ridendo Fay.
“Sei un idiota lo stesso! La prossima volta non dimenticarti quel tuo affare per chiamare la gente!” continuò a rimproverarlo Kurogane.
“A che mi serve? Ho il mio Kuro-stellina da salvataggio!”
Fay aveva la sensazione che avrebbe potuto ridere di gusto per sempre. Abbandonato contro il corpo dell’altro, il freddo si era dileguato come per incanto. Era stanco e indolenzito, eppure non si era mai sentito così bene.
“Tsk!” commentò Kurogane. Con un movimento improvviso lo afferrò saldamente per la vita e se lo caricò in spalla, proprio come la prima volta che l’aveva incontrato, cadendogli addosso dal cielo.
“Kuro-stellina? Cosa..?” si sorprese Fay.
“Ti riporto a casa!” lo informò Kurogane, avviandosi per la strada.
Fay si accomodò in quella posizione e si lasciò trasportare, ciarlando beatamente e godendosi le risposte stizzite ed esasperate del ragazzo stella. Più di una volta ricevette la minaccia di essere abbandonato in mezzo alla neve, ma mai una volta la presa su di lui accennò a sciogliersi.
Arrivarono alla palazzina piuttosto presto, rispetto a quanto prevedesse Fay. Doveva essersi avvicinato a casa durante il suo vagabondare casuale, eppure Kurogane aveva seguito la strada senza il minimo tentennamento.
“E’ proprio vero che con le stelle non ci si può perdere!” scherzò con una punta d’ammirazione.

*

Kurogane non si sentì tranquillo di lasciare l’umano finché non furono davanti all’ascensore e si tenne molto vicino a lui anche una volta rimessolo a terra. Davanti alla porta dell’appartamento c’era ancora Kimihiro con i suoi genitori, che corsero loro incontro non appena li videro.
“Kimihiro ci ha raccontato!” li accolse Shaoran.
“State bene? Ci siamo preoccupati moltissimo!” aggiunse Sakura.
Fay non fece in tempo a rispondere che il bambino gli era saltato in braccio.
“Meno male che siete tornati!” disse, ed era evidente che stava facendo di tutto per trattenere le lacrime.
“Mi spiace di avervi fatti preoccupare…”
Kurogane notò che Fay era a disagio davanti a tutte quelle manifestazioni di affetto e probabilmente ancora di più per essere stato causa di tanto scompiglio.
Rassicurata la famiglia di Kimihiro, riuscirono finalmente a rientrare in casa.
“Ah, non credevo che ce l’avremmo fatta!” esclamò Fay, liberandosi del suo cappotto per godersi il calore del riscaldamento.
“Almeno la prossima volta ci penserai meglio prima di cacciarti in queste situazioni,” commentò asciutto Kurogane.
“Non capisco cosa intendi, Kuro-star~” cantilenò Fay, scavalcando il cappotto e dirigendosi verso il soggiorno senza neanche accendere la luce.
“Intendo…” e Kurogane lo tallonò, intenzionato a finire il discorso. “Che non pensi a quello che fai e poi ti dispiace di aver fatto preoccupare chi ti sta attorno.”
Fay si bloccò e si girò sfidando Kurogane con un sorriso strano, nel buio.
“Mi stai dicendo che ti sei preoccupato per me, Kuro-stellina?”
Ed ecco che, senza alcun preavviso, tutta la confusione che tormentava Kurogane da tutto il giorno si incastrò al posto giusto. Finalmente sapeva cosa voleva. Attraversò lo spazio tra di loro con una rapidità che fece sobbalzare Fay, ma prima che lui si allontanasse di riflesso, lo afferrò per le spalle e lo baciò.
Cominciò in maniera piuttosto impacciata, vuoi perché Kurogane non aveva mai baciato nessuno e mai si era posto il problema di come si potesse fare fino ad ora, vuoi perché Fay era rimasto così sorpreso da non riuscire a reagire per diverso tempo. Poi l’istinto sciolse le loro labbra e baciarsi diventò molto più semplice e non abbastanza. Fay circondò le spalle di Kurogane con le braccia e Kurogane lasciò scivolare le sue mani sulla sua schiena, percorrendola, incapaci di fermarsi. Fay lasciò scappare un mugolio tra le labbra di Kurogane e si spinse contro di lui completamente. Kurogane sentì il proprio corpo mandargli degli impulsi che non aveva mai provato che lo sopraffecero. Strinse Fay a sé ancora di più, una sua mano risalì lungo la sua spina dorsale e affondò tra i suoi capelli lunghi per guidarlo in un bacio ancora più intenso.
Si allontanarono quando il fiato cominciò a mancare e Kurogane già si chinava per tornare a baciarlo ancora dopo appena una boccata d’aria, ma Fay si irrigidì e lo tenne lontano. Kurogane aprì gli occhi che nemmeno ricordava di aver chiuso e vide gli occhi di Fay attraversati da così tante emozioni che non avrebbe saputo distinguerle tutte.
“Kuro-stellina… stai brillando.”



Continua…


…il prossimo Natale! XD
No dai, mi auguro di no…



Vieni a picchiarmi trovarmi su The Fangirl Within!
  
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