Gli
AUGURI a modo mio...
A
Natale puoi...
Era
il 24 di dicembre.
La
notte di Natale.
Nei
giorni passati era caduta tanta neve, tanto che
per spalarla tutta si erano messi tutti gli uomini di casa... Avevano
liberato
il vialetto e la strada che porta fino a casa nostra, che passa in
mezzo al
bosco...
Nel
giardino di fronte a casa, io e zia Alice, avevamo
fatto un pupazzo enorme e lo avevamo decorato con una delle sciarpe del
nonno,
uno dei cappelli di lana di zio Emmett e al posto del naso gli avevamo
messo
uno dei fermacarte di papà... e lui ancora non ne sapeva
niente, o faceva finta
di non sapere... solo per far contenta me, la sua bambina.
A
Natale puoi
fare
quello che non puoi fare mai:
riprendere
a giocare,
riprendere
a sognare,
riprendere
quel tempo
che rincorrevi tanto.
Avevo
chiesto a zia Alice di organizzare una delle
solite feste, lei è spettacolare in questo, sembra fatta
apposta.
Per
solite intendo dire perfette. Perché in sette anni
di vita non ho mai visto una delle sue feste uguale alla precedente.
Ogni
volta un’idea diversa, luminarie colorate o solo
gialle o solo bianche o tutte blu, panche di legno o di pietra,
intagliate o
lisce e sempre un colore dominante… gazebi bianchi e
tendaggi uguali... e
inutile dire la quantità di cibo a disposizione... sempre
diverso e in
abbondanza... strano in una casa di vampiri... non fosse che a quelle
feste era
immancabile la presenza di Jake...
Jacob
Black, il migliore amico di mamma nonché amico
fidato della mia famiglia, anche di zia Rose, anche se continua
imperterrita a
chiamarlo “cane”. Ma lo so, in fondo anche lei gli
vuole bene, come tutti del
resto, chi più, chi meno... io faccio parte dei primi. Da
sempre. Anche se
ultimamente in modo diverso...
È
Natale e a Natale si può fare di più,
è
Natale e a Natale si può amare di più,
è
Natale e a Natale si può fare di più
per
noi…
a Natale puoi.
Avevo
invitato tutti a quella festa, dovevamo essere
in tanti... una di quelle feste che non dimentichi facilmente.
E
in un certo senso fu così... ma non come avevo
progettato io.
Cominciarono
ad arrivare i primi invitati, Sue e nonno
Charlie, mi diedero il loro regalo e si accomodarono in casa...
Mi
chiesero com’era la vita al college e Sue mi chiese
com’era viverla con i miei genitori come compagni di corso.
Già...
i miei genitori avranno per sempre l’aspetto di
giovani ragazzi, non dimostrano più di vent’anni,
anche perché i 20, non li
hanno mai compiuti.
E
così me li ritrovo a Dartmouth, con me, al college,
tutti e due... già perché loro sono
inseparabili... come la colla sul
francobollo, per intenderci.
Per
fortuna avevano accettato di lasciarmi dormire in
un camera tutta mia... se avessi dovuto dividerla con mamma... mi sarei
già
fatta espellere!!
Era
passata più di mezz’ora dall’ora
prestabilita... e
ancora non si vedeva nessuno... era molto strano, ragazzi del branco
non
avevano mai fatto così tardi e poi lui, Jake, lui arrivava
sempre prima di
tutti! Invece quella sera, di lui, nemmeno l’ombra...
cominciavo a
preoccuparmi.
Continuavo
a fare avanti e indietro dalla porta al
divano, continuavo a controllare se riuscivo a vedere in lontananza
almeno dei
fari, ma niente...
Il
nonno mi disse che le strade erano ancora brutte e
che con il freddo che faceva probabilmente erano anche gelate e che la
strada
per casa nostra non era delle più semplici.
Mio
padre mi disse che non dovevo preoccuparmi, che
tutto sarebbe andato bene e che presto sarebbero arrivati tutti...
Poi
al nonno giunse una chiamata: incrociai le dita
che fosse Jake o Seth o Sam o qualcuno che stava avvisando del ritardo,
ma
quando nonno Charlie chiuse la chiamata non aveva una bella espressione
sul
volto.
“Bella,
tesoro, mi hanno chiamato dalla centrale: ci
sono state delle valanghe, giù alla riserva, le strade sono
tutte bloccate e ci
sono parecchie case che sono isolate, io devo andare, mi
spiace.”
“Case
isolate? Valanghe? Hai bisogno di una mano? Noi
potremmo aiutarti” dissi di slancio, senza curarmi del parere
del resto della
famiglia.
Il
nonno sembrò in imbarazzo, prese a girarsi le mani
una con l’altra...
“Si
Charlie, se credi di aver bisogno, noi siamo
disponibili” disse mio padre, che probabilmente aveva letto
nella mente del
nonno.
“Beh,
mi spiace per la vostra festa, non vorrei...”
provò a dire lui.
“Quale
festa papà? Senza invitati?” lo riprese con un
sorriso dolce la mamma.
“Allora
corro a prepararmi” e senza aspettare una
risposta sfrecciai su per le scale. Ma mia madre mi fu dietro in un
secondo “No
tesoro, rimani a casa, non credo che Rosalie venga e credo le farebbe
un sacco
piacere poter passare del tempo con te.”
Lo sapevo, era troppo bello che mi lasciassero andare con loro, ma sapevo anche quanto ci tenesse zia Rose... era passato parecchio tempo dall’ultima volta che avevo chiacchierato con lei, e anche a me mancava, ma non stasera, non ora che potevo andare a vedere che fine avesse fatto Jake.
Lo sapevo, era troppo bello che mi lasciassero andare con loro, ma sapevo anche quanto ci tenesse zia Rose... era passato parecchio tempo dall’ultima volta che avevo chiacchierato con lei, e anche a me mancava, ma non stasera, non ora che potevo andare a vedere che fine avesse fatto Jake.
“Ma
mamma...” le dissi in un broncio, cercai nella mia
testa una scusa plausibile, qualcosa che l’avrebbe convinta a
lasciarmi
andare... e non ci volle molto.
“Mamma
posso stare con zia Rose anche domani, mentre
magari in una di quelle case isolate stasera c’è
qualcuno che soffre... io,
vorrei solo essere utile... hai sentito il nonno e se hanno chiamato
lui, che è
in ferie, vuol dire che c’è davvero bisogno di
aiuto... e poi, dai mamma, non
sono più una bambina e...”
“Ok,
ok, ok” disse sbuffando “a volte sei proprio come
me... non molli la presa per niente al mondo... e campi scusa in aria
in
maniera impressionante” mi disse in un sorriso.
“Dai,
corri, cambiati, se tra due minuti non sei di
sotto ti lasciamo qui” disse e mi diede una leggera spinta
sulla spalla.
Corsi
in camera e nemmeno ero entrata e già ero in
biancheria intima, mi infilai nella cabina armadio e presi un paio di
jeans e
un maglione di lana pesante, uno dei regali del nonno, che non si era
ancora
abituato alla mia natura strana e non aveva la minima intenzione di
farlo.
Corsi
giù per le scale tutta infagottata, con tanto di
scarponi, sciarpa, guanti da neve, cappello di lana imbottito di pelo e
paraorecchie.
Mi
sentivo un po’ ridicola e non ero la sola a
pensarlo. Vidi infatti zio Emmett coprirsi il viso con uno dei cuscini
del
divano, per contenere una risata, mentre zio Jasper si
defilò in cucina.
Ma
se mi fossi presentata poco vestita, il nonno, sono
sicura, avrebbe avuto delle riluttanze sul farsi accompagnare anche da
me.
E
in auto, non fece altro che ricoprirmi di
raccomandazioni, attenta a questo, a quello, non fare, non dire, non
provare...
Feci
finta di ascoltare, anche se in realtà pensavo ad
altro. Ogni tanto mio padre mi dava di gomito e mi sorrideva...
Lui
sapeva tutto, mi aveva sorpresa un paio di volte
di troppo a pensare a Jake, e così gli avevo confessato i
miei sentimenti.
Me
lo ricordo come se fosse ieri, la sua reazione fu
proprio quella che mi aspettavo da lui, mi fece un sorriso e mi diede
un bacio
sulla fronte e poi disse solo “come passa il tempo”.
Quattro
parole che per quelli come lui significano
tutto.
Ma
era l’unico a sapere, gli avevo chiesto di tenere
questo segreto per noi, perché lo sento come una cosa mia,
solo mia.
Già
me la vedo la mamma... mi caricherebbe di
attenzioni non desiderate e, sono certa, se lo lascerebbe sfuggire,
prima con
zia Alice, poi con zio Emmett e per chiudere in bellezza lo direbbe
anche a
Jake.
Magari
senza farlo apposta, ma ci cadrebbe...
Arrivammo
alla riserva e a noi donne diedero in mano
delle torce, dicendoci di avvicinarci alle case e tranquillizzare la
gente, e
se avessimo notato dei problemi avremmo dovuto subito avvisare e ci
diedero il
numero di emergenza.
Mentre
agli uomini misero in mano delle pale. Ero
stata in casa per due giorni, per ultimare i preparativi per la festa e
non mi
ero resa conto di quanta neve fosse caduta.
C’erano
delle case che avevano la porta di ingresso
bloccata, tanta era la neve. O altre con il tetto che sembrava
contenere un altro
piano. E le case della riserva non sono robuste come quelle che ci sono
a
Forks...
Me
ne andai un po’ in giro con la mamma, aiutando qua
e là chi ne avesse bisogno, che il più delle
volte era solo il bisogno di non
sentirsi soli, di avere qualcuno accanto in un momento difficile,
qualcuno con
cui lamentarsi del tetto, del camino, degli spifferi, ma poi
all’arrivo dei
soccorsi tutto andava ad incastonarsi al posto giusto.
Dopo
un paio d’ore che giravamo, trovammo Jake e Seth
che spalavano la neve davanti alla casa di una vecchietta, che era
rimasta
intrappolata dentro.
Ero
entusiasta, finalmente lo avevo trovato e con un
altro mio giro di parole convinsi la mamma che era meglio che io
rimanessi lì a
dare una mano, ma quello che la fece cedere fu l’offerta di
Jake di
riaccompagnarmi a casa, non appena avesse finito.
Ero
al settimo cielo, ero con lui, da sola! O quasi...
ma Seth non fa testo, lui è sempre stato uno presente nella
mia vita... e credo
che in fondo, lui abbia capito.
Infatti,
non appena la porta d’ingresso fu libera lui
con una scusa se ne andò, lasciandomi sola con Jake...
Ecco...
quello sarebbe stato il più bel regalo di
Natale che avrebbe mai potuto farmi.
A
Natale puoi
dire
ciò che non riesci a dire mai:
che
bello è stare insieme,
che
sembra di volare,
che
voglia di gridare
quanto ti voglio bene
Camminammo
per un bel pezzo, nella neve, uno di fianco
all’altra, parlando di quello che era successo quella notte,
della chiamata
improvvisa, della mancanza di tempo di avvisare, della festa saltata,
del suo
disagio per non esserci stato, poi passammo ai problemi della
tribù, di quel
tradizionalismo che serpeggia ancora tra loro, delle loro convinzioni,
del loro
credo... e finimmo a parlare delle leggende, di cui lui, faceva
parte... e fa
parte ancora. Un licantropo... un uomo che si tramuta in lupo...
è qualcosa di
eccezionale!
E
parlammo di cosa vuol dire essere un lupo, di tutti
i compiti che gli spetta, delle responsabilità, ma anche di
tutte quelle cose
belle che questa natura gli ha donato: lui mi parlò
dell’olfatto, della vista,
dell’udito, mentre io vedevo solo, tra i pregi, quello
splendido corpo scolpito
che si ritrovava, due braccia lunghe e possenti, un petto ampio, e la
schiena
larga… il tutto accuratamente disegnato dalle curve dei suoi
muscoli...
Ad
un certo punto mi sentii scuotere “Ehi, Nessie!? Ci
sei ancora?” oddio... mi ero persa sul suo corpo...
“certo,
certo, perché non mi vedi? Eppure, hai appena
detto che la natura del lupo ti ha donato una vista
aguzza...” gli dissi
cercando di allontanare l’attenzione da me.
“Ahhhhh,
spiritosa!!” disse facendomi il verso.
“Sembravi in un altro mondo” rispose lui, dandomi
una leggera spinta, per gioco.
“Si...
in un mondo lontano anni luce da te...” dissi
mordendomi la lingua, mai nulla di più falso uscì
dalle mie labbra “cacchio
Jake, stare accanto a te mi sembra di stare vicino ad una
stufa...” presi a
muovere la mano davanti al viso, come per farmi aria.
“Ecco! Svelato il mistero!” sbottai subito dopo “la valanga è stata causata dai voi lupi, con tutto il caldo che emanate è facile che la neve tenda a sciogliersi” e questa volta gli diedi io una spinta, ma lui mi bloccò le mani, mi tenne ferma per i polsi, e per un lungo, lunghissimo minuto restammo a fissarci...
“Ecco! Svelato il mistero!” sbottai subito dopo “la valanga è stata causata dai voi lupi, con tutto il caldo che emanate è facile che la neve tenda a sciogliersi” e questa volta gli diedi io una spinta, ma lui mi bloccò le mani, mi tenne ferma per i polsi, e per un lungo, lunghissimo minuto restammo a fissarci...
Un
minuto che sembrò interminabile: cos’era quello
sguardo? Sembrava quasi che mi stesse guardando dentro tanto era
intenso...
provai un’emozione fortissima, ma non ero sicura di quello
che fosse.
Poi
mi lasciò andare, si voltò dalla parte opposta e
ricominciò a camminare, fece due passi in assoluto silenzio,
poi si voltò
nuovamente verso di me e in uno dei suoi sorrisi più belli,
disse “Secondo me
hai caldo perché sei vestita come l’omino della
Michelin” e prese a ridere. Ma
in un modo un po’ forzato, come se quella risata dovesse
starci a tutti i
costi, anche se non gli andava.
Sette
anni passati insieme, a giocare, ridere e
scherzare, a parlare per ore, di ogni cosa, futile che fosse, lo
conoscevo
bene, fin troppo, quella risata serviva a coprire
qualcos’altro. Ma lui non
voleva che io sapessi cosa. Mi sentii un po’ irritata, mi
sentii messa da parte
e, senza rispondere alla sua provocazione, cominciai a camminare
spedita,
oltrepassandolo.
“Nessie!
Ma dove vai? Ehi Nessie?! Aspetta!” disse
venendomi dietro a grandi passi, finchè non mi raggiunse e
con una mano mi fece
girare.
“Ma
che succede? Che ti è preso?” domandò
stupito.
“Niente.
Perché?” risposi cercando di essere il
più
normale possibile, ma quella cosa era come una spina nel fianco e sono
sicura
che gli feci un sorriso talmente forzato che sarebbe sembrato falso a
chiunque.
Non
mi rispose subito, rimase a guardarmi stortando la
bocca, pensieroso.
“Beh,
sei partita a razzo, non ti sarei mica offesa
perché ti ho paragonato a quel coso?”
“No,
ma va, che dici? È che... a stare ferma ho
freddo!” mi girai su me stessa e ripresi a camminare, ma lui
ancora, si allungò
e mi prese un braccio.
“Nessie!
Due minuti fa avevi caldo e ora hai freddo? E
poi, lo so, tu sei un po’ come me, la tua concezione di caldo
o di freddo è
tutta particolare...” disse serio, guardandomi di sottecchi.
E
quella cosa che disse, quel paragone tra noi, bastò
quello a scaldarmi il cuore e capì che avevo reagito come
una stupida. Pensai
che quella reazione poteva avere cause che non centrassero nulla con me
e io mi
ero resa partecipe di qualcosa che nemmeno sapevo, ma le sue premure,
il suo
interesse per il mio comportamento, quelle sì che erano per
me, tutte per me...
“Si...
scusa... è che... non so... sai, la crescita,
io oramai dovrei essere una donna ma certe volte mi piacerebbe tornare
indietro.”
Ma
lo vidi, su quella parola, donna, aveva avuto un
tremito... ne ero sicura...
“Tipo?”
“Tipo...
cosa?” mi sembrava che quella domanda non
centrasse con quello che gli avevo appena detto.
“Certe
volte… quando?” chiese abbassando lo sguardo. E
mi resi conto che la risposta mi imbarazzava un po' anche se non
avrebbe
dovuto.
“Quando
stiamo insieme... mi piacerebbe poter tornare
bambina.”
“Perché?”
“Perché...
avevo più...” e come glielo dico?
“più
libertà”
“Tipo?”
“Jake,
non puoi essere più chiaro con le domande? E
poi perché non mi guardi? E così bella la neve
che preferisci guardare a terra
piuttosto che me?” gli dissi in un fiato, pentendomi subito
dopo.
“No,
solo che... fai fatica a parlare e credevo ti
imbarazzasse parlarne con me e ho pensato che se non ti guardo,
forse...”
disse, continuando a tenere lo sguardo basso.
Imbarazzo.
Lo aveva notato. Già... come io conosco
lui, lui conosce me. Come avevo fatto a metterlo in dubbio?
“Senti...
andiamo a casa? Se la mamma è già tornata
poi chi la sente più...” riprendemmo a camminare
in religioso silenzio. E
l’imbarazzo che avevo provato prima si quadruplicò.
Perché
mi sentivo così? Cosa mi rendeva insicura fino
a quel punto? E perché lui si stava comportando in quel
modo? Cos’era successo?
È
Natale e a Natale si può fare di più,
è
Natale e a Natale si può amare di più,
è
Natale e a Natale si può fare di più
per
noi:
a
Natale puoi.
È
Natale e a Natale si può amare di più,
è
Natale e a Natale si può fare di più
per
noi:
a Natale puoi.
Arrivammo
a casa e tutto era spento. Non era ancora
tornato nessuno. E zia Rose probabilmente era in camera sua a preparare
qualche
sorpresa per zio Emmett.
E
mi trovai ad invidiare zia Rose, lei era sempre così
diretta, lei sapeva sempre cosa voleva e sapeva come ottenerlo.
Mi
odiai per mezzo minuto, adoravo passare il tempo
con la zia eppure non avevo imparato niente?
“Non
c’è a casa nessuno, vuoi che mi fermo qui e li
aspettiamo insieme?” mi domandò in un sorriso, che
mi scaldò un pochino e
pensai che forse sarebbe stata una buona occasione per chiarire tutto e
magari
anche per dirgli quello che provavo... ma il solo pensarlo mi fece
ricadere nel
vortice dell’incertezza.
“No,
in casa c’è la zia, non ti preoccupare,
starò
bene” dissi e gli sorrisi nel miglior modo che mi fu
possibile.
Salimmo
le scale e ci fermammo di fronte alla porta. E
lì, successe una cosa molto particolare, sospirammo
entrambi. Subito ci
guardammo stupiti, ma anziché cercare risposte, scoppiammo a
ridere.
Una
sana e fragorosa risata, una di quelle che ti
liberano.
Quando
smettemmo avevamo gli occhi lucidi e poi ancora
ci guardammo come prima, per un tempo interminabile ed intenso.
“Beh...
allora buona notte” disse lui per rompere il
silenzio.
“Si,
buona notte” mi voltai, presi tra le mani la
maniglia, ma poi un pensiero mi investì e mi rigirai veloce.
“Jake!
Aspetta!”
Lui
aveva fatto solo pochi passi e tornò subito
indietro “Che c’è? Vuoi che
resti?” mi disse con impeto. Quasi mi dispiaceva
dirgli che non era per quello che lo avevo richiamato.
“No,
però... È Natale, dovremmo farci gli auguri,
no?”
“Oh,
sì, giusto” mi rispose lui camuffando un
po’ la
delusione. Fece di nuovo gli scalini e mi raggiunse sul pianerottolo,
ma mentre
si avvicinava a me andò a sbatter contro qualcosa che
pendeva dal soffitto.
Un
rametto di vischio*... mi sembrò subito una cosa
strana, non avevamo mai messo un rametto di vischio davanti alla porta.
Lui
allungò una mano e lo toccò “Uhm,
carino” e rimase
a fissarlo qualche secondo.
“Beh...
Nessie, Auguri” si chinò e mi stampò
due baci
sulle guance.
Luce
blu,
c’è
qualcosa dentro l’anima che brilla
di più:
è
la voglia che hai d’amore,
che
non c’è solo a Natale,
che
ogni giorno crescerà,
se
lo vuoi.
A Natale puoi.
Rimasi
un po’ delusa. Avrebbe potuto almeno darmi un
bacio stampo, tanto per dare un senso a quel rametto.
“No,
Jake, così non funziona” gli dissi in un fil di
voce e mentre lui mi stava chiedendo cosa o come, io mi allungai sulle
punte e
gli stampai un bacio sulle labbra, poi tornata a terra gli sorrisi e
gli feci i
miei auguri, cercando di non guardarlo nemmeno in faccia, non volevo
vedere la
sua espressione, avevo paura di quello che avrei visto, mi girai
repentina e
cercai di aprire la porta per sgattaiolare in casa.
Ma
la porta era chiusa. E anche questa era una cosa
strana. Non chiudevamo mai la porta a chiave.
Provai
e riprovai, ma non c’era nulla da fare, era
chiusa.
“Nessie”
mi chiamò, e la sua voce mi sembrò molto
calda, in che strano modo aveva detto il mio nome.
Mi
voltai piano, e lo trovai a guardarmi con aria
sognante. I nostri occhi si incontrarono ancora... titubanti...
“Nessie…
nemmeno così funziona” disse sempre con
quella voce roca, poi mi prese per i polsi, come prima nel bosco e mi
tirò a
sé, veloce spostò una mano sulla mia guancia e si
chinò nuovamente su di me...
E
mi baciò.
Un
bacio come quello delle fiabe.
Un
bacio caldo e umido, un bacio in ascesa... un bacio
dolce.
Si
staccò dalle mie labbra dopo non so quanto tempo,
ma sempre troppo poco, ma mi tenne tra le sue braccia e tornammo a
guardarci.
Avrei
voluto dirgli tante cose e chiedergliene
altrettante, ma un rumore interruppe quel momento paradisiaco e lui mi
liberò.
Fece
due passi indietro e scese due gradini... come se
sarebbe servito, la zia stava aprendo la porta, sentivo la chiave
girare a più
mandate nella toppa.
Lui
sarebbe potuto pure fuggire, ma se la zia si era
accorta di quello che stava succedendo qui fuori lo avrebbe rincorso
anche in
capo al mondo.
Ma
la porta non si aprì. E anche questo mi sembrò
strano... ma che stava succedendo?
“Forse
è meglio se vai” gli dissi in un sorriso e ora
era un sorriso vero.
“Si,
allora buona notte” rispose lui, dondolando sul
posto, con le mani infilate nelle tasche. Tornammo a guardarci... e in
quel momento
mi sembrò più bello che mai. E non riuscii a
trattenermi, saltai i gradini e
gli corsi incontro, lui aprì le braccia e io ci affondai
dentro, poi sollevai
la testa e lo baciai.
Un
nuovo bacio... sconosciuto e più umido del primo,
più travolgente... più intimo.
Poi
lui mi liberò di scatto e indietreggiò guardando
verso casa, mi voltai anch’io... la porta era chiusa, ma la
luce della sala era
accesa, era meglio non tirare troppo la corda.
“Buona
notte Jake e fai gli auguri anche a Billy” mi
voltai e senza guardarmi indietro entrai in casa.
Ma
subito dentro mi addossai alla porta e chiusi gli
occhi, non ci potevo credere... avevo baciato Jake. E lui aveva baciato
me.
“Tutto
bene tesoro?” mi chiese d’un tratto zia Rose.
Aprii gli occhi e la vidi seduta sulle scale, con un sorriso dolce e
compiaciuto che la faceva sembrare ancora più bella, se mai
fosse stato
possibile.
“S-si”
le risposi titubante. Poi lei si alzò e mi
venne incontro, mi chiese di spostarmi e la feci passare,
uscì e tolse il
rametto.
“Per-
perché lo togli?” chiesi non capendo il gesto.
“Perché
ora non serve più. Spero che d’ora in poi non
abbiate più bisogno di nessuno stratagemma” mi
rispose con un nuovo sorriso
rientrando in casa. Non ci potevo credere. lei... lei era stata lei! E
lo aveva
fatto per me!
Poi
mi porse il rametto e mi chiese “Lo vuoi? Come
ricordo.” Che dolce.
E
non seppi più trattenere la gioia, l’abbracciai
forte, almeno per me, e continuai a ringraziarla.
Lei
mi staccò un poco e mi chiese “tesoro, non ho
fatto nulla di che…”
“Oh,
no, non è vero zia, mi hai fatto il regalo più
bello che possa mai esistere, grazie, grazie, grazie” le
dissi, tornando ad
abbracciarla.
“Oh,
allora la Lotus che c’è in garage me la posso
anche tenere, e pensare che ho fatto una fatica per averla proprio per
domani,
ma se mi dici che…”
Lotus?
Per me? Per Natale?
“Oh,
no! L’accetto più che volentieri, non vorrei
farti un torto” mi affrettai a dire e scoppiammo a ridere.
Ma
una volta tornate serie le dissi “Mi fa piacere per
la macchina, davvero, ma questo” e presi il rametto dalle sue
mani “è un regalo
molto bello, e soprattutto inaspettato. Grazie zia, Buon
Natale”
“Buon
Natale anche a te, tesoro mio” e mi strinse
ancora tra le braccia, e dondolammo a lungo sul posto, come se mi
stesse
cullando, come quando ero piccola.
È
Natale e a Natale si può fare di più,
è
Natale e a Natale si può amare di più,
è
Natale e a Natale si può fare di più,
è
Natale e da Natale puoi fidarti di
più.
A
Natale puoi
puoi
fidarti di più.
A Natale puoi.
*-*-*-*-*-*-*-*
E
Buon Natale anche a Voi, Carissime!
Vi
auguro di trascorrere dei giorni meravigliosi, e
che il nuovo anno Vi porti tanta gioia e serenità.
Un
bacio
eia
*un ramo di
vischio sull'uscio di casa.
Questa
usanza nasce dal potere che i Druidi del nord
Europa attribuivano a questa pianta, ritenuta magica e curativa. I
Druidi
ritenevano infatti che quando due nemici si fossero incontrati sotto
una pianta
di vischio, avrebbero dovuto deporre le armi e concedere una tregua
alle loro
ostilità.
Da allora
l'usanza di appendere del vischio sulla
porta di casa, per garantire pace e serenità all'interno
della propria dimora,
si è estesa in tutto il mondo.
Poiché
il vischio era anche la pianta della dea
Anglosassone Freya, protettrice dell'amore e degli innamorati, si
è diffusa
anche l'usanza di scambiarsi un bacio sotto al vischio, per promettersi
amore e
affetto e per augurarsi un periodo di felicità in casa.