La
seguente FanFiction segna il mio ritorno nel fandom di Death Note con
un nuovo OTP; non che abbia abbandonato la Matt x Mello, ci
mancherebbe, ma ultimamente trovo in un certo senso più
"stimolanti" Mello e Near. Diciamo che... l'Angst regna. u_u
Questa
storia, alla quale tengo in modo particolare, si è
classificata seconda ( che felicità *-* ) al "A
Contest, a Rose and a Story" , indetto da Roy Mustang sei uno
gnocco sul Forum di EFP.
Dovevamo scrivere un racconto che s'ispirasse ad una rosa, e questo
è ciò che è uscito dalla mia testolina
malata. xD
Oh, sarà una raccolta di one-shot incentrate su questa
coppia, e la prossima è già pronta, devo solo
attendere i risultati del contest, che finirà ad inizio
gennaio. Spero che possa piacervi almeno un poco, attendo qualche
commento ( positivo o negativo, ci tengo a conoscere i vostri
sinceri pareri ). ^^
Buona lettura!
Studiare
i fiori.
Che
scemenza, pensò.
Insomma,
Roger doveva
essere proprio impazzito. Quale utilità poteva esserci
nell'osservare quelle brevi e statiche vite? E poi, in quel grande
giardino, di fiori ce n'erano fin troppi. Uno in particolare,
però,
a dispetto delle sue intenzioni attirò la sua attenzione. O
forse ad interessargli davvero era
colui che vi
era seduto accanto, così candido, proprio come quella rosa
bianca ancora in boccio?
Ghost
of a Rose ~
Il
Fantasma della Rosa
Camminava
tenendo sotto
braccio un libro appena preso in biblioteca, un tomo che trattava le
principali caratteristiche di tutte le specie di fiori esistenti.
Considerava inutile quel tipo di lettura, soprattutto per uno
candidato ad essere il successore del miglior detective del mondo, ma
in fondo non poteva rifiutarsi. Così aveva deciso
d'impegnarsi
, seppur controvoglia. Dovevano perfino
scriverci
una riflessione, su quell'argomento!
Rassegnato
passeggiava nel cortile dell'istituto, quando una visione
catturò
il suo sguardo curioso: il suo acerrimo rivale, Near, se ne stava
stava in ginocchio sull'erbetta fresca accanto ad una rigogliosa
pianta di rose. Una di esse, la più vicina a lui, doveva
ancora aprirsi e rivelarsi in tutta la sua bellezza.
Il ragazzino
sembrava talmente assorto in chissà quali pensieri da non
accorgersi neppure della sua presenza ma, inaspettatamente, dopo
pochi secondi parlò: “ Perché mi stai
fissando? ”
domandò, atono come al solito.
“ Non ti
sto fissando! ” ribatté Mello, deciso, “
Tu, piuttosto,
che ci fai lì imbambolato a guardare quel fiore? ”
indagò.
L'altro
spostò gli occhi scuri su di lui, guardandolo con la sua
consueta espressione indefinibile, un insolito mix di disprezzo e
fastidiosissima compassione.
“ E'
interessante ” affermò, sfiorandolo appena con la
punta
dell'indice.
“ E
perché? ”
Non riusciva
a capirlo, il biondo, tant'era enigmatico; eppure lui era pure un
tipo scaltro, ma Near era insondabile. Bianco come la neve, come il
pigiama troppo largo che indossava, come quella rosa che tanto lo
affascinava; sembrava puro ed intoccabile come un bimbo in fasce,
eppure nonostante questo Mello sentiva l'impellente bisogno di
sporcarlo, di strappargli quel sorrisetto sornione rimpiazzandolo con
qualcosa di completamente diverso. Talvolta era spaventato da tali
malsani pensieri, ma tutto quel bianco lo confondeva, lo rapiva, lo
rendeva succube. E all'età di quattordici anni, in piedi su
quel verde manto primaverile, decise che la supremazia di Near
sarebbe ben presto stata solo un vago ricordo nelle menti di coloro
che lo ammiravano e che decantavano la sua incredibile intelligenza.
Ma c'era una differenza sostanziale fra i due, quella che teneva
lontano Mello dal primato tanto agognato: quest'ultimo, a differenza
dell'altro, non poteva contare su quel sangue freddo che rendeva il
numero uno sempre impassibile, insofferente, quasi disumano.
Accanto a
quel fiore, però, il giovane pareva talmente fragile da
sembrare prossimo a rompersi, a cadere tanti minuscoli frammenti,
come il puzzle – anch'esso bianco, ovviamente – che
faceva e
disfaceva di continuo, come fosse per lui l'unico modo per sfuggire
al tedio, alla cruda realtà, alla crescita del corpo e della
mente troppo rapida per poter essere goduta appieno.
“ Somiglia
a noi esseri umani ” rispose, continuando a guardarla come si
osserva qualcosa di meraviglioso, di unico.
“ Ah...
vale a dire? ”
Sempre più
enigmatico estrasse da una delle tasche – non si era mai
accorto,
il più grande, che quei pantaloni fuori misura ne avessero
–
un blocchetto ed una penna stilografica, tracciando poi sul foglio
delle sottili linee ricurve e sconnesse, una sorta di ritratto della
rosa che s'era anteposta a qualsiasi altro suo pensiero, in quel
momento. Disegnò velocemente, mostrando al ragazzo come
sarebbe diventata in pochi giorni, quando anch'essa fosse sbocciata
come le sue fiere compagne. Accanto, invece, ne creò una
già
appassita, in una desolante immagine di morte e abbandono; i suoi
petali a terra, avvizziti.
“ Continuo
a non capire. Sei troppo strano tu! ” protestò
Mello,
constatando però che non se la cavava male neanche nel
disegno, “ Che cosa avrebbe di simile a noi? ”
“ E' per
questo che non puoi vincere ” sentenziò,
“ Se non riesci a
vedere al di là delle apparenze, non diventerai mai il
numero
uno ”
Altezzoso
fino all'inverosimile; lo rese furibondo, e voglioso di prenderlo a
calci e pugni. Come si permetteva di parlargli così? Quello
stupido bamboccio troppo grande per la sua età gli dava sui
nervi, lui e la sua aria di superiorità. Era dunque
così
felice d'essere in cima alla graduatoria? Non lo aveva mai esternato
prima d'allora, eppure quel pomeriggio il suo volto
s'illuminò
di una luce diversa; non sorrise sinceramente, non mostrò
debolezza, ma per qualche strano motivo sembrava ancora più
candido e maledettamente sincero. Perché Mello lo sapeva,
sapeva bene che il suo rivale lo conosceva forse più di
quanto
lui conosceva se stesso.
“ Le rose,
una volta sbocciate, muoiono in fretta ” disse poi, una quasi
impercettibile sfumatura triste nel suo tono di voce, “ E'
questa
la chiave ”
Detto questo
si alzò e, senza proferire altra parola, si avviò
verso
il grande portone in legno massiccio. E l'altro rimase lì
basito, a rimuginare su quanto gli aveva detto; doveva essere
impazzito del tutto pure lui. Forse si trattava d'uno strano caso di
follia collettiva, chi lo sa.
Fatto sta
che il poveretto dovette rassegnarsi ad un'intera giornata seduto
alla sua scrivania, immerso fra frasi astruse e tanta, tanta voglia
di alzarsi e di andare a farsi una partita a calcio assieme al suo
migliore amico Matt, anch'esso però impegnato sul fronte
scolastico.
All'interno
della spaziosa camera assegnatagli, Mello aveva trovato un
confortevole letto le cui lenzuola venivano cambiate spesso ed erano
sempre bianche – quel colore, che ricorreva dovunque e in
qualunque
momento – e profumate; poi una scrivania in legno, un armadio
del
medesimo materiale, e un piccolo comodino con sopra una raffinata
abat-jour. Le tende erano d'una sfumatura anonima, una sorta di
marrone chiarissimo, quasi tendente al rosa antico. Le pareti invece
erano bianche – ancora quel colore, come una dannazione -,
mentre a
lui non sarebbero dispiaciute pitturate in altro modo, magari di un
bell'azzurro cielo.
Tutto
sommato stava bene lì, seppur fosse un tipo un po'
riservato;
mai quanto lui, però. Lui,
sempre nei suoi
stramaledetti pensieri. Forse era lecito definirlo addirittura
ossessione. Insomma, di amici non ne aveva molti, ma per lui Matt era
praticamente il massimo; non aveva bisogno di nessun altro, quand'era
in sua compagnia. Ma quando era da solo non riusciva a fare a meno di
immaginarsi un ipotetico futuro in cui avrebbe strappato a Near il
suo primato, e in cui gli avrebbe dimostrato che lui non era affatto
il migliore, che il legittimo successore di L non poteva essere un
ragazzino arrogante e patetico come lui. Però dentro di
sé,
in un remoto angolo della sua anima inquieta, lo ammirava. Lo
ammirava sinceramente perché egli sapeva destreggiarsi in
qualunque situazione con la freddezza d'un killer, con la
silenziosità di un cecchino pronto a colpire; c'era sempre,
Near, ma nessuno si accorgeva di lui. E si mostrava solo per
esternare giudizi, dopo averci riflettuto per ore, giorni, perfino
mesi a volte.
Alla fine
avrebbe vinto lui, e lo sapeva bene. Ne era certo, ma non voleva
convincersene per nessun motivo; la sua ragione di vita era batterlo,
e non si sarebbe mai e poi mai tirato indietro. C'era un trono troppo
importante in ballo, per rinunciarvi.
Quando il
suo orologio segnò le otto di sera, e i raggi tiepidi del
sole
non filtravano più da un bel po' dalle grandi finestre, era
ancora in alto mare; non sapeva assolutamente che cosa scrivere, ma
di certo non poteva presentare una riflessione di due misere righe.
Ripensò
a ciò che l'albino gli aveva detto poche ore prima, quelle
storie sulle rose che a parer suo somigliavano agli esseri umani.
“ Se
non
riesci a vedere al di là delle apparenze, non diventerai mai
il numero uno ”
“ Le
rose, una volta sbocciate, muoiono in fretta; è questa la
chiave ”
La chiave... di che cosa stava
parlando?
Rifletté a lungo,
certo che nell'arroganza di quelle parole avrebbe potuto leggere
qualcosa di più, come un segno, un avvertimento. Era questo
che trapelava dalla voce di Near, fredda come di consueto ma ancor
più decisa, come a volerlo mettere in guardia su qualcosa
d'imminente.
Si buttò scompostamente sul letto fissando il soffitto, nel
silenzio quasi opprimente della stanza, addentando una barretta di
cioccolato; tutto quel bianco lo stava torturando, lacerava la sua
mente senza alcuna pietà, ed era doloroso.
Quando d'improvviso, inconsciamente, si voltò verso la
finestra, notò un'ombra muoversi all'esterno dell'edificio;
si
spostava con passo lento e cadenzato, illuminato unicamente dalla
tenue luce del chiaro di luna. Aveva qualcosa di familiare, ed era
come se lo stesse chiamando. Scostò le tende,
girò la
maniglia d'ottone e si affacciò, constatando che si trattava
proprio dell'ultima e l'unica persona che avrebbe
desiderato
incontrare in quel momento.
“ Che ci fai fuori a quest'ora? ” gli chiese,
osservando la sua
figura un po' goffa eppure affascinante muover dei passi verso di
lui, lentamente.
“ Non riuscivo a dormire ” rispose freddamente,
rivolgendogli
però uno sguardo interrogativo, come se volesse chiedergli
come mai anche lui fosse ancora sveglio, ma senza dire nulla. Tipico
di lui. Sembrava quasi aver paura di domandare, eppure era capace di
sondare gli altri con una tecnica invidiabile, utilizzando poche
parole perfettamente mirate. Infatti, giocherellando con una ciocca
dei propri capelli fra le piccole dita – così
infantili,
così maledettamente attraenti -, sentenziò:
“ Non hai
scritto nulla, vero? Era prevedibile ”
A quelle parole, Mello avvertì un'ira crescente dentro di
sé;
come diavolo si permetteva di parlargli così? Lo stava forse
sfidando? Sì, doveva essere così.
Con un balzo fulmineo, accecato dalla rabbia, saltò
giù
dalla finestra – fortunatamente alta solo poco più
di un
metro – e in un attimo gli fu addosso, a strattonarlo per i
vestiti
per poi gettarlo a terra e portarsi su di lui. Avrebbe voluto
urlargli contro il suo odio, ma riuscì solo a respirare
affannosamente e a guardarlo dritto negli occhi, contraendo il volto
in una smorfia.
“ Sei solo un bastardo, Near ”
Near, piccolo Near, l'erba sta macchiando i tuoi vestiti.
“ E' solo colpa tua se io... se io... ”
Mello, furente Mello, non t'accorgi che stai avvicinando troppo il tuo volto al suo?
“ No ” asserì l'albino, “ La
colpa... ”
Non ebbe modo di finire la frase dal momento che calde, fameliche,
lussuriose labbra si erano appena avventate sulle sue, zittendolo;
dunque un po' di coraggio lo aveva, nonostante tutto. Ne era certo,
lo aveva capito fin dal primo momento in cui lo aveva visto, ma egli
non lo aveva mai dato a vedere con lui; forse intimorito, o forse
semplicemente conscio d'essere forte ma al contempo vulnerabile, indi
preoccupato di mostrare apertamente i propri sentimenti, le paure e
le passioni represse.
Non si scostò, il più giovane. Lo
lasciò fare,
assaporando la sua inesperienza e donandogli la propria, in un
incerto gioco di denti e lingue.
Se li avessero scoperti non l'avrebbero passata liscia, pensarono
entrambi; eppure, tutti e due ne avevano bisogno. Necessitavano di
quel contatto più che di qualsiasi altra cosa. La perfetta
fusione di due anime affini e allo stesso tempo completamente
differenti, un'eccitante battaglia di sensi e d'orgoglio.
Il biondo, dopo diversi secondi, si staccò da quella bocca
morbida boccheggiando in cerca d'aria; l'altro lo guardò con
enigmatica espressione, i capelli ribelli sparsi sull'erba, le gote
imporporate, le braccia lungo i fianchi e le ginocchia leggermente
piegate. Bello, dannatamente bello, e maledetto.
Near non possedeva quel genere di bellezza ideale che ogni fanciulla
sogna; non aveva le fattezze di un angelo caduto, né di un
seduttore. Era bensì affascinante in modo strano, neanche
Mello sapeva spiegarselo; forse erano i suoi gesti provocatori
– lo
amava e lo odiava incondizionatamente, quando i suoi capelli
diventavano oggetto d'interesse delle sue mani di velluto; e provava
la stessa cosa anche quando sorrideva sornione prendendolo in giro
quando si lamentava d'esser l'eterno secondo –, o forse i
grandi
occhi d'onice che ti scrutavano attenti, incollati su di te, come due
irresistibili calamite. Sì, esattamente, il più
grande
si sentiva come un inerme pezzo di metallo attratto da un qualcosa di
troppo bianco per essere vero. Eppure lui esisteva,
esisteva
eccome. E in quel momento si trovava ancora fra le sue braccia, senza
opporre resistenza. Era accecante, come un fulmine che colpisce
inaspettatamente il terreno a pochi metri da dove ti trovi.
“ Cos'è che dicevi? ”
“ La colpa... ”
Sospirò impercettibilmente, passando in audace maniera la
mano
fra i filamenti dorati che ricadevano sul collo dell'altro.
“ ... è tua ”
Terminò, scendendo a toccare il suo petto intrappolato dalla
maglietta nera a collo alto, fermandosi all'altezza del cuore. Il suo
organo vitale batteva ad un ritmo sorprendente, come se avesse appena
terminato una corsa di qualche decina di chilometri, come se fosse
stato colpito da un potente attacco di tachicardia. Lo
impressionò
un po', in verità.
Mello, furioso, lo fece tacere con un altro bacio, più
violento del precedente. Morse le sue labbra con impeto, facendole
sanguinare, ma non se ne pentì.
Solo quando udirono un rumore di passi si alzarono in fretta e furia,
correndo in due direzioni differenti; Near in quella opposta a quella
da cui il leggero frastuono proveniva, mentre il biondo si
arrampicò
sul muro e velocemente rientrò in camera, come se nulla
fosse
successo. Ma qualcosa era accaduto eccome. Si buttò
nuovamente
sul letto, col cuore che ancora pareva sul punto di esplodere, e
portò l'avambraccio destro a chiudergli gli occhi, come se
il
candore della stanza avesse il potere di bruciarglieli o di
strapparglieli via.
Per qualche motivo non contemplato ripensò a quella rosa, e
alle parole del suo intrigante compagno d'avventura. E capì.
Non riusciva neppure lui a crederci, ma comprese il reale significato
delle sue affermazioni.
“ Se non riesci a vedere al di là delle
apparenze... ”
ripeté ad alta voce, “ ... non diventerai mai il
numero uno
”
Ecco cosa voleva dire.
Si alzò di scatto e andò a sedersi alla sua
scrivania,
afferrando con entusiasmo la penna riposta nel calamaio.
“ Grazie, razza di idiota ”
Scrisse, scrisse, scrisse. Lo fece fino a sentir dolore alla mano,
fino a che il suo povero polso non chiese umilmente pietà.
Poco importava se non ce la faceva più: oramai aveva
terminato
il suo lavoro, e ne era ampiamente soddisfatto.
Due giorni dopo, però, il suo volto s'incupì per
l'ennesima volta. Di nuovo, era successo di nuovo. Near aveva vinto e
non se ne capacitava – chissà cos'aveva scritto?
-, perché
era certo d'aver scritto una buona riflessione. Breve, certo, ma di
sicuro significativa. Però non gli sarebbe servito a nulla
lamentarsi con Roger, quindi fece buon viso a cattivo gioco e decise
di schiarirsi le idee, facendo una passeggiata in cortile.
Ma, com'era ovvio – forse era uscito apposta? - il suo rivale
si
trovava lì, ed aveva avuto la sua stessa idea; era ancora
una
volta accanto alla famosa rosa, che però stavolta aveva un
aspetto ben diverso da quando l'avevano vista per la prima volta. Ora
era sbocciata, ed era splendida, come quel maledetto che le sedeva
accanto con lo sguardo perso nel vuoto.
“ La prossima volta non vincerai ” disse Mello,
deciso,
rivolgendosi al ragazzino, che alzò gli occhi sulla sua
figura
esile.
“ Forse hai ragione, o forse no... chi può dirlo
con
certezza? ” ribatté lui, “ Sei stato
bravo ” asserì
poi, abbozzando un sorriso. Sembrava sincero. E il biondo lo sapeva,
era perfettamente conscio di essere stato bravo.
“ Vuoi leggermi quelle righe, Mello? Quelle che ritieni
più
significative... ”
Sussultò a tal richiesta. Davvero lui voleva... ?
“ Per favore ” si abbassò addirittura a
pregarlo,
estraendo dalla propria tasca un pezzo del suo puzzle preferito, per
poi iniziare a giocarci.
“ E va bene ”
“ Vi
chiederete perché ho scelto di trattare la rosa.
E' che
trovo sia molto somigliante a noi esseri umani, probabilmente
più
di tutti gli altri fiori.
Avete
presente il periodo di tempo in cui è in boccio? Ecco,
quello
è il momento in cui vorremmo dire qualcosa, però
abbiamo paura o più semplicemente non siamo ancora grandi
abbastanza.
Quando
invece il fiore sboccia, ci sentiamo più sicuri di noi
stessi
ed esterniamo quel che proviamo con maggiore convinzione.
E poi... e
poi appassisce, e i suoi petali si spargono a terra. E' facile
intuire quale istante ciò rappresenta.
Mi
piacciono le rose.
Soprattutto
quelle bianche ”
Probabilmente era il significato dell'ultima frase a non esser stato
captato dalla mente del loro supervisore. Near però l'aveva
compreso perfettamente, e si sentiva stranamente felice. Si
avvicinò
al fiore con fare audace, portando il naso a toccare uno dei suoi
candidi petali per percepirne il delicato profumo.
E Mello lo guardò rapito, pregando che quel momento non
finisse mai.
“ Near... un giorno ti supererò, e sarò io il numero uno... ma fino ad allora resta sempre così bianco, come quella rosa. Poi, quando verrà il momento, ci penserò io a sporcarti, a strappare ad uno ad uno i tuoi petali, a privarti della forza che tieni sopita dentro di te ” pensò, e un ghigno si dipinse sul suo volto.
Maledetta tortura.
Maledetta, bellissima rosa bianca.
Near.
-
Promise
me, when you see, a White Rose you'll think of me...
I will be
you're Ghost of a Rose - [*]
Fine ~
[*] Strofa della bellissima canzone dei Blackmore's Night che da
anche il titolo alla fanfiction, ovvero “ Ghost of a Rose
”;
tradotto letteralmente significa:
- Promettimi che quando vedrai una rosa bianca penserai a me...
io sarò il tuo fantasma della rosa -