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Autore: 9Pepe4    21/12/2009    6 recensioni
Pensai che ancora non sapevo dove fosse scomparso in quei dieci anni, quando era sparito come se fosse stato inghiottito da una qualche stregoneria. E adesso non lo avrei mai saputo.
Probabilmente il ragazzo, quel Farid che mio padre si portava dietro come un cagnolino, ne era a conoscenza. Ma, piuttosto che chiederlo a lui, mi sarei tagliata le vene.
Ero stanca. Stanchissima. Avrei voluto rannicchiarmi nel letto che avevo condiviso con Cosimo e dormire, dormire, e non svegliarmi mai più.
[Brianna P.O.V.]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brianna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nient’altro che cenere

Ero seduta sul bordo di un pozzo.
Si trovava all’interno di uno dei tanti giardini del castello di Ombra. Non riuscivo nemmeno a ricordare quante volte avevo trattenuto Jacopo dal lanciarvi dentro tutti i sassolini che trovava sul sentiero di ghiaia che tagliava a metà il giardino.
Il sole mi batteva sulla nuca, tanto caldo da bruciare. Non mi sarei stupita se i miei capelli avessero preso a rifulgere come quel fuoco di cui avevano il colore.
Mi morsi il labbro di scatto.
Iniziai a mormorare una canzone a bocca chiusa. Era una melodia triste. Mia madre, un tempo, me l’aveva cantata per farmi addormentare.
Parlava di una principessa che aspettava il suo principe, e lo aspettava invano.
Sentii che le lacrime minacciavano di bagnarmi le ciglia. Strinsi le labbra per non lasciarmele sfuggire. Già gli occhi mi bruciavano tantissimo per tutti i pianti che avevo fatto. Non avevo mai pianto così tanto, prima.
Lottando contro il desiderio di scoppiare in singhiozzi, lasciai dondolare i miei piedi e tesi la mano a cogliere uno dei fiori che sbocciava vicino alla piccola siepe che verdeggiava accanto al pozzo. Lo portai al viso per sentirne il profumo.
Improvvisamente, mi assalì un impeto di rabbia. Avrei voluto scagliare il fiore a terra, e poi calpestarlo, sgualcirlo, sino a farlo diventare sciupato come mi sentivo io.
Com’era possibile che, con tutto quel che era successo in quegli ultimi giorni, continuasse ad emanare il suo tranquillo aroma?
Com’era possibile che la sua fragranza continuasse ad essere lieve e dolce, in quei giorni di violenza e amarezza?
Trassi un respiro tremante e cercai di calmarmi. Mi toccai le guance. Si sentivano ancora le tracce secche delle lacrime che le avevano rigate.
Ripresi a cantare con le labbra serrate, muovendo appena la testa.
Sapevo che a momenti Violante sarebbe arrivata a cacciarmi fuori. Mi aveva dato un po’ di tempo per radunare le mie cose, ma era quasi scaduto.
Sentii una fitta di dolore nel pensare che la padrona con la quale avevo condiviso tanti momenti, piccoli scherzi e lievi sorrisi, ora non mi voleva più minimamente bene. Quando mi aveva convocato, quella mattina, mi ero presentata a lei tremante, e non avevo trovato che rancore nei suoi occhi.
Avrei voluto salutare Jacopo, o vederlo anche solo per un momento, in modo da poter cercare di sottecchi qualche traccia di Cosimo sul viso del bambino.
Una nuova fitta di dolore, uno squarcio al petto. Schiusi le labbra, inspirando ed espirando affannosamente, come se anche respirare fosse diventato difficile.
Ma, dopotutto, cos’era facile, adesso?
Giocherellai con il gambo del fiore, quindi lo osservai. Somigliava ad un papavero. Aveva i petali bianchi, venati di rosso; automaticamente lo collegai alla pace violata, alla purezza strapatta.
Continuai a mormorare la canzone tra me e me. La melodia era quella che mia madre mi aveva insegnato, ma mi resi conto che stavo pensando parole diverse.
Il mio angelo se n’è andato, se n’è andato. È tornato nel suo cielo e non tornerà mai più.
Scossi la testa e mossi le gambe, come a volerle incrociare. Mi passai il dorso della mano sulle guance. Forse avevo ancora gli occhi arrossati; mi ripromisi di controllare alla prima occasione.
Come se fosse stato importante.
Come se sarebbe valso a qualcosa.
Mi sporsi a guardare l’acqua sul fondo del pozzo. E, insieme, il riflesso, tremolante e insicuro, di me stessa che guardavo verso il basso, i capelli ramati attorno al volto.
Come al solito – come sempre – osservare la mia immagine mi riportò alla mente lui.
Ricordavo perfettamente l’aria sconvolta di mia madre quando mi aveva raccontato della scomparsa di mio padre. Io ero rimasta immobile per tutto il racconto. Non sapevo cosa fare, o cosa provare, o come reagire. Non sapevo più come avrei potuto uscire da quella stanza e riprendere a sentire il sole sulla pelle. Non volevo crederci, ma poi avevo visto le tracce delle lacrime sul volto di mia madre. Avevo capito che aveva pianto le stesse lacrime che io avevo versato per Cosimo.
Avevo capito che era tutto vero.
Mio padre era morto. Morto. Morto. Morto.
Come Cosimo. Come Rosanna. Morto.
Non sarebbe tornato mai più.
Improvvisamente, mentre intrecciavo le dita sul gambo del fiore, mi venne da pensare che avrei preferito che fosse scomparso ancora una volta, come dieci anni fa. Mi sarei arrabbiata tremendamente con lui e avrei urlato contro chi mi narrava storie assurde cercando di consolarmi, ma in segreto avrei serbato il sogno che lui, un giorno, tornasse.
Pensai che ancora non sapevo dove fosse scomparso in quei dieci anni, quando era sparito come se fosse stato inghiottito da una qualche stregoneria. E adesso non lo avrei mai saputo.
Probabilmente il ragazzo, quel Farid che mio padre si portava dietro come un cagnolino, ne era a conoscenza. Ma, piuttosto che chiederlo a lui, mi sarei tagliata le vene.
Lo detestavo con tutta me stessa. Una parte di me avrebbe voluto non vederlo mai più, avrebbe voluto che venisse fagocitato da una qualche maledizione arcana e invisibile, ma un’altra avrebbe voluto incontrarlo per strada, per potergli scaraventare addosso tutto il rancore che sentivo dentro.
Se non fosse stato per lui, adesso mio padre sarebbe stato ancora vivo.
Mi sfregai gli occhi contro un polso.
Ero stanca. Stanchissima. Avrei voluto rannicchiarmi nel letto che avevo condiviso con Cosimo e dormire, dormire, e non svegliarmi mai più.
Ma non era possibile. Fra un po’ me ne sarei dovuta andare, e avrei continuato a trascinare avanti la mia vita, o quello che ne era rimasto. Con le ceneri delle mie giornate.
Chissà, pensai, alzando il fiore davanti ai miei occhi, se mio padre e Cosimo si trovavano nello stesso luogo. Solo per quella domanda avrei voluto mettermi a piangere di nuovo.
Adesso le venature rosse dei petali mi ricordavano il fuoco che mio padre sprigionava dalla punta delle dita, che radunava in boccioli di fiamma per farmi sorridere. E ci era sempre riuscito. Anche quando ero tremendamente arrabbiata con lui, davanti agli spettacoli che allestiva per me, e solo per me, non ero mai riuscita a trattenere un sorriso.
Con il dito della mano che non reggeva il fiore, disegnai sul bordo del pozzo, in linee invisibili, il nome di Cosimo. Non appena alzai il polpastrello, era come se non avessi mai fatto il gesto di scrivere qualcosa.
Anche lui se n’era andato così. Mi aveva salutata con un bacio e un sorriso sfrontato e fiducioso – già pregustava la vittoria sul calore della mia bocca – e poi non era più tornato indietro.
Lo avevo aspettato a lungo e, come la principessa della canzone, lo avevo aspettato invano.
Presi una ciocca dei miei capelli nel pugno e la tirai avanti, per osservare i riflessi che il sole creava su quel ciuffo. Pensai a quante volte Cosimo aveva sfiorato la mia chioma con le sue carezze; pensai a tutte quelle volte in cui mi ero sentito dire che avevo gli stessi capelli di mio padre.
Mi morsi un labbro.
Volevo vedere Jacopo, lo volevo così tanto che mi sarei messa a singhiozzare davanti alle guardie, e al diavolo l’orgoglio, come non lo avevo mai rinnegato prima.
Ma sapevo che Violante non me lo avrebbe permesso.
Da quando io e lei eravamo diventate nemiche?, mi chiesi, nonostante conoscessi già la risposta.
Da quando mi ero sentita completa tra le braccia di Cosimo. Da quando avevo ballato e cantato per suo marito, per il padre di suo figlio, e l’avevo lasciata sola.
Mentre un’aria leggera mi soffiava piano tra i capelli, ripresi a mormorare mestamente quella canzone. Ad ogni nota facevo a pezzi il fiore con espressione assorta, strappando con gesti secchi quei petali e gettandoli sul fondo del pozzo.
Se il bianco era la purezza di Cosimo, anche l’innocenza poteva annegare nella cupidigia altrui.
Se il rosso era il fuoco di mio padre...
L’acqua le spegne, le fiamme, sai?






Spazio della scriter... autrice:
Come avrete capito (almeno spero, sennò questa one-shot è proprio da buttare) questa cosa è ambientata tra Veleno d'inchiostro e Alba d'inchiostro. La Funke non dice con precisione quando Violante abbia cacciato Brianna, o almeno credo. Forse è più probabile che lo abbia fatto meno tempo dopo la morte di Cosimo, ma mi stava a cuore l'ambientazione accanto al pozzo vicino al castello dal quale stava per andarsene, e volevo anche che pensasse sia a Cosimo che a suo padre, quindi sono partita dal presupposto che Brianna se ne sia andata dal castello di Ombra quando già era stata informata della morte di Dita di Polvere.
Personalmente lei è un personaggio che mi è sempre piaciuto, specialmente per quanto riguarda il suo rapporto con il genitore. Cosimo, invece, mi sta abbastanza sulle scatole, ma spero che la mia antipatia non abbia rovinato il testo (sempre che ci sia qualcosa da rovinare).
Il fatto che non si stia strappando i capelli per la disperazione è voluto. Lei soffre, certo, ma nel momento che ho cercato di ritrarre dovrebbe essere come estraniata al proprio dolore. Non so se mi spiego: il succo è che in realtà questa indifferenza è solo il troppo dolore che le intontisce i sensi, per dirlo in maniera molto poco poetica.
E sì, so che l'ultima frase è al presente a differenza di tutto il resto, ma spero non stoni. Per me è un salto più a fondo nei pensieri di Brianna.
Ah, vorrei chiarire che la persona che Brianna ricorda ogni volta che vede la propria immagine non è Cosimo, bensì il proprio padre.
Riguardo alla citazione di Rosanna, non mi sono proprio potuta trattenere. So che Brianna non cita mai la sorella... ma, accidenti, anche se è passato molto tempo... era la sua sorellina, insomma. Non penso possa mai dimenticarla.
Grazie a chi leggerà, spero di non aver rotto a nessuno con questo angolino poco ino.
Ah, e se volete farmi un regalo... fatemi sapere.
.Pepe.
  
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