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Autore: hapworth    30/12/2009    2 recensioni
Natale, o meglio la Vigilia di natale e Rukawa, dopo essersi giustamente allenato come al solito, ritornando a casa trova ad aspettarlo Hanamichi: che cosa diamine vorrà?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi, giusto perchè ho appena ricevuto i risultati di un contest (il primo a cui io abbia mai partecipato) metto la ff che mi ha fatto vincere >w< Il contest e il relativo prompt l'ha indetto lo Yaoi's Heart di cui ringrazio ancora lo staff per il loro lavoro. Comunque ora passiamo a sto coso... Mh, non so che dire, l'ho scritto tutto di getto appena mi è venuta l'ispirazione e poi l'ho modificato molto poco dalla prima stesura... Ok, la smetto. Godetevela (no, meglio di no).

Il germoglio di un amore


Era quasi natale, si, quasi. Non gli era mai piaciuto come periodo quello e non voleva soffermarsi sui vari motivi che lo spingevano a odiare letteralmente quella dannatissima festa occidentale. Qualcuno, se avesse potuto leggere nella sua mente, avrebbe detto che era una motivazione, o meglio erano delle motivazioni, stupide le sue per odiare un giorno che era, in fondo, come un altro. Ma per fortuna nessuno aveva tale facoltà e, per un solo istante, ne fu grato a quell’entità superiore che probabilmente non esisteva.
Avrebbe potuto elencare per ore le motivazioni che lo spingevano ad odiare il natale, ore passate a sprecare tempo, invece che allenarsi e lui, di perdere quel prezioso tempo, non ne’aveva voglia. E poi con chi si sarebbe dovuto lamentare? Non certo con gli amici che lui non aveva. Sua madre? Ah quella manco sapeva della sua esistenza. Suo padre? Manco a nominarlo, quell’uomo aveva sempre e solo pensato a se stesso, al suo lavoro e, soprattutto alla sua perversione.
E adesso eccolo lì, con una palla nella mano sinistra e il borsone sopra la spalla destra. Persino la vigilia di natale si allenava. Se non lo avesse fatto non sarebbe stato nel personaggio, in Kaede Rukawa, che poi avesse appena terminato di farlo e stesse solamente tornando a casa... Beh erano semplici dettagli.
Lo stesso ragazzo che alla tenera età di sedici, quasi diciassette per la verità, anni non faceva altro se non allenarsi e dormire, allenarsi e dormire e, tra una dormita e un allenamento, andare a scuola. Si la scuola, il luogo che lui aveva detestato fin da piccolo. Il luogo dove sua madre lo aveva accompagnato il giorno prima di sparire, cioè darsela a gambe, quando lui aveva solo 10 anni. Non che se ne fosse dispiaciuto più di tanto, era una donna che non sapeva affatto come accudire un figlio. E cucinava da schifo.
Sbuffò: perché tutto ad un tratto si ritrovava ad essere così orribilmente malinconico? Ok, forse malinconico non era la parola giusta ma, sul momento, non ne trovava altre che si addicessero al suo comportamento inconscio.
La gente lo vedeva come una persona indifferente, strana, e lui non aveva mai fatto niente per far pensare di sé il contrario. Ma non gli dava fastidio: che pensassero un po’ quello che volevano, lui era lui e basta, non sarebbe di certo cambiato perché una manica di cretine gli sbavavano dietro. E non certo per aiutare quelli che, in teoria, sarebbero dovuti essere i suoi compagni di squadra, i suoi amici. No, non sarebbe cambiato, nemmeno se un certo Do’aho, che lo continuava, imperterrito, a chiamare “Kitsune qua, Kitsune là” fosse diventato un Tensai o qualcosa di simile. Lui sarebbe rimasto la ‘Kitsune’ e quel tizio là un Do’aho, o Tensai che dir si volesse.
Ma questi accidenti di pensieri avevano un filo logico? Accidenti, stava cominciando seriamente a credere di essere impazzito tutto d’un tratto. Cioè, adesso che poteva non vedere quella mandria di pazzi si ritrovava a pensarli? No, non era normale una cosa simile. Che il Do’aho lo avesse infettato con qualche suo morbo di follia? Ecco... Come volevasi dimostrare, un pensiero si e l’altro pure portavano la sua testolina demente a pensare a Sakuragi.
Non era così stupido da non aver capito che tipo di rapporto, o meglio di legame, lo collegasse con quel tipo tutto scemo. Non era mai stato così ingenuo ma, arrivare addirittura a pensarlo in continuazione... Quella si che era una cosa preoccupante!
A dire la verità se ne era accorto da poco, da pochissimo, quello che effettivamente sentiva lui per quella testaccia dura. Era certo che Hanamichi Sakuragi non se ne fosse accorto, o più precisamente non si fosse interrogato sui loro particolari comportamenti. Ecco una sostanziale differenza tra lui e l’idiota: Kaede pensava mentre il Do’aho agiva solamente, e spesso in maniera anche troppo impulsiva.
Una volta che lui aveva deciso di interrogarsi sul perché continuasse a rispondere alle continue e quasi insulse, provocazioni di Sakuragi la risposta a tutto era venuta piuttosto spontanea. Era un po’ come quando si era bambini: si infastidisce la bambina di turno che ci piace in modo che lei pianga così da potersi o scusare oppure farsi considerare. Era quello il comportamento adottato da quel pazzo.
E Kaede era al suo stesso livello perché rispondeva per le rime e cercava sempre di avere l’ultima parola. Se ne rendeva perfettamente conto di essere infantile come e più del rossino ma era più forte di lui. Adorava vederlo mentre diventava rosso, o peggio verde, di invidia e di gelosia per cose assurde. Come per esempio quando lo insultava perché quella... Come diamine si chiamava? Vabbè si, la sorella del capitano, era innamorata di lui. Cosa tra l’altro non esatta. Quella gli andava dietro solo perché lui aveva il fascino del ragazzo asociale e dell’asso nel basket, nient’altro. Ma era una cosa quasi impossibile farlo capire al Do’aho.
Il sentimento probabilmente ancora immaturo che lui provava per quello era probabilmente un inizio di amore, ma non si osava ancora chiamarlo così. Era una cotta, solo quello. E sarebbe passata, certo era la prima per lui, ma sarebbe passata, come sarebbe passata quella di Sakuragi. O almeno così si era detto all’inizio. Col tempo però, qualche mese, si era reso conto che quel dannatissimo sentimento non se ne voleva andare, anzi! Tutt’altro! sembrava intenzionato a germogliare e dare frutti... E a distruggere la sua vita, come al solito.
A Kaede non era mai piaciuto cambiare, non gli piacevano le novità e non gli piacevano nemmeno le sorprese ed era per quel motivo, sostanzialmente, che aveva evitato di rivelare a tutti dove abitasse. E allora perché diamine davanti alla sua porta vi era un Hanamichi Sakuragi che calciava per terra una pietra? Cosa accidenti ci faceva lì?
L’altro sembrò accorgersi immediatamente della sua presenza perché sobbalzò sul posto e lo fronteggiò in tutta la sua altezza. Più alto di lui certo, ma di molto poco per sua fortuna. Era calato il silenzio, non che fosse una novità visto che non sarebbe d certo stato lui a chiedere perché quell’idiota lo stesse aspettando davanti a una casa di cui, Sakuragi, non avrebbe nemmeno dovuto avere l’indirizzo.
- Ehm... Rukawa, come va? – inutile dire che, dopo una domanda simile, Kaede lo guardò con tanto d’occhi: no, ricapitoliamo, gli stava chiedendo come andava lì, davanti alla porta di casa? Senza uno straccio di motivazione, o scusa, per essere lì?
- Do’aho che cosa ci fai davanti alla porta di casa mia? – chiese non molto amichevolmente, non pensando minimamente di rispondere alla precedente domanda del rossino. Che prima gli spiegasse perché era lì. Peccato che l’altro si era di nuovo azzittito. Lo stava facendo decisamente arrabbiare.
- Sakuragi... – iniziò di nuovo. Gli si stavano congelando le ossa, non era vestito pesante come Hanamichi, principalmente perché il campetto dove si allenava di solito non era così distante da casa e lui di certo non si sarebbe mai immaginato di essere bloccato davanti alla porta.
- Si può sapere che vuoi? – chiese ancora, un’ultima volta, aspettando qualche minuto che però non ricompensò la sua attesa. Anzi! Il rossino adesso sembrava interessato ad uno dei cespugli che circondavano il vialetto per arrivare alla porta.
A quel punto Kaede Rukawa era stanco di aspettare: aveva parlato anche troppo e di certo non avrebbe giovato alla sua salute stare al freddo ancora sudato: cominciava a sentire dei brividi non indifferenti lungo la schiena e non erano per nulla rassicuranti. Così si incamminò, superando poi il rossino che però lo afferrò per un braccio, costringendolo a voltarsi verso di lui.
Se il moretto poteva sembrare indifferente in quel momento non lo era per niente, anzi osservava lo spettacolo che aveva davanti con un rossino che, per un istante, non riuscì a reggere il suo sguardo interrogativo. Ma fu un solo attimo e poteva benissimo essersi immaginato il lieve rossore sulle guance di Hanamichi.
- Ecco... Ero venuto per chiederti una cosa. Non azzardarti a dirmi di no perché ti spacco quel dannato muso che ti ritrovi – come se gli avessero mai fatto paura le sue minacce. Però era curioso: cosa mai voleva chiedergli quel rossino? Non riusciva proprio a immaginarselo.
Se ne rimase zitto, invitandolo silenziosamente a seguirlo, non perché gli facesse paura ma semplicemente per pura curiosità. Certo, non lo era mai stato curioso ma se riguardava il rossino allora lo era eccome. D’altronde almeno a se stesso lo aveva ammesso tempo prima che gli piaceva no? Quindi poteva anche permettersi di essere curioso nei suoi riguardi. Non che pensasse di dichiararsi, era una cosa che di certo sarebbe passata, anche se ci stava mettendo davvero troppo per i suoi gusti e stava anche cambiando.
Ad ogni modo cercò di non pensarci, voltandosi invece verso il rossino una volta che ebbe aperto la porta di casa e acceso la luce, lanciando un’occhiata distratta all’orologio su uno dei muri: le otto e mezza…
- Permesso – lo sentì mormorare mentre entrava dentro e si guardava intorno, curioso come un bambino probabilmente. Ma si voltò di nuovo accendendo la luce della sala, poggiando per terra la sacca con affianco il pallone da basket, per poi tornare dal suo ospite. O meglio intruso.
- Allora che vuoi? – chiese di nuovo, guardandolo fisso mentre attendeva, non che si aspettasse che mister Genio gli rispondesse immediatamente ma almeno desse segni di vita visto che era rimasto in silenzio per parecchio dopo che erano entrati.
- Ok lo ammetto… Non sono chi credi che io sia, o almeno tu credi che io sia Sakuragi no? – ma che razza di domanda era quella?! Lo guardò come se fosse uscito dall’uovo di Pasqua, completamente sconvolto e anche un po’ in pensiero se chiamare o meno la Neuro o chi per essa.
- Ma sei fuori? Meglio che vai a casa – disse scuotendo appena la testa e le spalle, sforzandosi di parlare e di non prenderlo in giro. Non sarebbe stato da lui certamente.
- No no, per favore ascoltami: non sapevo come avvicinarmi a te quindi mi sono trasformato in questo tizio con cui sembri andare d’accordo… - eh? Non aveva capito una parola. Già Hanamichi, eh si ormai lo chiamava così nella sua mente, che gli diceva per favore era strano ma quello! Andare d’accordo… Ma dove?! Ma quando! Lo guardò allibito, per quanto la sua faccia potesse esprimere le sue emozioni. Non era molto malleabile in effetti.
- Trasformato? Tu non stai bene… - stava già ponderando l’idea di spedirlo fuori a calci, per scongiurare l’altra idea di chiamare qualche centro di igiene mentale. Il rossino scosse la testa sconsolato, o almeno dal suo viso sembrava così.
- Non hai capito… Io sono il fantasma del Natale Presente e sono qui per… - ah no, questa proprio no! Di tutte le palle possibili che avrebbe potuto inventare quella era la meno adatta! Stavolta sul suo viso doveva esserci una di quelle espressioni incredule che non aveva mai fatto. Ma che diamine si era fumato?!
- Lo so che non mi credi però guarda che sono davvero il fantasma del Natale Presente ora te lo dimostro – ma bene, perfetto: chissà che diamine voleva in realtà. - Senti. Io non ho tempo da perdere, quindi ti consiglio di tornare a casa – concluse, cercando di far capire al rossino che non ammetteva nessun ma. Peccato che l’altro sembrava intenzionato a continuare la sua tortura, infatti scosse la testa sembrando a Kaede quasi divertito dalla sua reazione, come se l’aspettasse.
- Vieni con me – disse semplicemente il rossino, uscendo dalla porta di casa e lui, come un povero idiota, lo seguì in silenzio. Era diventato matto ecco cosa: seguire Sakuragi, che poi diceva di non essere Sakuragi, era un controsenso bello e buono quando lui avrebbe dovuto odiarlo, o meglio far finta. L’altro lo portò fino al campetto dove si era allenato fino a qualche minuto prima e fu allora che notò una cosa strana e inquietante…
“Ma è impossibile!”
si ritrovò a pensare di fronte a quello: che diamine ci faceva Sakuragi ad allenarsi quando invece ce lo aveva sempre avuto di fianco fino a quel momento? Si voltò di scatto guardando dove poco prima era stato il rossino, quello che era andato ad aspettarlo dalla porta di casa sua. E, indubbiamente, era Hanamichi. Ma anche quello laggiù, a pochi metri da loro, lo era!
- Che cosa… - stava iniziando già a chiedere spiegazioni quando il tizio, che adesso era certo non fosse Hanamichi, gli si rivolse con un sorrisetto furbo prima di rispondere alla sua domanda, o meglio alla domanda che gli stava per fare.
- Te l’ho detto che sono il fantasma del Natale Presente no? Se tu, mister basket man, non mi avessi interrotto ti avrei spiegato meglio il mio scopo ti pare? – gli ricordò ed effettivamente aveva ragione quel… Fantasma. Stentava parecchio a credere a tale riconoscimento: magari era semplicemente un sosia di Hanamichi che si era messo in testa chissà cosa. Anche se si rendeva conto anche lui che la somiglianza era troppa.
- Bene. Lo vedi il rossino? Avrebbe voluto passare la vigilia con te, ad allenarsi insieme – lo guardò allibito: ah si certo come no. Lui e Hanamichi ad allenarsi, la vigilia di natale e magari a prendere una cioccolata calda insieme a casa sua dopo. E già che c’erano un bel chiarimento sui loro sentimenti. Fantascienza.
- Lo so cosa stai pensando. Ed è esattamente così che sarebbe andata – aggiunse l’altro. Sembrava più che sicuro di quello che stava dicendo, quasi certo. Mah… Faceva uno strano effetto parlare senza litigare con Hanamichi anche se, effettivamente, quello non era lui.
Cosa voleva dire? In che senso? Come?! Lo guardò stralunato e con un’espressione interrogativa mentre il rossino ridacchiava di fronte a lui, palesemente divertito. – Suvvia Kaede, non mi dirai che non hai ancora capito perché sono qui… - lo prese in giro: sapeva perfettamente che lui non aveva capito accidenti a quel fantasma dei suoi stivali!
Dopo qualche istante sembrò tornare serio, per poi guardarlo seriamente e aggiungere – Devi capirlo da solo no? Sei un po’ lento figliolo… Pensaci. Io devo proprio andare sai? – ma come? Doveva già andare via? Ma se non gli aveva spiegato niente! Cosa doveva fare e come? Ormai l’allenamento insieme era andato e poi… Non riusciva ancora a credere che Sakuragi volesse allenarsi con lui di sua spontanea volontà. Proprio no.
Guardò il rossino distante qualche metro da lui, per poi voltarsi dove era stato poco prima l’altro rossino: non c’era più. Accidenti se ne era andato davvero! E non l’aveva neppure salutato. Ok, non si meritava il saluto visto come lo aveva trattato ma…
Rimase qualche minuto in silenzio ad osservare il rossino: era bello come sempre e vicino, vicinissimo… Allora perché non riusciva ad afferrarlo? Perché  non poteva essere considerato? Perché era così dannatamente orgoglioso da farsi sfuggire l’opportunità di poter stare insieme a lui? Semplice perché anche Sakuragi era orgoglioso, probabilmente più di lui e i loro caratteri, così simili, erano davvero inconciliabili sotto quel punto di vista.
Non si sarebbero mai chiariti, anche se lui avrebbe voluto dire tutto, dire che quei dannati sentimenti stavano crescendo sempre di più ed erano vicini a straripare, dire che in fondo non lo aveva mai odiato e che lo ammirava anche per quella forza di volontà e, perché no, per quel pizzico di idiozia che lo contraddistingueva.
E poi si fermò, o meglio lo vide fermarsi per passarsi un braccio sulla fronte, probabilmente per asciugarsi il sudore, e guardare verso di lui. Si spaventò e anche parecchio, ma sembrava non vederlo e poi lo vide muovere le labbra, come per dire qualcosa. E, in cuor suo, capì anche che cosa ma non volle illudersi di aver capito male. Non era ancora così coraggioso da uscire allo scoperto, da buttarsi totalmente in qualcosa che non fosse il basket. Si, Kaede Rukawa aveva paura e tanta. Non aveva mai saputo perché cercasse in tutti i modi di appigliarsi al basket per sopravvivere eppure, in qualche modo, in quel momento lo comprese: perché era certezza. Gli dava sicurezza fare qualcosa, agire secondo uno schema, senza troppi rischi. Ok, il rischio di farsi male c’era. Ma ciò che gli premeva era non rimanere ferito nell’anima. Era quello che gli faceva paura. Ma, realizzarlo in quel momento non serviva no? Anzi, a capirlo in quel momento soffriva ancora di più perché era consapevole che non avrebbe mai avuto niente senza rischiare di essere ferito.
Stava per fare un dietro-front per tornare a casa, ormai convinto che, alla fine, niente sarebbe cambiato, quando sentì il cuore pesante, la testa pesante e cadde a terra, o almeno gli sembrò così.
[…]
Socchiuse gli occhi, guardandosi intorno almeno finché non riconobbe le mura della sua stanza: era vestito con la tuta, quella che usava per allenarsi e che aveva usato anche… Guardò l’ora: com’era possibile che fossero solo le otto? Era certo che quando Hanamichi, o meglio quel fantasma, gli aveva fatto visita fossero le otto passate… Allora perché?
Come se fosse stato colto da una folgorazione si alzò dal letto e, dopo aver afferrato borsone e pallone, uscì di casa come una furia andando, ovviamente, verso il campo dove si era sempre allenato. E la sua intuizione, o almeno quello che gli era balenato in testa pochi minuti prima, si verificò esatto: Hanamichi stava tirando a canestro, proprio come quando era andato lì con quel tizio.
Si fece vedere, o meglio entrò dentro al campetto posando il borsone fin troppo rumorosamente, facendo voltare il rossino che lo squadrò per qualche istante, come se non si aspettasse che fosse lì. Ovvio, probabilmente aveva aspettato che se ne andasse per prendere possesso del campetto.
– Ohi Kitsune come mai qui? Non ti sei ancora surgelato? – chiese ironicamente Sakuragi, guardandolo con una superiorità che a volte proprio non riusciva a sopportare – Oppure sei qui per sfidare il genio sublime? – se come no… Nei suoi segni. Evitò si rispondergli, stava già iniziando male quella conversazione e non voleva che peggiorasse ulteriormente. Ma chi glielo aveva fatto fare di dover compiere il primo passo? Maledetto fantasma di chissà quale natale!
– Non ti montare troppo la testa Do’aho – borbottò scuotendo la testa: non c’era proprio speranza per quell’idiota. Inutile dire che, da quello scambio di battute come se fosse calcolato da entrambi, iniziò una delle loro solite scazzottate. Un colpo Hanamichi e uno Kaede, uno Kaede e uno Hanamichi, come al solito, e quando si ritrovarono esausti a respirare con il fiato pesante si fermarono, studiandosi a vicenda.
– Volevo… Vederti sai? – gli disse il rossino, guardandolo dritto negli occhi con un lieve rossore diffuso sulle guance. Il moretto lo guardò curioso, attendendo che continuasse. Perché doveva continuare giusto? Stava per dirgli qualcosa di importante vero? – Ci tenevo parecchio, beh si, a farti gli auguri di natale – aggiunse, abbozzando uno di quei sorrisi che, ogni volta, lo lasciavano in silenzio. Anche se era diverso dal solito: niente più ironia o note di superiorità stavolta, era come se sorridesse ad un suo pari, ad un amico.
– Perché? – chiese diretto, guardandolo negli occhi castani mentre attendeva una risposta. O almeno sperava in una risposta e non in una fuga. Hanamichi sembrò pensarci, e anche parecchio visto che rimase qualche istante in assoluto silenzio guardandolo negli occhi assorto, come se volesse cercare le parole giuste per dirlo.
– Io… Beh, potrà sembrarti stupido e assurdo ma… Provo qualcosa quando sono con te che non è l’odio che decanto in continuazione… - ecco il proemio del discorso e forse, stavolta, finalmente avrebbe capito che diamine passava per la testa di quel Do’aho. Non voleva ancora scoprirsi e, il rossino, sembrava non volergli chiedere nulla almeno fino alla fine del suo discorso. – Credevo di odiarti, davvero, ne ero convinto… Perché sei sempre così dannatamente bravo che ero invidioso di te e quindi ho cercato in tutti i modi di farti infastidire. Ma tu non sembri nemmeno calcolarle queste mie provocazioni… O meglio, le vedi, le assecondi ma non ti toccano nel profondo come io volevo – aggiunse e Kaede iniziava a capire dove voleva andare a parare, forse. Voleva che reagisse, voleva che lo vedesse vero?
– Volevo che mi guardassi… - ammise ancora e lo vide arrossire enormemente stavolta. Il primo passo l’aveva fatto lui giusto? Poteva fare il secondo? Deglutì, sospirando e prendendo un bel respiro, guardandolo prima di parlare.
– Ascolta, Hanamichi, io volevo solo che ti rendessi conto di quello che sento io… Di quello che, se ho capito bene, senti anche tu… Ma non so se sei pronto – rispose lui, guardandolo anche lui negli occhi come per studiare la sua anima, le sue reazioni e si meravigliò di vedere in quello sguardo sicurezza e imbarazzo. Quella sicurezza che a lui mancava, che a lui era sempre mancata per andare avanti e rischiare.
– E cosa… Cosa senti tu? – domandò il rosso, con un altro sorriso, guardandolo come se volesse, solo guardandolo, anticipare la risposta. E probabilmente sapeva anche quale sarebbe stata visto che sembrava raggiante. Prese un bel respiro, un altro, e poi socchiuse le labbra per parlare, per dire davvero quello che sentiva aldilà di tutto, quello che aveva creduto un sentimento passeggero.
– Potrei dire che ti amo – rispose, mentre un lievissimo rossore gli imporporava appena la guance colorendo la sua pelle pallida. E al rossino era bastato, aveva preso il suo viso e lo aveva avvicinato al suo, prima di immobilizzarsi e guardarlo ancora. Non c’era stato bisogno di dire niente, nient’altro, e lo aveva guidato fino a casa sua, chiudendo la porta e voltandosi verso l’ospite, un vero ospite stavolta.
– Anche io ti amo – gli rispose, finalmente, Sakuragi mentre lo abbracciava stretto, strettissimo, e Kaede a sua volta lo guardava sorridendo appena, solo un po’. E poi il rosso si chinò per baciarlo, o almeno a Rukawa sembrò così e infatti così fu.
Un bacio, finalmente, Hanamichi gli aveva dato un bacio. Leggero certo, timido ma non per questo meno ricco di significato, certamente migliore lui di quelli che, invece, aveva solo sognato. E quando si staccò da lui capì immediatamente che era tutto così chiaro, era sempre stato chiaro. Lo vedeva da quegli occhi sinceri che lo guardavano con infinita dolcezza che lo amava, lo capiva solo da quello semplice sguardo nocciola.
Stavolta fu Kaede ad unire le loro labbra insieme, a cercare di più mentre si stringeva al compagno, per sentirlo vicino e, inutile dirlo, Hanamichi non si lasciò certo pregare per chiedere il permesso per infiltrarsi delicatamente e con dolcezza tra quelle labbra che, probabilmente, aveva ambito parecchio. Passarono così la lo vigilia di natale, la prima insieme, a baciarsi e coccolarsi sul divano che avevano raggiunto dopo cinque minuti di quei baci che sembravano non voler finire mai. E poi Hanamichi chiese di più e Kaede non glielo negò di certo, anzi, fu ben felice della cosa.
Si strinse al compagno trattenendo un gemito di piacere mentre quello gli toglieva i pantaloni della tuta e la felpa pesante accarezzandogli il petto. Il moretto lo guardò con gli occhi blu vitrei di aspettativa mentre sentiva quelle mani lungo tutto il proprio corpo, così dolci e attente che sembravano irreali. Quando gli toccò appena l’erezione, una volta tolti i boxer, si sentì davvero bene, come mai si era sentito ma anche frustrato e chiese, a voce alta, di più. Quel di più che il rossino ovviamente soddisfò prendendolo tra le labbra mentre, con le dita, lo preparava per accoglierlo e, non appena avvertì quel corpo caldo sciogliersi tra le sue labbra, lo penetrò con immensa attenzione e dolcezza, spingendo appena Rukawa gli diede il via dopo qualche istante di silenzioso dolore. Vennero insieme, accasciandosi lì, sul divano, abbracciandosi dolcemente e stringendosi ancora con le mani, le dita intrecciate insieme, indivisibilmente.
La mattina dopo erano ancora lì, abbracciati, con quelle dita intrecciate e quei dolci sorrisi sui loro visi che dicevano tutto, tanto forse troppo anche al solo vederli. Si vedeva immediatamente quell’amore che, lentamente, era maturato e germogliato. Un amore che poteva sopravvivere facilmente, nel loro caso: bastava davvero poco per preservarlo e loro lo avrebbero fatto ogni giorno con i piccoli gesti e le parole, quelle parole che mancavano sempre.

Fine

Fine... Oh beh avrei voluto soffermarmi di più sulla scena hot ma è un periodo che non riesco molto... Insomma speriamo che mi ritorni ispirazione in quel senso ma... A me piace anche così xDD
By athenachan

   
 
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