Alice,
seduta rigidamente nella poltroncina dell'aereo low cost pronto a
decollare, guardava fuori dall'oblò con i doppi vetri
decisamente
assorta. Mentre il motore rombava avviandosi a percorrere la pista, i
pensieri della ragazza correvano a pochi giorni prima e a quella
conversazione svelta e poco affettuosa con la cugina.
Le mani
erano scorse veloci sulle lettere sudice della tastiera dell'internet
cafè e avevano rivolto una domanda a bruciapelo alla
teenager
dall'altro capo del messenger: “Cucciola, che ne diresti se
la tua
saggia e piena d'esperienza cugina di Boston venisse a trovarvi per
un mesetto?”.
La ragazzina si era mostrata entusiasta e con una
ancor più breve telefonata allo zio le cose erano state
decise.
Avrebbe passato il mese di settembre con loro, a casa di Cal.
La
giovane non si fidava fino in fondo dello zio, temeva che potesse
scoprire fin troppo presto quello che l'aveva costretta a questa
vacanza, ma non poteva rivolgersi alla propria famiglia, non
ora.
Infine l'aereo decollò, ed Alice prese sonno in fretta
nonostante la feroce scomodità delle poltroncine
simil-reclinabili
della classe economica. Quando, dopo due ore, l'hostess la
svegliò
per farla preparare all'atterraggio, fu assalita dai lamenti del
proprio corpo per una posizione così poco confortevole e
scarsamente
rispettosa del suo bisogno di riposo, riposo vero.
La ragazza
sperava che in una città diversa, con gente diversa, lontano
da una
vita che non poteva più sostenere, il riposo sarebbe tornato
e
l'ansia avrebbe smesso di rovinare il suo sonno con risvegli
improvvisi e sogni contorti, che si rincorrevano l'un l'altro in un
labirinto di fantasie e realtà.
Con la sacca di jeans caricata
sulle spalle, Alice si avviò lungo il corridoio degli arrivi
e una
volta sbucata nel grande atrio, scorse con lo sguardo la folla di
persone che aspettavano il ritorno dei loro cari, fino ad individuare
una ragazzetta di 16 anni che si sbracciava e teneva alto un cartello
con scritto “Alice Lightman”.
Dietro di lei, uguale a sempre,
la giovane individuò lo zio, i capelli color miele buttati
indietro,
una giacca tre quarti nera e occhiali da sole quadrati, quantomeno
somigliante a una delle Iene, se non una citazione in piena regola!
Cal la vide sbucare dalla fiumana arrivata con il volo di Boston: una sacca di jeans sulle spalle, una borsa poco più piccola a tracolla, i capelli più lunghi dell'ultima volta che l'aveva vista quasi un anno fa, la faccia più magra, il colorito più scuro, come se fosse stata tanto tempo all'aria aperta. Incrociò lo sguardo familiare, gli stessi occhi color nocciola del fratello erano rischiarati da una luce allegra ma quando l'abbracciò per salutarla il piccolo sussulto, appena percepibile, delle sue spalle minute gli disse che non era tutto a posto come lei continuava a ripetere, parlando entusiasta. Qualcosa era successo. Quella visita così prolungata non era semplice desiderio di famiglia.
Approfittando
dell'arrivo della nipote, Cal aveva preso il pomeriggio libero, tutto
da passare con le sue ragazze preferite, così ci era rimasto
tanto
male quando Emily gli aveva detto che sarebbe uscita con David quella
sera che perfino Alice aveva notato la sua espressione e gli aveva
battuto la mano sulla spalla “Eh... come cambiano le cose,
ormai
anche io sono troppo vecchia per la mia cuginetta... immagina quanto
lo sei tu!”.
Una risata rilassata le era uscita dalle labbra ed
in poco tempo aveva contagiato la ragazza e il padre che diede un
pugno scherzoso sulla spalla della nipote. Alice si
immobilizzò per
un istante, una frazione di secondo, e inspirò velocemente
dal naso,
poi la vita riprese a scorrere come se non fosse successo niente, ma,
entrato per un momento nel ruolo di Dr Lightman, Cal non si era
lasciato sfuggire quel particolare e le sopracciglia sollevate e
unite per pochi secondi.
Forse restare soli quella sera si
sarebbe rivelato decisamente utile.
Alice,
dopo il pugno dello zio, prese il respiro più profondo che
potesse
senza risultare evidente e tentò di far scorrere di nuovo il
tempo
ad una velocità normale, di riprendere possesso di quei
momenti e
non pensare a cosa sarebbe stata la cena con Cal, quella sera.
Già
prima di partire sapeva che le domande di quella macchina della
verità umana che era suo zio prima o poi sarebbero arrivate,
ma
sperava che si trattasse del più poi possibile, eppure il
destino
sembrava aver deciso diversamente.
Arrivati
a casa, Alice lasciò le borse nell'atrio e si
tuffò sul divano,
esausta “Viaggio scomodo?” era stato Cal a chiedere
“Tu che ne
dici? Classe super economica! Sai com'è,
all'università è
difficile guadagnare abbastanza da potersi permettere un viaggio in
prima classe!” fece una risatina e scosse la testa, poi
socchiuse
gli occhi... fino a quando la voce dello zio non la chiamò
nuovamente alla realtà “Quando vuoi, puoi andare a
farti una
doccia, ho liberato il bagno di sopra dalle mie cose, lo condividerai
con Emily”.
Alice annuì con un mezzo grugnito tentando di non
chiudere gli occhi e rispose “5 minuti e vado... o ti
appesterò
casa... quell'aereo faceva schifo” senza rendersene
contò abbassò
un momento lo sguardo, non era esattamente all'aereo che stava
pensando.
A poco a poco i 5 minuti diventarono 20, finché la
giovane non si svegliò e guardò con sorpresa
l'orologio sulla
mensola. “Scappo in bagno!” esclamò,
tentando così di
nascondere lo spavento di trovarlo lì ad osservarla.
Si alzò
con uno scatto e recuperando i vestiti puliti e il beauty case dalla
sacca si fiondò nel bagno. Sentì lo sguardo dello
zio addosso fino
a quando non sparì su per le scale e si chiuse la porta alle
spalle,
lì con maggiore calma si svestì,
sistemò le cose per uscire dalla
doccia, si avvicinò l'accappatoio, continuando a respirare
lentamente per rilassarsi.
Poi qualcosa la sorprese, di fronte a
lei c'era una persona diversa da come ricordava, il corpo
più magro,
più minuto, la pelle più scura dove i vestiti non
la coprivano dal
sole, il viso meno paffuto... e i lividi violacei ancora visibili e
doloranti sulle spalle e sulle gambe.
Il respirò le morì in
gola per diversi secondi e la testa cominciò a girarle.
Senza
perdere altro tempo entrò nella doccia e l'acqua calda
iniziò a
scorrerle sul corpo, allora riprese a respirare, socchiuse gli occhi
e cancellò quelle immagini che le si erano parate davanti
con
prepotenza. Restò un'ora intera nel bagno, senza guardare in
direzione dello specchio, prendendosi cura di sé come non
poteva da
diversi mesi.
Cal
prestò attenzione alle parole della nipote stesa sul divano,
quando
pronunciò “università” colse
un piccolo movimento della spalla,
gli stava mentendo, probabilmente non era più iscritta da
mesi.
Quando poi la sentì parlare dell'aereo individuò
perfettamente la
vergogna nel suo abbassare lo sguardo, forse non parlava affatto
dell'aereo. Non si perse neppure il desiderio di fuga o la paura che
passò nei suoi occhi quando si svegliò e lo vide
seduto lì, ma se
la fuga era consciamente da lui, la paura era un riflesso istintivo
alla sua presenza vicino a lei.
Quando
Alice scomparve su per le scale, l'uomo fissò lo sguardo
davanti a
sé. La nipote cominciava a preoccuparlo, gli elementi
andavano
aumentando e iniziavano a suggerire che fosse nei guai.
La
sua innata curiosità, unita alla preoccupazione, fu
più forte del
rispetto per la privacy di Alice, così prese la sacca e la
tracolla
dal pavimento, ponendosele davanti.
Già ad un primo sguardo si
notava quanto le due borse fossero consumate dall'uso piuttosto che
dal tempo: aprendo quella più ingombrante, Cal
trovò tre paia di
jeans e poco più di cinque o sei magliette logorate
dall’utilizzo,
simili a quella che indossava all'arrivo, due felpe scure e consunte;
il resto della sacca era pieno di libri e quaderni, articoli di
giornale, penne e matite buttate alla rinfusa, calzini, biancheria
intima e poco altro.
La tracolla conteneva altri libri, una
scatola di colori, un album di foto, penne, un portafogli con dentro
la carta d'identità, la patente, il tesserino universitario
scaduto
tre mesi prima e cinque dollari. Tutto questo sembrava indicare che
la sua nipotina vivesse per strada.
Quella sera ci sarebbe stato
molto di cui discutere.