Vizio di famiglia

[...] Il professor Piton, che nel corso dell’estate sembrava aver raggiunto nuove vette di perfidia, lo punì [...]
(cap. 14 – Le Maledizioni Senza Perdono, pag. 182, HP e il Calice di Fuoco)

Severus sospirò per l’ennesima volta, si stava ancora chiedendo come Sibilla fosse riuscita a convincerlo a partire con lei. Sapeva perfettamente che andare a trovare i parenti della “veggente” non era stata affatto una buona idea.

«Mio caro ragazzo», esordì una vecchina seduta su una sedia, che Severus poco prima aveva creduto una statua da tanto era immobile. «Vedo cose terribili nel tuo futuro, non ci sarà riposo per la tua anima quando avrà lasciato il tuo corpo in condizioni disumane».

“Lo sapevo” pensò solo Severus alzando gli occhi al cielo scettico e cercando di svoltare l’angolo per lasciarsi alle spalle la vecchina.

«Ciao, nonna Artemide», chiocciò Sibilla dietro di lui, abbracciando calorosamente l’anziana che, Severus ne era più che sicuro, una folata di vento avrebbe portato via in due secondi.

«Nipote carissima, cosa ti porta qui?» chiese la vecchina dopo essersi riseduta al sicuro sulla sedia. «Aspetta, non dirmelo. Hai visto con la tua Vista che tua cugina Kassandra sta per avere un bambino e sei accorsa per il grande evento».

Sibilla ci pensò su qualche secondo indecisa se dire o meno all’anziana la verità, cioè che non aveva visto nulla di simile e che voleva semplicemente far conoscere il fidanzato ai parenti.

«Ma certo, nonna, è proprio per questo che sono qui», sorrise infine la strega. «Dove posso andare a posare i bagagli?» chiese poi sbrigativa per togliersi da quell’impiccio: parlare ancora con l’anziana l’avrebbe portata di sicuro a raccontarle la verità.

«Li puoi portare nella stanza di Lampusa, non si è ancora fatta vedere. C’era da aspettarselo, no? Lei non ha il Dono», rispose Artemide con una faccia schifata per sottolineare la mancanza di sensibilità dell’altra nipote.

«Umph», sbuffò Severus al sentire quelle parole e pensando che Lampusa non fosse la sola a non avere il Dono.

«E chi è questo bel giovanotto?», chiese Artemide notando il mago forse per la prima volta con la sua vista normale.

«Oh, nonna, questo è Severus», disse solo Sibilla arrossendo un po’, mentre l’interessato cercava di non ghignare in faccia all’anziana perché, nonostante le sue visioni, non aveva predetto l’arrivo della nipote con tanto di mago al seguito.

«Mia cara, finalmente ce lo porti a conoscere», esultò Artemide, alzandosi di scatto come una molla e iniziando a ballare di contentezza davanti ai due ospiti.

Severus ebbe la spiacevole sensazione che, se la vecchina fosse inciampata nella sua veste troppo lunga o avesse mancato l’appoggio di un piede, sarebbe crollata a terra in mille pezzi; così decise di interrompere la sua danza, onde evitare la rovinosa caduta, per aiutarla a risedersi sulla sedia.

«Grande sventura cadrà su te e la tua stirpe...» iniziò Artemide, subito interrotta da Severus.

«Sì, lo so, verrò colpito da un fulmine, divorato dalla piovra gigante del Lago Nero, digerito dal mostro di Loch Ness e infine risputato sulla terra in forma di larva per infestare chiunque mi capiti a tiro», concluse il mago spazientito per l’ennesima predizione a vuoto.

Artemide strabuzzò gli occhi, sbiancò e sembrò dissolversi nell’aria per qualche secondo, la casa si oscurò e una voce tonante risuonò tutto intorno: «No, ragazzo, tu non sai quello che ti succederà e farai bene a non prenderti gioco di un’anziana veggente come me. Interrompere la danza e la predizione ha richiamato su di te un’infinità di sventure».

Severus prese per un braccio Sibilla e si allontanò dalla vecchina per nulla intimorito dalle sue previsioni.

«Non genererai progenie, tutti ti isoleranno e morirai con dolore», continuò la voce imperterrita come se i due non se ne fossero andati.

«Ci manca solo che si contraddica e preveda che partorisca», disse il mago individuando la stanza di Lampusa ed entrandovi.

«Oh, Severus, in fondo la nonna sta solo prevedendo il tuo futuro. Non ci vedo nulla di male», asserì Sibilla tranquilla, come se predire catastrofi immani a un’altra persona fosse del tutto normale.

«Mi sta bene quando prevedi tu la mia dipartita, lo sopporto e non ci do peso», sospirò Severus guardandola. «Ma non riesco a sopportare che ci siano altre... quante siete?», chiese per avere la certezza di non sbagliare.

«Venti, sorella più, cugina meno», rispose pronta la professoressa, non capendo bene dove volesse andare a parare il fidanzato.

«Bene, non penso di riuscire a sopportare che ci siano altre venti che mi predicono una morte lunga e dolorosa. Chi me l’ha fatto fare di venire qui?» concluse poi sospirando e accasciandosi sul letto.

Sibilla lo guardò per qualche istante non capendo proprio quale fosse il problema di tanto struggimento, in fondo predire le cose era una dote di famiglia e se tutte si trovavano d’accordo su quel dato punto, cioè la morte di Severus, allora qualcosa di vero c’era e forse il mago avrebbe dovuto credervi e dare più peso alla cosa.

«Ti spaventa la morte?» chiese Sibilla non vedendo ancora quale fosse il problema.

Severus a quella domanda si rialzò e si erse in tutta la sua altezza, perforando con lo sguardo la collega: «No, ho più paura di impazzire continuando ad ascoltare te e i tuoi parenti», sibilò prima di smaterializzarsi nel posto più lontano da quella gabbia di matti.