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Autore: My Pride    24/12/2009    7 recensioni
«È strano come certe cose cambino le persone.
Prima che tutto questo avvenisse, non avevo mai visto Oka-san comportarsi così
»
[ Missing Moment: Evento RoyEd Marriage del 10/10/10 { 30 } ]
[ Terza classificata al «Flash Contest» indetto da Addison89 { 14 / 20 } ]
[ Sesta classificata al «A contest, a rose and a story!» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco { 26 } ]
[ Storia fuori serie: 16 { Dedicata a Red Robin }, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25 { Dedicata a Red Robin }, 26, 27, 28, 29 ]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Heart burst into fire_Episode 25 Titolo: Regalo di Natale
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 4322 parole ]
Personaggi: Roy Mustang, Jason Mustang, Edward Elric
Genere: Slice of life, Sentimentale, Commedia
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



[ STORIA FUORI SERIE ] EPISODIO 25: “REGALO” DI NATALE

    Era il giorno della vigilia di Natale, precisamente le dieci del mattino.
    Andavo avanti e indietro per casa seguito da Jason, che mi sgambettava dietro vivace come suo solito nonostante non fosse passata nemmeno mezz’ora del suo risveglio. Eravamo entrambi in pigiama, ma avevo messo lui qualcosa di pesante indosso per evitare che prendesse freddo. Non che a South City, durante l'inverno, fosse eccessivo come nelle altre zone di Amestris, però era sempre meglio prevenire che curare in seguito.
    Sbadigliavo di continuo mentre entravo ed uscivo dalle stanze, sprangando finestre e compagnia bella il più in fretta possibile. La valigia l’avevo preparata la sera addietro, mettendo i vestiti che ci sarebbero potuti servire per quella settimana di vacanza a Central City. Esatto, Central City. Almeno quell’anno, avevo intenzione di passare il Natale con il mio fagiolino. Ci vedevamo raramente e, quelle poche volte che era lui a farci visita, cercavamo di stare insieme in tutti i sensi. Ma saremmo andati noi lì, stavolta. C’era solo il piccolo inconveniente che ci eravamo svegliati tardi e non eravamo ancora pronti, per non parlare del fatto che il treno sarebbe partito tra meno di due ore.
    Terminai solo una decina di minuti dopo, adocchiando di sfuggita Jaz quando ci ritrovammo entrambi in cucina per una colazione veloce. Stringeva fra le braccia il suo solito coniglietto, quello che Edward gli aveva regalato un anno addietro, e sembrava vispo e arzillo come non mai, come se tutto quel mio daffare lo divertisse. Infatti s’imbronciò quando lo presi in braccio, costringendolo a star fermo sulla sedia per dirigermi in fretta e furia al frigorifero per prendere il latte. Con altrettanta rapidità, mi voltai e cercai il bollitore per scaldarlo, ma quando aprii il mobiletto mi caddero un paio di cose, facendomi imprecare. Maledetta fretta e maledetto me che avevo avuto la bella pensata di riaddormentarmi alle otto!
    «‘Ka-san, ma perché vai così veloce?» mi chiese Jaz e, voltandomi mentre accendevo il fuoco, lo vidi con il mento poggiato sulla tavola e le braccia penzoloni. Mi astenni dal richiamarlo; non avevo abbastanza tempo nemmeno per quello.
    «Perché se vuoi vedere Oto-san dobbiamo fare in fretta», gli risposi semplicemente, riempiendo il pentolino di latte prima di metterlo a bollire. Mentre aspettavo, aprii l’altra credenza alla ricerca dei biscotti, tirando fuori dal cassetto una tovaglietta per andare a stenderla sul tavolino. «Alza la testa, Jaz», dovetti richiamarlo, sistemando la stessa e poggiando lì accanto anche il pacco di biscotti.
    Con il pupazzetto in grembo, lui si sporse per afferrarli, cominciando come suo solito a sezionare quelli ancora interi. «Ma perché dobbiamo fare in fretta?» mi chiese ancora, ripetendo le mie parole mentre mangiava qualche biscotto e mi guardava. «‘To-san non ci aspetta?»
    Magari fosse stato così semplice. Anche quello, però, lo tenni per me, andando a controllare il latte. Non lo scaldavo mai completamente. «Dobbiamo prendere il treno, Jaz, lo sai», dissi, portandogli una tazza fumante qualche minuto dopo, e lui vi soffiò sopra, prendendola con entrambe le manine e bevendo piano il contenuto fino a svuotarla del tutto. Quando la posò nuovamente sul tavolo, aveva la bocca sporca di latte.
    Ridacchiai un po’, permettendomi almeno il lusso di fare colazione anch’io. «Pulisciti la bocca, Jaz», feci.
    «‘Ka-san...» si lagnò in risposta, guardandomi con quegli occhioni azzurri.
    Io, che mi ero riempito a mia volta una tazza di latte e me l’ero portata alle labbra per bere un sorso, ricambiai l’occhiata con un enorme sorriso quando l’allontanai. «Fai così», mi evitai di ridacchiare, leccandomi le labbra.
    Anche se incerto - ben ricordando l’ammonimento di Ed, quello di non imitarmi -, alla fine se ne infischiò e si leccò a sua volta le labbra, sporgendosi per prendere un altro biscotto. Se l’avesse saputo il mio fagiolino, il sesso l’avrei visto solo con un binocolo, quindi era meglio tenere la bocca chiusa.
    Finimmo la colazione una buona manciata di minuti dopo e, mentre io mi occupavo delle tazze, Jaz cercava di aiutarmi come poteva prendendo il pacco di biscotti e togliendo la tovaglietta. Scese dalla sedia e sgambettò verso di me con quelle due cose fra le mani, porgendomele tutto pimpante per essere stato utile. Gli sorrisi, scompigliandogli i capelli quando mi asciugai le mani, ma lo vidi comunque arricciare il naso, dato che l’odiava.
    Usciti dalla cucina, ci fiondammo nella sua stanzetta, facendo passare quella fretta per un gioco.
Pensai prima ai suoi vestiti, prendendo quelli più pesanti che trovai. A Central il freddo non sarebbe stato così mite, e aveva quindi bisogno d’indossare qualcosa di molto caldo, all’andata, per evitare così che prendesse freddo dopo. Raggruppato il tutto, presi Jaz per mano vedendolo dare i primi cenni di stanchezza con uno sbadiglio, sebbene sembrasse più sveglio lui che io. Ci dirigemmo infine nella mia stanza e, lasciatolo andare per dirigermi all’armadio, lo vidi buttarsi sul piumone e arraffare il mio orologio d’argento che stanziava sul comodino, tutto senza abbandonare il suo coniglietto.
    Mi venne da ridere nel ricordare quanto quel mio riconoscimento come Alchimista di Stato gli piacesse, decidendo infine di passare anche al mio vestiario. Secondo i canoni di South City, quella mattina era più fredda delle altre, quindi avrei fatto bene ad optare per qualcosa di ben più pesante del solito anche per me. Una volta che ebbi pensato anche ai miei abiti, mi scaldai entrambe le mani mentre mettevo tutto sottobraccio. Guardando Jaz, poi, non potei non sorridere. Con quel maglione più grande di lui a tenerlo caldo, era buffo e d’una dolcezza unica al tempo stesso. Più lo guardavo, più mi sembrava ieri che l’avevamo adottato.
    Sentendosi probabilmente osservato, abbandonò lo studio dell’orologio alzando il visino verso di me, intrappolandomi inesorabilmente con quei suoi occhi celesti. Ancora mi stupivo che avessero una presa del genere, e non solo con me, ma con chiunque li guardasse. Prima di dimenticarmene, comunque, andai all’armadio alla ricerca del mio giaccone e del cappotto di Jaz, attento allo scorrere del tempo.
    «Che ore sono, Jaz?» gli chiesi, scansando i cappotti più leggeri per prenderne uno pesante per lui e il solito per me.
    Jaz ci mise un po’ a rispondermi, dapprima cincischiando con il coperchietto per leggere, anche se forse poco convinto, l’ora. «La grande sta sul sei», disse infine, e sentii subito dopo lo scatto e il rumore della catenella dell’orologio sul legno. Erano le dieci e mezza, quindi. Avevamo perso mezz’ora ed eravamo ancora in pigiama. Davvero perfetto! Ed il mio era puro sarcasmo. Stavo per dirigermi alla porta e chiamare Jaz, quando quest’ultimo mi anticipò e si aggrappò ai calzoni, strattonandomi come ad impormi di darmi una mossa. «Svelto ‘Ka-san, voglio andare da ‘To-san!» esclamò difatti, tutto pimpante come prima, agitando nel contempo il coniglietto.
    Mi ritrovai a ridacchiare, offrendogli ancora una volta una mano prima di dirigerci entrambi in bagno. Lì faceva più freddo delle altre stanze, tanto che dovetti tornare in corridoio per prendere la stufetta e portarla lì. Andai quindi alla doccia, scansando la tenda che la separava dal resto del bagno per far scorrere l’acqua calda, squadrato da un attento Jaz che si crogiolava al calore della stufa. E mentre facevo questo, mi ritrovai stupidamente a pensare che quella mattina della vigilia di Natale, di magico, non aveva proprio niente. Quelle erano cose che facevamo tutti i santi giorni e per me, come data, indicava solo la nascita del mio compagno. Dovetti scuotere la testa per scacciare quei pensieri e muovermi, se non volevamo tardare ancora. Con lo scrosciare dell’acqua nelle orecchie, tornai da Jaz, lottando con lui nel tentativo di fargli togliere il pigiama.
    «Fa freddo, ‘Ka-san!» si lagnò, sfuggendomi con il pupazzetto fra le braccia.
    Sospirai, già esasperato. Era una vera e propria condanna. «Jaz, devi lavarti e vestirti», lo ammonii, cercando di riacciuffarlo. «Andiamo, su, anche Oka-san deve lavarsi!»
    «E allora lavati!» ribatté, sgusciando via proprio quando credetti d’averlo preso. Quel bambino era terribile, davvero. Una mina vagante, una calamità naturale.
    «Jaz, vuoi o non vuoi andare da Oto-san?» feci, provando a spronarlo in quel modo e a farmi finalmente ascoltare. Aye, lo sapevo: era un colpo basso.
    «Ci voglio andare, ma fa freddo!» replicò subito, facendo sfumare ogni mio possibile piano. A quanto sembrava, non aveva affatto funzionato.
    «Ma non puoi restare in pigiama e non lavarti!» cercai di farlo ragionare, tentando ancora una volta di acchiapparlo, ma mi sfuggì da sotto le gambe, avvicinandosi alla porta.
    «Sì, invece!» ribatté per l’ennesima volta, facendomi esasperare ancor più di quanto già non fossi.
    Alla fine, dopo un tira e molla generale, avevo passato una ventina di minuti buoni a rincorrerlo per il bagno e per casa, riuscendo ad acciuffarlo soltanto per pura fortuna. Fatto stava, però, che avevo perso un mucchio di tempo ad inseguirlo e, tanto per cambiare, indossavamo ancora il pigiama. Una mattina di Vigilia davvero movimentata, e non erano ancora le undici!
    «Fa freddo!» si lagnò ancora quando, finalmente, riuscii a togliergli la parte superiore del pigiama. Cercava ancora di scappare, incredibile.
    «Ho acceso la stufa apposta, Jaz, non fa così freddo!» ribattei, mettendoci ancora un’altra manciata di minuti infernali prima di riuscire a levargli del tutto i vestiti e a fargli fare quella benedetta doccia. Purtroppo la vasca era fuori uso a causa dei rubinetti da cambiare, quindi bisognava accontentarsi. Cercare di farlo stare fermo e nel contempo lavargli i capelli, però, fu un’altra terribile lotta che vide me perdente. Non solo mi aveva inzuppato il pigiama da capo a piedi ma, approfittando del fatto che mi ero allungato un po’ oltre la doccia per prendere il sapone, se l’era data letteralmente a gambe. Quando lo riagguantai, dovetti gettarmi anch’io sotto la doccia per evitare che fuggisse ancora e per tentare di guadagnare un po’ di tempo. Era quello che era, purtroppo, e rischiavamo di far tardi.
    Abbandonai il mio pigiama zuppo nel cesto dei panni, tornando ad occuparmi di Jason e, soprattutto, dei suoi capelli pieni di schiuma. Dovetti persino tenerlo fermo per sciacquarlo da quella montagna bianca che sembrava neve. «Jaz, collabora un po’, dai!» fu il mio turno, stavolta, di lagnarmi come un poppante. Ero sicuro che le undici fossero belle che passate, sebbene non ne avessi la certezza. Ed io ero ancora con i capelli mezzi asciutti e il corpo insaponato a chiazze. Che era preso a Jaz proprio non lo sapevo, poiché di solito era tranquillo quando si trattava di lavarsi. Anzi, spesso e volentieri giocavamo pure quando faceva il bagno, solo con mia madre si comporta-...
    Fu a quel pensiero che interruppi il flusso dei miei ragionamenti, non continuando la frase che la mia mente stava formulando. Natale voleva dire festa a Central City; Central City voleva dire vedere Edward e festeggiare con lui anche il suo compleanno in compagnia d’amici ma, soprattutto, Central City voleva dire mia madre. Sicuramente si sarebbe auto-invitata come suo solito, e volli dare ragione a Jaz per quel suo modo di comportarsi, anche se forse lo stava facendo inconsciamente.
    Ci vollero ancora una decina di minuti buoni prima che riuscissi a lavarlo e a fare lo stesso con me. Avevo chiuso l’acqua della doccia e avvolto lui nell’accappatoio, portandolo accanto alla stufa mentre, alla ricerca del mio, rabbrividivo per il freddo. Dovetti persino subirmi le occhiate imbronciate del mio moretto per tutto il tempo, anche quando, una volta trovato ciò che cercavo, mi avvicinai a lui con un asciugamano per passarglielo fra i capelli e liberarli dall’acqua in eccesso. Provò a scansarmi più volte senza successo, decidendo di lasciar perdere e poggiare anche le sue manine sulle mie come per aiutarmi. E meno male che aveva deciso di collaborare... alla buon’ora!
    Ben asciutto, passai al suo vestiario. Tra sciarpa, guanti e quant’altro, tutto imbacuccato era ancor più buffo di prima. Mi scappò solo un piccolo sbuffo ilare, ma fu abbastanza per richiamare la sua attenzione. «Perché ridi, ‘Ka-san?» mi domandò, gonfiando le guance mentre strofinava le manine fra loro.
    Scossi la testa, limitandomi a sorridergli in risposta e a finire di abbigliarlo. «Niente, piccolo», risposi, facendolo imbronciare maggiormente.
    «Non sono piccolo!» cantilenò, stupendomi non più di tanto. Era una cosa che capitava come minimo dieci volte su dieci quando mi sfuggiva quell’aggettivo. In senso affettivo, sia chiaro. Mica lo chiamavo così perché mi divertivo! O forse sì, dato che mi ricordava il mio fagiolino... ma era meglio non dirlo, aye?
    Dopo un altro bel po’ di tempo, riuscito a vestirmi a mia volta, sistemare quanto potevo in giro e preso la valigia, ci trovammo finalmente ad avventurarci alla volta della stazione. Nemmeno arrivati, ci toccò fare una corsa per riuscire a prendere il treno. Le undici precise. Quel treno aveva davvero spaccato il minuto con la sua puntualità, diavolo! Di solito bisognava aspettare svariato tempo prima di vederlo sfrecciare sulle rotaie.
    Il viaggio fu movimentato quanto la mattinata passata a casa: Jaz, che da quando l’avevamo preso la prima volta era diventato insofferente a viaggiare in treno, non la smetteva di lamentarsi o scappare via, costringendomi a fare avanti e indietro fra le varie carrozze per rincorrerlo. Fu una manna dal cielo quando, finalmente, sentii annunciare la nostra destinazione. Raccattai la valigia e presi Jaz per mano, così da evitare che fuggisse ancora una volta chissà dove; tra il via vai di persone presenti alla stazione, cercai quella che interessava me, dovendo faticare non poco per tener fermo il mio moretto quando anche lui la notò.
    «‘To-san!» lo chiamò a gran voce, non riuscendo a sovrastare il chiacchiericcio presente, ma con voce abbastanza alta e chiara per essere udito.
    Edward ci vide e si diresse verso di noi, facendo slalom fra i presenti e, dopo amorevoli saluti e abbracci con Jaz - noi, purtroppo, ci accontentammo di una stretta di mano che il nostro piccolo adocchiò stranito -, ci dirigemmo tutti e tre alla macchina che ci attendeva; a
prii la portiera dal lato del passeggero, accomodandomi sul sedile con Jaz per passare alla cintura di sicurezza che lui prendeva nervoso, come se cercasse di togliersela. Edward, invece, una volta preso posto a sua volta, inserì le chiavi nel quadro e partì alla volta del nostro appartamento. Chiacchierammo per tutto il tragitto, parlando di tutto ciò che, in quel piacevole momento, poteva venirci in mente. Se avessimo continuato così, non avremmo avuto più argomenti per il resto della settimana.
    Quando arrivammo, e mi ritrovai ad osservare ogni minimo particolare di casa, mi sentii il sorriso solcare le labbra.
Non solo perché mi era mancata ogni singola cosa lì presente, bensì perché Edward aveva anche addobbato casa, persino il salotto; Jaz si agitò un po’ fra le mie braccia, sgusciando via per sgambettare verso il grande albero di Natale posto all’angolo della stanza. Sembrava guardarlo estasiato e divertito. Si stancò ben presto, ma solo per correre in corridoio e tornare con i suoi pupazzetti, trovati chissà dove. Oltre il solito coniglietto, che non aveva categoricamente voluto lasciare per tutto il viaggio, aveva con sé anche un orsacchiotto e qualche soldatino di piombo, piccole miniature che risalivano quasi alla mia infanzia. Si sedette poi accanto all’albero, cominciando a giocare felice mentre le luci colorate danzavano allegre sul suo visino.
    Edward ridacchiò sereno e io gli lanciai un’occhiata, vedendo il sorriso che si era dipinto sulle sue labbra. Sorrisi anch’io, adocchiando Jaz prima di tornare ad osservare, forse troppo interessato, il mio compagno. Posai una mano sul suo braccio e intrecciai le dita intorno ad esso, richiamando la sua attenzione e facendolo sbattere le palpebre con fare perplesso.
    «Devo parlarti un attimo», risposi con semplicità.
    «Parlarmi, eh?» ripeté ironico, ma mi limitai ad annuire senza rispondergli, gettando un’altra occhiata a Jason prima di trascinarmi Ed nel corridoio, fino in camera. Forse intuendo il mio voler parlare, incrociò le braccia al petto mentre s’accomodava sul letto, arcuando un sopracciglio. «Beh, parla. Ti ascolto». mi disse, sarcastico come non mai. Si era già mangiato la foglia, purtroppo per me.
    Alzai entrambe le mani in segno di resa, avvicinandomi a lui per chinarmi verso il suo viso. Non cercai nessun contatto, mi limitai solo a respirare il suo profumo. Una leggera essenza di sapone, nessuna acqua di colonia. Quando gli poggiai le mani sulle spalle, però, cercando di avvicinare il mio volto al suo, mi posò un dito sulle labbra, guardandomi male.
    «Roy... c’è Jaz», mi ammonì con un tono che non ammetteva repliche, e a quel dire mi imbronciai come un bambino.
    «Solo un bacio, davvero», insistetti dopo aver allontanato il suo dito, facendo scivolare le mani lungo le sue braccia.
    «So fin dove arrivano i tuoi baci», replicò, anche a ragione. Ogni volta che dicevo “Solo un bacio” o parole simili, si finiva sempre per andare un po’ oltre.
    «Non questa volta, sul serio», ribattei ancora una volta, facendo pressione con le mani sulle sue braccia nonostante provasse ad opporsi. Lo distesi sul letto, vedendolo dilatare gli occhi dorati mentre li fondeva con i miei. Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai a cavalcioni su di lui, e tanti cari saluti al “Solo un bacio”.
    «Ho detto di no, Roy», mi smontò immediatamente, facendomi vacillare un po’, ma mi chinai comunque verso il suo volto, tanto che, se mi fossi sporto ancora, avrei potuto sfiorargli le labbra.
    «Non voglio fare quello che pensi, dico davvero», provai a farmi ascoltare ma, quando ci trovammo con le labbra quasi unite, sentimmo una voce proveniente dal corridoio. Subito dopo, un piccolo tornado si gettò sul letto, costringendomi ad allontanarmi. Ancor prima che potessi realizzarlo, fu proprio Jason ad appropriarsi del mio posto, stringendosi ad Edward con quel suo solito e innocente sorriso dipinto sulle labbra.
    Ed sorrise prima di passargli una mano fra i capelli per scombinarglieli, e risero entrambi con fare divertito, come dimentichi di me. Dovetti ammetterlo. In quel momento, nel vederli, ero geloso di mio figlio. Borbottai fra me e me con il chiaro intento d’andarmene e concentrarmi sulla cena ma, prima ancora che potessi alzarmi, Jason si lanciò sulla mia schiena appendendosi ad essa, cingendomi il collo con le braccia.
    «Dove vai, ‘Ka-san?» mi chiese, poggiando la testolina mora contro la mia.
    Mi diedi dello stupido per quella mia gelosia, ritrovandomi a sorridere mentre mi voltavo un po’ verso di lui per incrociare i suoi occhi. Anche Edward s’era messo a sedere sul materasso, e mi guardava con un cipiglio ironico dipinto in volto. «Che ne dite se ce ne andiamo in cucina?» suggerì lui, aggirando il letto per rimettersi in piedi e porgere a me una mano.
    La guardai scettico, sollevando un sopracciglio mentre m’alzavo a mia volta. Portai le braccia dietro alla schiena per sorreggere Jaz, tenendolo per le ginocchia, e lui strinse automaticamente la stretta intorno al mio collo. «Ehi, così mi soffochi...!» lo richiamai, mezzo divertito.
    Lui rise, allentando la presa per poggiare il capo sulla mia schiena e sbadigliare, anche se sembrava ben lungi dall’addormentarsi. Vidi Edward lanciargli una rapida occhiata per accertarsene, intercettando il suo sorriso mentre mi faceva cenno di seguirlo fuori dalla camera. Pazienza, mi ritrovai a pensare, riguardo al nostro piccolo “discorso”. La giornata non era ancora finita, avevo tempo per riprovarci.
    Tra risate, schiamazzi e qualche discorso senza capo né coda, cominciammo a preparare il cenone e ad abbellire la cucina. Mentre Edward si occupava della cena, io e Jaz ci spostammo in salotto, dove passammo il tempo tra gli scatoloni mezzi pieni in cui erano rimasti ancora degli addobbi da appendere in giro. Ci eravamo seduti entrambi sul grande tappeto, uno più bambino dell’altro mentre, ridendo e borbottando fra noi - esattamente come dei bambini, ma lui a differenza mia poteva permetterselo -, scartavamo quelli che sembravano a prima vista i più mal ridotti e tiravamo invece fuori festoni rossi e dorati. Trovammo persino del pungitopo e un paio di piccoli babbo natali di stoffa, uno dei quali Jaz, alzatosi, andò a mettere su un ramo dell’albero per sgambettare poi verso l’ingresso, forse per posare l’altro sul ripiano del telefono. Ritornò subito dopo tutto soddisfatto, avvicinandosi ad uno scatolone per scavare ancora al suo interno, quasi cadendoci dentro visto che era più grosso di lui.
    Mi rialzai dal tappeto con un sorriso, andando ad aiutarlo per evitare che finisse davvero lì dentro. Nel far questo, però, trovai qualcosa che richiamò la mia attenzione. E fu con un altro sorriso che mi chinai per prenderlo, sentendo su di me lo sguardo azzurro di Jason. Fece vagare gli occhi sull’oggetto che reggevo al mio volto, portandosi un ditino alle labbra.
    «Che cos’è quello, ‘Ka-san?» mi domandò curioso, ma gli feci cenno di non dire niente mentre m’allontanavo un po’, con i pensieri diretti alla cucina. O, più precisamente, ad un biondino lì presente.
    «Jaz, Oka-san torna subito», gli dissi semplicemente, anche se il mio tono non prometteva nulla di buono. «Non ti muovere, mi raccomando».
    «E perché, ‘Ka-san?» replicò ancora una volta, però gli ripetei nuovamente quella raccomandazione prima di filare in cucina. Per mia fortuna, Edward era girato di schiena. Un’occasione più che perfetta, quella.
    Mi avvicinai a passo felpato, tenendo ben stretto fra le dita quello che per me, in quel momento, rappresentava quasi un prezioso tesoro.
Quando giunsi dietro al mio caro compagno, però, alzando quell’oggetto oltre la sua testa e avvicinandomi al contempo per bramare un bacio, due fredde dita d’acciaio mi sfiorarono al di sotto del mento, facendomi deglutire. Un paio d’occhi d’ambra, subito dopo, si fusero inesorabilmente con i miei.
    «Bella prova, genio», disse ironicamente. «Sapevo che ci avresti provato non appena avresti trovato quel vischio. Ti conosco fin troppo bene».
    Che scopa torta. Eppure ero sicuro di riuscirci, stavolta. Fu tranquillamente che tornò a preparare la cena, senza degnarmi più d’uno sguardo o d’una parola. E a me, a quel punto, non toccò fare altro che dirigermi nuovamente in soggiorno, dove trovai Jaz a giocare con i festoni rimasti. Non potei evitarmi di sorridere, a quella scena. Almeno c’era lui a mettermi di buon umore.
    Il resto del pomeriggio lo passammo così, ad addobbare casa e ad aiutare occasionalmente Edward con i preparativi della cena o del tavolo su cui l’avremmo consumata. Solo verso le otto e mezza si presentarono tutti gli altri, allegri e spensierati; c’era chi aveva portato dolci allo zenzero e champagne, chi un panettone per completare il quadro. Subito dopo arrivò, proprio come aveva immaginato, mia madre in compagnia d’un uomo che non avevo mai visto, subito seguita da mio padre che sembrava un cane bastonato. Non volli dire nulla, limitandomi solo a salutarli e a farli entrare. Tra schiamazzi e risate, litigate dei miei e la colpa di tutto che veniva scaricata come sempre su di me, il mettersi in mezzo del compagno di mia madre per provare a calmare le acque e qualche battuta fuori luogo da parte di Maes, giunse ben presto il momento di consumare dolcetti e liquore, contornato persino dall’arrivo improvviso di Armstrong che, quasi come ogni anno, non mancò di spaventare i bambini con la sua mole massiccia di muscoli.
    Fu quando la serata finalmente si concluse e tutti tornarono alle proprie case che potei sentirmi un po’ sollevato, stiracchiandomi tranquillo prima di mettermi a letto.
Edward si era già infilato sotto le coperte dopo aver pensato a Jaz, e si voltò appena verso di me quando sentì il mio peso posarsi sul materasso. Mi augurò buonanotte e mi baciò fuggevolmente, e io mi allungai verso il comodino per spegnere l’abat-jour prima di coprirmi bene con il piumone.
    Sbadigliai sonoramente, già pronto ad assopirmi, quando un pensiero mi folgorò facendomi aprire nuovamente gli occhi. «Stavo quasi per dimenticarmene», feci, sentendo appena un suo mugugno infastidito; non gli badai e mi sporsi verso di lui, puntellandomi su un gomito in modo da riuscire a sfiorargli le labbra con le mie in un casto bacio. Nella penombra, lo vidi sbattere un po’ le palpebre, come sorpreso, prima che fondesse i suoi occhi dorati con i miei. Gli sorrisi, sistemandomi fra le coltri mentre stringevo il suo corpo nel mio abbraccio. «Mi spiace non avere un regalo, dovrai accontentarti di questo abbraccio», gli mormorai, strofinando il viso fra i suoi capelli, e lo sentii arretrare maggiormente per far aderire la sua schiena al mio petto.
    «A me basta la presenza delle persone, dovresti saperlo», ribatté lui fra uno sbadiglio e l’altro.
    Ridacchiai, poi mi sporsi per prendere l’orologio dal comodino. Non era ancora mezzanotte, bene. Mancavano giusto pochi minuti, ero ancora in tempo. Tornai abbracciato a lui, beandomi del suo corpo contro il mio. «Ma io non parlavo del regalo di Natale», replicai ancora una volta, stringendolo sempre più possessivo a me.
    Edward sbadigliò ancora e scrollò le spalle, almeno per quanto la posizione in cui era glielo permettesse. «E di cosa, allora?» chiese, più nel mondo dei sogni che davvero lucido.
    Mi lasciai sfuggire un altro sbuffo ilare, anche se un tantino incredulo. Come poteva essersene dimenticato? Beh, ci avrei pensato io, allora, a ricordarglielo. «Buon compleanno, Ed», dissi con dolcezza, vedendolo finalmente voltare il capo nella mia direzione e, dall’espressione che gli vedevo in volto, sembrava essersi davvero dimenticato del suo compleanno. Ma si riprese subito e mi sorrise, girandosi del tutto verso di me per affondare il viso nel mio petto e bearsi del calore che, pian piano, stava avvolgendo entrambi in quella sera d’inverno mentre i minuti passavano, facendo scoccare del tutto la mezzanotte e il nuovo giorno.
    Forse, adesso, avevo capito. Stare insieme l’uno con l’altro, festeggiare quel giorno con nostro figlio e gli amici... che fosse quella la magia del Natale?








_Note inconcludenti dell'autrice
Che emozione, ragazzi/e, che emozione!
La seconda vigilia che passiamo tutti insieme, e proprio come l'anno scorso vi regalo questo piccolo dono per augurarvi un buon Natale in compagnia di famiglia e amici!
Questo capitolo è dedicato al mio alter ego Red Robin per il suo compleanno ♥
E voi, mi raccomando, passate una bella vigilia di natale e cercate di divertirvi, che anche se viene una volta ogni anno il natale va passato in famiglia e bisogna mangiare il più possibile! *e ti pareva che andava sempre a finire sul cibo, lol*
 
Ricordiamo inoltre
:
Adesso, con un nuovo augurio a voi e a RR, vi saluto!
Mianntan!




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