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Autore: Elysion    18/12/2009    1 recensioni
Ciao a tutti, questa è la prima storia che scrivo su Lie to me ^^ dunque siate clementi XD Diciamo che la trama parte da "la nipote di Lightman arriva in città... e se Loker se ne dovesse innamorare? Come la prenderebbe il boss?" :P
[Lie to me*]
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alice, seduta rigidamente nella poltroncina dell'aereo low cost pronto a decollare, guardava fuori dall'oblò con i doppi vetri decisamente assorta. Mentre il motore rombava avviandosi a percorrere la pista, i pensieri della ragazza correvano a pochi giorni prima e a quella conversazione svelta e poco affettuosa con la cugina.
Le mani erano scorse veloci sulle lettere sudice della tastiera dell'internet cafè e avevano rivolto una domanda a bruciapelo alla teenager dall'altro capo del messenger: “Cucciola, che ne diresti se la tua saggia e piena d'esperienza cugina di Boston venisse a trovarvi per un mesetto?”.
La ragazzina si era mostrata entusiasta e con una ancor più breve telefonata allo zio le cose erano state decise. Avrebbe passato il mese di settembre con loro, a casa di Cal.
La giovane non si fidava fino in fondo dello zio, temeva che potesse scoprire fin troppo presto quello che l'aveva costretta a questa vacanza, ma non poteva rivolgersi alla propria famiglia, non ora.
Infine l'aereo decollò, ed Alice prese sonno in fretta nonostante la feroce scomodità delle poltroncine simil-reclinabili della classe economica. Quando, dopo due ore, l'hostess la svegliò per farla preparare all'atterraggio, fu assalita dai lamenti del proprio corpo per una posizione così poco confortevole e scarsamente rispettosa del suo bisogno di riposo, riposo vero.
La ragazza sperava che in una città diversa, con gente diversa, lontano da una vita che non poteva più sostenere, il riposo sarebbe tornato e l'ansia avrebbe smesso di rovinare il suo sonno con risvegli improvvisi e sogni contorti, che si rincorrevano l'un l'altro in un labirinto di fantasie e realtà.
Con la sacca di jeans caricata sulle spalle, Alice si avviò lungo il corridoio degli arrivi e una volta sbucata nel grande atrio, scorse con lo sguardo la folla di persone che aspettavano il ritorno dei loro cari, fino ad individuare una ragazzetta di 16 anni che si sbracciava e teneva alto un cartello con scritto “Alice Lightman”.
Dietro di lei, uguale a sempre, la giovane individuò lo zio, i capelli color miele buttati indietro, una giacca tre quarti nera e occhiali da sole quadrati, quantomeno somigliante a una delle Iene, se non una citazione in piena regola!

Cal la vide sbucare dalla fiumana arrivata con il volo di Boston: una sacca di jeans sulle spalle, una borsa poco più piccola a tracolla, i capelli più lunghi dell'ultima volta che l'aveva vista quasi un anno fa, la faccia più magra, il colorito più scuro, come se fosse stata tanto tempo all'aria aperta. Incrociò lo sguardo familiare, gli stessi occhi color nocciola del fratello erano rischiarati da una luce allegra ma quando l'abbracciò per salutarla il piccolo sussulto, appena percepibile, delle sue spalle minute gli disse che non era tutto a posto come lei continuava a ripetere, parlando entusiasta. Qualcosa era successo. Quella visita così prolungata non era semplice desiderio di famiglia.

Approfittando dell'arrivo della nipote, Cal aveva preso il pomeriggio libero, tutto da passare con le sue ragazze preferite, così ci era rimasto tanto male quando Emily gli aveva detto che sarebbe uscita con David quella sera che perfino Alice aveva notato la sua espressione e gli aveva battuto la mano sulla spalla “Eh... come cambiano le cose, ormai anche io sono troppo vecchia per la mia cuginetta... immagina quanto lo sei tu!”.
Una risata rilassata le era uscita dalle labbra ed in poco tempo aveva contagiato la ragazza e il padre che diede un pugno scherzoso sulla spalla della nipote. Alice si immobilizzò per un istante, una frazione di secondo, e inspirò velocemente dal naso, poi la vita riprese a scorrere come se non fosse successo niente, ma, entrato per un momento nel ruolo di Dr Lightman, Cal non si era lasciato sfuggire quel particolare e le sopracciglia sollevate e unite per pochi secondi.
Forse restare soli quella sera si sarebbe rivelato decisamente utile.

Alice, dopo il pugno dello zio, prese il respiro più profondo che potesse senza risultare evidente e tentò di far scorrere di nuovo il tempo ad una velocità normale, di riprendere possesso di quei momenti e non pensare a cosa sarebbe stata la cena con Cal, quella sera.
Già prima di partire sapeva che le domande di quella macchina della verità umana che era suo zio prima o poi sarebbero arrivate, ma sperava che si trattasse del più poi possibile, eppure il destino sembrava aver deciso diversamente.

Arrivati a casa, Alice lasciò le borse nell'atrio e si tuffò sul divano, esausta “Viaggio scomodo?” era stato Cal a chiedere “Tu che ne dici? Classe super economica! Sai com'è, all'università è difficile guadagnare abbastanza da potersi permettere un viaggio in prima classe!” fece una risatina e scosse la testa, poi socchiuse gli occhi... fino a quando la voce dello zio non la chiamò nuovamente alla realtà “Quando vuoi, puoi andare a farti una doccia, ho liberato il bagno di sopra dalle mie cose, lo condividerai con Emily”.
Alice annuì con un mezzo grugnito tentando di non chiudere gli occhi e rispose “5 minuti e vado... o ti appesterò casa... quell'aereo faceva schifo” senza rendersene contò abbassò un momento lo sguardo, non era esattamente all'aereo che stava pensando.
A poco a poco i 5 minuti diventarono 20, finché la giovane non si svegliò e guardò con sorpresa l'orologio sulla mensola. “Scappo in bagno!” esclamò, tentando così di nascondere lo spavento di trovarlo lì ad osservarla.
Si alzò con uno scatto e recuperando i vestiti puliti e il beauty case dalla sacca si fiondò nel bagno. Sentì lo sguardo dello zio addosso fino a quando non sparì su per le scale e si chiuse la porta alle spalle, lì con maggiore calma si svestì, sistemò le cose per uscire dalla doccia, si avvicinò l'accappatoio, continuando a respirare lentamente per rilassarsi.
Poi qualcosa la sorprese, di fronte a lei c'era una persona diversa da come ricordava, il corpo più magro, più minuto, la pelle più scura dove i vestiti non la coprivano dal sole, il viso meno paffuto... e i lividi violacei ancora visibili e doloranti sulle spalle e sulle gambe.
Il respirò le morì in gola per diversi secondi e la testa cominciò a girarle. Senza perdere altro tempo entrò nella doccia e l'acqua calda iniziò a scorrerle sul corpo, allora riprese a respirare, socchiuse gli occhi e cancellò quelle immagini che le si erano parate davanti con prepotenza. Restò un'ora intera nel bagno, senza guardare in direzione dello specchio, prendendosi cura di sé come non poteva da diversi mesi.

Cal prestò attenzione alle parole della nipote stesa sul divano, quando pronunciò “università” colse un piccolo movimento della spalla, gli stava mentendo, probabilmente non era più iscritta da mesi. Quando poi la sentì parlare dell'aereo individuò perfettamente la vergogna nel suo abbassare lo sguardo, forse non parlava affatto dell'aereo. Non si perse neppure il desiderio di fuga o la paura che passò nei suoi occhi quando si svegliò e lo vide seduto lì, ma se la fuga era consciamente da lui, la paura era un riflesso istintivo alla sua presenza vicino a lei.
Quando Alice scomparve su per le scale, l'uomo fissò lo sguardo davanti a sé. La nipote cominciava a preoccuparlo, gli elementi andavano aumentando e iniziavano a suggerire che fosse nei guai.
La sua innata curiosità, unita alla preoccupazione, fu più forte del rispetto per la privacy di Alice, così prese la sacca e la tracolla dal pavimento, ponendosele davanti.
Già ad un primo sguardo si notava quanto le due borse fossero consumate dall'uso piuttosto che dal tempo: aprendo quella più ingombrante, Cal trovò tre paia di jeans e poco più di cinque o sei magliette logorate dall’utilizzo, simili a quella che indossava all'arrivo, due felpe scure e consunte; il resto della sacca era pieno di libri e quaderni, articoli di giornale, penne e matite buttate alla rinfusa, calzini, biancheria intima e poco altro.
La tracolla conteneva altri libri, una scatola di colori, un album di foto, penne, un portafogli con dentro la carta d'identità, la patente, il tesserino universitario scaduto tre mesi prima e cinque dollari. Tutto questo sembrava indicare che la sua nipotina vivesse per strada.
Quella sera ci sarebbe stato molto di cui discutere.

  
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