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Autore: Gollum89    28/06/2005    13 recensioni
Breve One-Shot AU che prende spunto da una domanda: cosa sarebbe successo se Sam, trovando Frodo vittima del veleno di Shelob e credendolo morto, avesse proseguito fino al Monte Fato senza di lui?
Di certo la storia avrebbe seguito un altro corso...
NB: Non c'è la dicitura "Nuovo Personaggio" perchè Akhôrahil non l'ho inventato io ma è il vero nome di uno dei Nazgul...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frodo, Gollum/Smeagol, Sam, Sauron, Nazgul
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Non hanno dunque una fine i grandi racconti?
Se Sam avesse proseguito da Torech Ungol senza Frodo

La putrescente massa di Shelob si schiacciò contro le pareti della galleria, dove scomparve lasciando dietro di sé un fiume di liquido vischioso, unico segno del suo passaggio. L’Hobbit abbassò la spada elfica, sporca di sangue nero e liquido verdastro. Il fuoco azzurro che avvolgeva Pungolo pochi istanti prima si spense, lasciando la lama opaca. Samvise Gamgee si volse verso il suo amato padrone, che giaceva a poca distanza, avvolto dalle immonde corde del lurido ragno. La lama elfica recise il bozzolo, lasciando libero l’immobile corpo di Frodo Baggins. I tentativi di Sam per svegliare il suo padrone furono vani: egli giaceva ancora lì, fermo, gli occhi aperti a fissare il vuoto innanzi a sé, il pallido viso bagnato dalle lacrime dello Hobbit che aveva sfidato l’orrore di Shelob pur di liberarlo. Senza riflettere o indugiare, Samvise si slacciò la lama dei Tumulilande e la depose accanto al suo padrone. A quel gesto, gli tornò in mente Tom Bombadil. “Il vecchio Tom starà raccogliendo ancora gigli per dama Baccador, non interessandosi della guerra” pensò Sam “E noi siamo qui a sfidare le tenebre e la morte. Io. Io sono qui a sfidare le tenebre da solo. Da solo” Quelle due parole gli rimbombarono in testa, mentre diceva parole di scusa a Frodo, mentre prendeva per sé la Fiala di Galadriel, Pungolo e l’Anello “Da solo. Da qui al Monte Fato, da solo, sempre da solo. “Dannato Gollum! Se solo gli potessi mettere le mani al collo, a quel lurido essere! Gli farei fare tanti di quei gollum!” Allacciò l’Anello al proprio collo, e si voltò, piangente, percorrendo il tratto di strada che collegava Torech Ungol e la Torre degli orchi, che sorgeva sul fianco delle montagne. Si voltò, ad osservare il corpo del suo padrone, che pareva risplendere da lontano. Asciugandosi le lacrime, cominciò a discendere il valico. A metà della discesa si fermò, la testa fra le mani. Sarebbe stato così facile lasciarsi cadere, e rincontrare il suo padrone…il dirupo gli sembrava sempre più attraente. Alzò lo sguardo, fissando Mordor, la Terra Nera che si stendeva ai suoi piedi. In lontananza, un Monte vomitava fumo e fiamme, e una stella brillava rossa attraverso le nubi…
Il dolore attraversò il cuore di Sam come una fitta. L’Occhio! L’Occhio l’aveva sfiorato con lo sguardo. L’Anello pesò all’improvviso come un macigno. L’Occhio ebbe come una breve visione di un essere sulle montagne, ma poi volse nuovamente il suo sguardo a Gondor, ammirando compiaciuto il Re Stregone che faceva strage degli uomini.
Il peso dell’Anello fece svanire ogni pensiero di dirupi e cadute dalla mente di Sam. Voleva forse che la morte del suo padrone fosse stata vana? No, doveva continuare, andare a quel dannato Monte e gettare quel coso nel fuoco, e solo dopo i dirupi potevano chiamare Sam col loro canto. E solo allora avrebbe risposto. Continuò la discesa, mentre più su, nelle vicinanze di Cirith Ungol, un folto gruppo di Orchi portava verso la Torre un corpo immobile.

L’ex portatore dell’Anello si svegliò dentro una piccola stanza fiocamente illuminata. Era nudo, e lo sdegno lo sopraffece per un attimo, ma poi i ricordi riaffiorarono alla mente: la galleria, il tradimento di Smeagol, il buio, il fetore….e l’aculeo che penetrava nel suo torace…il mondo che sbiadiva nelle nebbie grigie, il suo corpo che cadeva…e ora sentiva dietro di sé aspre e confuse voci di orchi che litigavano. Sembravano di specie differenti, perciò parlavano la Lingua Corrente.
« Quella maglia è mia…»
« Feccia…»
«Aiuto! Mi vuole… »
« Cosa urlate, vermi di Mord…»
«Feccia, feccia putrida! la magl…»
«Lucente, sì, è mia…»
Stavano litigando per la sua roba…e allora un pensiero lo atterrì: era nudo! Era nudo! Non aveva nulla addosso! Non aveva vestiti, non aveva lo zaino, non aveva il mantello….e non aveva l’Anello.
Il pensiero gli fece girare la testa. Era perduto, aveva fallito, era stato tutto vano. La morte di Gandalf, la morte di Boromir, Aragorn, Gimli, Legolas, Merry e Pipino che andavano incontro a chissà quale destino…era stato tutto vano. Vano. Ma d’altro canto era libero dal peso del Fardello. E allo stesso tempo la mancanza dell’Anello gli stringeva il cuore: le sue più recondite paure si erano realizzate: avevano rubato il suo fardello, il fardello che era stato affidato a lui, a lui, a lui e nessun altro, era venuto da lui, il suo fardello, e ora gliel’avevano tolto, rubato…Ladri! Ladri! Maledetti!
«Mollami! Non toccarm…»
«Argh! Come osi!»
«Non provare a…»
«Tutti uguali, voi snaga»
«Vuoi che Sua Magnificenza venga qui e trovi la torre piena di morti?» disse un orco con particolare sarcasmo su “Sua Magnificenza” «Non sarà felice, no, penso proprio che ti getterà in pasto alla sua bestiolina, che tu ami così tanto»
«Il mio rispetto è dovuto ai Nazgûl!»
«Cosa fanno per meritarselo? Eh? Non sono poi così invincibili, te l’ho detto, cattive notizie da Gondor, eheh!»
«Come…osi?»
Il rumore di una lama sguainata, di urla provenienti al piano di sotto, una rissa che iniziava: questi rumori non giunsero a Frodo, che era immerso nei suoi pensieri tragici. La sua missione era fallita, e tutto perché aveva dato fiducia a Smeagol. Aveva avuto pietà di lui, ed ecco che per questo si ritrovava in una torre a Mordor! La pietà di Bilbo può decidere il destino di molti, disse la voce di Gandalf attraverso le nebbie dei ricordi. Ed era vero: la pietà di Bilbo aveva deciso il destino di Frodo. E anche la pietà del giovane Baggins aveva deciso il suo destino.
E tra pensieri di maledizioni contro i ladri, e terrore e paura, Frodo si addormentò pur di scampare al tormento.

Si risvegliò molto tempo dopo, immerso nel silenzio. Non una mosca rallegrava il luogo col suo tenue ronzio. Frodo rimase lì, in attesa di qualcosa. Sentiva qualcosa rimbombare nel suo petto, come l’ansia mentre si aspetta qualcosa. La torre tremò quando uno stivale di metallico sbatté con forza contro il freddo suolo di pietra incrostato di sangue. Frodo sussultò, e si girò su un fianco per dare le spalle al muro, al fine di guardare la stanza. E lo vide. Il corpo vuoto, coperto da un ampio e nero manto stracciato, le mani e i piedi coperti di ferro, la spada al suo fianco, il cappuccio piegato su un volto sul quale la luce del sole non avrebbe mai picchiato. Si avvicinò, e ogni suo passo fu come il rintocco dell’orologio del destino. Frodo lo guardava terrorizzato. Dietro al Nazgûl comparve un Orco impaurito dalla nera figura, scampato alla strage.
« Eccolo, mio signore Akhôrahil, eccolo qui, il ratto della Contea. L’abbiamo tenuto intero, vede, intero, sì, come l’Occhio voleva. Perché vi interessa così tanto? Non è nulla di particolare, un piccolo ratto di fogna, perché l’Occhio…»
Il Nazgûl si voltò lentamente, fino a fissare l’orco coi suoi occhi invisibili. Poi parlò con voce gelida e lievemente gracchiante:
«Non immischiarti negli affari dell’Occhio, vile snaga. Il Signore Sauron potrebbe innervosirsi, e ordinare allo Stregone Cieco, nuovo Re dei Nazgûl che sta innanzi a te, di tagliarti quella lingua impicciona»
Frodo si sentì mancare, mentre la sua mente si affollò di immagini del Guado del Bruinen, quando i Cavalieri Neri lo avevano inseguito, chiamandolo a sé con le loro voci gelide.
Akhôrahil voltava lentamente la testa da una parte all’altra, annusando come faceva già nella Contea, tentando di captare l’Anello…invano. Quando se ne rese conto, il Re dei Nazgûl fermò il suo cappuccio senza volto fisso su Frodo, e si avvicinò a lui lentamente, mentre lo snaga dietro di lui sgattaiolava via. I guanti metallici del Nazgûl afferrarono la gola di Frodo, e avvicinò la sua testa al cappuccio del Cavaliere Nero.
«Dov’è?» chiese la voce dal cappuccio, ed essa era così fremente di rabbia che l’aria che occupava il posto del volto del Nazgûl parve tremare «Dov’è, ratto? Dove l’hai messo? Il Signore Sauron lo vuole, e subito»
Frodo respirò affannosamente prima di rispondere. Il fetido alito che usciva dal cappuccio gli rivoltava lo stomaco, mentre occhi gelidi parevano sondarlo dall’oscurità. La presa del guanto metallico si fece più forte.
«Rispondi!»
«Non…non ce l’ho io. Non ce….l’ho…io…»
Il cappuccio si mosse come una testa dubbiosa. Il Nazgûl parve riflettere un momento, poi chiese nuovamente:
«Dov’è? Chi ce l’ha allora? Chi? Rispondi!»
«Non…non…lo…so»
Il guanto tremò di rabbia. Dopo un altro momento di silenzio, durante il quale le orecchie di Frodo rimbombarono per l’assenza di suoni, la voce gelida disse nuovamente in un sibilo:
«Se non vuoi dirlo a me, lo dirai all’Occhio»
E mentre l’Hobbit veniva trasportato sulla bestia alata, mentre veniva condotto innanzi all’Occhio, mentre questi sondava la sua mente raggrinzita e nuda per trovare la risposta, e mentre il dolore lacerava ogni centimetro della sua anima portandolo alla morte, la mente di Frodo era rivolta verso Sam, Grampasso e tutti i suoi più cari amici che sarebbero morti per colpa della sua pietà.

Sam pensava costantemente al suo padrone, e nella sua mente si faceva sempre più strada l’immagine di Frodo pallido, gli occhi spalancati nel vuoto. Continuava a percorrere la via verso il Monte Fato, lontano all’orizzonte, e talvolta si accampava da qualche parte, non per dormire, perché quella terra desertica gli ispirava tutto fuorché sicurezza, ma per riposarsi dal peso dell’Anello, che si faceva sempre più insopportabile: difatti esso approfittava di quel corpo addolorato e debole. Una sera Sam alzò lo sguardo e vide una parte di cielo far spicco attraverso le nuvole, e una stella brillava da distanze infinite. Non lo sapeva, ma quella era la stella di Eärendil, ma comunque il vederla portò Sam a ricordare ciò che aveva detto a Frodo riguardo a quella stessa stella, sulle scale di Cirith Ungol. Si era reso conto che nella fiala che Galadriel donò a Frodo vi era parte della luce di quella stella, la quale altri non era che il Silmaril rubato da Beren e Luthien. Allora gli aveva detto: «Non hanno dunque una fine i grandi racconti?» e lui aveva risposto: «No, non terminano mai i racconti. Sono i personaggi che vengono e se ne vanno, quando è terminata la loro parte» Ed era vero. Dannatamente vero.
La parte di Frodo era terminata ormai, e toccava a lui continuare la propria.
E finirla, magari.

Dopo giorni di angoscia, finalmente raggiunse le pendici del Monte. Se si fosse specchiato in una pozza d’acqua, avrebbe certo teso le mani per strangolare la propria immagine: era un riflesso di Gollum. Dimagriva a vista d’occhio, e il suo viso era ormai emaciato e pallido. Aveva cominciato anche a borbottare fra sé e sé, parlando come se il suo padrone fosse sempre accanto a sé, con quella sua aria di saggezza e quel suo qualcosa di elfico. Alla vista della Montagna di Fuoco, il cuore di Sam ebbe un tremito. Non era grande come pensava, ma la sua vista lo atterriva. Trovò una via, ed entrò facilmente nella Voragine del Fato. Fin troppo facilmente. Temeva un attacco di Gollum sulla strada – qualcosa glielo diceva, quell’essere lo avrebbe aggredito – perciò procedette con Pungolo sguainata. Entrò nella fessura simile ad una porta, e si ritrovò all’interno del vulcano. Alla vista della passerella di roccia sospesa sulla lava, il suo cuore ebbe un balzo: la sua parte della storia stava per arrivare al termine. Afferrò l’Anello, e senza esitazione alcuna si diresse verso il baratro. L’Anello lo stava tentando, lo sentiva, ma il pensiero della forza spirituale che Frodo aveva dimostrato portando quel fardello lo spinse a non essere da meno. Era a dieci metri dal dirupo, e protese la mano con l’Anello. Il rombo del vulcano e della lava che ribolliva si faceva sempre più forte sotto i suoi piedi, e il calore era insopportabile. Strinse l’Anello nella mano, pronto a gettarlo nella lava e a scappare da quell’incredibile caldo.
Sentì un urlo disumano, un urto dietro la sua schiena e cadde a terra. L’Anello gli sfuggì di mano, atterrando sulla passerella di roccia. Si rialzò e vide Gollum. L’aveva seguito, non osando però attaccarlo per via della spada elfica sguainata, e ora gli si era gettato addosso. Aveva l’Anello in mano, e iniziò una folle danza di gioia col suo corpo più magro del solito, rosso alla luce della lava. Urlava come una scimmia gioiosa, con lunghi ululati: il suo Tesoro! Era tornato, era di nuovo suo! Sam avvampò di rabbia al ricordo dei suoi spregevoli atti: quell’essere meritava la morte per aver ucciso Frodo! La meritava! Quel lurido bastardo! Spregevole essere! Si rialzò, mentre Gollum danzava ignaro. Con un urlo, prese la rincorsa e si gettò sul corpo magro dell’ex-Hobbit con un balzo, spingendo lui e sé stesso sul baratro, fino a che il suolo non lasciò i loro piedi: Gollum aveva ancora l’Anello in mano, e la sua gioia era talmente grande da non accorgersi che la lava si avvicinava sempre più, e che il “cattivo grasso Hobbit” lo aveva afferrato e cadeva con lui, tempestandolo di pugni.
Sam si teneva saldamente a Gollum, e la lava ribolliva mentre cadeva a testa in giù. Il canto dei dirupi risuonò ancora una volta, soddisfatto, nella mente di Sam, mentre l’Anello e i due Hobbit cadevano nell’immenso baratro, e terminò con una fragorosa nota simile a pesanti oggetti caduti nel tortuoso fiume di lava di un vulcano.

  
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