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Autore: ReaderNotViewer    22/12/2009    14 recensioni
“Strana combinazione, ma in fondo… Magari è come per certe malattie” disse parlando a se stesso, prima ancora che a lei. “Forse… Perché no?”
Si svolge in un momento indefinito tra l'ultimo capitolo e l'epilogo della saga.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GENE RECESSIVO



La casa sembrava un po' più malandata dell'ultima volta. O forse era solo conseguenza della ristrutturazione subita dall'edificio a fianco, perché ora gli infissi verniciati di fresco e i mattoni ripuliti del numero otto facevano risaltare per contrasto ancora di più le chiazze sui telai delle finestre e la patina di sporco sulla facciata del sei. Fiona arricciò il nasino in quello che qualcuno avrebbe potuto definire un adorabile broncio, scorgendo da dietro il cancello una delle tendine del bovindo penzolare da uno dei lati della sua bacchetta, che si era sganciata dal supporto. Considerava quelle tende, che aveva cucito con le sue mani, uno dei suoi successi, perciò la irritava profondamente che il suo ex le lasciasse andare alla malora insieme a tutto il resto. Non che fosse una sorpresa. Del resto, portarsi via le tendine sarebbe stato, oltre che meschino, inutile: le misure delle finestre di quelle vecchie case a schiera erano tutte sballate, e non c'era modo di riutilizzarle nella moderna casa popolare in cui si era trasferita.
Com'era facile prevedere, la serratura del cancello non era stata sistemata, perciò Fiona non ebbe che da tirarlo avanti e indietro un paio di volte perché il chiavistello cedesse. Attraversò il minuscolo cortiletto anteriore, stando bene attenta a non scivolare con i tacchi alti sulle chiazze di bagnato rimaste dopo le piogge dei giorni precedenti, e si fermò davanti alla porta d'ingresso. Adesso che era lì, si rendeva conto di quanta poca voglia avesse di fargli visita. Era certa che lui fosse in casa. Non solo il vecchio furgone, retaggio dei tempi in cui aveva portato in giro i ragazzi della palestra, era parcheggiato a meno di trenta metri e lui non sarebbe uscito a piedi nemmeno per arrivare fino al pub a tre isolati di distanza, ma dall'interno si sentiva provenire la monotona telecronaca di qualche evento sportivo. Era tipico che poltrisse davanti alla TV nel bel mezzo di una giornata feriale invece di essere in giro a cercarsi un lavoro. Forse prendeva ancora il sussidio, si disse Fiona. Non doveva essere passato poi così tanto tempo da quando aveva perso il posto alla ditta di trasporti.
Mentre spingeva la porta con la punta delle dita, si accorse con disappunto che il suo nuovissimo smalto color vinaccia si stava già rovinando. Colpa del cosmetico a poco prezzo o del lavoro al pub, si disse. In entrambi i casi, colpa dell'uomo fannullone e inetto dietro quella porta, se aveva dovuto ricominciare a servire birra a uomini sudati e malrasati.
La porta non cedette. Beh, almeno aveva finalmente imparato a chiudersi dentro a chiave, invece di confidare sull'onestà del vicinato o sulla forza dei suoi pugni.
Fu costretta a bussare a lungo, prima che si decidesse a sollevare dal divano quel corpaccione flaccido per venirle ad aprire. Non finse di essere contento di vederla. La carnagione chiara della sua grossa faccia inespressiva era arrossata dal sole, segno che Fiona aveva pensato male: doveva aver lavorato di recente, probabilmente in un altro cantiere stradale. Doveva fare qualche strano turno, per essere a casa a quell'ora.
"Non mi fai entrare?"
La portò in cucina, dove non c'era traccia di preparazione di cibi, a parte qualche briciola di pane e una busta vuota di prosciutto cotto sul tavolo. A Fiona rivedere i suoi pensili gialli e il suo appendi strofinacci a forma di anatra a fianco del frigorifero blu mise tristezza. Non era mai stata una grande cuoca, ma almeno per un po' si era sforzata di imparare a cucinare dentro quella stanza. Un paio di volte aveva persino sformato delle buonissime crostate di mele. Il fish and chips del pakistano all'angolo era eccezionale. Lui un tempo passava a comprarlo, il venerdì sera, quando il bambino era piccolo.
"C'è ancora, il negozio del pakistano?" gli chiese all'improvviso.
"Eh?" si sedette pesantemente su una delle sedie, che scricchiolò sotto il suo peso. Era ingrassato ancora e la sua maglia preferita, quella con i colori dell'Arsenal , gli si fermava sopra l'ombelico dopo essersi allargata attorno allo stomaco prominente.
"La rosticceria del pakistano" spiegò Fiona allungando una mano nella direzione giusta, cioè verso la porta che usciva sul cortiletto posteriore.
"Quella? No, adesso c'è un negozio di roba naturale."
'Che tu non frequenti' pensò lei, gettando un'occhiata ai sacchetti di patatine fritte e alle scatole di merendine ammucchiate sul ripiano della credenza.
"Sarà mica una visita di cortesia, Fiona?" s'informò, mentre allungava una mano per aprire lo sportello del frigorifero alle sue spalle e ne estraeva una birra. La stappò contro lo spigolo del tavolo con un colpo secco che la fece sobbalzare. Qualche goccia di birra cadde sul pavimento e andò a fare compagnia alle innumerevoli altre che vi si erano depositate in passato e che adesso formavano un disegno di macchioline opache sul linoleum color verde marcio. Lei avrebbe proprio voluto sentire che cosa aveva da dire a proposito la sua ex suocera, che un tempo aveva avuto l'abitudine di passare il dito sui mobili del soggiorno, per poter dimostrare che la nuora proletaria e scansafatiche non era capace di tenere pulita la casa. Come se non avesse spazzato e lavato i piatti tutti i santi giorni da quando aveva dodici anni, mentre sua madre passava da un lavoro sottopagato all'altro.
"Porca miseria, certo che no. Meno ti vedo e meglio sto, puoi giurarci" rispose schiettamente. "Senza rancore" aggiunse, temendo di essere andata troppo oltre. Non lo voleva mettere di cattivo umore, perché non sarebbe servito a niente. "È per via di tuo figlio."
"Che c'è, non ti bastano i soldi? Perché non ti posso dare nemmeno una sterlina - il tribunale si prende già tutto quello che riesco a mettere insieme per darlo a te…"
"A me e a tuo figlio" precisò Fiona, inviperita. "E comunque, quello che mi dai serve a malapena a comprargli le scarpe. Se non fa la fame, è solo perché io m'ammazzo di fatica in quel dannato pub per mantenere entrambi. Non voglio soldi. Non che non mi spetterebbero, ma con un fallito come te è una partita persa. "
"E allora?"
"Nigel mi preoccupa" confessò.
Questo sembrò scuoterlo, per la prima volta "Per quale ragione, ti preoccupa? Che cos'ha, è malato?"
Fiona non poteva dire che fosse un cattivo padre, questo no. Non era mai stato di molto aiuto, ma voleva bene al bambino. Anche dopo il divorzio, non si era mai dimenticato né dei compleanni né dei Natali. Non avendone mai avuto uno, Fiona non era certa di sapere come dovesse essere un padre, ma in confronto a quello che ricordava dei genitori dei suoi amici d'infanzia, suo marito le era sembrato più o meno nella media.
"Non è malato, ma ha qualcosa che non va."
La guardò attraverso il vetro della bottiglia, che teneva davanti alla faccia, dopo averne vuotato metà con una sola, disgustosa sorsata. Non le faceva né caldo né freddo, naturalmente: quasi tutti gli uomini che conosceva si comportavano nello stesso modo. E anche una buona parte delle donne, a dir la verità. Per Fiona, viceversa, i bicchieri non erano mai stati un optional. E non aveva nemmeno mai messo il latte nella tazza prima di versarci il tè. Peccato che fino a quel momento tutti i suoi tentativi di elevarsi socialmente fossero naufragati così miseramente. Non era detta l'ultima parola: era ancora giovane, e carina, e si teneva bene, attenta a non diventare troppo presto una vecchia barca sformata com'era successo a sua madre.
"Che cos'ha che non va, si può sapere?" le chiese, disorientato. Non aveva mai pensato che fosse un'aquila, nemmeno quando le era parso una specie di pingue Principe Azzurro, un po' per gli effimeri successi sportivi, un po' per le pretese di grandezza dei suoi genitori, che lo avevano tenuto in palmo di mano, manco fosse chissà quale meraviglia. Le era sembrato un buon modo, allora, per scappare dal casermone di appartamenti popolari, da una madre sfatta dalle delusioni e dalla disastrata scuola pubblica del quartiere in cui abitava. Che sciocca era stata.
"Fa cose strane. La maestra dice che ha fatto cadere un altro bambino."
"L'ha spinto?" indagò, sollevato e persino compiaciuto. Nemmeno a Fiona sarebbe particolarmente dispiaciuto se Nigel fosse diventato un piccolo bullo: da come la vedeva lei, era sempre meglio darle che prenderle.
"Sarei venuta fin qui solo per dirti che tuo figlio si fa rispettare dai compagni di scuola?" replicò. "No che non l'ha spinto. L'ha fatto cadere senza fare un bel niente, è questo il problema."
"L'ha fatto cadere senza fare niente?" ripeté. Posò la birra sul tavolo. "Che cosa vuoi dire?"
"Pare si sia sollevato un pezzo della moquette e l'altro bambino ci è inciampato ."
"E secondo loro Nigel gli ha fatto una trappola? È assurdo. Ha solo otto anni." Ora non era più così soddisfatto. Fiona pensava di sapere perché: un conto è avere un figlio che risolve le questioni con la forza fisica, un altro è essere padre di un piccolo intrigante che si vendica dei torti subiti complottando nell'ombra.
"Non so come pensano ci sia riuscito. Non è la prima volta, a sentire la maestra. Litiga con una bambina e a lei si rompe il pennarello e le si spande tutto l'inchiostro in faccia. La maestra lo rimprovera ed ecco che perde un tacco e finisce lunga distesa davanti alla cattedra." A ripeterle, queste cose sembravano ancora più assurde, si disse Fiona. All'improvviso, le parve d'aver fatto una stupidaggine anche solo a parlargliene. Forse era la maestra quella che aveva dei problemi. Secondo certa gente, dev'esserci per forza qualcosa di sbagliato in un bambino che vive da solo con una madre che lavora in un pub. Una madre che oltretutto sembra troppo giovane per avere un figlio di otto anni. La maestra non avrebbe di certo mandato a chiamare la signora Ritter, la padrona della pasticceria, se gli altri bambini fossero stati vittime di qualche piccolo incidente tutte le volte che litigavano col suo Malcom.
"E tu, non hai mai notato niente del genere?"
La domanda la colse di sorpresa. Pensava che le avrebbe dato della stupida per essersi preoccupata. O che avrebbe voluto andare a dirne quattro a quella maestra, che aveva evidentemente preso di mira il loro piccolo Nigel.
In fondo, era proprio quello che Fiona non avrebbe voluto sentirsi chiedere. Questa insolita perspicacia da parte del suo ex le tolse letteralmente la parola per qualche minuto. Restò a fissare attraverso il tavolo i lineamenti familiari dell'uomo che era stato suo marito per quasi sei anni, e che improvvisamente le sembravano quelli di uno sconosciuto. Persino il biondo sbiadito dei suoi capelli stonava con il giallo vivace degli armadietti alle sue spalle, come se quella non fosse veramente la sua cucina né lo fosse mai stata.
"Io… non so che cosa risponderti, davvero" disse in un sussurro.
Se fu colto di contropiede dalla sua sincerità esattamente com'era successo a lei con la sua perspicacia, seppe nasconderlo meglio.
"Già" si limitò a commentare.
"Tu mi devi aiutare, D.D.! Sei suo padre, devi fare qualcosa." crollò Fiona. "Non è solo la scuola. Avevo nascosto in cima all'armadio il suo vecchio cammello di peluche, perché stava sempre a mordicchiarlo. L'ha visto lassù e ha capito che non ci poteva arrivare in nessun modo. È rimasto lì a guardarlo con gli occhioni tristi per un po', e a un certo punto… patapumfete, il cammello è venuto giù dall'armadio da solo, atterrando ai suoi piedi. La finestra era chiusa. Niente terremoto. E la tangenziale è troppo lontana, perché tremino i muri quando passano i camion. Senti… credo che sia capace di spostare le cose con la forza del pensiero. E io che ero convinta fossero tutte fesserie!"
"Tu sei sempre stata una che non vede più in là del suo naso."
"Vedo dove ti ha portato la tua lungimiranza" controbatté seccata. "Non è solo quello, in ogni caso. Se sono preoccupata, è perché Nigel mi pare… sfasato. Come se avesse la testa nelle nuvole o che so io."
"Non starai mica facendo una tragedia per niente, come al solito?"
"No che non… ah, è inutile. Ci rinuncio" Fiona prese la borsetta che aveva appoggiato sul tavolo e fece per alzarsi. "Il giorno che tuo figlio andrà completamente fuori di testa come tua madre, allora non dirmi che non ti avevo avvertito!"
"Sta seduta, aspetta un momento" le disse trattenendola per un braccio. " E mia madre non è andata fuori di testa, ha l'Alzheimer."
"Sì, può darsi. Comunque sta lì tutto il giorno a parlare di stregoni e di magie con una sorella immaginaria! C'è una vena di follia nella tua famiglia, non lo puoi negare."
"Per quello che ne sai, potrebbe esserci nella tua, cara mia" replicò. Anni di liti furibonde gli avevano insegnato a colpire là dove faceva male. Di suo padre, Fiona sapeva solo che era uno straniero di passaggio, proveniente da qualche parte dell'Est Europa. Sua madre lo aveva descritto come stravagante e rude, ma a suo modo affascinante. Da piccola, Fiona le aveva creduto, persino quando le diceva che sicuramente aveva preso da lui, perché le piacevano le cose da signori. Ora era incline a pensare che fossero tutte frottole e che suo padre era probabilmente un camionista straniero, uno che magari a casa sua aveva avuto moglie e quattro figli, ma che non era certo più raffinato del suo cliente medio, al pub. Se doveva giudicare in base agli uomini che sua madre le aveva portato a casa in seguito, era molto difficile pensarla insieme a un misterioso riccone straniero in incognito.
Non ebbe il tempo di rispondergli per le rime, perché D.D. ora sembrava prendere sul serio l'ipotesi, come se non l'avesse avanzata solo per farle dispetto.
"Strana combinazione, ma in fondo… Magari è come per certe malattie" disse parlando a se stesso, prima ancora che a lei. "Forse… Perché no?"
"Che cosa borbotti? Di quali malattie parli?"
"Stavo pensando che dobbiamo fare vedere Nigel" le rispose, prendendo una decisione.
"Non voglio portare mio figlio da uno strizzacervelli, men che meno da uno della mutua!" protestò Fiona.
"Veramente, io volevo solo fargli dare un'occhiata da mio cugino."
"Chi?" si meravigliò lei. D.D. non aveva mai avuto cugini. Non che lei sapesse.
"Tu non hai cugini" osservò ad alta voce.
"Sì che ce ne ho" la contraddisse. "Ne ho uno, cioè. Se tu non lo sai, è solo perché non ci frequentiamo."
"E tu vorresti che questo tuo cugino uscito dal nulla vedesse Nigel… perché? È forse un dottore, magari un pediatra?"
"No, ma… oh, insomma, Fiona, per una volta in vita tua potresti fare semplicemente quello che ti dico?"
"Non lo facevo quando eravamo sposati e non ho certo intenzione di cominciare adesso!" protestò lei con un moto di genuina allegria. La sua risata argentina riempì la piccola cucina e aleggiò tra di loro come il fantasma dei giorni felici che avevano passato insieme e che non sarebbero mai più tornati.
Forse anche lui fu colpito dallo stesso pensiero, perché si lasciò sfuggire un breve, malinconico sorriso.
"Sì, beh… questa volta farai meglio a darmi retta, Fiona. È per il bene del bambino, dopotutto. Mio cugino è una persona importante, nel suo ambiente" aggiunse.
Questo risvegliò il suo interesse. Se c'erano soldi in una parte della famiglia della cui esistenza non era mai stata a conoscenza, poteva essere una buona cosa per suo figlio. Non avrebbe detto niente al bambino, però, non per il momento almeno: aveva passato troppa parte della sua infanzia lei stessa a fantasticare inutilmente su un ricchi parenti russi di ogni ordine e grado che venivano a salvarla dallo squallore della sua esistenza per desiderare che Nigel cominciasse a fare lo stesso.
"Ma che cosa fa tuo cugino?" chiese.
"Uh, ecco… una specie di incarico governativo. Senti" tagliò corto, mentre si alzava per prendere da un cassetto un blocnotes bisunto, con la pubblicità di un gommista sulla copertina "ti scrivo due righe per lui". Recuperò il pennarello da dove era sempre stato, dentro un boccale di ceramica posato sopra il frigorifero.
"Non gli potresti telefonare?" chiese Fiona perplessa, osservandolo mentre scriveva un paio di brevi frasi, interrompendosi spesso per trovare le parole. La grafia procedeva lenta e pesante, proprio come il cervello di chi ne era l'artefice. C'era da scommettere che nel processo gli sarebbero scappati almeno un paio di svarioni. Aveva frequentato scuole molto migliori di quelle a cui era andata Fiona, eppure i suoi insegnanti non sembravano esser riusciti a ficcare molto dentro quel testone. O forse gli si era tutto impastato assieme a furia di prendere pugni sulla zucca, quando ancora tirava di boxe.
"Il suo telefono non è sull'elenco" le spiegò mentre apponeva di sghimbescio al foglio una firma arzigogolata. "Cerco una busta" disse alzandosi di nuovo.
"Sono nel…"
"…cassetto del mobile in corridoio. Lo so" le giunse la risposta insieme all'eco dei suoi passi pesanti, mentre traversava il piccolo soggiorno per prendere la scala che portava al piano superiore.
Fiona si morse le labbra, indispettita di essersi dimenticata che quella non era più la sua casa, e che colui che ci abitava non era più suo marito.
Passò quello che le parve un'eternità prima che tornasse, con in mano una busta già chiusa. Fiona aveva trascorso il tempo a curiosare nel frigorifero e negli armadietti, scoprendo che tutto quello che non era lì da prima che lei se ne fosse andata era o unto o zuccherino o entrambe le cose. L'unico esempio di cibo non proprio insalubre presente nella cucina del suo ex marito era rappresentato dai fiocchi di cereali di Nigel, che qualche volta aveva dormito a casa del papà. Fiona controllò che non ci fossero dentro le camole, poi richiuse bene la confezione e la rimise dove l'aveva trovata.
"Tuo cugino si chiama Arabella Figg?" chiese Fiona, sospettosa, guardando il nome scribacchiato sopra la busta.
"Non te la ricordi? È quella vecchia stramba che abita vicino a dove stavano i miei. La prendevi sempre in giro perché portava una roba strana in testa."
"Ah, sì. La vecchia dei gatti. Aveva quelle ciabatte orrende."
"So che è rimasta in contatto con mio cugino."
"Non sapevo che eri tanto in confidenza con quella vecchia carampana."
"La conosco, ecco tutto. Quello in confidenza era mio cugino… erano due spostati tutti e due. Tu falle avere questa busta" disse mettendogliela in mano. "Non è lontano da dove lavori, no?"
"Nemmeno la vecchia Figg ha il telefono?" chiese Fiona, polemica, mentre l'ex marito la spingeva verso la porta senza tante cerimonie. Dalla televisione si sentiva provenire l'audio della pubblicità: probabilmente sperava di vedere il secondo tempo della partita dall'inizio.
Aveva tanta fretta di liberarsi di lei che quando furono nel minuscolo ingresso, dove ristagnava l'odore di chiuso, l'aiutò persino a rimettersi la giacca. Era diventato così grosso che mentre le infilava la manica sul braccio Fiona si ritrovò schiacciata tra lui e il corrimano della scala, col pomolo che le premeva sulla schiena.
"Ahi" protestò, sgusciando da un lato per liberarsi: "Sta attento, sei tutt'altro che trasparente! Faresti bene a smetterla di ingozzarti. Vuoi fare la stessa fine di tuo padre? Ci resterai secco per un ictus anche tu, se vai avanti così."
"Sì sì, grazie per esserti preoccupata" replicò seccato. Non c'era come accennare a diete dimagranti farlo arrabbiare. "Salutami Nigel e digli che lo passo a prendere domenica" si rammentò di aggiungere prima di spingerla sul gradino e richiuderle la porta d'ingresso sul naso.
"Ti sei almeno ricordato di dare a tuo cugino il mio numero di telefono?" chiese Fiona al legno dell'uscio. "Idiota" brontolò scuotendo la testa "idiota e villano."
Non le aveva nemmeno proposto di accompagnarla alla fermata del metrò in macchina, rifletteva furibonda, mentre aspettava l'autobus sotto la pensilina sgangherata, che non serviva affatto a ripararla dalle folate di vento gelido. Frugò nella borsetta e ne estrasse la busta. Che brutta scrittura.
'Al diavolo, non mi ha nemmeno detto di non aprirla' si disse, prima di usare abilmente un'unghia affilata per sollevare il lembo incollato. Aveva appreso la tecnica ai tempi in cui la scuola si ostinava a inoltrare a sue madre imbarazzanti comunicazioni sul suo rendimento, per di più chiuse in buste sigillate assai meglio di questa. Dentro c'era un'altra busta un po' più piccola, pure chiusa.
Fiona si guardò attorno, incrociando lo sguardo velato di disapprovazione di una vecchia indiana, che stava aspettando lo stesso autobus e il cui sari sventolava furiosamente come una tenda in una notte di temporale.
'Fatti i fatti tuoi, vecchia gallina' pensò fulminandola con uno dei suoi collaudati sguardi per tenere a distanza gli impiccioni di ogni genere e colore prima di procedere ad aprire anche la seconda busta.
La vecchia, però, doveva essere un tipo coriaceo, perché continuò a fissarla senza battere ciglio.
Fiona le augurò una cataratta fulminante e lesse una prima volta a mente, senza riuscire a capire. Allora lesse di nuovo, muovendo silenziosamente le labbra, indifferente al fatto che rischiava di mettere a parte dei suoi affari una perfetta estranea.
Non che quanto leggeva avesse il minimo senso. Sul biglietto infatti la grafia grossolana del padre di suo figlio aveva vergato il seguente farneticante messaggio: Harry, mi spiace dirlo ma credo che ci sia un altro piccolo mago in famiglia. Prendi il caminetto o la scopa o quello che vuoi, ma vedi di fare una visita a mio figlio, perché mi sa che è uno dei tuoi. Credo che questo me lo devi. Dudley."

  
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