Philotas
Ieri notte ti ho sognato: cavalcavi al mio fianco, il pennacchio si
slanciava orgoglioso sull’elmo scintillante e le ali del tuo cavallo si
spiegavano per raggiungere la luce del nostro trionfo; coi tuoi occhi grifagni ti
scagliavi sul nemico e mi sorridevi quando realizzavi che eri tu, quel
ragazzino insolente e tracotante alla corte di Pella, che ti trovavi a
perseguire il tuo glorioso futuro sulla scia dell’Asia misteriosa al
fianco degli eroi che da sempre pervadono le nostre menti. E
tutt’intorno, il clangore di un riverbero di sarisse e scudi che si
battevano con feroce euforia, e la tua testa svettava fierissima tra tutte
assieme alla smorfia irriverente del tuo ghigno mentre sfilavi tra i nemici
caduti, la tua armatura sfavillava del tuo nome ormai marchiato a fuoco sulle
mie labbra, che mi fiammeggiano a pronunciarlo.
Non fu il sogno a tramutarsi in un incubo, non fu il caldo torbido a
sgualcirmi in una notte d’estate, non fu il canto tormentoso di un
usignolo ad appassionarmi, e ancor meno un pugnale a configgersi nel mio petto
inerme; fu il tuo grido a svegliarmi e a farmi agghiacciare il sangue, a farmi
affondare la testa nei cuscini più forte che potei per tapparmi le
orecchie, per non straziarmi, per non sprofondare, per soffocare la figura del
tuo corpo martoriato, per cercare di addormentarmi con la consapevolezza di
potermi ancora destare, e vederti sfilare con scudo e sarissa, e realizzare
allora che si trattava di chissà quale nefasta elaborazione dei miei
sonni tormentati, così tesa a perforare il sogno per diventare
realtà.
E invece ora ti vedo dinnanzi a me, erto ed eterno come il sole del
mattino; gli sfregi sul tuo corpo non hanno prostrato la prepotenza del tuo
cipiglio, il tuo sguardo vivido e splendente striscia tra la ressa crepitante e
giunge fino a me, ma non scongiura, invece sfida, e nessuno ti trattiene,
invece scopri il tuo corpo stringendo le mani dietro la schiena, e rincorri il
tuo destino.
Sento il cuore inghiottirsi in un vortice di
trepidazioni che mi scuotono le gambe e tutto il corpo; e sento il pianto
scomposto, vedo le mani coprire i volti, vedo le ginocchia cedere al suolo per
dolore o per supplica; e il cenno di una mano.
Sento la terra crepare sotto i piedi quando i
tuoi occhi si spengono e si fossilizzano sui miei, mentre lentamente
t’accasci schiacciato dalle urla che così forti alle mie orecchie
appaiono così tenui; mentre il pianto si spezza in un penoso lamento,
mentre le mani agguantano i capelli fino a strapparli, mentre le ginocchia
spossate al suolo sembrano quasi sciogliersi, mentre mi ritrovo incapace di
tirare fiato.
Non avrei mai immaginato che un giorno sarebbe potuto accadere.
Credevo che la sorte riservasse ai grandi
uomini un’eroica morte sul campo di battaglia, con il pennacchio
orgoglioso erto sull’elmo scintillante.
Potevano le fiamme del suo rancore essere talmente ardenti
da divampare sul valore dei nostri ricordi, dei tempi celesti trascorsi alla
corte di Pella, del calore dei nostri sguardi che s’intrecciavano tra le
tende lerce dell’accampamento per confortarsi la vigilia della battaglia?
Insabbierò il triste epilogo di un
grande guerriero negli abissi di questi deserti, conserverò per sempre
l’immagine del suo sguardo impetuoso, del suo destriero che spicca il
volo sfrecciando nel delirio di una gloria infinita, mi tormenterò del
suo ricordo.
Forse lo sognerò ancora, a volte, e
cavalcherà al mio fianco, sfilerà tra scudi e sarisse, si
scaglierà sul nemico; mi sorriderà, forse.
Ma ora lascio al destino la decisione di
ciò che verrà, davanti a me il sole tramonta e in un giorno nuovo
risorgerà.
E io sarò pronto ad illuminarmi.