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Autore: yelle    26/06/2005    3 recensioni
E arrivò la pioggia a bagnare quelle sue lacrime amare che stava versando da anni. Quelle lacrime che indicavano che dentro di lui ancora umanità c'era. Avrebbe voluto riposarsi, ma non poteva mai dimenticare ciò che aveva vissuto. Glielo ricordava lei.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 0
Beneath You


Here comes the rain again
Falling from the stars

Drenched in my pain again
Becoming who we are

As my memory rests
But never forgets what I lost

Wake me up when September ends

Summer has come and passed
The innocent can never last
Wake me up when September ends

{Green Day - Wake Me Up When September Ends}



***************



Si fissò le mani.

Sporche.

Di sangue.

Come lo erano sempre state, da quel giorno d'estate. Da quel giorno in cui il bambino e la sua anima erano state strappate da lui con violenza. Da quel giorno in cui aveva assaporato l'aspra amarezza mista a falsa dolcezza che gli aveva dato una vendetta sporca di sangue.

Il sapore del sangue. L'aveva provato e l'aveva visto, come un liquido infernale che si spandeva con macabra insistenza per tutto lo spazio che gli era donato dalla sua visuale. Mentre la pioggia bagnava ed appesantiva i suoi peccati, legandoli indissolubilmente alla sotria della sua vita, aveva visto il calore della vendetta scaldare il più freddo dei cuori e renderlo una macchina da guerra fra le più micidiali.

In quel giorno bagnato dalla pioggia lui, adolescente amante del baseball e incapace anche solo di cucinare una frittata, era diventato un adulto troppo giovane dalle mani sporche. Di sangue.

In quel giorno d'estate era entrato in casa dopo una notte di giovanile follia con gli amici alla ricerca infruttuosa della donna del momento, ed aveva invece trovato l'inferno ai suoi piedi, sangue ancora e ancora, e morte, e dolore, e disperazione, e ancora sangue.

Niente più abbracci, niente più baci, niente più risate cristalline al mattino, niente più grida dopo essere tornato a casa troppo tardi la notte, e magari anche ubriaco. Niente più amore da quel corpo freddo, fermo ai suoi piedi, che una volta era stato la madre che l'aveva messo al mondo. E quel niente l'aveva colpito più di quel sangue raffermo sul pavimento, che pareva essere pronto per essere calpestato. Quel niente l'aveva spinto ad avvicinarsi alla morte e a quel corpo, a trovare il pugnale conficcato in quelle carni che tanto aveva amato e, d'istinto, usarlo come l'arma che era, impugnarlo carico d'odio, rincorrere quell'ombra nera che gli aveva appena portato via l'infanzia, e usarlo, usarlo, usarlo ancora e ancora e ancora.

In quel giorno d'estate il suo cuore era stato rinchiuso in una prigione nera, impenetrabile da qualsiasi elemento esterno, umano o sentimentale che fosse, indurito dalle esperienze che il mondo gli aveva donato, forse morto a qualsiasi atto dei benevolenza a cui avesse potuto donarsi.

In quel giorno d'estate era diventato un uomo con dei rimorsi e con un'esperienza che avrebbe pesato sulle sue spalle per tutta la sua vita. Che prima o poi avrebbe troncato sotto le ruote di un camion, o sulla punta di una lama. Con quanta facilità aveva immaginato, in quegli ultimi anni, di togliersi la vita! Così, con egoismo, per finire il lavoro iniziato da quel pugnale, da quell'attimo in cui un uomo gli aveva rovinato l'esistenza. Per finire ciò che lui, con le sue stesse mani, aveva iniziato.

Si sentiva completamente perduto, in balia del male che scorreva nelle sue vene con cupidigia, in attesa di un altro suo gesto che lo portasse sulla via della perdizione.

Davanti a lui stava un'altra vittima. Come la sua povera madre, uccisa a colpi di rabbia e cattiveria. Ma questa ragazza, invece, l'aveva colpita lui. Non aveva nessuno su cui sfogare la propria rabbia, nessuno da inseguire con il proprio dolore, nessuno che lo guardava impaurito perchè lo aveva scoperto in quell'atto disumano. Era lui che aveva alzarto il pugnale, lui che, con gli occhi rossi e pieni di fugace disumanità, l'aveva lentamente ma con decisione abbassato e con cui aveva colpito. Lui che aveva centrato quella giovane carne, privandola del sangue che in lei scorreva per renderla viva. Ora si trovava lì, sul freddo pavimento di marmo, fra le braccia il frutto di quella strada sbagliata che aveva intrapreso. Quella ragazza sconosciuta si era ritrovata in mezzo, tra lui e quell'uomo che aveva conosciuto proprio quel dannato giorno d'estate. La teneva delicatamente, come fosse un fiore delicato fragile e scoperto alle intemperie e alla scrosciante pioggia fredda di quel sentimento umano che lo aveva reso cieco. Cieco alla vita che lo aveva circondato, cieco alla pietà che avrebbe dovuto provare e che ancora era dentro i lui, da qualche parte, senza che lui se ne rendesse conto. E ora avrebbe dovuto cercare il perdono per quel viso freddo da cui la vita stava fuggendo. Ma chi glielo avrebbe donato, dopo quella vita che lui aveva tolto a quel corpo? Nessuno. E ogni cosa che avrebbe fatto, ogni ricerca non lo avrebbe portato da nessuna parte, non lo avrebbe aiutato a crescere a diventare chi già sarebbe dovuto essere. Un uomo pieno di amore.

Guardò quel viso giovane e pallido, le accarezzò delicatamente la guancia e, chinandosi su di lei, pianse quelle lacrime che per anni aveva tenuto dentro di sè. Non fu rumoroso, nessuno avrebbe potuto percepirle. Pianse sommessamente. Le sue lacrime percorrevano con delicata calma il solco delle sue guance, per poi andarsi a posare sulla fornte di quel biodo fiore appassito. La stava perdendo. Stava per essere firmata la sua condanna.

Improvvisamente aprì gli occhi e si trovò a fissare delle iridi color verde... avrebbe osato dire, verde speranza. Lo stava fissando, ma nei suoi occhi non vedeva alcuna accusa, come invece avrebbe dovuto essere. Non vedeva rabbia, nè rassegnazione. Non vedeva null'altro che eterea pace. E con quella pace lo fissava, direttamente negli occhi. Socchiuse quelle labbra color pesxca che aveva, sembrò sussurrare qualcosa.

Si avvicinò con trepidazione. Avvicinò il proprio orecchio a quelle giovani e pure labbra.

Quando si rialzò una lacrima sincera e salata solcava di nuovo la sia guancia. Guardò la ragazza.Ormai nel suo corpo la vita non scorreva più. Morta. E l'aveva uccisa lui. Eppure sarebbe stato quel viso incorniciasto da un'aurea di capelli biondi il suo nuovo punto di partenza.

Glielo aveva indicato lei. Come fare a continuare, a camminare, ad andare avanti, trascinandosi sui suoi stessi errori, sui suoi peccati.

Glielo aveva sussurrato dolcemente, a un passo dalla morte. E lui non l'avrebbe mai dimenticato.

" Per... ...perdo.. ..ti per-perdo.. no.. "

Quell'anima buona l'aveva perdonato. A lui non rimaneva che stringerla a sè con tutta l'umanità che gli era rimasta, e piangere, piangere, piangere...
   
 
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