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Autore: Hi Ban    23/12/2009    3 recensioni
Trovare, per Hinata, un passatempo che non fosse costretta a definire piacevole solo per ipocrisia durante gli sporadici incontri con il padre, risultava un’operazione assai complessa. Da quando suo padre aveva dato via la magione estiva, quella invernale era divenuta la sua casa. O meglio, prigione, visto che le era impedito di mettere piede fuori dal cancello principale. Se fosse stata sua sorella, si sarebbe trovata fuori casa, in compagnia dei genitori a bere tè con i vicini, anch’essi di illustri casate. Secondo Hiashi lei non era ciò che la buona società cercava, troppo umile per portare il dovuto decoro alla famiglia.
[Quinta classificata al contest 'A contest, a rose and a story!' indetto da RoyxEd 4Ever]
Hidan/Hinata
Genere: Dark, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hidan, Hinata Hyuuga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Nickname: sakuchan_94
Titolo della storia: Ghost of a rose
Fandom scelto: Naruto


Ghost of a rose


Promise me, when you see a white rose you'll think of me.
I love you so, never let go, I will be your ghost of a rose.




Trovare, per Hinata, un passatempo che non fosse costretta a definire piacevole solo per ipocrisia durante gli sporadici incontri con il padre, risultava un’operazione assai complessa. Da quando suo padre aveva dato via la magione estiva, quella invernale era divenuta la sua casa. O meglio, prigione, visto che le era impedito di mettere piede fuori dal cancello principale. Se fosse stata sua sorella, si sarebbe trovata fuori casa, in compagnia dei genitori a bere tè con i vicini, anch’essi di illustri casate. Secondo Hiashi lei non era ciò che la buona società cercava, troppo umile per portare il dovuto decoro alla famiglia. Il malcontento, inizialmente, era stato grande in Hinata, ma con il passare del tempo non poteva che essere felice del fatto che non le fosse toccato lo stesso destino di Hanabi. L’unico paesaggio che le era consentito di mirare era quello dell’immenso giardino che si apriva al di fuori della villa. Non che potesse fare commenti negativi su quell’immenso giardino, cosa che non avrebbe fatto neanche se ne avesse avuto motivo: non si sarebbe mai permessa di criticare qualcosa che era opera altrui. Era verde, rigoglioso di vita, sempre curato e ben tenuto e aveva catturato subito il suo interesse dalla prima volta in cui vi aveva messo piede. Dietro quello spettacolo Hinata credeva che vi fossero più e più giardinieri, rettamente pagati da suo padre, ma non potette che restare ammutolita alla scoperta che vi fosse un solo giovane alla cura del parco. Una scoperta che la segnò in tutti i sensi.
La scoperta avvenne nell’ennesimo giorno in cui si ritrovò reclusa, per sua volontà, nella sua stanza, affranta dall’impossibilità di partecipare al compleanno della sorella poiché, testuali parole del padre, avrebbe rovinato tutto mettendo in risalto la parte debole della casata. Tra lei e Hanabi certo non c’era quel rapporto che ci si sarebbe aspettato da due sorelle ma Hinata teneva a lei, anche se Hanabi non era dello stesso avviso. Seduta sul basso davanzale della finestra, dove vi era poggiato un vaso di rose bianche, vedeva il sole scomparire e comparire da dietro gli alberi, che si muovevano cullati dal leggero vento primaverile.
E lo vide.
Dovette trattenersi per non cacciare un urlo, spaventata dalla visione di uno sconosciuto che si aggirava per il suo cortile; vedendo, però, che recava in mano una scala, intuì che doveva trattarsi di un giardiniere che, si rese conto, non aveva mai visto in vita sua. Presa da uno sprazzo di esultante curiosità, si diresse verso le scale, con l’unico scopo di scoprire l’identità di quel ragazzo, di cui era riuscita a scorgere solo la chioma argentea. Si affrettò a correre per il parco, non sapendo nemmeno lei dove andare o dove si stesse dirigendo, attenta a non sporcare la gonna, che la intralciava non poco durante la corsa. Si aggirò per parecchio tempo dentro quei labirinti di verde, non resistendo al doversi soffermare ogni qual volta si trovava in presenza di quei bei fiori, che ornavano le siepi e i cespugli. I colori stupendi creavano sfumature che riuscivano ad affascinare Hinata, che si perdeva nella loro contemplazione, fino a che non si ricordava per quale motivo avesse lasciato velocemente le sue stanze. Riprendeva allora a correre, cadendo nello stesso tranello pochi passi dopo. Hinata ormai non si premurava più di tenere la gonna lontana da terra, che veniva trascinata sul terreno, impregnandosi di terra.
Presto si rese conto che non aveva la più pallida idea di dove potesse trovarsi quel ragazzo, tantomeno quale fosse la strada per tornare dentro la casa. Cercandola con lo sguardo riusciva solo a scorgere la punta più alta, segno che era troppo lontana per vedere di più. Quanto aveva corso?
Venne presa dall’ansia, iniziando a guardarsi intorno spaurita, vedendo solo verde. Lo stesso verde che l’aveva affascinata e stregata con i suoi giochi di tonalità e di luce, la spaventò. Prese a torturare un merletto della gonna lilla chiaro, avanzando qualche passo nella direzione opposta a quella che stava prendendo prima. Era una sua impressione o il sole stava calando? A stento riusciva a trattenere le lacrime, spaventata dalla possibilità di non riuscire a trovare la via, di dover passare la notte nel giardino. Era consapevole che se si fosse calmata avrebbe potuto vedere la situazione da un angolazione più logica, trovando una soluzione razionale. Perse in considerazione la possibilità di gridare, ma si ricordò che era in casa da sola e, nonostante fosse una Hyuga, dubitava fortemente che qualche domestico fosse corso in suo aiuto.
Quando sentì un rumore provenire da qualche cespuglio più in là, perse a camminare più velocemente di quanto si fosse mai immaginata, visto l’ingombro della gonna. Cominciò quasi a correre, lanciando occhiate spaventate e timorose dietro di sé, sperando con tutta se stessa di non scorgere niente. Così facendo, non vide che stava andando a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno. Portò le mani davanti, nel vano tentativo di proteggersi, non conoscendo nemmeno quello che lei aveva identificato subito come pericolo. Urlò, ma bloccò immediatamente quel gesto di paura quando sentì solo il silenzio intorno a lei.
“Cerca qualcuno?”
La voce era sprezzante, come se la sola idea fosse per lui aberrante. Incuriosita dal quel tono saldo e forte, alzò lo sguardo, trovandosi davanti l’oggetto delle sue ricerche fino a poco prima. Era il ragazzo che aveva visto scomparire nelle siepi, sicuramente colui che si prendeva la briga di far avere al giardino quello splendore con cui si presentava ai suoi occhi, giorno dopo giorno. La chioma argentea tirata all’indietro ne era la prova. Non potette che rimanere rapita da quegli occhi ametista, stregata dallo stesso sortilegio dei fiori. Aveva un espressione torva in volto, evidentemente infastidito da qualcosa, ma Hinata non se ne accorse quasi. Era troppo impegnata a chiedersi come un ragazzo come lui, dai tratti così nobili e raffinati, si trovasse nei giardini di quell’immensa villa, che nemmeno lei conosceva bene, a curare fiori altrui.
“Cosa ci fa qui, signorina?” Chiese di nuovo, lui.
Il tono di scherno nei suoi confronti non trovava giustificazioni dal punto di vista di Hinata, che non riusciva a formulare un pensiero coerente, persa tra la perfidia nelle sue poche parole e la bellezza di quei lineamenti.
“La... La cercavo.”
L’albino scoppiò in una breve risata che rese il suo volto, se possibile, ancora più bello. Il paragone che immediatamente fece con un angelo la fece sentire stupida, ma non riusciva a trovare qualcosa che facesse smentire quell’ipotesi. Non staccò mai gli occhi da quelli di Hinata, che fu costretta a sua volta ad abbassare lo sguardo, non riuscendo a reggere il confronto. Suo padre, quando ancora non aveva dato per persa la sua situazione e tentava di insegnarle le buone – a suo parere – maniere, al fine di renderla utile nella crescita sociale della casata, le aveva detto che mai avrebbe dovuto abbassare lo sguardo, poiché era segno di debolezza. Come non si era mai risparmiato di ricordarle, lei era debole, perciò per lei tutto quello non aveva senso.
“E cosa vorreste da me? Non siete con la vostra ripugnante famiglia a disprezzare i ceti meno abbienti di voi? Passatempo davvero degno di nota.”
“N-non sono stata invitata...”
Non sapeva assolutamente niente di lui, tranne che, per un motivo a lei ignoto, non vedeva di buon occhio la sua famiglia, ma sapeva che quello non era il posto giusto per lui. Aveva un profilo nobile, ma non solo dal punto di vista fisico. Manteneva un comportamento dignitoso anche mentre si trovava ad interloquire con qualcuno che disdegnava.
“Perché odia la mia famiglia e... m-me?” Ribatte Hinata, dando poca importanza alla domanda posta dal ragazzo. Lui parve inizialmente sorpreso, più che altro per la perspicacia con cui aveva donato un taglio differente alla discussione. Una perspicacia di cui Hinata si sarebbe pentita quanto prima, ma era importante. La curiosità aveva offuscato le altre necessità, compresa quella che fino a poco prima aveva animato la sua paura.
“Le importa?”
Continuare ad appellarsi a lei con la terza persona sembrava più un modo per farsene beffe, facendo imporporare maggiormente le gote della Hyuga, messa alle strette da quell’atteggiamento. Non sapeva come comportarsi, cosa dire, perciò si limitò ad annuire con un cenno del capo.
Non rispose, continuò ad osservarla, come se attendesse qualcosa da lei.
“Tuo padre, oltre a dimenticarti a casa sola, perché la servitù non c’è in caso non te ne fossi accorta, non ti ha insegnato le buone maniere? Ci si presenta agli sconosciuti.”
Hinata non capiva cosa stesse dicendo, dove volesse andare a parere. Non si accorse nemmeno che aveva smesso di rivolgersi a lei in terza persona, ma sentì comunque il disagio diminuire.
“Oh, ma tuo padre ti ha insegnato che con le fecce non si prende la parola, vero?”
“N-no, certo che no!” Si ritrovò a mentire, Hinata, poiché suo padre le aveva detto la stesse cose, lasciandola sconcertata. Il giorno che le disse quelle parole, quel poco di stima che nutriva verso di lui, scomparì. Aveva capito che tipo di persona era suo padre; che tipo di persona voleva fare diventare Hanabi. Hinata si sentiva in dovere di controbattere quell’affermazione, non per salvare suo padre da un maggior disprezzo da parte del ragazzo, ma per mettere lei in buona luce verso di lui, perchè per lei era importante.
Sapeva che se suo padre era mal visto da qualcuno se lo meritava e sapeva anche che non era solo l’albino a provare astio nei suoi confronti.
“M-mi chiamo Hinata Hyuga.”
“Oh, ma questo lo so. Servo la tua famiglia da abbastanza tempo per sapere almeno questo.”
La Hyuga non capiva quasi più niente di quella conversazione, iniziata per caso, non più sicura del perché lo avesse cercato. Era confusa e non potette che arrossire, seppur involontariamente e senza sapere il perché, al sentire l’ultima affermazione. Lui la conosceva già, sapeva chi era, nonostante non si fossero mai incontrati e dubitava fortemente che suo padre si perdesse in discussione che avevano lei di mezzo, se non per far notare le sue debolezze.
“Mi chiamo Hidan, io, e spero che questo dato non ti debba mai importare. Non mi importa per quale dannato motivo mi cercavi, vedi di tornare a casa, la strada la sai.” Non potette che rimanere ammutolita da quelle parole, sconcertata da tanto astio. La scomparsa dell’unica di nota di vitalità che animava i suoi occhi la fece intristire più di quanto volesse in realtà, poiché lei non sapeva niente di lui, se non che le aveva appena detto di andarsene, dopo averle detto il suo nome. Un avvertimento serio, nascosto dietro semplice disprezzo. Non si accorse che le lacrime bagnavano le sue guance, ancora tinte di porpora, non per l’umiliazione, quanto per la tristezza per il fatto che se ne stava andando. Lei voleva conoscerlo, rendendo più stabile quel sottile legame, perché lei sapeva che c’era. Non era un legame basato sul fatto che lei adorasse quei fiori e che fosse lui a curarli. Non era basato sulla sua dipendenza alla sua casata. Sentiva che erano accomunati da qualcosa che andava oltre al colore e all’aroma fresco a pungente, quanto dolce, dei fiori che la circondavano.
Prese a seguirlo, intenzionata a scoprire una verità che non sapeva nemmeno se esistesse davvero. Non le importava se stava facendo buio, se aveva provato paura quando le aveva parlato. Se lui non era ciò che sembrava. In quel momento, il fatto che si stesse allontanando maggiormente dalla villa era il minore dei problemi.
Lo rincorse, strappandosi il vestito, prendendo storte, graffiandosi le mani, mentre spostava i rami dentro cui Hidan scompariva. Sapeva che lei era dietro di lui, ma non la fermava, non teneva fede al suo avvertimento. Continuava a camminare, tanto che raggiunsero posti che Hinata faticava a credere fossero ancora all’interno del parco della villa.
“Hi-Hidan, aspetta...”
Le sue preghiere di attesa si perdevano con il vento che muoveva gli alberi, troppo stanca per tentare di farsi sentire di più. Udiva i suoi richiami, Hidan, ma non si girava. Non si fermava, non faceva niente oltre a camminare a camminare. Giunsero ad una siepe e Hinata era certa che non sarebbe riuscita a superarla: il groviglio di rami e foglie non permetteva neanche la visuale a ciò che si estendeva al di là di essa. Guardò supplichevole la schiena di Hidan, che si girò di scatto, trovandola in quella muta supplica. La accolse, creando un varco nella siepe. Era stupita dal suo gesto, certo, ma non le importava perché lo avesse fatto o come lo avesse fatto, voleva solo seguirlo. Non sapeva perché, ma era il suo volere e, seppur non lo fosse mai stata, voleva essere egoista almeno per una volta; accontentare se stessa le appariva la cosa giusta, in quel frangente. Non le interessava se i suoi genitori si sarebbero arrabbiati al suo ritorno. Non le incideva nella sua coscienza se quello era disonorare.
Ciò che si trovò davanti quando varcò la siepe fu molto di più dei fiori che l’avevano stregata con il loro potere occulto poche ore prima. Non vi era luce ad abbellire quelle che già erano delle meraviglie. Delle rose, un intera aiuola di rose, se così la si poteva definire, visto che non avevano un confine che delimitava la loro crescita. Un intero spazio tutto dedicato a quei fiori così belli che non aveva mai visto in vita sua; che mai aveva immaginato.
Rose bianche con striature scarlatte, che contaminavano il candido immacolato rendendolo più stupendo. Tutte le macchie rosse si perdevano nel bianco, così come il colore marmoreo si perdeva nel rosso. Il peccato che si fondeva con il perdono, la pace con la tempesta. Il dolore con il silenzio. Il peccato originale nelle sue sfumature più pure. Si perse in quegli astrusi arabeschi di colore, che emanavano tormento e calma. Non si accorse che Hidan si era portato davanti a lei, che aveva preso una rose e la teneva tra le mani, osservandola. Sembrava perso nei suoi pensieri, combattuto in qualche modo.
“Io sono egoista. Tu sei pura, non dovresti trovarti qui, ma io volevo così. Sei persa, ora. Non c’è possibilità di redenzione per i dannati.”
Hinata non capiva cosa volesse dire. Lui non era dannato, così come nemmeno lei.
“N-non sono persa. C-ci sei... tu.”
Sapeva anche lei che non si riferiva alla sola compagnia, ma non sapeva interpretare lei stessa il significato intrinseco. Ormai non poteva più tornare indietro, non in senso figurato perlomeno. Si abbassò, raccogliendo una di quelle rose, attenta a non pungersi con le spine. Il profumo le giunse alle narici ancor prima di avvicinarla al naso, con il medesimo intento. Non odorava come le rose normali, quelle che si prodigava di mettere nel vaso sul davanzale lei stessa. Aveva un odore dolce, ma di una dolcezza effimera, perché era sottile il confine tra l’aroma dolce e quello selvatico. Si alternavano, formando un intreccio non spiacevole ad Hinata, totalmente rapita da esse.
“Perché... sono c-così?”
Provava timore nel porre quella domanda, sicura che tanta bellezza e fascino dovevano nascondere un segreto. Come Hidan.
In attesa di una risposta, prese a rigirarsi quel fiore tra le mani, alla ricerca di un solo difetto in esso. Tutte le rose erano uguali, come unica differenza i disegni confusi formati dai colori. In alcuni punti, quel rosso vermiglio sembrava raggiungere tonalità vicine al nero, ma finiva col perdersi nelle tonalità chiare dei petali lattei. Persa nella contemplazione, una spinta la ferì, facendole sanguinare il dito. Il colore bordeaux del sangue si confuse con quello della rosa che teneva tra le mani, mentre attraversava il profilo della mano tremante di Hinata, che non capiva perché si sentiva così turbata da quel piccolo taglio. La goccia di sangue cadde sul terreno, venendo assorbita. Alzò lo sguardo verso Hidan, spaventata, che ora la osservava con un ghigno beffardo in volto.
“Sono nate dall’unione del sangue con il terreno. Tutto qui,” indicò con un breve cenno quel suo piccolo giardino privato “è intriso di sangue.”
Hinata prese a rigirarsi quella rosa tra le mani, sporcando tutto lo stelo con il sangue che usciva dal taglio, alla ricerca di un qualcosa che avesse un minimo senso. Socchiuse gli occhi, improvvisamente pesanti, non sicura di ciò che stava succedendo, tantomeno di cosa sarebbe accaduto dopo.
Vedendo che la Hyuga non dava segni di un qualsivoglia sentimento che implicasse paura e timore, Hidan si avvicinò a lei e le prese il mente con una mano, alla ricerca della paura che tanto agognava.
“Il sangue... è mio.” Proferì, quasi spazientito.
Hinata si perse nei suoi occhi, in quelle ametiste grezze, sperando che fossero veri, in mezzo a quell’Eden pieno di bugie. Perché Hidan era falso, non era vero. Mentiva, su tutto; lui non era ciò che sembrava, così come quelle rose, tanto affascinanti e segno di purezza, così come erano l’emblema del dolore e del peccato. Abbassò lo sguardo sulla rosa che continuava a torturare tra le mani, ormai sporca del suo sangue. Strinse il gambo nella mano, facendo in modo che tutte le spine trovassero riparo nella sua carne, lacerandola e facendo scoprire al mondo il rosso carminio del suo sangue, che fuoriusciva dalla sua mano e veniva assorbito dal terreno. Il rosse intenso del sangue stonava in maniera malinconica con il colore niveo della pelle che attraversavano.
“O-ora le rose saranno vive anche grazie a m-me.”
Non sapeva perché lo avesse fatto, ma sapeva che era giusto. Solo quando poggiò, in un atto di estremo coraggio, la mano su quella di Hidan, notò che anche la sua mano era sporca di sangue, ma non aveva nessun taglio. Prese ad controllarla, alla ricerca di un taglio, per poterlo curare.
“Mi hai già curato, Hinata. Con il tuo sangue hai purificato queste rose, dando vita ad un dannato, che vive una vita che non gli appartiene. Ti avevo detto di andartene, sciocca ragazzina.” Una nota di rabbia era inconfondibile in quel tono che altro non era se non rassegnato. Non aveva abbandonato lo sguardo di Hinata, pronunciando quella perduta profezia, un avvertimento che sapeva essere andato perduto. La Hyuga non era spaventata, non temeva niente, incerta se fosse una buona cosa o no; l’imbarazzo era divenuto solo una lieve componente di fondo, relativo alla situazione che si era venuta a creare. Hinata non era nemmeno certa che quella fosse la realtà, troppo perfetta e poco si addiceva al corso che aveva intrapreso la sua vita. La mano di Hidan, però, era reale sulla sua guancia, così come quegli occhi che la attraversavano.
“Il passato è passato, il presente è inevitabile allo stesso modo, ma nessuno ci assicura che ci sarà un futuro. Tu ti sei giocata questa tua unica possibilità.”
Non capiva a cosa si riferisse, ma non le importava. Stava bene in quel momento, con la mano di Hidan tra le sue, che lo sporcavano del sangue di cui ora era intriso il terreno.
“T-tu... non sei vero.”
“No, non lo sono. Sono falso e maledetto, uno spirito privo di anima che ti ha privato della limpidezza d’animo con una rosa, maledetta come il sangue che la tiene in vita. Il tormento è la punizione per il peccato originale; unica pecca che a scontarlo non sono sempre le persone giuste.”
Un sorriso amaro si aprì sulle sua labbra, rosee come le sfumature che tentavano di definire un confine tra il limpido e il torbido che si contendevano la purezza delle rosa.
“La tua anima mi appartiene e non ti liberai mai della dannazione, ecco quale sarà il tuo futuro. Che ti piaccia o no, sei dannata, ora.”
Non cercava di trovare scuse per averla ingannata e per averla indotta nel peccato, ma Hinata non se ne pentiva. Aveva peccato per portare la purezza dove serviva. Quel giardino ne aveva bisogno e Hidan altrettanto. Lui non era ciò che sembrava, era dannato sulla terra così come negli inferi. Viveva nel suo Eden, alla ricerca di una pace che solo Hinata era stata capace di portargli. Lui lo sapeva e aveva aspettato, per tanto. Aveva lottato, per tanto, continuando a versare sangue.
“Ti sei macchiata di un atroce peccato, un disonore.”
Hinata sorrise, non abbandonando quegli occhi, troppo veri per farla cadere nella menzogna. Le guance si tinsero di porpora nuovamente quando lui prese la rosa con cui si era martoriata e la gettava per terra, portando poi la sua mano alle labbra e posandole sul palmo, pieno di ferite, macchiandole di quella linfa, assaporandola.
“La purezza v-va sacrificata per crearne altra. La purezza è solo un p-peccato troppo limpido per essere notato. Nessuno è puro... davvero.”
“Tu lo eri, prima.”
“A-anche tu… lo sei s-stato…”
“Sì, e ora non lo siamo più, Hinata.”

Lentamente, le rose bianche sul davanzale si macchiarono della colpa originale, della purezza donata per salvare dal peccato, per liberare un essere dalla dannazione eterna. Da sola, la dannazione diviene un tormento troppo grande per chiunque. Due esseri dannati possono riportare quella purezza che era stata rotta all’inizio, macchiando tutto del rosso scarlatto che macchiava quelle rose, una volta immacolate.


– Canzone utilizzata: Ghost of a rose, dei Blackmore’s Night


Commento:
Una storia veramente molto molto bella, narrata da uno stile prolisso ma non troppo pesante. Correttezza grammaticale assolutamente da apprezzare - se non per quegli unici errori che sono gli apostrofi tra un articolo e la parola al femminile. Stupiscono i lunghi ma fluidi e scorrevoli periodi, ricchi di incisi che non dispiacciono per la maggior parte delle volte. Molto originale, devo dire, mai letta in vita mia una HinataxHidan! Anche se il pairing non è esplicito, è chiaro che Hinata sia rimasta piacevolmente affascinata da Hidan, questo particolare giardiniere. Ho trovato estremamente IC Hinata, così come Hidan. Sicuramente l'originalità è la cosa che più mi è piaciuta e che più ho premiato come tu stessa puoi evincere dalle votazioni. Per quanto riguarda, invece, l'elemento roseoso, complimenti: molto molto bello. L'angolo segreto, quel posticino ritagliato da Hidan nel giardino di Villa Hyuga, ricorda - forse - un piccolo paradiso. Invece no! E' il teatro del peccato, del sangue che macchia l'inequivocabile candore delle rose bianche - proprio come quelle che Hinata mette sempre nel vaso sul davanzale della sua finestra. Davvero bella, devo dire. Unica pecca: da rileggere per qualche errore di battitura e per quegli apostrofi mancati. Per il resto, impeccabile. Ancora complimenti! Spero tanto di poter valutare per un altro mio contest ancora una tua storia! ^^ Alla prossima. <3 Grazie della partecipazione.

- 8,5 punti alla grammatica;
- 9 punti all'originalità;
- 8,8 punti per lo stile;
- 8,5 punti per l'utilizzo dell'elemento roseoso;
- 4,5 punti al giudizio personale.


Salve!*_*
Non ci credo ancora, quinta!*_*
Per scrivere questa storia ci ho messo davvero anima e corpo e devo dire che non o mai tenuto ad una mia storia come tengo a questa. Non so nemmeno io come ho fatto a scriverla: non mi sembra opera mia!
Sono più che soddisfatta del giudizio, niente da contraddire.
Anzi, ringrazio la giudicia per aver indetto il contest e per aver dato così in fretta i risultati. Mi complimento anche con le altre partecipanti e con le podiste!
Ora sparisco!
Spero che questa storia vi piaccia!^^
*va via saltellando felice*



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