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Autore: MissChatterbox    24/12/2009    2 recensioni
Viviana e Merlino: un amore che attraversa il tempo. Questa è la loro storia. Dedicato a Ilakey_chan: Buon Natale, cara.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri | Coppie: Nimue/Viviana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Ilakey_chan, la cui fic Le Donne di Merlino mi ha dato ispirazione. Buon Natale.

La Bambina della Foresta

La Foresta silenziosa risplendeva come oro nella luce del tramonto, che si diffondeva morbida sulle superfici cristalline del Lago. Nelle sue increspature, tanto sottili da non turbarne la tranquillità, si specchiavano le alte cime degli alberi antichi e nodosi. Nonostante la bellezza del panorama, tuttavia, nessun viandante solitario avrebbe indugiato più del necessario tra le coltri verde scuro delle piante ricoperte di muschio, neanche se costretto: per timore di perdersi. Perché quella foresta di arcana bellezza, si sussurrava, era custodita da una donna dai potenti poteri magici, una donna fatata. E Viviana, figlia di Dionas, sapeva che quelle chiacchiere non si allontanavano poi molto dalla verità. Suo padre il re era stato il figlioccio di una dea, dopotutto, il che bastava da solo a fare di lui- e di lei, di conseguenza - una creatura fuori dall'ordinario. Una creatura che, lo aveva sentito fin da piccolissima, mentre cercava la solitudine nel sovraffollato palazzo della duchessa di Burgundia, che era stato la sua prima casa, sarebbe per sempre stata incapace di vivere nel Mondo. Le dame del palazzo avevano occhieggiato la piccola Viviana dagli ardenti occhi di brace dalla loro altezza slanciata come un essere alieno, lo stesso trattamento riservato al figlioccio della dea dai capelli scuri e l'aria cupa. Il vedovo figlioccio della dea, che spesso cercavano di trascinare nelle loro stanze con calici di vino e parole suadenti. Invano. Dionas aveva amato troppo la madre della sua bambina-fata per cedere alle loro lusinghe, anche dopo che la sua adorata moglie lo aveva lasciato. Schivo e riservato, a differenza della maggioranza dei cavalieri, che la piccola Viviana paragonava a grossi orsi pelosi e chiassosi, Dionas cercava la tranquillità, e la trovava insegnando alla sua erede le scienze delle piante e delle stelle, portandola persino con sé – cosa inaudita e profondamente disapprovata – nei suoi viaggi più lunghi.

Viviana aveva dieci anni quando Dionas l'aveva messa su una carovana e l'aveva condotta nella sua futura casa: la foresta di Broceliande. Erano passati innumerevoli anni da allora – molti più di quanto volesse ricordare, in ogni caso – e Viviana rammentava alcune cose meglio di altre: aveva una vaga memoria della scomodità del suo viaggio, della voce rassicurante di suo padre. Scolpita nella mente era invece la sua reazione alla Foresta. E la reazione della Foresta alla bambina-fata. Viviana la solitaria aveva sentito un senso di appartenenza così forte e inaspettato ad ogni foglia che pendeva dagli alberi da esserne quasi sopraffatta. “ Benvenuutaa” erano sembrate sussurrare le fronde nodose a quella che sarebbe divenuta la loro custode. Ricordava di aver appoggiato una manina sulla corteccia di un abete, e di averne percepito l'energia scorrere fin nelle viscere; era stato anche il primo episodio di Vista vero e proprio. O almeno, il primo che riconobbe. Certo, in altre occasioni aveva dimostrato una certa attitudine per gli indovinelli, o saper leggere l'umore degli altri, ma quella che si era formata dietro ai suoi occhi quel giorno era stata una vera e propria immagine: un enorme, e allo stesso tempo delicatissimo, palazzo di cristallo traslucido e luminoso che si ergeva nel mezzo di quella che allora non era che un ampio spazio erboso. La sua futura dimora. La carovana aveva sostato nelle vicinanze un giorno e una notte, ma poi era stata costretta a partire; Viviana non era con lei. Dionas era suo padre, ma era pur sempre un iniziato: la sua madrina gli aveva inviato un sogno in cui gli ordinava di lasciare nella Foresta la sua bambina. In cui lo rassicurava che la Foresta l'avrebbe celata da ogni pericolo. La giovane aveva guardato suo padre svanire in lontananza sorreggendosi ad un albero, le guance rigate di lacrime per la mancanza che già sentiva di lui; tuttavia, conosceva ormai l'ineluttabilità del suo destino e lo aveva accettato di buon grado: non era più Viviana di Dionas, ma di Broceliande. E la Foresta divenne a tutti gli effetti sua madre. Le procurava cibo e riparo nel suo labirinto di strade, sia dalla pioggia che dagli esseri umani; Viviana contava i giorni sulle paresti della grotta che la ospitava, studiava il movimento delle stelle e le proprietà medicinali delle piante, nella più totale tranquillità. Filava, tesseva, protetta dal Mondo. Nessuna ombra turbava il suo destino di serena solitudine, ma in un angolo della mente restava impressa l'immagine del palazzo di cristallo. Quando si sentiva particolarmente inquieta, Viviana si incamminava nel folto della Foresta, verso la sacra fontana di Bareton, un luogo sconosciuto ai più ma che, Viviana aveva sentito dire con un certo divertimento da uno dei rari viandanti di passaggio, era la fonte dell'eterna giovinezza. Personalmente, trovava quella piccola fonte un po' troppo scialba per essere portatrice delle qualità prodigiose che le si attribuivano; nondimeno, trovava la camminata rilassante ed il luogo pacifico. Quel giorno, circa cinque estati dopo il suo arrivo nella Foresta, aveva avuto davvero bisogno di dar pace al suo spirito, turbato dalle vaghe visioni inviatele dal Dono: troppo sfocate per distinguerne il contenuto, l'avevano fatta girare e rigirare nel giaciglio, finché non aveva deciso di alzarsi. La strada per la fontana non era poi molta, se sapevi dove andare, e Viviana aveva percorso la Foresta in lungo e in largo alla ricerca di cibo e piante per anni: in breve era giunta a destinazione. La sua testa era ancora piena delle visioni nonostante il cammino, aveva constatato con una certa irritazione, così aveva immerso una mano nell'acqua e si era rinfrescata le tempie, osservando il proprio riflesso. Una faccia pallida e magra aveva risposto alla sua occhiata, una faccia che conservava vaghe traccie della bambina-fata. L'ossatura si era assottigliata, gli zigomi erano pronunciati come quelli di Dionas, le labbra erano più piene, ma gli occhi erano gli stessi. Era rimasta a contemplarsi a lungo, persa nei suoi pensieri, tanto da non accorgersi che un altro riflesso si era unito al suo. Aveva sollevato la testa di scatto, incontrando lo sguardo grigio pallido che aveva visto nell'acqua. Istintivamente, aveva fatto un passo indietro per osservare meglio l'uomo a cui apparteneva. Più che un uomo, poteva essere un ragazzo, non molto più grande di lei: cinque estati al massimo. Nonostante ciò, il viso liscio e cereo, incorniciato da capelli raccolti in treccine così pallidi da sembrare bianchi, emanava una saggezza superiore all'età fisica. Una saggezza antica. Antica saggezza a parte, le parve esausto: cerchi neri segnavano gli occhi chiari, e le guance erano incavate: un altro viandante. Viviana non aveva mosso un muscolo. Certo, pur essendo vissuta nella Foresta per anni, ricordava ancora l'elegante educazione ricevuta in Burgundia; ma lei non era più una figlia del palazzo, ma della Foresta, e come ogni sua creatura era sempre pronta a fuggire. Il Viaggiatore si era sporto verso l'acqua con le mani a coppa, senza dire una parola, sotto lo sguardo vigile della ragazza-fata; anche se il suo atteggiamento voleva far intendere il contrario, sapeva che lo teneva d'occhio, e ricambiava la cortesia. Poi, all'improvviso, le sue gambe avevano ceduto, e si era accovacciato respirando pesantemente. Viviana aveva esitato anche allora: sapeva che, se ci fosse stato da temere, la Vista l'avrebbe avvertita; ma anche così, non era certa di volersi caricare del peso di quel Viaggiatore più morto che vivo. Poi, gli occhi grigi, appena socchiusi, l'avevano trapassata e qualcosa in essi l'aveva convinta a muovere qualche passo avanti e a circondare col braccio le spalle del ragazzo-vecchio. Avevano zoppicato così fino al suo rifugio. Non si erano scambiati neanche una sillaba. La successiva settimana l'aveva passata tra i vapori dei decotti di erbe, lavando e cambiando il Viaggiatore, che ogni tanto gemeva nel sonno febbricitante. Aveva comunque cercato di essere più delicata possibile; le sue mani si erano rivelate sorprendentemente gentili. Un giorno, di ritorno dal fiume, lo aveva trovato seduto sul suo giaciglio come se niente fosse, intento alla lettura di una delle mappe stellari che lei aveva compilato. Se ne era rimasta sulla soglia della grotta, ridotta al silenzio dall'indignazione - quelli non erano di certo affari suoi! - mentre con tranquillità il Viaggiatore la salutava senza neanche alzare gli occhi: << Mi fa piacere che siate tornata, madamigella. Volevo ringraziarvi per le vostre gentili cure. >> Aveva sollevato gli occhi grigi, e della saggezza non era rimasta più alcuna traccia. Si stava evidentemente riprendendo: il suo sguardo rivelava una certa vivacità. Viviana aveva stretto le labbra. Con un secco cenno del capo aveva poggiato a terra la brocca, voltandogli le spalle. << Potrei avere il piacere di conoscere il vostro nome? >>, aveva domandato il Viaggiatore quando il silenzio si era protratto a lungo. Quando Viviana parlò, la sua voce suonò un po' roca per il lungo mutismo: << Dovreste rimanere sdraiato. >>, gli consigliò – anche se era suonato molto più come un ordine che come un consiglio. Si era chinata verso di lui, lo aveva afferrato per le ascelle e lo aveva fatto distendere sul giaciglio. Con sua vaga sorpresa, il volto ancora pallido del ragazzo si era arrossato. Gli aveva messo una mano sulla fronte, e il rossore era aumentato. << Con tutto il rispetto, madama, sto abbastanza bene, ora. >> Viviana aveva fatto un sorriso un po' storto: << Non sareste in grado di stare in piedi per più di un minuto. Datemi retta e sedetevi. Riposate, se non volete rovinare tutto il mio duro lavoro. >> Stranamente, il ragazzo le aveva dato ascolto. Viviana aveva sentito i suoi occhi su di sé mentre preparava un pasto caldo per entrambi. Era seguita una interessante convivenza con quel ragazzo che si era rivelato piuttosto ciarliero per essere un druido – come aveva confidato in uno dei suoi lunghi monologhi, a cui la ragazza rispondeva solo occasionalmente. Era passato molto tempo prima che finalmente gli avesse detto il suo nome. << Certo, siete davvero insistente. >>, aveva sbottato un giorno al suo indirizzo. Il ragazzo – Merlino, aveva detto di chiamarsi – aveva ribattuto che presentarsi era una delle regole basilari dell'educazione. << Cosa vi fa pensare che io ne abbia avuta una? >>, gli aveva chiesto, sarcastica. << Difficile credere che una fanciulla che compila carte stellari sia priva di educazione, non trovate? >>, aveva risposto con leggerezza. Viviana aveva sospirato, sconfitta. << Bene, allora. Il mio nome è Viviana, figlia di Dionas. >> Lui le aveva afferrato la mano, portandosela alle labbra con una fare cortigiano che proprio non si adattava alla sua supposta condizione di futuro saggio. << Piacere di conoscervi, Viviana. >> La ragazza aveva ritirato la mano di scatto: << Forza, ora. E' tempo della passeggiata serale. >> Mentre lo aiutava ad alzarsi, aveva notato che la superficie di pelle che le sue labbra avevano sfiorato era divenuta rossa.

Era stato durante una di quelle passeggiate che Merlino aveva scoperto il dono di Viviana.

Da quando aveva appreso il suo nome amava pronunciarlo continuamente: << Viviana, guardate che bellissimo fiore! >>, << Viviana, vi si è sciolta una treccia. >> << Viviana , quella brocca è troppo pesante per voi.>> E lei - la sacerdotessa e figlia diletta della Foresta - non aveva il coraggio di ammettere neanche con se stessa che, sebbene trovasse irritante quella sua abitudine, le piaceva il suono della sua voce quando la chiamava. In quella particolare occasione, tuttavia, il suo tono si era tinto di panico: << Viviana, cosa avete? >>, le aveva chiesto con urgenza mentre lei si afflosciava a terra, portandosi una mano alla tempia; la visione era stata troppo nitida. << Avevate ragione, è il caso di tornare indietro. >>, gli aveva risposto flebile. << Sta per arrivare un temporale. >>, aveva aggiunto poi, guardando il limpido cielo terso. Ma il cielo della Foresta era ingannevole: in pochi attimi si era colorato di nero, ed una pioggia torrenziale aveva nutrito le radici dei suoi alberi. Quando le furia del temporale si era scatenata loro erano nella grotta, al sicuro se non al caldo: Viviana aveva dimenticato la legna all'esterno, e non riusciva a perdonarsi la svista. I suoi denti battevano dal freddo. E Merlino aveva acceso un fuoco. Così, dal nulla. Si erano guardati negli occhi ed avevano capito di essere della stessa razza. << Possiedi la Vista. >> << Conosci la magia. >> Quella sera persino il ciarliero Merlino era rimasto muto. << Com'è? >>, aveva domandato qualche tempo dopo, mentre entrambi giacevano al buio col rumore assordante della pioggia nelle orecchie. << Non saprei spiegartelo. E' come... come un arazzo, ma più realistico. E la magia? >> << La magia è potere. Potere nel palmo della mano. >> La quiete era stata interrotta di nuovo, da Viviana, questa volta. << Credi... credi che potresti insegnarmi? >> Gli occhi chiari di Merlino avevano brillato persino nell'oscurità.

Così era iniziato il suo apprendistato. Sorprendentemente, Viviana si era rivelata una brava alunna, nonostante l'inesperienza; in poco tempo aveva appreso i rudimenti della magia e gli incantesimi basilari: sapeva accendere un fuoco e muovere gli oggetti; sapeva moltiplicare le erbe del suo orto, o far sparire le macchie dai vestiti. Imparava in fretta tutto quello che Merlino le insegnava, e mentre il ragazzo riversava in lei il suo sapere la sua presenza si protraeva. Poco per volta, avevano cominciato a vagare per la Foresta, sempre più a lungo lontano da casa, mentre Viviana ne rivelava i segreti al Viaggiatore. Così, era caduta nelle rete dei suoi occhi grigi, del suo sorriso solare, dei suoi ideali di pace e prosperità; l'aveva assistito quando, molto tardi, aveva manifestato i segni della Vista. Se ne era innamorata. Inizialmente, era stata troppo orgogliosa per ammetterlo: aveva preso ad evitarlo, provocando la sua più totale confusione; poi era stata gentile, in quel suo modo che sapeva essere goffo e impacciato; infine, di nuovo scostante. Merlino l'aveva affrontata. Avevano finito per litigare furiosamente. E Viviana non aveva resistito. La figlia della Foresta si era piegata e spezzata sotto la forza del vento: << La colpa è tua! >>, aveva gridato al viso sconvolto di Merlino. Poi si era allungata sulla punta dei piedi e l'aveva baciato. Con forza. Tale da stupire entrambi. E Merlino aveva ricambiato. Quella sera avevano giaciuto insieme per la prima volta, ed era stata una delle esperienze più belle mai avute. Era come entrate nella Terra dell'Estate e perdersi nei suoi sentieri, inebriandosi del profumo dei fiori. E lei si era persa, per un tempo che le era parso infinito: ogni giorno, ogni gesto la riempivano di felicità piena e immotivata; imparava e imparava, era amata più di ogni altra, venerata quasi. Ed aveva trovato una missione: portare la pace nel mondo sconvolto fuori dalla Foresta. Sorrideva sempre, tanto da star male. Anche lui sorrideva. Era stata la sua estate, un'estate che aveva vissuto per anni nel suo bellissimo palazzo di cristallo, quello che lui aveva costruito per lei. Gli aveva dato tutto: la sua giovinezza, il suo corpo, il suo cuore. Era persino tornata nel Mondo, nelle corti che tanto odiava. Per lui, per aiutarlo. Il loro sogno era un mondo giusto, ed in vista di quella meta, Viviana la scettica aveva seguito ciecamente il suo uomo. Quando aveva forgiato Excalibur, rischiando di morire nel tentativo; quando lui aveva aiutato Uther a conquistare il regno di Londinium e di Mark; quando Merlino era partito con Uther ad uccidere Gorlois*.

Ma poi, poi l'estate era finita, ed era giunto l'inverno. Era venuto in un giorno come tanti, che pure aveva cambiato il destino del mondo. Viviana era felice: Merlino era stato via per molto più tempo di quanto avesse creduto possibile sopportare, ma adesso era tornato, ed era suo. Solo un giorno e sarebbero ritornati a casa loro, nella Foresta. Erano ospiti nella dimora di Uther, Uther che aveva sposato Igraine. La nobildonna stava per dare alla luce il figlio del suo primo marito, e Viviana era stata chiamata ad assistere in qualità di guaritrice. Fu una giornata estenuante: il parto fu lungo e arduo e sarebbe stato difficile che quella donna sfiancata, pallida come le lenzuola su cui giaceva, ne potesse affrontare un altro. Viviana, sporca di sangue fino ai gomiti, aveva accolto il bambino nel mondo. Un bambino con gli stessi lineamenti, anche se sfatti e confusi tipici dei neonati, di Uther Pendragon. Era bastato un attimo per capire tutto. Il dolore del tradimento l'aveva quasi uccisa. "Che cosa hai fatto?" aveva sussurrato, "Hai distrutto questa donna. Hai rovinato tutto."
"Ho sognato che uno dei figli di questa donna avrebbe governato con giustizia e riunificato l'Inghilterra. Uno dei suoi frutti."
"La donna aveva già delle figlie," aveva commentato Igraine, acidamente.
"Nessun figlio maschio. Serve un re nuovo." **

Viviana era sparita quello stesso giorno. Non sopportava di respirare la stessa aria del Traditore più a lungo. Non andò al castello; né nella Foresta. Vagò per giorni in un luogo imprecisato, per sentieri sconosciuti, la mano premuta contro il ventre, contro la creatura che vi era racchiusa. Il figlio tanto voluto ed agognato. Il figlio atteso con trepidazione, amato sopra ogni altra creatura in procinto di nascere. Il figlio che perse prima di arrivare al quinto mese.

La scomparsa di quell'ultimo frammento di lui, del Merlino che aveva amato, quello non ancora accecato dai sogni, l'aveva distrutta. Si era reclusa nel palazzo. Aveva chiuso la sua anima alla Vista. Non voleva sapere più nulla, nulla del Mondo. Nulla. Eppure, un giorno la Vista si era fatta largo di nuovo nella sua vita senza invito: la sua Dea le diceva che presto, prestissimo sarebbe giunto un giovinetto, che Viviana avrebbe dovuto prendere con sé. E il bambino giunse: piccolo e delicato, in qualche modo somigliava a lei, mentre passeggiava coi genitori sulle sponde di un lago che non esisteva. Il lago in cui venne trascinato da una dama vestita di bianco, la dama del Lago.
Il piccolo Lancillotto divenne il figlio che non aveva avuto: abile nelle scienze, le arti e le armi; era un peccato che non possedesse il Dono. Viviana si era sforzata di educarlo nel codice della cavalleria, ed il ragazzo cresceva straordinariamente bello, dolce, sensibile, ma allo stesso tempo coraggioso e saggio. Ed era lei che chiamava "madre". Viviana non dimenticava che aveva usurpato quel titolo ad un'altra, ma non poteva fare a meno di gloriarsene. A quindici anni aveva dovuto separarsene. L'aveva accompagnato sulla soglia della Foresta, da cui aveva giurato di non uscire più e servire per sempre, e gli aveva dato la sua benedizione. Il futuro cavaliere, bello come un giovane dio, l'aveva salutata con la mano. Il resto era divenuto leggenda.

Negli anni successivi, Viviana non aveva saputo più nulla di Merlino; o meglio, nulla che non fosse di dominio pubblico. Lancillotto, nelle sue frequenti visite al suo castello, le raccontava spesso della vita di corte; così seppe delle sue donne: Morgana, Morgause, Nimue. Le immaginava tutte favolosamente belle e intelligenti – e non era poi così lontana dalla realtà, aveva appreso. Seppe dei suoi successi, delle sue sconfitte; Lancillotto era corso da lei dopo la disfatta. Così, aveva aspettato e aspettato. Non sapeva cosa, ma attendeva con pazienza
Fu qualche tempo dopo: Viviana si svegliò con gli ultimi frammenti di un sogno a farle compagnia. E seppe che quello era il giorno. Fece tutti i preparativi: attinse l'acqua dalla fontana, ripassò la formula; e attese. Lui giunse al tramonto, vecchio e stanco, irriconoscibile; solo gli occhi erano gli stessi, gli occhi di un uomo non ancora sconfitto. La donna che lo accolse non era la stessa che si era levata quella mattina, una donna dal volto rugoso e pallido di vecchiaia, i lunghi capelli candidi come la sua veste. Era una fanciulla dalla chioma scura, dagli occhi ardenti ed il volto liscio. << Sono tornato. Ti stavo cercando >>, disse semplicemente.
<< Per essere l'uomo più saggio che cammina sulla terra, hai impiegato un periodo di tempo vergognosamente lungo a trovarmi: sono sempre stata qui. >> Ad aspettarti. Merlino sorrise, e fu di nuovo il ragazzo che le aveva baciato la mano in una grotta nel folto della Foresta. << Sono solo un uomo, mia cara. >> Viviana sorrise, il sorriso dolente della Vecchia sul viso della Fanciulla: << Sai cosa accadrà, se varchi questa soglia, vero? >> << Sì. Sì, lo so. >>, rispose serio. Viviana gli voltò la schiena, salendo gli scalini di cristallo, la veste pallida che si colorava del crepuscolo. Non lo sapeva, ma non era mai stata tanto bella. Voltò la testa verso di lui, guardandolo da sotto le ciglia: << Vieni, allora >>, lo chiamò suadente, e la sua voce risuonò per tutta la Foresta nello stormire delle fronde. << Vieni e bevi dell'acqua: sembra che tu ne abbia bisogno. >>

* frase presa para para dalla fic di Ilakey_chan, a cui la storia vuole essere una sorta di ampliamento

** come sopra.

   
 
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